Gen 3, 2013 | AGOPUNTURA, ALIMENTAZIONE E SALUTE, IPNOSI, MEDICINA FUNZIONALE, NEURALTERAPIA, OMEOPATIA
Le cefalee sono tra i dolori che più colpiscono gli individui quotidianamente. In alcuni casi si può trovare un legame causa-effetto e a determinare la causa che provoca il dolore ( intossicazioni, stress, insonnia ecc.) Nell’origine delle cefalee si deve ricordare che gli antidolorifici assunti per curarle possono rappresentare la causa del attacco doloroso successivo per il cosidetto effetto ” rebound”. La ricerca dell’origine dei meccanismi alterati che portano alla cefalea è un percorso difficile in cui vanno considerati anche fattori molte volte nascosti come frustrazioni, traumi emotivi, rimozioni oltre ai meccanismi psicosomatici.
Le cefalee possono essere divisi in due gruppi principali, primarie e secondarie:
Le cefalee primarie sono date da modificazioni vasomotorie ( spasmi con successiva vasodilatazione ) o metaboliche cerebrali ( alterato equilibrio tra sostanze eccitanti ed inibitorie ) e rappresentano il 90% delle cefalee. Questo dato ci dice che la maggiore parte delle cefalee ha un’ origine funzionale e non fisiologica.
Le cefalee primarie si suddividono in cefalea da tensione, emicranie e cluster ( emicrania a grappolo).
Le cefalee secondarie sono riconducibili ad alterazioni strutturali della testa o a squilibri localizzati altrove spesso legati ad una patologia soggiacente ( tumore, aneurisma, embolo, meningite ).
DIAGNOSI DIFFERENZIALE TRA LE CEFALEE PRIMARIE
Le cefalee da tensione rappresentano il 90% dei casi e sono diffuse a tutta la testa e colpiscono circa il 3 % della popolazione . Allo stato attuale si pensa che i fattori di sovraccarico emozionale siano i principali responsabili. Gli stati di tensione nervosa uniti allo stress quotidiano, determinano una contrazione involontaria dei muscoli della regione del collo con ripercussioni sulla circolazione sanguigna cerebrale, che sicuramente contribuisce all’insorgere della cefalea.
Le emicranie colpiscono circa il 20% delle donne e il 5 % degli uomini e possono dare un insieme di sintomi premonitori e di accompagnamento di tipo neurologico detti aura , presente nel 25% dei pazienti. Il dolore è di solito localizzato in una zona della testa, è pulsante, accompagnato da nausea nel 40% dei casi, fotofobia, fonofobia e sensazione di formicolio nel viso e nelle mani.
Una sostanza coinvolta nel processo doloroso è la serotonina, generata dalle cellule nervose del tronco cerebrale, la cui produzione può essere stimolata da alterazioni del climaterio, mestruazioni e stress: gli impulsi generati raggiungono la corteccia cerebrale stimolando i neuroni e li deprimono subito dopo dando luogo al fenomeno dell’aura. I fattori emozionali sono considerati i responsabili principali.
La cefalea può essere scatenata anche da determinati alimenti ( alcool, carne di maiale, agrumi, cioccolato, formaggio ecc) , sforzo fisico e medicinali.
Le cefalee a grappolo ( 0,5% ) provocano un dolore insopportabile, simile all’emicrania ma più localizzato e non pulsante. Il dolore può essere localizzato a livello di un occhio, con possibile arrossamento e lacrimazione, ptosi palpebrale, miosi e secrezioni nasali nello stesso lato del dolore.
Come per qualsiasi patologia il punto più importante è realizzare una buona diagnosi: conoscendo la causa si può determinare la cura. Questo processo di indagine deve prendere in esame tutte le varie ipotesi: farmaci, problemi emotivi, alimenti ecc.
Nella terapia delle cefalee la soppressione del dolore mediante farmaci non è sempre un atteggiamento corretto perchè cercare di diminuire o neutralizzare il dolore equivale a combattere l’effetto e non la causa, ossia la malattia o lo squilibrio che l’ha provocato.
Il dolore non deve essere visto come fatto negativo bensì un fenomeno positivo, che ci informa che nell’organismo o nella mente c’è qualcosa di disturbante. Il dolore svolge la stessa funzione delle spie del quadro di un’automobile: è il segnale di un problema al quale occorre porvi rimedio per riportare l’individuo allo stato di salute.
L’approccio terapeutico delle medicine complementari ( agopuntura, omeopatia, omotossicologia, medicina funzionale, ipnosi ) non maschera il quadro clinico, rispetta l’omeostasi fisiologica e se elimina il dolore è perchè tratta il processo scatenante soggiacente: rimuove la causa e non solamente la sua manifestazione.
Nov 24, 2012 | IPNOSI, PILLOLE DI RIFLESSIONE
Ci sono prove evidenti per un tipo completamente nuovo di medicina in cui il DNA può essere influenzato e riprogrammato dalle parole e dalle frequenze SENZA ritagliare e sostituire i singoli geni.
Le scoperte e le conclusioni dei ricercatori russi sono semplicemente rivoluzionari! Secondo loro, il nostro DNA non è solo responsabile della costruzione del nostro corpo, ma serve anche per la memorizzazione di dati e nella comunicazione. I linguisti russi hanno scoperto che il codice genetico, specialmente nell’apparentemente inutile DNA spazzatura, segue le stesse regole di tutti i linguaggi umani. A tal fine, hanno confrontato le regole della sintassi (il modo in cui le parole sono messe insieme per formare le frasi), della semantica (lo studio del significato delle parole) e le regole di base della grammatica. Hanno scoperto che gli alcalini del nostro DNA seguono una grammatica regolare e hanno delle regole fisse, proprio come i nostri linguaggi. Quindi i linguaggi dell’uomo non appaiono casualmente, ma sono un riflesso del nostro DNA inerente.
Il biofisico e biologo molecolare russo Pjotr Garjajev e i suoi colleghi hanno anche esplorato ilcomportamento vibrazionale del DNA. Il principio di fondo era che i cromosomi vivi funzionano proprio come computer olografici utilizzando la radiazione laser del DNA endogeno. Ciò significa che sono riusciti, per esempio, a modulare certi modelli di frequenze su un raggio laser e con esso hanno influenzato la frequenza del DNA e quindi l’informazione genetica stessa. Poiché la struttura di base delle coppie di DNA-alcalino e del linguaggio è la stessa (come spiegato in precedenza), non è necessaria la decodifica del DNA.
Questo spiega finalmente e scientificamente perché le affermazioni, il training autogeno, l’ipnosi e discipline simili possono avere effetti così forti sugli esseri umani e sui loro corpi. È del tutto normale e naturale per il nostro DNA reagire al linguaggio. Mentre i ricercatori occidentali tagliano singoli geni dalle eliche del DNA e li inseriscono altrove, i russi hanno lavorato entusiasticamente su dispositivi che possono influenzare il metabolismo cellulare attraverso frequenze radio e di luce idonee in grado di riparare i difetti genetici.
Il gruppo di ricerca di Garjajev è riuscito a dimostrare che con questo metodo, ad esempio, i cromosomi danneggiati dai raggi X, possono essere riparati. Hanno anche catturato modelli di informazione di un particolare DNA e li hanno trasmessi su di un altro, riprogrammando quindi alcune cellule in un altro genoma. Hanno trasformato con successo, per esempio, embrioni di rana in embrioni di salamandra, trasmettendo semplicemente i modelli di informazione del DNA! In questo modo l’intera informazione viene trasmessa senza nessuno degli effetti collaterali o disarmonie che si incontrano quando si tagliano e si reintroducono singoli geni dal DNA.
Si tratta di un incredibile rivoluzione che può trasformare il mondo intero. Tutto questo semplicemente applicando vibrazione e linguaggio al posto dell’arcaica procedura di taglio! Questo esperimento indica l’immenso potere della genetica delle onde, che ovviamente ha una maggiore influenza sulla formazione degli organismi piuttosto che sui processi biochimici delle sequenze alcaline.
La conclusione di Garjajev non lascia spazio alla fantasia: il DNA è un bio-computer che risponde ad onde di frequenza. Leggi gli studi di Garjajev →
Nov 5, 2012 | AGOPUNTURA, IPNOSI, OMEOPATIA
Il lutto ( simbolico o reale ) è quel processo di risposte fisiche, psicologiche, comportamentali, relazionali e sociali alla percezione di perdita.
L’elaborazione del lutto si riferisce agli sforzi di nuovo adattamento atti a favorire il riequilibrio personale. Il processo comporta lo scioglimento dei legami psicologici che hanno legato il soggetto al” defunto” quando era in vita e lo sviluppo di nuovi legami adeguati al fatto che “l’oggetto” è morto. Durante tale processo gli attaccamenti precedenti si modificano per consentire la trasformazione del precedente rapporto, basato sulla presenza, in un nuovo caretterizzato dall’assenza.
Pertanto il decesso improvviso ed inaspettato accresce e complica l’elaborazione del lutto, in quanto va a sconvolgere la capacità di adattamento dell’individuo; infrange traumaticamente le proprie convinzioni sul mondo; connota la perdita come priva di senso; determina una perdita profonda di sicurezza e di fiducia nel mondo.
Normalmente quando parliamo di lutto pensiamo ad una situazione nella quale muore qualcuno a cui siamo affezionati. Ovviamente il prototipo di lutto riguarda proprio la scomparsa per morte di una persona amata. Tipicamente questo avviene per i genitori, ma lutti molto frequenti sono anche la morte di un partner, di un fratello, di un amico e di un figlio. Ma nell’essere umano la sensazione di perdita si colloca non solo a questo frangente, ma a moltissime altre situazioni che raramente sono lette con efficacia dalla coscienza. Altro tipo di perdite molto frequenti non legate alla morte o alla separazione, sono i cambiamenti. In ogni cambiamento infatti ci si ritrova con una situazione precedente che non può più essere mantenuta e che viene quindi persa e una situazione futura, che non si conosce e genera angoscia, e rappresenta un vero e proprio salto nel vuoto per l’individuo che la deve affrontare.
ESPERIENZE LEGATE AL LUTTO PROPRIAMENTE DETTO: tutte le morti che sono significative per una persona: genitori, partner, figli, fratelli, amici.
ESPERIENZE LEGATE ALLA SEPARAZIONE DA UNA PERSONA AMATA: perdita di un partner in una separazione, fratelli, amici, soci.
ESPERIENZE LEGATE AL CICLO DELLA VITA: tutti i passaggi critici dell’individuo: infanzia, adoloscenza, età adulta, età matura, vecchiaia.
ESPERIENZE LEGATE AL CICLO DI VITA DELLA COPPIA E DELLA FAMIGLIA: innamoramento, legame duraturo, fidanzamento e matrimonio, nascita di un figlio, crescita.
ESPERIENZE LEGATE AL CAMBIAMENTO DI LUOGO E IN AMBITO LAVORATIVO; INCIDENTALI E TRAUMATICHE CHE COMPORTANO DELLE PERDITE CONCRETE O FUNZIONALI; perdita del lavoro, cambio di lavoro, incidenti.
Ogni volta che avviene la perdita di un oggetto al quale siamo affezionati ci troviama in una situazione di elaborazione del lutto. Il problema dell’affezionarsi e del perdere hanno a che vedere con il cervello biologico in una delle sue funzioni principali: l’attaccamento.
La funzione dell’attaccamento serve ai cuccioli per sviluppare un legame con la madre nel periodo del loro ciclo vitale nel quale non possono provvedere da soli alla propria sopravvivenza. In questa fase, infatti, avvengono degli importantissimi processi di apprendimento che riguardano un grande numero di competenze e lo sviluppo di un gran numero di funzioni che potenzieranno la possibilità di sopravvivenza dell’individuo. In tale fase della vita il cucciolo può fare esperienza del mondo circostante in un contesto protetto e sicuro. Opposta alla funzione di attaccamento appare la funzione di esplorazione che lo porta ad allontanarsi e ad esplorare il territorio e col tempo diventa autonomo. L’essere umano, a differenza di altre specie, presenta sia una grande difficoltà nel pervenire alla fase di maturazione delle funzioni e risorse, sia una particolare persistenza della funzione di attaccamento; tutto ciò lo porta a trovarsi dipendente nel senso affettivo a molte cose, persone e situazioni.
Quando si verifica una perdita, l’individuo sente che una parte di sè non permette la perdita e registra una sorta di impossibilità di sopravvivenza senza l’oggetto perduto. Questo vissuto ricorda molto da vicino i cuccioli che perdono la madre e che vivono un reale pericolo di morte in questa situazione.
I sintomi della perdita si possono dividere in due principali categorie: acuti e cronici. I sintomi acuti riguardano l’elaborazione della perdita quando essa è appena accaduta. Sono un senso di smarrimento, una crisi di tipo esistenziale con una perdita del senso dell’esistenza, un appiattirsi e rendersi grigio della vita, un senso struggente di mancanza dell’oggetto perduto: di fatto aleggia la morte. Nostalgia, cordoglio, dolore, sono emozioni molto frequenti quando il lutto è in azione.
Ma non sempre le persone sono in grado di elaborare e quando non elaborano o lo fanno solo in modo parziale si assiste alla comparsa dei sintomi cronici. L’elaborazione non riesce quando la persona non ritiene di avere le risorse sufficienti per reggere il mondo senza la persona o la cosa perduta. In questo caso il dolore risulta essere talmente forte da mettere in atto dei meccanismi di difesa da esso e il processo profondo di distacco dall’oggetto viene abortito. In questo caso nel livello biologico l’oggetto viene ad essere congelato insieme alla parte di organismo che aveva potuto vivere ed esprimersi nella relazione con esso.
Quando l’elaborazione non riesce allora entrano in gioco i meccanismi di difesa più disparati: tipicamente il dolore di una perdita viene tramutato in rabbia, negazione e svalorizzazione. Questo rifiuto di una vera elaborazione del lutto diminuisce il dolore per la mente apparentemente, ma allontana la possibilità di gestione della perdita in quanto il piano esistenziale non offre sostegno alcuno al processo di integrazione. Spesso in questi soggetti si verificano nel tempo delle somatizzazioni. Il lutto a volte è un evento più complesso ed insidioso di quello che si possa credere. Il lutto vero e proprio, la morte per una persona cara, rappresenta una forma di sofferenza, un evento socialmente accettato e che può essere condiviso. Vi sono invece dei traumi che non si possono comunicare, questo si verifica negli abusi, violenze sessuali ecc. Spesso si verifica che una elaborazione del lutto complicata in seguito ad un evento socialmente condivisibile abbia dietro un lutto ancora più grande e devastante ma non comunicabilee , che in esso trova la propria espressione. Alla luce di questo ragionamento la somatizzazione può essere spiegata in maniera analoga. La sofferenza, la malattia, il malessere sono una forma di dolore che si può esprimere senza doversene vergognare. In alcuni casi è l’unico modo per esternare in trauma-lutto non elaborato.
Apprendere la gestione delle perdite infatti è una risorsa che deve essere appresa culturalmente e non un fenomeno di natura biologico.
Diversi fattori influenzano l’andamento del periodo successivo a un lutto: età, sesso, classe sociale, reddito, razza, educazione, perdita di sostentamento futuro, iniziali sintomi di stress, morte improvvisa del coniuge, percezione del supporto sociale, qualità della relazione coniugale e molteplici eventi vitali.
L’eventuale sviluppo di un disturbo psichico è invece in relazione a due fattori, la qualità della vita seguente la perdita di una persona e la capacità di adattamento individuali.
Alcuni studi hanno dimostrato che la morte di un coniuge ha effetti più negativi se improvvisa, piuttosto che dopo una malattia di lunga durata. In questo ultimo caso si pensa che l’anticipazione del lutto abbia un ruolo protettivo , svolgendo un’azione preparatoria che consente di fronteggiare meglio l’evento. Sono i giovani a presentare maggiori difficoltà nell’affrontare un improvviso decesso del partner, poichè in questa età costituisce un evento innaturale che, quando accade inaspettetamente, può avere un impatto violento.
Anche le modalità del decesso possono facilitare la comparsa di complicanze, come nel caso di morte violenta o accidentale. Se la morte riguarda un bambino il quadro luttuoso presenta uan maggiore gravità, con una persistenza di profondi sensi di colpa, pensieri intrusivi e rappresentazioni d’immagini relative all’evento.
Secondo alcuni studi le donne hanno una maggiore fragilità nei confronti del lutto in qunto tendono a mantenere più a lungo il rapporto con il defunto. Sono stati, infine, indicati come possibili fattori prognostici negativi , la mancanza di un valido supporto sociale, l’incapacità del soggetto a percepire l’aiuto disponibile, lo scadimento della qulità della vita sul piano finanziario e relazionale, le conflittualità famigliari, il persistere di eventi stressanti, le caratteristiche di personalità, la presenza di precedenti distrurbi psichici.
Nella maggior parte dei casi il lutto si risolve spontaneamente e non necessita, quindi, di terapia specifiche; un valido aiuto è dato dal sostegno di parenti ed amici. Quando avviene un evento traumatico viene distrurbato l’equilibrio necessario per l’elaborazione dell’informazione a livello cerebrale. Si può affermare che questo provochi il ” congelamento” dell’informazione nella sua forma ansiogena originale, nello stesso modo in cui è stato vissuto. Questa informazione congelata non può essere elaborata e quindi continua a provocare patologie.
Il lutto non elaborato, congelato è assimilabile nella Medicina Tradizionale Cinese al concetto del blocco dell’energia. Secondo la MTC la distinzione tra mente e corpo non esiste in quanto la psiche è il corpo e il corpo stesso è psiche. non vi è infatti funzione organica che non abbia una sua connotazione emotiva e non esiste stato psicologico , acuto o cronico che non lasci la sua impronta sugli organi e le loro funzioni.
L’approccio alla rielaborazione del lutto con l’agopuntura, l’omeopatia, l’ipnosi permette un più rapido sblocco e scongelamento dell’energia bloccata permettendo all’individuo di giungere meglio e più rapidamento alla soluzione del conflitto.
Mag 6, 2012 | AGOPUNTURA, IPNOSI, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
L’ ansia è un’emozione che fa parte integrante della natura umana ed è generata dalla primordiale necessità di rispondere ed un eventuale pericolo, percependolo in anticipo, prima che questo si sia manifestato concretamente.
L’ ansia mette in moto tutte le risorse mentali e fisiche dell’individuo affinchè, dopo una valutazione della situazione, questo possa affrontare adeguatamente il pericolo ed uscire dall’impasse oppure, ritenendo di non avere risorse adeguate, decida di fuggire.
Questa alternanza di lotta e fuga ha consentito all’uomo, fin dai primordi della sua presenza nel mondo, di conoscere il suo habitat e di vivere adattandosi sempre meglio ad esso. In questa scelta, che continuamente si propone all’individuo sino dall’origine della specie umana, l’ansia ricopre un ruolo di fondamentale importanza per la sopravvivenza e costituisce il motore che spinge all’azione la dove non esista la motivazione di una gratificazione immediata. Anche azioni apparentemente banali come uscire di casa in tempo per andare ad un appuntamento o per prendere il treno avrebbero ottime possibilità di naufragare miseramente se l’individuo non fosse spinto dall’ansia.
Fino a questo punto il ruolo positivo dell’ansia appare evidente, infatti si rivela costruttiva e funzionale alla sopravvivenza ed essenziale per lo sviluppo della personalità e per il raggiungimento degli obiettivi. Cosa accade, però, quando non siamo capaci di superare una situazione di pericolo, oppure quando allo stato di allarme e attivazione non corrisponde un pericolo reale da frontaggiare e risolvere? In questo caso l’ansia si trasforma da risposta naturale e adattiva a preoccupazione sproprozionata o comunque poco reale assumendo la connotazione di disturbo psichico e perdendo la sua funzione di spinta per la crescita; così l’ansia perde la sua funzione adattiva tesa a favorire il rapporto con l’ambiente, provocando al contrario disadattamento e perdita di contatto con l’ambiente stesso.
Quando lo stato ansioso e la forte difficoltà nel controllare la preoccupazione eccessiva sono presenti per la maggior parte della giornata riguardo alla maggior parte degli eventi o delle attività, può accadere che si manifestino dei sintomi fisici che sembrano indicare un difetto o una disfunzione di natura organica, talvolta anche di notevole entità; spesso per questa sintomatologia non è possibile risalire ad alcuna causa fisiologica, pertanto siamo di fronte a sintomi di natura psicosomatica, che sono causati appunto dall’azione della psiche e non da cause esterne.
L’ANSIA DISFUNZIONALE
Quando l’ansia perde la sua connotazione di reazione naturale e necessaria alla sopravvivenza diventa una patologia che, coinvolgendo sia mente che corpo, porta come immediata conseguenza uno stato di continua ipereccitabilità che innesca un circolo vizioso fatto di stress, insonnia e somatizzazioni a livello di diversi organi e apparati.
Principali sintomi psicosomatici a carico dei diversi apparati :
Apparato digerente: bulimia, bruciori gastrici, ulcera, cattiva digestione, intestino irritabile, colite, stipsi, diarrea ecc.
Apparato respiratorio: mancanza di fiato, asma, senso di oppressione, ecc.
Arti: dolori muscolari, debolezza alle gambe, sudorazione, tremore, ecc.
Collo e spalle: cefalea muscolo-tensiva, mal di schiena, ecc.
Cuore: infarto, tachicardia, aritmia, palpitazioni, ecc.
Occhi: annebbiamento della vista, ecc.
Pelle: tutte le dermatosi, eczemi, psoriasi,ecc.
Sistema immunitario: calo delle difese
Dal punto di vista funzionale accade, che il perduare dello stato ansioso, suscitato da impulsi di paura o da emozioni negative, inneschi reazioni a livello dei meccanismi di produzione delle sostanze mediatrici dello stress con conseguenti effetti somatici scatenati dall’attivazione del sistemo nervoso autonomo.
Le medicine complementari (agopuntura, omeopatia, omotossicologia, medicina funzionale, ipnosi), attraverso la regolazione degli imput disturbanti il sistema portano ad una interruzione degli stimoli esagerati riportando l’organismo verso un punto di maggiore equilibrio.
Gen 21, 2012 | AGOPUNTURA, IPNOSI, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
L’analisi dei traumi psichici e delle sovrastrutture che vengono create in seguito ai traumi stessi svolge un ruolo determinante nel trattamento delle problematiche fisiche e psichiche dell’individuo. Mente e corpo sono una cosa sola e pertanto un trauma psichico si traduce nel tempo con manifestazioni fisiche di somatizzazione di questo.
I primi traumi psichici provengono dalla nostra infanzia, ma possono risalire anche al periodo della nascita, al periodo della gravidanza della madre e anche discendere dai nostri genitori come malattia ereditaria.
La medicina complementare ( agopuntura – omeopatia – ipnosi ) può essere un grande mezzo nel trattare queste problematiche e nell’aiutare a rivivere, elaborare e risolvere questi traumi.
L’agopuntura andando a sbloccare particolari energie e meridiani, l’omeopatia riequilibrando il segnale disturbante causato dal blocco e l’ipnosi mediante tecniche di riprogrammazione della mente inconscia imprigionata dai condizionamenti.
Anima, mente e corpo sono per la medicina complementare un’unica entità. Spesso nella nostra cultura viene dimenticato il concetto essenziale nell’evoluzione di ciascun individuo. Troviamo esempio di questo dalla ricerca esagerata della risoluzione del semplice sintomo nella medicina ufficiale, oppure nel distacco del medico che si occupa di problemi fisici da quello che si occupa di problemi psichici, senza che ne uno ne l’altro cerchino di occuparsi di entrambi i problemi, come se fosse, appunto, che mente e corpo sono due entità ben distinte.
Le antiche medicine ci insegnano, invece, a riscoprire l’unità indivisibile dell’Uomo e a ritrovare la capacità di affrontare una problematica che non ha il nome di una malattia, ma ha il nostro stesso nome. La nostra stessa società spinge a comportamenti che portano lontano “dalla via che conduce all’Uomo”, creando stereotipi di “superuomo”.
La ricerca della perfezione fisica, del successo, dell’apparire, della carriera come scopo di vita, del non dovere provare dolore ne sofferenza, sono solo alcuni esempi del male dell’anima che ci soffoca. Queste sono solamente delle vie di fuga da noi stessi, dalle nostre debolezze, fragilità, dalla sofferenza e dal dolore che, come la felicità e la serenità sono parte della nostra esistenza.
Davanti al paziente la medicina complementare cerca di individuare le barriere di difesa che si è eretto negli anni, e delle quali non è più conscio, che lo ingabbiano e lo costringono in una realtà per la quale non è stato creato. La via della vera gioia è infatti riscoprire sé stessi.
Alla domanda su cosa fosse per lui la felicità Alexander Lowen, fondatore dell’analisi bioenergetica, rispose : ” la coscienza del cambiamento “.
Il nostro vissuto influenza corpo, mente ed anima e se questo vissuto fosse un trauma emozionale porterà negli anni a cambiamenti che porteranno in seguito ad una patologia cronica. Quando il terapeuta va a scavare nei recessi nascosti di una persona deve tornare indietro nel tempo ed andare alla ricerca del primo trauma, quel primo evento che ha scatenato tutta una serie di modificazioni la cui unica conseguenza è il suo disequilibrio.
Per capire questo dobbiano analizzare la fisiopatologia psichica e capire cosa succede.
Possiamo dire che al momento della nascita l’individuo è immacolato dal punto di vista psichico, (tralasciando la componente traumatica psichica ereditaria dei nostri genitori). Nella vita di tutti avvengono uno o molti traumi compreso il momento del parto e la vita intrauterina, che si insinuano nell’individuo allo stato nascosto e che lentamente lo trasformano e lo condizionano.
Il trauma è un evento destabilizzante che ci mette davanti a delle scelte e a dei cambiamenti. A livello psichico, la più semplice forma di difesa è quella di crearsi delle sovrastrutture, ossia delle barriere di difesa.
Dopo il primo trauma , la prima forma di difesa possiamo definirla primaria. Questa consiste nella percezione del trauma e nel vivere interiormente lo stato di destabilizzazione, il sentire che qualche cosa non sta andando bene, che qualcosa è cambiato, ma non si sa che cosa. E’ una sensazione di ansia e di malessere interno al quale non si sa dare un nome. E’ la prima forma di difesa, ossia lo stato di allerta.
A questo stato di allarme, sempre a livello inconscio, si cerca di dare un nome al malessere, di trovare una causa, un colpevole. Si inizierà sempre a livello inconscio a colpevolizzare se stessi, la famiglia o le persone che sono attorno o alla nostra vita. Sarà una fase di rabbia inconscia non espressa verbalmente, la quale allontanerà sempre di più dal vero problema, distogliendo l’attenzione su un colpevole inventato che ovviamente non è realmente la causa dei problemi. Questa fase viene detta secondaria. A questo punto dopo avere individuato il colpevole si deciderà come proteggersi e come combatterlo e si entrerà nella fase terziaria che si divide in due modalità: l’atteggiamento ipertrofico e l’atteggiamento distruttivo che può essere distruttivo verso noi stessi, o verso gli altri, o verso entrambi. L’atteggiamento ipertrofico è rappresentato da colui che si crea delle corazze psichiche e fisiche di conseguenza, da tutti e tutto. Alcuni esempi possono essere la ricerca del successo, della gloria, della ricchezza, del potere, un’ ipertrofia dell’ ego, di tutto ciò che ci rende dei super-uomini privi di dolore e sofferenza e che non possono essere scalfiti da nulla. Se si osservano queste persone si nota che anche i loro atteggiamenti fisici rispecchiano il loro stato interiore. Voce forte e tonante, risate intense, petto in fuori, spalle diritte e testa alta, sorriso con denti serrati (segno di rabbia e aggressività repressa), atteggiamento dittatoriale con i sottoposti, sottomesso e ben disposto con i superiori, tanto per citare alcuni esempi.
L’atteggiamento distruttivo invece può essere rivolto verso noi stessi, gli altri o ad entrambi. Gli atteggiamenti saranno governati dal desiderio di distruzione. Verso noi stessi possono essere , per esempio, il continuo colpevolizzarsi, l’essere giudici impietosi di noi stessi, il condurre una vita all’eccesso di iper-lavoro o iper-fatica per non pensare alla propria vita portando alla distruzione del nostro corpo, provare una rabbia smodata verso di noi e arrivare fino ai punti estremi che possono portare alla depressione e a idee suicide. L’atteggiamento distruttivo verso gli altri può essere dato come esempi dalla violenza e rabbia distruttiva verso gli altri, desideri di vendetta, impossibilità a perdonare gli altri, trattamento spietato con i sottoposti (ma non per ipertofizzare l’ego ma per il gusto di annientare le altre persone) fino ad arrivare ai punti estremi di idee omicide.
Quanti personaggi noti o fatti di cronaca ormai quotidiani rientrano in questa classificazione…..
Come si può notare da questa classificazione, ogni passo che inizia con la fase primaria, fino alla fase terziaria porta ad una perdita di vista totale del trauma originale che ha causato tutta questa catena di sovrastrutture.
Lo scopo della terapia dever essere individuare e trattare il problema alla radice. E’ importante conoscere l’iter delle sovrastrutture psichiche elencato sopra, perchè in un trattamento corretto si osserva una regressione del paziente nel tempo dalla fase terziaria, alla secondaria fino alla primaria, con tutti i loro stati emotivi che le caratterizzano, fino a rivivere ed elaborare il trauma o i traumi originari di tutto.
“Se vogliamo che un germoglio di una pianta cresca dobbiamo prima di tutto arare il terreno”. Lo scopo della terapia è perciò arare il terreno psichico del paziente per poter permettere la sua rinascita. E’ un cammino di rinascita e per rinascere, come detto prima, occorre distruggere ciò che ci imprigiona, e questa distruzione potrà sembrare non piacevole, vista nei canoni occidentali di guarigione, ovvero assenza di sintomi e benessere assoluto. Questo conceto è errato perche va contro le leggi e il fluire della natura.
Il sentimento che caratterizzerà il processo di guarigione sarà infatti la leggerezza di risentirsi bambini con le nostre paure e fragilità, ma anche una gioia e libertà nel sentirsi così. Ci vuole tempo, ma …ogni albero ha bisogno del suo tempo per crescere.
Gen 11, 2012 | IPNOSI, PILLOLE DI RIFLESSIONE
L’ombra è la realtà che preferiamo non vedere, ma che corrisponde a tutto ciò che è inconscio in noi. E’ il lato oscuro della nostra anima che ci afffascina ma al tempo stesso temiamo e ci fa paura. Essa ci riconduce ai nostri aspetti oscuri, ai lati repressi o desideri non vissuti; ma per diventare individui “completi”, è necessario accettare e integrare la sua presenza. Come propone il buddista Thich Nhat Hahn:”Abbracciare amorevolmente il tuo modello comportamentale inaccettato, i tuoi lati ombra, come una mamma con il proprio bimbo che piange- in quel preciso momento, inizi a trasformarlo”.
Con Jung impariamo che l’ombra può essere fonte della più grande ispirazione e che offre l’occasione di trovare le proprie radici spirituali. Ci può condurre oltre la nostra personalità o “Persona” (nella psicologia junghiana la Persona -dal latino maschera- è il modo in cui ci presentiamo agli altri e veniamo visti da loro, è la maschera dell’adattamento sociale che l’individuo presenta al mondo) ossia quella maschera attraverso la quale spesso ci identifichiamo. Per Jung l’ombra è quell’entità che ci spaventa, ciò che preferiremmo non essere ma che dobbiamo pur tuttavia accettare e reintegrare se vogliamo unirci con il Tutto. Ci ripugna e ci attira, ci disgusta e ci affascina.
Poche persone sono al corrente del dato secondo cui un terzo della popolazione del nostro mondo pulito, di buon umore, accuratamente liberato da demoni e superstizioni, cade vittima di una psicosi, e perciò dell’ombra, almeno una volta nella vita. Un altro terzo vive questa esperienza come evento unico per la durata di mesi. Un altro terzo combatte ripetutatamente, da quel momento in avanti, con queste irruzioni dell’ombra; mentre l’ultima esigua parte resta ancorata ad essa, nel senso della schizofrenia. Si tratta di un’interrruzione del collegamento tra l’Io e l’0mbra. Entrambi seguono percorsi separati e non ritrovano più pacificazione.
Qualora l’ombra spinga da parte l’ego, le persone colpite vivono e soffrono la sua irruzione come una presa di potere da parte di una forza estranea, con la quale non sussistono possibilità di cooperazione. Tale scenario dell’ombra, diffusamente repressa, ci suggerisce di farci carico di un tempestivo confronto con essa, in senso molto consapevole e programmato (così come inteso da una terapia). Dando ascolto fin dall’inizio alla propria voce interiore ci si pone, nel confronto, più al sicuro rispetto alle irruzioni violente delle voci interiori in senso psichiatrico.
E difficile decidere di estrarre il bastone dal sacco, tirarlo fuori dal suo nascondiglio, ossia dall’inconscio. Tale decisione richiede un grande sforzo interiore, tanto più è grande la paura dell’ombra, tanto più piccola è la consapevolezza dei doni e tesori in essa nascosti. Ogni qualvolta rifiutiamo qualcosa, non appena qualcosa viene bandito dalla nostra coscienza perchè ci fa paura, esso diventa inconsapevole e sprofonda nell’ombra. Ma ciò che viene esiliato non vi si adegua senza opporre resistenza. La psicologa americana e specialista dell’ombra D.Ford spiega al riguardo: “i sentimenti che abbiamo represso non vogliono altro che essere integrati nel nostro io, e sono dannosi solo quando sono repressi perchè in questo caso possono presentarsi all’improvviso nei momenti meno opportuni. I loro attacchi di sorpresa vi danneggieranno nelle aree della vita per voi più importanti. Se non ci occupiamo della nostra ombra, sarà lei a occuparsi di noi, a modo suo.
Il nostro raggiungere la luce attraverso il buio, o la liberazione attraverso l’ombra, è una constatazione racchiusa nella formula di C.G.Jung: Io+Ombra=Sè. L’Io costituisce tutto ciò con cui ci identifichiamo consapevolmente – ogni qualità accettata e a noi attribuita, ogni facoltà cosciente. Ombra, al contrario, è tutto quanto inconsapevole, dunque tutto ciò che è rifiutato, tutto quanto di negativo ci viene attribuito, tutte le critiche e gli insulti che allontaniamo da noi e che in tal modo bandiamo dalla coscienza. Per raggiungere il Sè, lo stadio evolutivo più elevato della liberazione o l’autorealizzazione, devono trovarsi insieme l’Io e l’ombra oppure il nostro lato cosciente-luminoso e quello oscuro-inconsapevole.
Occuparsi della propria ombra delle proprie debolezze è per noi piuttosto sgradevole, benchè molto efficace. La maggior parte delle persone, al contrario, ricorre alla proiezione, all’attribuzione di colpe a terzi, facendone una sorta di sport di massa. Nulla è più semplice, a un primo sguardo, dell’allontanamento da sè di ogni responsabilità e farla ricadere sugli altri. Anche la continua autodifesa e la tattica del contrattacco (secondo il motto:”Anche tu non sei migliore”) lasciano l’ombra indisturbata e ostacolano la crescita.
Un’ampia porzione dei nostri problemi deriva dalla resistenza che noi stessi opponiamo e dunque dalla lotta, o addirittura dalla guerra, contro la realtà – quindi contro la verità.
La realtà non si adatta alle nostre pretese nè alle nostre ordinazioni o liste di desideri immaginari, molti vivono in continuo stress e sono colmi di rimproveri o di proposte migliorative. Analizzare tale atteggiamento moderno, e riflettere in proposito, risulta utile e importante. L’esprerienza dimostra quanto poco efficaci siano, rispetto all’evoluzione personale, l’andare per anni contro la propria realtà nonchè le continue accuse e lamentele nei confronti dei piani alti. Esse conducono esclusivamente a una vita rovinata, imbevuta di rabbia nei confronti di un esercito di presunti colpevoli. Quanti si lamentano per anni della circostanza che il proprio partner, il proprio capo, la propria situazione economica dovrebbero essere diversi, semplicemente non vedono come, nella realtà, essi stessi non siano diversi. In una tale situazione esiste un’unica sensata via d’uscita: IL RICONOSCIMENTO più rapido possibile DELLA REALTA’.
Quanto prima abbandoneremo la nostra resistenza nei confronti della realtà, tanto meglio sarà per noi. Non esiste un’alternativa intelligente al riconoscimento di ciò che è e neppure esiste l’obbligo di reputare attraente ciò che va riconosciuto ovvero di stimarlo e lodarlo. ACCETTAZIONE equivale a smettere di affliggersi e lamentarsi su ciò che ci è stato dato, nonchè di osteggiarlo energeticamente (interiormente oppure a livello esteriore). Chi si lamenta delle circostanze esteriori o interiori, le mantiene in vita. Ancor peggio, egli diventa il creatore della propria valle di lacrime. Coloro che si compiangono non vogliono realmente cambiare nulla e mai lo fanno, anche ove affermino ininterrrottamente il contrario. Quando lo si dice loro brutalmente, essi s’infuriano confermando così il sospetto. Solo accogliendo la realtà esteriore, e solo dopo aver accettato la nostra realtà interiore, saremo in grado di evolverci efficamente e divenire gli artefici di quella esteriore. Condizione perchè ciò si verifichi è, tuttavia, l’umile accettazione di quel posto che la Creazione ci ha intanto assegnato.Quale essere umano desideroso di evolvere, anch’io devo prendermi là dove mi trovo e non dove volentieri vorrei trovarmi. L’accettazione di ciò che è, costituisce l’unico presupposto affidabile per il lavoro sull’ombra e la crescita personale. E’ importante chiarire come l’accettazione non debba in nessun caso coincidere con l’approvazione di qualcosa o il suo alimentarla; nè tanto meno debba comportare la sopportazione di qualcosa a lungo termine. Essa consiste esclusivamente nello sciogliere, in questo preciso momento, la propria resistenza e nell’accogliere qualcosa dentro la propria realtà, comunque essa sia conformata e sulla base di come essa è ora.
ACCETTARE significa rinunciare a negare la realtà, prendendola invece come vera e importante nel suo proprio modo, qualsiasi esso sia. Solo chi percepisca secondo questo sentire farà esperienza della verità e potrà muoversi nella realtà. Colui che riconosce la realtà esistente, e a questo livello assume decisioni oneste, può tranquillamente prefiggersi qualcosa di coraggioso. Costui riceverà l’appoggio del destino ed esperirà le grandi energie sgorganti dalla realtà e dalla verità.
Bibliografia: L’ombra – il lato oscuro della tua anima – Ruediger Dahlke