Apr 14, 2015 | AGOPUNTURA, ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
I disturbi d’ansia sono correlati all’efficienza con cui il macchinario cellulare all’interno dei neuroni legge e traduce in proteine il gene che codifica per il recettore dell’ossitocina, un ormone coinvolto nella gestione di molti comportamenti sociali.
La suscettibilità ai disturbi d’ansia e ad altre emozioni e comportamenti, come paura e rabbia, è influenzata da fattori epigenetici (cioè che riguardano il modo in cui viene letta la sequenza del DNA, e non il DNA stesso) che modificano l’azione a livello cerebrale dell’ossitocina, un ormone secreto nel sangue dalll’ipofisi. A dimostrarlo è stato un gruppo di ricercatori dell’Università della Virginia a Charlottesville, che firmano un articolo pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”.
Il coinvolgimento dell’ossitocina nel comportamento emotivo e sociale – dal riconoscimento delle emozioni altrui alla fiducia, dall’atteggiamento di cura all’invidia – è testimoniato da numerosi studi; tuttavia stabilire legami diretti tra i livelli plasmatici dell’ormone (molto variabili da individuo a individuo) e specifiche abilità sociali si è dimostrato difficile, e le ricerche in merito hanno dato risultati discordanti.
Anche gli studi che hanno cercato di individuare i rapporti fra specifiche varianti (polimorfismi di singolo nucleotide o SNP) del gene per l’ossitocina e la propensione dei loro portatori a comportamenti o stati d’animo specifici – per esempio, essere facilmente preda di ansia – non hanno dato risultati soddisfacenti.
Invece di guardare alla genetica, nel nuovo studio Jessica J. Connelly e colleghi si sono rivolti all’epigenetica: per esplicare la propria azione a livello cerebrale, l’ossiticina si lega infatti a un recettore che si trova sui neuroni. Il numero e la densità di questi recettori neuronali, però, non dipende soltanto dal gene che li codifica (il gene OXTR), ma anche dal modo in cui quel gene viene letto dal macchinario cellulare che presiede alla produzione del recettore.
I ricercatori hanno quindi misurato i livelli di efficienza della traduzione del gene OXTR nei campioni di sangue di 98 soggetti che erano stati precedentemente sottoposti a risonanza magnetica funzionale mentre osservavano delle facce per interpretare l’emozione che esprimevano.
Dal confronto dei dati è emerso che bassi livelli di efficienza nell’espressione di OXTR erano sistematicamente associati a una maggiore attività nelle regioni cerebrali deputate all’interpretazione dei volti e all’elaborazione delle emozioni, e in particolare a una forte attività dell’amigdala, della circonvoluzione fusiforme, e dell’insula.
Il fatto che alla riduzione dei recettori per l’ossitocina sui neuroni corrisponda un aumento dell’attività di centri cerebrali che innescano uno stato di allarme (e viceversa), indica d’altra parte che l’ossitocina ha un’azione diretta di attenuazione della risposta di paura a una situazione.
Da Le Scienze
Apr 8, 2015 | ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, PILLOLE DI RIFLESSIONE
BENEFICI DI UNA CORRETTA IDRATAZIONE
L’importanza di un’appropriata idratazione è troppo spesso sottovalutata. Il corpo umano è costituito per circa due terzi da acqua. E’ fondamentale garantirne il ricambio attraverso un apporto adeguato.
L’acqua corporea entra attraverso l’assunzione di liquidi e alimenti (tutti la contengono, anche se in percentuali diverse); inoltre viene prodotta durante i processi metabolici.
L’assunzione di liquidi, ed in particolare di acqua, dovrebbe rappresentare la percentuale più importante del ricambio.
Si dovrebbe assumere acqua durante tutta la giornata: poca durante i pasti, in abbondanza lontano da questi. Ciò consente all’organismo, ed in particolare al rene, di lavorare meno e meglio e ai processi digestivi di non essere ostacolati.
Il tipo di acqua da assumere è da scegliere in funzione delle caratteristiche personali.
In presenza di funzione renale normale, le acque devono essere mineralizzate (Residuo Fisso elevato) in modo da poter essere sfruttate come fonte di minerali e di oligoelementi.
Per contrastare l’acidosi metabolica latente, sono da preferire le acque con pH basico (soprattutto negli sportivi, nelle donne in menopausa e nei pazienti oncologici).
L’acqua (ed eventualmente uno/mezzo bicchiere di vino rosso a pasto) dovrebbero completamente sostituire le bibite gassate, colorate, dolcificate o i superalcolici e gli alcolici di scarsa qualità, dei quali molto spesso vi è abuso.
Il tè verde è ricco di catechine; ha azione antiossidante molto potente e protegge da diversi tipi di tumore.
Caratteristiche -queste- che lo rendono la bevanda ideale nella nostra dieta.
BENEFICI DI UNA CORRETTA ALIMENTAZIONE
L’alimentazione dovrebbe comprendere di tutto, senza osservazioni dettate dalla quantità.
Dovrebbe contemplare principalmente frutta e verdura, e a seguire cereali integrali o decorticati (riso, frumento, farro, orzo, segale, mais, etc.), legumi e talvolta pesce o carne bianca.
Gli alimenti vanno conditi con oli extra-vergine di oliva; frutta secca ed essiccata, semi oleaginosi e centrifugati di frutta e verdura vanno assunti con moderazione.
Il sale è da evitare o da limitare fortemente, sostituendolo con le spezie.
1) VERDURE, ORTAGGI, FRUTTA
Questi devono essere consumati in abbondanza (verdure e ortaggi in tutti i pasti, la frutta meglio negli spuntini o prima del pasto), poiché ricchi in vitamine e in oligoelementi.
Per quanto concerne la verdura, le quantità sono irrilevanti (tranne nei casi di sindrome del colon irritabile); più se ne mangia meglio è.
L’apporto energetico di verdure e ortaggi è, in generale, molto scarso, dato il contenuto limitato in carboidrati, proteine e grassi.
Inoltre, le verdure presentano una elevata percentuale di acqua (circa 80%) e importanti quantità di fibra (che aiuta a regolare il transito intestinale, aumentando la massa fecale).
La fibra contenuta in verdure e ortaggi si presenta sotto forma di cellulosa, polisaccaridi non derivati dalla cellulosa e lignina.
La frutta va limitata maggiormente.
Due o tre frutti al giorno andrebbero sempre consumati (meglio lontano dai pasti, come spuntini, onde evitarne la fermentazione, e dunque il conseguente gonfiore di stomaco, quando si assumono a fine pasto).
In alternativa sono utili i centrifugati e i frullati, che possono diventare in caso di inappetenza, ottimi sostituti del pasto.
Per ottenere il massimo risultato dall’introduzione di frutta e verdura andrebbero seguite 3 semplici regole : 1 stagionalità, 2 Km 0, 3 biologico.
E’ opportuno consumare frutta e verdura di stagione, coltivate nelle vicinanze (evitando in qualche modo che il prodotto abbia viaggiato a lungo in celle frigorifere prima di arrivare sulla tavola, perdendo gran parte del potere nutritivo).
Inoltre, andrebbero preferiti alimenti biologici, privi di sostanze chimiche e tossiche come pesticidi, erbicidi, concimi chimici, oltre a tutti i molteplici additivi alimentari come conservanti, coloranti, edulcoranti che, oltre a mascherare le carenze organolettiche dei cibi di scarsa qualità, presentano talvolta azione cancerogena.
– Complessivamente, frutta e verdura dovrebbero rappresentare il 50-70% della quantità di alimenti assunti nella giornata, garantendo due risultati importanti: quello dell’idratazione e quello dell’alcalinizzazione.
Il primo è conseguenza del fatto che la verdura e la frutta hanno un contenuto in liquido molto elevato.
Secondariamente, entrambi questi gruppi di alimenti producono un effetto alcalinizzante sull’organismo e dunque contrastano l’effetto dei cereali e delle proteine che sono acidificanti (soprattutto le proteine animali).
Per valutare il potenziale alcalinizzante/acidificante di un alimento è possibile fare riferimento ad Indici reperibili in articoli e testi di alimentazione.
Quello più utilizzato è il PRAL (Potential Renal Acid Load – Potenziale di Carico Acido Renale), calcolato sulla base del contenuto di proteine, Fosforo, Magnesio, Potassio e Calcio di un alimento, tenendo conto della capacità di assorbimento intestinale dei singoli elementi.
In pratica, determina l’effetto chimico acido-base di quell’alimento sull’organismo.
Vi sono vari alimenti tra la frutta e la verdura che sono di uso frequente e che possiedono anche proprietà anticancro. I più studiati attualmente sono quelli della Famiglia Cruciferae e Brassicaceae (cavoli, broccoli, cavoletti di Bruxelles, crescione, rape e verza, etc.) attraverso alcune sostanze in essi contenute, i glucosinolati, ma in particolare il sulforafano che si forma durante la masticazione, sono in grado di sviluppare un’azione antitumorale diretta, ma anche anti-proliferativa e disintossicante. Altri alimenti che rivestono un ruolo protettivo contro i tumori e che contengono Zolfo organico, un elemento fondamentale per i meccanismi di difesa, sono aglio, cipolla, porro, scalogno ed erba cipollina.
Tutti questi ortaggi, per esplicare la propria azione, devono essere consumati crudi o poco cotti (saltati in padella per tempi molto brevi o al vapore).
Il pomodoro, grazie al suo elevato contenuto in licopene, è un alimento utile nella prevenzione di alcuni tumori; il licopene viene estratto con maggiore efficacia dal pomodoro quando questo è cotto in presenza di olio.
Alcuni studi hanno dimostrato che estratti di alghe rallentano la crescita delle cellule neoplastiche; i principi attivi in gioco in questo caso sono le fucoxantine e il fucoidano.
Le alghe sono ancora poco utilizzate nei Paesi occidentali nonostante siano ricche in minerali, aminoacidi essenziali e fibre.
La loro introduzione nella dieta è fortemente raccomandabile.
Anche la frutta svolge un ruolo importante; i frutti di bosco sono ricchi in pigmenti antiossidanti e sostanze antitumorali efficaci come l’acido ellagico, fenilico e clorogenico, mentre gli agrumi sono ricchi in polifenoli e flavonoidi e mostrano interessanti proprietà in campo oncologico (soprattutto nei tumori dell’Apparato Digerente).
Infine, è necessario menzionare i funghi che contengono polisaccaridi con proprietà anticancro [il lentinano, quello più studiato (sintetizzato da Lentinula edodes (Berk.) Pegler, 1976 – shiitake) sembra avere un’azione immunostimolante].
Quelli più noti sono il shiitake e l’enokitake, ma sono consigliati anche i comunissimi champignon.
2) CARBOIDRATI
La miglior fonte di carboidrati è rappresentata dai cereali integrali e decorticati.
Il cereale raffinato ed il perlato sono stati impoveriti di vitamine, oligoelementi, grassi essenziali e fibre.
L’assorbimento degli zuccheri contenuti nei cereali o farine trattate è molto (troppo) rapido e la glicemia, dopo una fetta di pane o un piatto di riso raffinati, aumenta rapidamente determinando un anomalo incremento dell’insulinemia.
– Il risultato è che il glucosio viene “spinto” troppo rapidamente dentro le cellule dove la sua abbondanza fa sì che una parte, anziché essere utilizzata a fini energetici, venga convertita in deposito adiposo.
Intanto scende la glicemia con conseguente incremento dell’appetito e senso di stanchezza e sonnolenza che compaiono regolarmente da una a due ore dopo il pasto.
Le farine raffinate (0 e 00), così come i cereali perlati, non differiscono molto dallo zucchero in quanto a Indice Glicemico, né come potere nutrizionale.
Contrariamente, tutti i cereali integrali/decorticati sono raccomandati e andrebbero alternati nel corso della settimana; il riso, nelle sue differenti varietà (integrale, rosso, venere, etc.) è tra i più indicati, ma sono consigliabili anche tutti gli altri cereali (segale, avena, farro, orzo, miglio, etc.) e gli pseudo cereali come grano saraceno, amaranto, quinoa; questi ultimi per di più possiedono una componente proteica sovrapponibile a quella dell’albume d’uovo, la più completa per l’uomo.
3) PROTEINE
Queste possono essere suddivise in base alla loro origine in proteine animali (carne, pesce, uova, latte e latticini) e vegetali (legumi come arachidi, ceci, fagioli, fave, lenticchie, lupini, piselli, soia, etc., oppure derivati dei legumi come latte di soia, tofu, tempeh, ma anche semi oleaginosi come anacardi, nocciole, noci, mandorle, pistacchi, sesamo, etc.)
I legumi sono validi sostituti della carne; la combinazione dei cereali integrali con i legumi consente di ottenere un alimento completo e bilanciato dal punto di vista amminoacidico. Inoltre sono ricchi in carboidrati a basso Indice Glicemico e poveri in grassi (quei pochi presenti sono peraltro essenziali per l’organismo).
Questa combinazione può essere considerata uno dei punti di correttezza nutrizionale delle diete tradizionali di tutto il mondo che prevedono: riso e soia in Asia, frumento e ceci in Africa, mais e fagioli in America Latina, etc.
La stessa dieta mediterranea ne era ricca (pasta e fagioli, riso e piselli, polenta e lenticchie) con ricadute positive sulle malattie cardiovascolari e degenerative tumorali.
Tra i legumi, merita una menzione la soia che contiene fitoestrogeni in grado di proteggere dalla maggior parte dei tumori ormono-dipendenti come il cancro della mammella e della prostata.
Il consumo di proteine animali, specie quelle derivate da carni e latticini, dovrebbero essere ridotte drasticamente.
Per coloro che mangiano carni rosse e lavorate è nota l’associazione con un maggior rischio di tumori del colon.
Viceversa, il pesce contiene gli acidi grassi omega-3 essenziali per l’uomo e ottimi per la prevenzione del cancro e della patologia cardio-vascolare (in Pelosi, 2010).
Il pesce azzurro, il salmone, e il tonno ne sono particolarmente ricchi ed il loro consumo andrebbe raccomandato 2-3 volte/settimana.
Le sostanze chimiche contenute negli additivi alimentari, oltre ad essere direttamente cancerogene, fungono da interferenti endocrini sulla sintesi, secrezione e trasporto degli ormoni predisponendo l’organismo ad ulteriori squilibri.
4) GRASSI
La maggior parte dei grassi animali andrebbero esclusi.
Andrebbero prediletti, tra i vegetali, l’olio di oliva extravergine spremuto a freddo.
Sono raccomandati anche gli oli di semi di sesamo, di girasole e di lino (quest’ultimo molto ricco in Omega-3), ma solo se spremuti a freddo.
Tra i grassi è utile ricordare il cioccolato fondente, che contiene polifenoli, sostanze con importanti proprietà antiossidanti.
Piccole quantità di cioccolato fondente potrebbero pertanto essere incluse in una dieta anticancro.
Da segnalare infine:
– le spezie, in particolare la curcuma (curcumina) e lo zenzero (gingerolo) che hanno importanti proprietà anti-infiammatorie, anticancro ed antimicrobiche.
La loro principale azione è quella di bloccare la cicloossigenasi 2, enzima implicato nel processo infiammatorio.
– i probiotici (Lactobacilli e Bifidobatteri, presenti in yogurt e lattte fermentato) sembrerebbero svolgere un’azione antiproliferativa; inoltre rinforzano il Sistema Immunitario e riducono l’assorbimento del colesterolo.
CONCLUSIONI
La prevenzione primaria/secondaria della patologia neoplastica dovrebbe associare abitudini alimentari, attività fisica e nuove modalità per la gestione del carico di stress.
Questo approccio alla patologia oncologica non esclude né è in conflitto con quello convenzionale rappresentato dalle cure chirurgiche, chemioterapiche ed immunologiche.
– Si tratta di riappropriarsi di uno stile di vita che consenta all’organismo di recuperare la propria omeostasi e in questo modo di fortificarsi e tornare ad essere nelle condizioni di guarire se stesso.
Tutto ciò richiede l’abbandono dei cibi “spazzatura”, la riduzione del consumo delle proteine animali, delle farine raffinate, il recupero di sane abitudini di vita che includano attività fisica moderata come camminare, andare in bicicletta o lavorare nell’orto, insieme ad un migliore gestione/riduzione del carico di stress.
– “Cose” semplici, di facile attuazione, note ormai a tutti i medici ma, spesso dimenticate, poco o non diffuse se non addirittura trascurate.
Cambiare il proprio stile di vita, recuperando in salute e benessere si può e si deve.
In definitiva per incominciare, basta volerlo.
Ettore Pelosi
Mar 31, 2015 | ALIMENTAZIONE E SALUTE
Attualmente il cancro rappresenta une delle cause principali di mortalità nel mondo occidentale, la seconda dopo le malattie cardio-vascolari, con interessamento di tutte le fasce di età, anche se maggiormente di quelle più avanzate.
La terapia ha compiuto importanti progressi; per il trattamento specifico di ogni neoplasia è disponibile un’ampia e costosa varietà di approcci terapeutici (chirurgia, radioterapia, chemioterapia, immunoterapia), spesso associati e sovente personalizzati per la cura delle diverse situazioni che si possono presentare al clinico. – In questo modo la scienza ha consentito di rallentare l’evoluzione di molti tipi di neoplasie e guarirne con successo una buona percentuale delle restanti.
Il trattamento convenzionale tende spesso a trascurare, se non a compromettere, il terreno sul quale si sviluppa il cancro, vale a dire l’organismo umano; quest’ultimo può essere “aiutato” attraverso approcci specifici che lo fortificano, potenziandolo, restituendogli la capacità e la forza per guarire se stesso.
– Percorrendo questa direzione molti studiosi, negli anni, hanno cercato di percorrere strade diverse rispetto a quelle tradizionali. Frequentemente la loro azione si è scontrata con un apparato potente che li ha delegittimati e costretti al silenzio.
L’accusa mossa a questi ricercatori è sempre stata la stessa: l’inefficacia terapeutica e la mancanza di studi pubblicati su riviste scientifiche accreditate (in genere, finanziate dalle multinazionali farmaceutiche).
Inutile negare che questi due approcci di trattamento sono talvolta in antitesi, poiché chirugia, radioterapia, chemioterapia ed immunoterapia sono frequentemente responsabili del deterioramento organico.
Questa antitesi genera lo “scontro” fomentando inutili polemiche e prese di posizione estreme da ambo le parti.
Se è dimostrato che alcuni tipi di trattamento siano irrinunciabili, il concetto che il cancro possa essere prevenuto/aggredito anche attraverso altre strade deve essere acquisito dai medici e diffuso nella popolazione.
Numerosi studi scientifici concordano sul fatto che l’esercizio fisico, di lieve – moderata intensità, associato ad un appropriato regime alimentare, abbia importanti effetti sulla prevenzione della patologia tumorale e che determini ricadute positive su chi ne è già affetto.
Un primo documento che analizzava e quantificava il rischio delle neoplasie evitabili riportava che se circa il 30% di tutti i cancri era riferibile al fumo, una percentuale superiore, circa il 35%, era riferibile all’alimentazione (Doll and Peto, 1981).
– Questo dato, rivisto da Willet (1995), ha portato ad affermare che il 32% (20-42%) di tutti i tipi di cancro dipende dall’alimentazione e che per i cancri più diffusi la dieta presenta un’influenza ancora superiore (prostata: 75%; colon-retto: 70%; mammella e pancreas: 50%).
Diversi studi epidemiologici sulla relazione tra cancro e nutrizione hanno fornito prove solide sul fatto che alcuni modelli dietetici, alcune caratteristiche antropometriche e l’attività fisica svolgono un ruolo importante nell’eziologia di alcuni dei tumori più frequenti. Ad esempio, uno studio condotto su circa 500 mila persone ha evidenziato come coloro che presentano un consumo più elevato di carne rossa e trasformata hanno un maggior rischio di mortalità totale rispetto alla fascia di persone con un consumo più basso (Sinha et Al., 2009).
Dati analoghi sono stati confermati e pubblicati da Campbell and Campbell (2011) nel libro The China Study che riassume il frutto di anni di ricerca.
– La relazione tra cancro e alimentazione è un campo di studio particolarmente complesso, in quanto il cancro è una patologia a genesi multifattoriale e le componenti della dieta che possono influire sul processo di carcinogenesi sono molteplici, differenti e possono agire con effetto sinergico.
I fattori dietetici si rischio sono distinguibili in a) positivi (che favoriscono il cancro); b) negativi (ad effetto protettivo).
a) Fattori di rischio positivi
– Peso corporeo: l’eccessiva ingestione di calorie insieme all’elevato consumo di grassi animali, si associa all’insorgenza di vari tipi di tumore.
– Sostanze chimiche aggiunte o modalità di trasformazione degli alimenti durante il processo di produzione e conservazione come additivi alimentari, affumicazione, salatura, marinatura e conservazione con nitrati (per esempio pesce sotto sale: neoplasie nasofaringea; sale: adenocarcinoma gastrico).
– Contaminati i cui residui rimangono negli alimenti, come i pesticidi di sintesi ed i vari inquinanti ambientali.
– Sostanze chimiche prodotte naturalmente come i pesticidi naturali (tossine prodotte dalle piante per proteggersi da funghi, insetti ed animali predatori) e le micotossine (prodotte dai funghi negli alimenti) o prodotte durante la preparazione degli alimenti come ammine eterocicliche aromatiche, idrocarburi policiclici aromatici (IPA) ed i composti N-nitrosi.
– Alimenti e nutrienti. Carne rossa e trasformata, latte e latticini, grassi animali.
– Alcol (cancro orale, faringe, laringe, esofago, fegato, colon-retto e mammella).
– Calcio, probabilmente associato al cancro alla prostata.
b) Fattori di rischio negativi
Vari studi dimostrano che vi è un’associazione diretta tra elevato consumo di cibi vegetali, in particolare verdura non amidacea e frutta, e riduzione del rischio di diversi tumori, soprattutto degli Apparati Digerente e Respiratorio (cancro della bocca, dell’esofago, dello stomaco, del pancreas, del colon-retto del naso-faringe, della laringe, del polmone, ma nache dell’ovaio e dell’endometrio).
Per quanto riguarda l’effetto protettivo della frutta e della verdura, così come di altri fattori alimentari, è da sottolineare che questo non può essere riferito ad uno o più singoli composti in essi contenuti.
Studi importanti che prevedevano la supplementazione del carotene nei forti fumatori sono stati interrotti per il riscontro di un effetto favorente il tumore stesso (effetto opposto rispetto a quello osservato per il consumo di elevate quantità di verdura contenenti carotene). Inoltre, il mantenersi magri conferisce protezione nei confronti dei tumori.
Occorre comprendere come sia possibile ottemperare alle giuste richieste dell’organismo attraverso la dieta, o meglio un sano stile di vita.
– Innanzitutto una dieta non è tale se non parla di attività fisica, di gestione dello stress, di riposo notturno, di benessere e di equilibrio corpo-mente.
Una dieta non si limita ad indicare cosa e quanto mangiare e non limita ciò che si può mangiare, soprattutto come varietà alimentari.
Inoltre, non è vera “dieta” se propone una soluzione ai problemi attraverso un percorso limitato nel tempo.
Una dieta deve insegnare, spiegare, costruire un nuovo stile di vita per sempre.
Il valore aggiunto di una dieta è quello di aumentare le scelte e le possibilità, non di limitarle; insegnare ad apprezzare nuovi alimenti, nuovi piatti, etc.
– Prevenire e curare attraverso lo stile di vita significa ripristinare l’equilibrio biologico e l’omeostasi organica.
Uno stile di vita più equilibrato deve innanzitutto contrastare l’acidosi metabolica latente, ripristinando l’equilibrio acido-base.
Si tratta di una condizione fondamentale.
Infatti, la lieve acidosi che si instaura progressivamente nella maggior parte della popolazione a causa della cattiva alimentazione, dell’inattività fisica, dello stress, etc. rappresenta il terreno ideale per l’insorgenza del processo infiammatorio cronico di basso grado che è alla base di tutte le malattie degenerative (in Pelosi, 2013).
Occorre ridurre lo stress ossidativo per limitare i danni che le cellule ed i tessuti subiscono ad opera dei radicali liberi ed apportare la giusta quantità di tutti i micronutrienti (vitamine, oligoelementi) che, nella moderna alimentazione, sono progressivamente andati riducendosi se non perdendosi.
BENEFICI DELL’ESERCIZIO FISICO
Un’attività fisica moderata e costante rappresenta un’importante fattore di protezione nei confronti della patologia neoplastica.
I benefici legati ad essa includono il miglioramento della funzionalità cardiovascolare, polmonare e neuro-muscolare.
Aumentano la frazione d’eiezione e la gittata cardiaca, il tono, la forza e la vascolarizzazione muscolare ed il consumo di ossigeno; migliorano la coordinazione motoria, l’equilibrio, la circolazione linfatica e l’umore.
Il Sistema Immunitario è più efficiente.
L’esercizio fisico porta al miglioramento della condizione fisica attraverso adattamenti del Sistema Cardiovascolare (aumento del trasporto di O2), di quello Respiratorio (aumento dell’apporto di O2), dell’Apparato Locomotore (miglior utilizzo di O2) e del sistema PNEI, contrastando l’astenia, l’inappetenza e la Sindrome depressiva che si accompagnano al tumore.
EFFETTI SUL SISTEMA CARDIOVASCOLARE
L’inattività fisica dei malati neoplastici comporta progressiva atrofia della muscolatura scheletrica e cambiamenti nelle proprietà muscolari che contribuiscono alla riduzione dell’efficienza cardiovascolare.
Tutto ciò, combinato con l’incremento dei livelli di colesterolo totale e con la diminuzione dei livelli di HDL, anch’essi legati all’inattività fisica, contribuisce alla crescita del profilo di rischio cardiovascolare.
– Un’attività fisica aerobica e costante consente di interrompere ed invertire questo ciclo.
L’esercizio è -infatti- in grado di promuovere il miglioramento cardiovascolare, permettendo al cuore di fornire più sangue, quindi più ossigeno, agli organi e ridurre i livelli di astenia sperimentata dal paziente.
Attraverso l’esercizio, il cuore aumenta il volume di sangue pompato al minuto con conseguente aumento di ossigeno e nutrienti ai tessuti periferici, nonché maggiore capacità di eliminare anidride carbonica ed i prodotti di scarto del metabolismo.
EFFETTI SUL SISTEMA RESPIRATORIO
I benefici dell’esercizio fisico sull’Apparato Respiratorio nel paziente in trattamento per cancro sono associati ad un aumento dei volumi polmonari, ridotto lavoro respiratorio e maggiore possibilità di scambio di ossigeno/anidride carbonica.
L’adattamento più utile indotto dall’esercizio è probabilmente l’aumento della forza dei muscoli respiratori; quando i muscoli respiratori sono allenati attraverso l’esercizio, il paziente percepisce la respirazione come meno faticosa.
Inoltre, scambi respiratori più efficienti possono distribuire più efficacemente ossigeno ai tessuti e organi, migliorando la performance di questi soggetti compromessa dal fatto che gli alveoli dei pazienti in trattamento per cancro sono ridotti in numero ed alterati da un restringimento dei setti inter-alveolari.
EFFETTI SUL SISTEMA NEURO-IMMUNO-ENDOCRINO
L’esercizio fisico influenza positivamente il Sistema Immunitario, migliorando le difese contro le infezioni virali ed attivandole contro gli antigeni neoplastici.
Inoltre, l’esercizio provoca il rilascio di citochine coinvolte nella resistenza ai tumori ed influenza l’attività delle cellule citotossiche.
La miglior resistenza allo stress che si sviluppa con l’esercizio influisce sulla crescita dei tumori; gli ormoni dello stress rilasciati durante l’esercizio, i corticosteroidi e le catecolamine, sono infatti in grado di modulare e di migliorare la capacità delle cellule immunitarie di aggredire quelle tumorali.
– Il Sistema Endocrino è tra i sistemi che risentono maggiormente delle conseguenze del trattamento anti-cancro.
La sua compromissione può portare il paziente a scadimento fisico e ad ulteriori complicanze.
Per esempio, la diminuzione della produzione della tiroxina (T4) e della triiodotironina (T3) ha effetti sul consumo di ossigeno nel Sistema Nervoso Centrale e Periferico, nel muscolo scheletrico e in quello cardiaco, nel metabolismo dei carboidrati e del colesterolo, nella crescita e nello sviluppo.
– L’esercizio fisico può stimolare il rilascio di ormoni inibiti dalla malattia, così come può contribuire ad aumentare l’efficienza delle vie metaboliche che sono state compromesse, contribuendo a ricreare l’omeostasi iniziale e a recuperare un maggior senso di benessere generale.
EFFETTI SUL SISTEMA NEUROMUSCOLARE
Gli effetti collaterali del trattamento del cancro sull’Apparato Locomotore possono essere contrastati efficacemente attraverso l’esercizio fisico.
La perdita di massa magra osservata durante il trattamento, responsabile della perdita di forza, viene contrastata o annullata dall’attività fisica costante.
– Il paziente sperimenta un notevole guadagno di energia per lo svolgimento delle usuali attività quotidine e questo si accompagna ad aumento delle motivazioni, con miglioramento complessivo della qualità della vita.
La diminuzione della capacità funzionale, sperimentata in 1/3 o più dei pazienti oncologici indipendentemente dallo stadio della malattia in cui si trovano, è attribuibile a condizioni ipocinetiche conseguenza dell’inattività fisica prolungata.
L’esercizio fisico rappresenta una valida soluzione riabilitativa per la perdita di energia e per l’astenia dei pazienti affetti da cancro. La maggior parte di questi soggetti, durante e dopo il trattamento, non sono attivi come in passato.
La riduzione dell’attività fisica provoca atrofia muscolare, cambiamenti delle proprietà muscolari e riduzione della densità ossea.
L’atrofia muscolare e la ridotta densità ossea portano necessariamente alla riduzione del livello della forza e contribuiscono all’aumento del rischio di fratture ossee e di lesioni muscolari.
CONSIDERAZIONI NELLA PRESCRIZIONE DELL’ATTIVITA’ FISICA
Il livello iniziale di forma fisica è un fattore importante nella prescrizione dell’esercizio. Una persona con un basso livello di condizione fisica può tollerare piccole variazioni di frequenza indotte dall’allenamento, mentre chi ha un alto livello di forma necessità di uno stimolo maggiore.
– L’aumento del VO2max tende a stabilizzarsi quando la frequenza di allenamento è superiore a tre giorni alla settimana (allenarsi meno di 2 giorni alla settimana non causa alcun cambiamento significativo nel VO2max).
Inoltre, dopo due settimane senza allenamento il livello di adattamento cardiovascolare torna ai livelli precedenti.
Secondo quanto indicato da diversi autori, la formula migliore per il miglioramento è rapppresentata dagli esercizi prolungati nel tempo e di bassa intensità (più efficaci, a parità di consumo energetico, di quelli ad alta intensità e breve durata; l’alta intensità di esercizio è associata all’aumento del rischio cardiovascolare, lesioni ortopediche e minore compliance rispetto all’allenamento con esercizi di più bassa intensità).
L’ACSM (American College of Sports Medicine) ha proposto le seguenti raccomandazioni per ottenere i massimi benefici senza il rischio di sovraccarico:
1 – Frequenza di allenamento 3-5 giorni/settimana
2 – Intensità di allenamento: 60-90% della FC massima, 50-85% del VO2max o della riserva della FC massima.
3 – Durata di allenamento: 20′-60′ di attività aerobica continua.
4 – Modalità di attività: ogni tipo di attività che utilizzi gruppi muscolari, che possa essere mantenuta costante e sia di natura ritmica e aerobica.
5 – Allenamento muscolare: l’allenamento di forza di intensità moderata, sufficiente per sviluppare e mantenere la massa magra, deve essere parte integrante di un programma di fitness per adulti. E’ consigliata come massimo una serie di 8-12 ripetizioni di ciascun esercizio per un totale di 8-10 esercizi per i principali gruppi muscolari, almeno due volte/settimana.
RICADUTE POSITIVE DELL’ATTIVITA’ FISICA ABITUALE SULLA SALUTE
– Miglioramento della tolleranza glicidica.
– Aumento della spesa energetica per aumento della massa magra; riduzione del sovrappeso/obesità.
– Aumento del VO2max e diminuzione della frequenza cardiaca per un dato consumo di O2; maggiore efficienza del muscolo cardiaco, miglioramento della vascolarizzazione miocardica e riduzione della mortalità cardiaca.
– Aumento della forza muscolare; miglioramento della capillarizzazione del muscolo scheletrico ed aumento dell’attività enzimatica aerobica; miglioramento della capacità di utilizzo di acidi grassi liberi durante l’esercizio fisico; risparmio di glicogeno; riduzione della produzione di lattato.
– Aumento della liberazione di endorfine, miglioramento dell’umore.
– Migliore tolleranza al calore, aumento della sudorazione.
– Miglioramento della struttura e della funzione dei legamenti e delle articolazioni.
Occorre evitare l’affatticamento eccessivo.
– L’astenia è un sintomo comune in questi pazienti e quando insorge si può accompagnare a depressione, dolore cronico, anemia, disturbi del sonno, perdita di massa muscolare, infezioni e perdita di appetito.
segue seconda parte
Mar 23, 2015 | ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
La rivista Journal of Medicinal Food pubblica una sintesi di tutte le ultime ricerche sull’interazione tra batteri intestinali e sistema nervoso centrale; appurata ormai l’esistenza di un asse intestino-cervello e di vari meccanismi di interazione, gli scienziati sono già proiettati verso il prossimo traguardo: curare una serie di malattie con diete ‘modifica-microbioma’ e supplementazione di prebiotici e probiotici.
Il modo di dire denigrativo ‘ragionare con la pancia’, potrebbe assumere tutt’altro significato alla luce dei contenuti di una review appena pubblicata.
Leo Galland e colleghi della Foundation for Integrated Medicine di New York, autori del lavoro pubblicato su Journal of Medicinal Food, dopo aver valutato tutte le ultime pubblicazioni in materia, presentano la summa di tutte le ultime ricerche sulla relazione tra composizione della flora batterica intestinale e sistema nervoso centrale nell’uomo.
Il microbioma di un uomo adulto contiene normalmente 5 diversi gruppi di batteri: quelli maggiormente rappresentati sono Firmicutes e Bacteroidetes, mentre Actinobacteria, Proteobacteria e Verrucomicrobia costituiscono appena il 2% del totale. Una dieta ricca di proteine animali, favorisce la crescita dei Bacteroides; in chi segue una dieta vegetariana o una ricca di monosaccaridi sono invece abbondantemente rappresentati i Prevotella. Un elevato consumo di oligosaccaridi infine, favorisce la crescita dei Bifidobacteria, il ceppo più rappresentato nell’intestino dei neonati allattati al seno.
Impressionante il numero dei batteri che populano il nostro intestino. Sono centinaia di migliardi e contengono circa 4 milioni di geni batterici diversi (per avere un termine di paragone il pool dell’uomo è rappresentato da appena 26.000 unità funzionanti). La maggior parte di questi geni batterici codifica enzimi e proteine strutturali, in grado di influenzare il funzionamento del sistema immunitario, di modificare l’epigenoma dei mammiferi e di intervenire sulla regolazione del metabolismo.
Il microbioma intestinale può influenzare la salute del cervello in diversi modi. Alcune componenti della struttura dei batteri ad esempio, quali i lipopolisaccaridi, esercitano continuamente una blanda stimolazione sul sistema immunitario; quando questa stimolazione ‘fisiologica’ diventa eccessiva, come accade in caso di dismicrobismo intestinale, si può verificare una crescita incontrollata di batteri nell’intestino tenue o un’aumentata permeabilità intestinale che a loro volta determinano un’infiammazione sistemica o a livello del sistema nervoso centrale.
Alcune proteine batteriche possono dare reazioni crociate con alcuni antigeni umani e questo evoca delle risposte ‘sbagliate’ da parte dell’immunità adattiva, che possono condurre a malattie autoimmuni.
Ci sono enzimi batterici in grado di determinare la produzione di metaboliti neurotossici, quali ammoniaca e acido D-lattico; ma anche alcuni metaboliti ‘benefici’, quali acidi grassi a catena corta (SCFA), possono esercitare un’azione neurotossica. Se è vero infatti che gli SCFA possono inibire l’infiammazione, dall’altra, alcuni studi ne suggeriscono un possibile ruolo nella patogenesi dei disordini dello spettro autistico (ASD).
Sul versante ormoni e neurotrasmettitori, è noto che alcuni batteri intestinali sono in grado di produrne ‘copie’ identiche a quelle secrete dalle cellule specializzate dell’organismo; i batteri inoltre possiedono dei recettori specifici per questi ormoni che, se stimolati, possono influenzare la crescita e la virulenza dei batteri stessi.
I batteri intestinali infine sono in grado di stimolare direttamente i neuroni afferenti del sistema nervoso enterico e inviare così segnali al cervello, attraverso il nervo vago.
Attraverso tutte queste vie i batteri intestinali riescono dunque ad interagire con il funzionamento del sistema nervoso centrale, fino a modificare l’architettura del sonno e ad influenzare la reattività allo stress dell’asse ipotalamo-ipofisi-surreni.
I batteri intestinali – ricordano gli autori – possono influenzare la memoria, ma anche il nostro umore e addirittura le funzioni cognitive.
Il microbioma è insomma ormai un argomento ‘caldo’ in molte branche della medicina, dalle malattie autoimmuni a quelle infiammatorie intestinali alle patologie cardiovascolari. Dopo anni di ricerche mirate a distinguere i batteri intestinali ‘buoni’ da quelli ‘cattivi’, la nuova frontiera della ricerca in questo campo è cercare di alterare la composizione del microbioma, per correggere o trattare alcune condizioni patologiche.
Ci si sta provando attraverso modifiche della composizione della dieta, che dovrebbero alterare la composizione del microbioma, o mediante la somministrazione di prebiotici o di probiotici per le condizioni più disparate: dall’alcolismo, alla sindrome da stanchezza cronica, alla fibromialgia, alla restless leg syndrome.
E non mancano filoni di ricerca che indagano i rapporti tra microbioma intestinale e sclerosi multipla o manifestazioni neurologiche della celiachia. Recenti studi indicano ad esempio che una riduzione di Bifidobatteri a livello di microbioma intestinale sembra giocare un ruolo patogenetico nella celiachia e forse contribuisce alla sua aumentata prevalenza. La somministrazione di Bifidobacterium longum migliora l’enteropatia da glutine in un modello animale; per questo, la supplementazione di Bidifobacteria è stata proposta come possibile intervento di prevenzione della celiachia, nei soggetti ad alto rischio.
Il microbioma è insomma una specie di ‘alien’ che si sta appena cominciando a conoscere e che in futuro si cercherà di ‘domare’, allo scopo di correggere una serie di alterazioni e di curare varie patologie.
Maria Rita Montebelli – quotidiano sanità
Mar 19, 2015 | AGOPUNTURA, ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
Tanto per iniziare e comprendere al meglio il suo importante ruole, cominciamo nello spiegare cos’è la tiroide. LA TIROIDE è ghiandola endocrina posizionata a livello del collo. Essa ha il compito di regolare il metabolismo. Inoltre, determina il flusso sanguigno diretto verso i vari organi del nostro corpo. Infatti le cellule, grazie al sangue, ricevono ossigeno e nutrienti di cui hanno bisogno. Numerose, quanto preziose sono le funzioni che la tiroide può svolgere grazie alla produzione di ormoni specifici, cioè la tiroxina o T4 e la triodotironina o T3. Questi ormoni contenenti iodio, che, attraverso il sangue, raggiungo tutti gli organi del corpo, T3 e il T4, danno alcuni impulsi fondamentali all’ organismo: gli comunicano quanto velocemente lavorare, come utilizzare l’energia e come impiegare altre funzioni. Tra i disturbi che alterano la morfologia, cioè la forma, della ghiandola, ci sono i noduli, formazioni che possono misurare pochi millimetri o arrivare a essere grandi alcuni centimetri, e i tumori, che non sono altro che i noduli di natura maligna.
Ma quanti di voi sapevano che la tiroide viene influenzata negativamente del GLUTINE?! Esattamente…Le due, sarebbero completamente incompatibili e, qual’ora ci fosse un’ eccessiva assunzione di Glutine, si causerebbe gravi danni alla tiroide. Ma ovviamente pochi ne parlano e pochi diffondono la notizia! Il glutine causa lo stress metabolico della tiroide… E’ stato documentato da alcuni ricercatori, che a livello biologico c’è un aumento della capacità di buffer c-AMP dei tessuti della tiroide dopo 7 mesi di adozione di un regime privo glutine. Quindi in parole semplici, il consumo di glutine determinerebbe un’interferenza cronica a livello cellulare che pone sotto STRESS la nostra tiroide provocandone un mal funzionamento. Questa reattività a distanza con antigeni generati dall’ intolleranza al glutine viene alimentata senza dubbio, dalla aumentata permeabilità della mucosa intestinale che caratterizza l’assunzione di glutine. Normalizzazione della tiroide si può, ma per far si che tale processo sia attuato c’è bsognio di una dieta senza glutine Sategna-Guidetti [2001] valuta gli effetti dell’adozione di un regime senza glutine in pazienti celiaci precedentemente a dieta libera (con glutine), che dalle analisi risultano affetti da ipotiroidismo (31 casi) otiroidite autoimmune (29 casi). Nella maggior parte dei pazienti dopo un anno senza glutine si registra una normalizzazione delle condizioni della tiroide, specialmente in coloro che erano stati più scrupolosi nell’applicazione del regime senza glutine. Per quanto concerne la tiroide, possiamo distinguere 2 casi:
1- Ipertiroidismo: si manifesta quando nel sangue circola una quantità eccessiva di ormoni tiroidei. Tra le cause principali dell’ipertiroidismo troviamo il gozzo, l’adenoma tossico e il morbo di Basedow-Graves, ma anche alcune forme più comuni, come la tiroidite post partum. L’ ipertiroidismo comporta inoltre, una perdita di peso, l’ affaticamento, iperattività, irritabilità, apatia, depressione, pelle ingiallita e indebolimento. In alcuni casi possono manifestarsi anche nausea, vomito e dissenteria. In caso di ipertiroidismo si può intervenire attraverso la somministrazione di farmaci, con la chirurgia o con terapie a base di iodio.
2- Ipotiroidismo: In questo caso abbiamo una tiroide “stanca” e un metabolismo rallentato nelle sue funzioni. A causa della scarsa presenza di iodio, il volume della tiroide aumenta e si forma il gozzo. Tra i sintomi dell’ipotiroidismo troviamo: difficoltà a dimagrire e con una spiccata tendenza ad ingrassare, capelli secchi e che tendono a cadere, unghie fragili, pelle secca e ruvida, pallore, stanchezza mattutina, depressione problemi di memoria. Se i sintomi presenti sono numerosi, è bene sottoporsi ad un esame specifico per la tiroide, in modo da valutare la situazione e prendere provvedimenti. LA TIROIDE è un ghiandola poco conosciuta ma è di fondamentale importanza per il nostro organismo. A l fine di farla funzionare al meglio per la nostra salute, occorre far attenzione a cosa si mangia. Se il problema in questione è legato all’ipotiroidismo, potrebbe essere necessario risvegliare la tiroide. Per farlo vi sono dei rimedi naturali che non comportano alcun dispendio…Aggiungendo anche importanti i alimenti i quali vi aiuteranno a mantenere in buono stato la vostra tiroide.
I CIBI Cibi da evitare
La dieta da seguire in caso di problemi alla tiroide, con particolare riferimento all’ipotiroidismo può essere differente a seconda delle persone. Generalmente tra i cibi da evitare ci sono i latticini, che possono rallentare il metabolismo e potrebbero essere stati ottenuti da latte di animali nutriti con soia, il cui consumo potrebbe essere sconsigliato in caso di ipotiroidismo.
I Cibi da preferire
Tra i cibi da preferire per garantire un buon funzionamento della tiroide troviamo i broccoli, spinaci e rape. Molto importante nella dieta ipotiroidea è l’ elevato consumo di frutta e verdura, la quale dovrebbe sempre essere alla base di un’alimentazione sana. Tra i cibi che stimolano il funzionamento della tiroide possiamo trovare anche la noce di cocco. Da questo punto di vista nella nostra dieta non dovrebbero mai mancare pesce, cereali integrali e carne di tacchino. In questo modo possiamo provvedere a far funzionare bene la tiroide. Scegliere gli alimenti ricchi di odio è un’azione fondamentale a vantaggio della nostra salute. Ad esempio possiamo frullare dei frutti con la buccia rossa, che abbondano proprio di iodio. Sottovalutare questo problema può portare seri danni al nostro organismo, alcuni dei quali persino irreparabili. Fare dei controlli e stare attenti al suo funzionamento è un grande passo verso il benessere del proprio corpo!
DA Jeda News l’informazione consapevole
Mar 17, 2015 | ALIMENTAZIONE E SALUTE, PILLOLE DI RIFLESSIONE
Nuovo studio avverte: la Neuropsichiatria non faccia confusione!
Recentemente un team di ricerca internazionale composto da studiosi della Facoltà di Medicina dell’Università di Baltimora guidati dal dr. Alessio Fasano e della Seconda Università degli Studi di Napoli, coordinati dalla dr. Anna Sapone, ha individuato una nuova malattia, denominata Sensibilità al Glutine, ovvero una ipersensibilità a questa proteina ma con marcate differenze biologiche rispetto alla celiachia. Un nuovo studio, pubblicato il 30 Agosto su PubMed, ha ora dimostrato che questa Sensibilità al Glutine si manifesta, associata a disturbi neurologici e/o psichiatrici nella sua fase iniziale, come atassia, neuropatia, emicrania, schizofrenia, depressione, deficit dell’attenzione e autismo.La celiachia è un disordine autoimmune completamente dipendente dall’ingestione del glutine, una proteina presente in grano, segale od orzo. La sensibilità al glutine è considerata lo stadio iniziale della celiachia ma può esistere anche come malattia indipendente (Sapone et al. 2011). Fino a oggi i medici si erano limitati a collegare a queste malattie solo un piccolo sottogruppo di sintomi intestinali tra cui malassorbimento, diarrea, perdita di peso e ritardo nella crescita, considerandoli sintomi classici della celiachia come il danno dei villi dell’intestino tenue.
La sensibilità al glutine invece si manifesta raramente in questo modo (solo 1/3 dei pazienti per esempio soffre di diarrea), presentandosi invece con sintomi neuropsichiatrici, cosa che purtroppo rende la diagnosi molto difficile e pone i pazienti a rischio di ulteriori malattie autoimmuni nonché a pericolose complicazioni.
Si sa oggi con certezza che la sensibilità al glutine non porta cambiamenti istologici, cosa che rende inaffidabile l’endoscopia, finora ritenuta l’esame cardine per una corretta diagnosi, mentre si riportano invece disfunzioni neurologiche relative. Conseguentemente a queste nuove conoscenze, molti medici stanno iniziando a fare meno affidamento sulle biopsie e a basarsi di più su esami del sangue e a provare direttamente una dieta ristretta senza glutine. Conoscere la complessità dei problemi delle persone sensibili al glutine può aiutare il medico all’atto della formulazione della diagnosi a prendere in considerazione, oltre ai vecchi schemi, anche l’ipotesi di tante diverse possibili malattie causate dalla ingestione del glutine, che si possono manifestare in vari modi e che richiedono tutte lo stesso trattamento, ovvero una dieta priva di glutine.
A proposito dell’autismo nello studio si riferisce:“Nei disordini dello spettro autistico (ASD), una dieta priva di glutine continua ad essere centro di prove discordanti: un piccolo studio (Pavalone et al. 1997) non ha trovato alcuna relazione tra ASD e celiachia in contrasto però con uno studio più ampio, eseguito nel 2008, che ha riportato una diffusione del 3,3% della celiachia nei disordini pervasivi dello sviluppo. Mentre aumentano le prove di una connessione tra ASD e diffusione della celiachia, non è ancora chiaro se una dieta priva di glutine potrebbe alleviare i sintomi (Hill et al. 2004) anche se Genuis e Bouchard (2010) riportano che una dieta priva di glutine favorirebbe la regressione dei sintomi autistici. Inoltre, la recente scoperta di una componente immunologica nell’autismo, permette una nuova comprensione dei problemi associati: alcuni report indicano una reazione immunitaria nell’intestino di un sottogruppo di pazienti con autismo. Questi pazienti hanno mostrato una maggiore infiltrazione linfocitaria dei villi con danno lieve/moderato (Ashwood et al. 2003, Ashwood et al. 2004). Vojdani e colleghi, hanno trovato un aumento degli anticorpi anti-gliadina così come reazioni autoanticorpali in peptidi cerebrali relativi al glutine usando i sieri da paziente ASD (Vojdani et al. 2004a, Vojdani et al. 2004b). Questo suggerisce un’associazione immunitaria mediata tra l’ingestione del glutine e i sintomi dell’autismo”.In conclusione, possiamo dire che celiachia e sensibilità al glutine non dovrebbero essere più considerate malattie dell’intestino bensì un disordine neurologico. E’ vero infatti che possono originarsi nell’intestino, ma i danni non si limitano certamente a quest’area del nostro corpo e si manifestano con disturbi per i quali i pazienti vengono erroneamente presi in carica dal neuropsichiatra. E’ necessario quindi che questi medici abbiano almeno una conoscenza di base sia della celiachia che della sensibilità al glutine per individuarla e diagnosticarne la presenza. E’ importantissimo che imparino a riconoscerne meglio i primi sintomi, valutando come tali non solo i sintomi intestinali (a volte addirittura assenti), ma anche quelli neuropsichiatrici che finora li hanno purtroppo deviati verso altre diagnosi.Abstract
Manifestazioni neurologiche e psichiatriche di celiachia e sensibilità al glutine
Jackson JR, Eaton WW, Cascella NG, Fasano A, Kelly DL.
Psychiatr Q. 2011 Aug 30.
La celiachia (MC) è una malattia immunomediata dipendente dal glutine (una proteina presente in frumento, segale od orzo) che si manifesta nel 1% della popolazione ed è generalmente caratterizzata da problemi gastrointestinali. Più recentemente la comprensione e la conoscenza della sensibilità al glutine (GS) l’ha fatta emergere come malattia distinta dalla celiachia con una diffusione stimata pari a 6 volte quella della MC. Le persone che soffrono di sensibilità al glutine non hanno atrofia dei villi o anticorpi come nella celiachia, ma risultano invece positivi agli anticorpi della gliadina. Entrambe le malattie possono presentarsi con una varietà di co-morbidità neurologiche e psichiatriche, ma i sintomi extraintestinali possono essere il primo segnale negli affetti da sensibilità al glutine. In ogni caso, questa resta poco curata e poco riconosciuta quale fattore che contribuisce alle manifestazioni psichiatriche e neurologiche. Questa revisione si focalizza sulle manifestazioni neurologiche e psichiatriche implicate nella sensibilità al glutine, sottolineando la distinzione della sensibilità al glutine dalla celiachia e riassume i meccanismi potenziali collegati a questa reazione immunitaria.
FONTE: http://www.emergenzautismo.org/content/view/959/48/