OMEOPATIA E IPERTENSIONE ARTERIOSA

OMEOPATIA E IPERTENSIONE ARTERIOSA

Ipertensione arteriosa: Cause e trattamento omeopatico

L’ipertensione arteriosa, comunemente nota come pressione alta, è una delle condizioni croniche più diffuse nei paesi industrializzati. Si parla di ipertensione quando i valori pressori superano i limiti considerati normali, ovvero 140/90 mmHg. In presenza di questi livelli elevati, è essenziale intervenire tempestivamente con un trattamento adeguato, per evitare conseguenze gravi come malattie cardiovascolari, ictus, insufficienza renale e altre patologie potenzialmente fatali.

Le cause dell’ipertensione

L’ipertensione si distingue in due forme principali:
• Ipertensione primaria (o essenziale): rappresenta circa il 95% dei casi e non ha una causa identificabile precisa. Generalmente è il risultato di un insieme di fattori genetici e ambientali. Tra i principali fattori di rischio si annoverano l’età avanzata, l’abuso di alcol o fumo, l’obesità, livelli elevati di colesterolo, un eccessivo consumo di sale e uno stile di vita sedentario.
• Ipertensione secondaria: meno comune, è causata da condizioni mediche preesistenti. Tra queste rientrano patologie renali (come l’insufficienza renale), disturbi ormonali (ad esempio la sindrome di Cushing), anomalie delle ghiandole surrenali e l’uso di alcuni farmaci, tra cui contraccettivi orali.

Meccanismo fisiopatologico

Il meccanismo principale alla base dell’ipertensione è il restringimento delle arteriole, le piccole ramificazioni delle arterie. Questo restringimento provoca un aumento della resistenza al flusso sanguigno, costringendo il cuore a lavorare più intensamente per pompare il sangue. La pressione arteriosa è influenzata da molteplici fattori, tra cui la frequenza cardiaca, lo stato delle arterie, la quantità di sodio nell’organismo, la funzionalità renale, l’equilibrio ormonale e il volume di liquidi corporei.

Sintomi e segni clinici

Una delle insidie dell’ipertensione è la sua natura spesso asintomatica, motivo per cui viene definita anche “killer silenzioso”. Nonostante ciò, in alcuni casi si possono manifestare sintomi come mal di testa, stanchezza, acufeni (ronzii alle orecchie), visione offuscata, aritmie, dolore al petto e presenza di sangue nelle urine. Nei casi più avanzati, la pressione alta può evolvere verso una condizione di insufficienza cardiaca.

L’approccio omeopatico all’ipertensione

L’omeopatia propone un approccio globale, mirato a trattare le cause profonde dello squilibrio piuttosto che limitarsi al controllo dei sintomi. In questa visione, l’ipertensione è considerata il segnale di un’alterazione dell’equilibrio psicofisico dell’individuo. Il trattamento omeopatico mira a riportare la pressione arteriosa a livelli normali, favorendo allo stesso tempo la prevenzione delle complicanze cardiovascolari.

Nel caso in cui l’ipertensione sia correlata a sovrappeso o obesità, l’intervento omeopatico può essere affiancato da programmi personalizzati per la perdita di peso, poiché il controllo del peso corporeo è un elemento fondamentale nella gestione della pressione alta. La scelta dei rimedi omeopatici per l’ipertensione deve essere sempre personalizzata, tenendo conto non solo dei sintomi fisici, ma anche dell’aspetto emotivo e psicologico del paziente. Un medico omeopatico qualificato valuta l’intero quadro clinico per individuare il trattamento più adatto.

Dott. Mauro Piccini

ANTIBIOTICO RESISTENZA: E SE LA CAUSA FOSSE EPIGENETICA?

ANTIBIOTICO RESISTENZA: E SE LA CAUSA FOSSE EPIGENETICA?

Ormai la parola “microbioma” è sulla bocca di tutti.  Esso rappresenta l’insieme dei microrganismi creato sia dal patrimonio genetico sia dai fattori ambientali.

Un team di ricercatori dell’Università della British Columbia ha fatto una scoperta che lega il microbioma intestinale con l’antibiotico resistenza, mostrandoci la rilevanza dell’epigenetica –ovvero dei fattori ambientali.
In particolare, i ricercatori della British Columbia, il cui studio è stato pubblicato da Nature Microbiology,  hanno rilevato una connessione importante tra la carenza di alcuni micronutrienti nei primi anni di vita e la composizione del microbioma intestinale.
Questa associazione potrebbero aiutare a spiegare perché la resistenza agli antibiotici è in aumento in tutto il mondo.

Vitamine e minerali influenzano i batteri!

Il gruppo di ricercatori ha osservato, nel modello animale, come la carenza di micronutrienti essenziali quali la vitamina A, la vitamina B12, l’acido folico, il ferro e lo zinco influenzino la comunità di batteri, virus, funghi e altri microbi che vivono nel sistema digestivo, il cosiddetto microbioma.

In particolare, queste carenze fanno prosperare batteri e funghi noti per essere patogeni opportunisti. L’autrice Paula Littlejohn osserva che

Fino a oggi la carenza di micronutrienti è stata un fattore sottovalutato nel dibattito scientifico sulla resistenza globale agli antibiotici- Il nostro studio ha messo in luce come le carenze nutrizionali possano rendere l’ambiente intestinale più favorevole allo sviluppo della resistenza agli antibiotici, che è una delle principali preoccupazioni per la salute globale

L’epigenetica  – ovvero l’ambiente – come potenziale causa di antibiotico resistenza e di patologia

Molto spesso, le patologie arrivano da un disordine in ambito intestinale. O, ancora peggio, da disbiosi, ergo l’alterazione della flora batterica fisiologica.

L’intestino è una importante fonte di esposizione tossica per molti individui: nessun supporto epatico può essere di aiuto se il sistema è costantemente schiacciato da materiale tossico proveniente dall’ambiente o dal sistema digestivo.

Una cattiva alimentazione ad alto contenuto di zuccheri/grassi/conservanti/additivi e/o un malfunzionamento del sistema digestivo possono determinare disbiosi intestinale, permeabilità intestinale e conseguente ingresso di una varietà di tossine nel flusso sanguigno e nel sistema linfatico.

Ma anche fattori esterni come sostanze chimiche, inquinanti, squilibri ormonali, inalanti biologici, campi elettromagnetici, rappresentano la variabile epigenetica che scompensa l’organismo.

Conoscere, prevenire, riequilibrare

La tecnologia, oggi, ci offre la possibilità di conoscere tutti i fattori che stanno squilibrando l’organismo perché carenti o scompensati: vitamine, aminoacidi, antiossidanti, minerali, sostanze chimiche, CEM, virus, batteri, muffe, spore, assetto ormonale nonché tutti i sistemi del corpo, sintesi proteica e metabolismo degli zuccheri.

Dal bulbo di 3 o 4 capelli o peli (il bio marcatore più potente che abbiamo), la scienza può oggi darci uno screening completo dell’organismo il soli 15 minuti, grazie alla biofisica e all’AI, restituendoci un report di 36 pagine che nelle mani del medico fa la differenza.

Il test si chiama SDrive ed è un supporto eccellente alla anamnesi: esso individua inoltre gli alimenti ottimali e quelli che invece disturbano energeticamente il sistema corpo, in un lasso di tempo di 90 giorni. Questo è infatti il periodo necessario al corpo per portare avanti un riassetto dei parametri.

Dott. Mauro Piccini
da https://sdriveitalia.it/antibiotico-resistenza-e-se-la-causa-fosse-epigenetica/

MATRIMONIO: BASI PSICOLOGICHE E DINAMICHE DI COPPIA. COSA CI DICONO JUNG E ALTRI ANALISTI?

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«L’idea che il matrimonio esista per migliorarsi reciprocamente e’ pessima: sarebbe come essere sempre a scuola»
(C.G.Jung)

Passaggi e stralci di Jung, Carotenuto e Marie Louise Von Franz, che tentano di descrivere alcune dinamiche “classiche” dei rapporti matrimoniali. Si cerca anche di far luce su un aspetto spesso non considerato, cioè di come il padre e la madre di un individuo siano proiettati, inconsciamente, nella relazione matrimoniale. Tutto ciò insieme a tante altre osservazioni interessanti riguardo il matrimonio nella nostra cultura occidentale.
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«Ancora oggi il matrimonio rappresenta un punto d’arrivo; ma se si provasse a viverlo e a sentirlo come punto di partenza, la coppia avrebbe sicuramente maggiori garanzie di sopravvivenza, soprattutto in termini di qualità della sopravvivenza, perché qualsiasi rapporto si configura come cammino e non può sottrarsi a un’evoluzione. Scrive Jung (1925):

“Potremo parlare di – relazione individuale – solo quando la natura dei fattori incoscienti sarà riconosciuta, e quando l’identità primitiva sarà in larga misura abolita. Raramente – per non dire mai – un matrimonio giunge senza urti e senza crisi alla relazione individuale. La presa di coscienza non si ottiene senza dolore.”
(Amare Tradire: Quasi un apologia del tradimento, di Aldo Carotenuto, Edizioni Bompiani, p.94)

“Nella mia lunga esperienza psichiatrica non mi sono mai imbattuto in un matrimonio che fosse completamente autosufficiente. I matrimoni totalmente incentrati sulla comprensione reciproca sono nocivi per lo sviluppo della personalità individuale, sono una discesa al minimo comune denominatore, un po’ come la stupidità collettiva delle masse”
(C.G.Jung)

«Quando due individui si sposano, come mette in evidenza Jung, tendono a scegliere il tipo opposto, ottenendo anche qui che ogni partner sia, o creda di essere, libero dall’ingrato compito di affrontare la propria funzione inferiore. Questa è una delle grandi fortune e fonti di gioia dei primi periodi matrimoniali: improvvisamente tutto il peso legato alla funzione inferiore è scomparso, ciascuno dei due vive in unione felice con l’altro, e tutti i problemi sono risolti! Ma se uno dei partner muore, o se uno dei due sente la necessità di sviluppare la propria funzione inferiore anziché lasciare semplicemente che sia l’altro a occuparsi di certi settori dell’esistenza, cominciano i guai. La stessa cosa si riscontra anche nella scelta dell’analista.»
(“Tipologia Psicologica” di M.L.Von Franz, Edizioni TEA, p.22)

«Tralaltro, quando meno l’individuo è evoluto sul piano della coscienza tanto più la scelta del partner sarà dettata da motivi inconsci, che decideranno a sua insaputa l’atteggiamento psicologico ed emotivo che caratterizzerà l’incontro. Junghianamente possiamo asserire che in questi casi il matrimonio “esterno”, istituzionale, non è assolutamente il riflesso del “matrimonio interno” con l’Animus per il femminile, e con l’Anima per il maschile.»
(Aldo Carotenuto – Eros e Pathos: margini dell’amore e della sofferenza – Bompiani Edizioni)

“Il giovane in età di sposarsi ha certo acquisito coscienza di sé (le ragazze più dei ragazzi) ma è trascorso ben poco tempo da quando è emerso dalle nebbie dell’inconsapevolezza originaria. Ci sono quindi in lui vaste regioni ancora immerse nel buio dell’incoscienza e che, fin dove giungono, non permettono il crearsi di una relazione psicologica.
In pratica significa che al giovane è data solo una conoscenza parziale,tanto dell’altro, quanto di sé stesso, perciò possono non essergli sufficientemente note sia le motivazioni dell’altro, sia le proprie. Egli agisce in genere spinto da motivazioni per la maggior parte inconsce.
Natural-mente gli sembra di essere molto consapevole a livello soggettivo; infatti si sopravvaluta sempre lo stato di coscienza del momento, e ogni volta è strano e sorprendente scoprire che quel che pensavamo fosse un traguardo finalmente raggiunto non è in realtà che il gradino più basso di una lunghissima scala.
Più è vasta l’inconsapevolezza, più la libertà di scelta in fatto di matrimonio è limitata; il senso di’ fatalità chiaramente avvertibile nell’innamoramento è la percezione soggettiva di questa costrizione.
Ma anche senza l’innamoramento può esserci costrizione, certo in forma meno piacevole.
Le motivazioni ancora inconsce sono di natura personale e collettiva. Sono anzitutto motivazioni che traggono origine dall’influsso dei genitori. A questo proposito per il ragazzo è determinante la relazione con la madre, per la ragazza quella con il padre.
È in primo luogo il tipo di legame con i genitori a influenzare a livello inconscio la scelta del coniuge, favorendola od ostacolandola.
Un amore consapevole per i genitori favorisce la scelta di un partner simile alla madre o al padre. Un legame inconscio invece (che a livello conscio non necessariamente si manifesta come amore) impedisce una scelta di questo genere e determina modificazioni specifiche, per capire le quali bisogna in primo luogo sapere da dove tragga origine il legame inconscio con i genitori e in quali circostanze esso condizioni la scelta a livello conscio, modificandola o addirittura impedendola. Di norma i figli ereditano e fanno proprio tutto ciò che i genitori avrebbero potuto vivere se non se Io fossero impedito con motivazioni fittizie; a livello inconscio essi sono cioè costretti a orientare la loro vita in modo da compensare ciò che è rimasto irrealizzato nella vita dei genitori. Così si spiega che genitori eccessivamente morali abbiano figli cosiddetti immorali, che un padre irresponsabile e fannullone abbia un figlio pieno di morbosa ambizione e così via.
Ad avere le conseguenze più gravi è la finta inconsapevolezza dei genitori. Per esempio, una madre che eviti di prendere coscienza di sé per non rovinare le apparenze di una buona vita coniugale, inconsciamente incatena sé il figlio, quasi come sostituto del marito. Questa situazione, se non sempre induce il ragazzo all’omosessualità, lo spinge comunque a modificare altrimenti la sua scelta, in direzioni che in realtà non gli sono proprie. Per esempio sposerà una ragazza palesemente inferiore alla madre (di lui) e che quindi non possa competere con lei, oppure finirà con una donna tirannica e presuntuosa, che in qualche modo lo strappi alla madre. Un sano istinto può guidare la scelta del partner a prescindere da questi influssi, presto o tardi però questi ultimi si faranno sentire, creando delle inibizioni. Dal punto di vista della conservazione della specie, una scelta più o meno puramente istintiva potrebbe certo essere la migliore, dal punto di vista psicologico però è una scelta non sempre felice, perché c’è spesso una distanza enorme tra il piano puramente istintivo e quello della personalità differenziata nella sua individualità.
In un caso del genere, una scelta puramente istintiva potrà sicuramente migliorare e rinnovare la razza, a prezzo però della felicità dell’individuo.”
(Carl Gustav Jung, Il Matrimonio come relazione psicologica)

da Blog Jung Italia – Emanuele Casale

DEPRESSIONE, IL GRIDO DELL’ANIMA

Il male oscuro invisibile della nostra società.
Questa malattia è un segnale che ci avvisa in modo forte e chiaro che qualcosa non sta andando per il verso giusto. Essa ci avvisa che occorre apportare un cambiamento e soprattutto ascoltare la propria anima per ritrovare il contatto con la nostra spiritualità e perseguire lo scopo della nostra vita, invece di seguire valori non nostri.

La depressione è un buco nero nell’anima, è assenza di luce, mancanza di libertà. Luce è energia, vita; laddove c’è assenza di luce, si manifesta la malattia ed infine al suo estremo, la morte. Questo accade sia a livello sottile, nella psiche, sia a livello materiale nel corpo. Corpo e mente non sono separati. Lo sapevano bene anche i latini con la locuzione “mente sana in corpo sano”, ma è vero anche il contrario, “corpo sano in mente sana”, poiché il nostro corpo altro non è che la proiezione della nostra mente.
Può capitare a tutti nella vita di sentirsi un po’ depressi, di avere un calo d’umore e di energia, di attraversare un periodo un po’ buio, ma si tratta di stati d’animo passeggeri che si alternano, un ciclo naturale come l’alternarsi del giorno e della notte. Si parla di depressione vera e propria, quando questo stato d’animo diventa persistente e difficilmente gestibile dall’interno, perdendo ogni interesse e motivazione per la vita. In sostanza, la depressione è un segnale che ci avvisa che qualcosa nella nostra vita non sta andando per il verso giusto, ci avvisa che si rende necessario apportare un cambiamento.
La depressione è il male oscuro, invisibile, della nostra società, il cui stile di vita ci ha allontanati sempre più dalla nostra natura selvaggia, portandoci ad uno squilibrio tra spirito e materia. Il materialismo, una vita abitudinaria e confortevole, ci hanno pian piano indeboliti e resi incapaci di accogliere, accettare ed apportare cambiamento. L’estremo individualismo, in una società dove apparentemente non manca nulla dal punto di vista materiale, ci ha condotti a chiuderci sempre più in noi stessi, portando via luce all’anima, lasciando morire lo spirito. Ed è evidente che oggi il bisogno primario quello di un ritorno alla spiritualità, ad un incontro con noi stessi. Abbiamo perso il nostro potere, quello legato all’istinto e all’intuito, e con questa perdita abbiamo perso la nostra originalità e creatività, per conformarci a modelli standard richiesti dalla società, imprigionando la nostra anima attraverso le dipendenze, le mode, il seguire strade tracciate da altri per noi. La dipendenza è una delle primarie cause della depressione. Ed essa può assumere diverse forme, dalla dipendenza affettiva, alla dipendenza lavorativa, alla dipendenza da internet.

Una pericolosa distorsione: scordare se stessi
Ogni volta che reprimiamo ciò che siamo, seguendo una strada che non sentiamo nostra, indossando maschere di falsa bontà per mascherare la rabbia, di falsa allegria per mascherare la tristezza, di falsa gentilezza per non mostrarci poco gentili; ogni volta che non ascoltiamo ciò che l’istinto e l’intuito ci suggeriscono, ogni volta che mettiamo a tacere e non ascoltiamo la voce interiore che nasce dalle nostre viscere, recidiamo le radici della natura selvaggia del nostro essere profondo. Quando si recidono le radici di un albero, esso muore. Quando s’imprigionano le radici di un albero circoscrivendole e rinchiudendole in un contenitore, impedendone l’espansione nella profondità della terra, anche la sua chioma, per riflesso, ne rispecchierà le radici e non potrà espandersi e protendere verso il cielo. Una mente chiusa da pregiudizi, tabù, principi morali sociali, condizionamenti, è una mente che non è libera di esprimersi attraverso il pensiero e quindi non è in grado di creare. Una mente che non è libera ed ha dei blocchi, ripercuote i suoi blocchi sul corpo fisico. Un corpo che non è libero di esprimersi, di conseguenza si ammala.

Quando ignoriamo le nostre capacità, il valore della nostra luce, che emaniamo attraverso la creatività, l’intelligenza, la bellezza, la generosità, diveniamo facili prede dell’oscurità. Se siamo ignari di questa nostra luce, non la valorizziamo e non la proteggiamo, essa diventa un bersaglio, permettiamo cioè agli altri di abusare di noi. Non dire mai di no per paura di perdere le persone o l’amore significa permettere l’abuso di sé. Se non ci neghiamo la possibilità di amare e creare, allora anche la depressione non avrebbe senso di esistere. Il primo passo, il più importante, è iniziare ad amare se stessi. Spesso l’amore per sé è stato etichettato come egoismo, mentre la nostra cultura religiosa ha sempre esaltato l’amore verso gli altri, prima gli altri e poi tu. Ed è proprio questo che a mio avviso ha generato l’egoismo. L’idea di altruismo nella nostra cultura cristiana è legata intimamente a quella di rinuncia a se stessi: sacrificio considerato come uno dei grandi valori che devono ispirare la vita.

L’altruismo, una maschera per manipolare gli altri
Un principio che proclami l’amore per il prossimo, ma che consideri tabù l’amore per se stessi, ci bandisce dal genere umano. Eppure l’esperienza più profonda di cui è capace un uomo è proprio l’esperienza di sé in quanto essere umano. Amarsi in modo totale, permette all’amore di traboccare e raggiungere gli altri in condivisione.
 Spesso, dietro all’altruismo si nasconde un trucco per possedere gli altri. 
L’altruismo, interpretato come dovere e non come un semplice moto spontaneo di solidarietà amichevole, può diventare una maschera, uno schermo dietro il quale si celano emozioni e intenzioni ben diverse da quelle sbandierate: freddezza, arroganza, prepotenza. L’altruismo è sovente un modo per manipolare la personalità dell’altro.
Nel nostro amore per il prossimo non vi è forse celato un impulso verso la proprietà? Quando vediamo soffrire qualcuno, sfruttiamo, se pur inconsciamente, l’occasione che ci si offre di prenderne possesso. 
Se un individuo può amare solo gli altri, non può amare completamente.

L’egoista in realtà si odia e trae soddisfazione, autostima ed apprezzamento solo attraverso il soddisfacimento dei bisogni altrui, illudendosi così di colmare il suo vuoto, generato dalla non considerazione dei propri bisogni. La necessità di sentirsi indispensabile ed assicurarsi l’amore in cambio, lo induce a creare dipendenze, lasciandolo infine frustrato e deluso ogni volta che i suoi sforzi non vengono riconosciuti e contraccambiati secondo le sue aspettative. È solo un essere infelice e ansioso di trarre dalla vita le soddisfazioni di cui si è privato. 
È più facile capire l’egoismo se lo si paragona ad un morboso interesse per gli altri, come lo troviamo nelle persone troppo premurose. Persone che devono compensare la loro incapacità di amare e che spesso nascondono la paura dell’abbandono, quindi incapaci di un sano distacco e di lasciar andare.
 Questa è una forma di altruismo nevrotico, un sintomo che colpisce molti già affetti da altri sintomi, quali la depressione, la stanchezza, l’incapacità di lavorare, il fallimento nei rapporti col prossimo. Spesso l’altruismo è considerato un tratto positivo del carattere del quale i soggetti si vantano. La persona altruista non vuole niente per sé, vive solo per gli altri, si vanta di non considerarsi importante. È poi sorpresa di scoprire che, ad onta del proprio altruismo, è assai infelice e che i suoi rapporti con coloro che la circondano non l’appagano. Tale persona è inibita nelle proprie capacità di amare e di godere; è piena di ostilità verso la vita e dietro la facciata dell’altruismo si nasconde un sottile ma intenso egocentrismo, nonchè masochismo legato alla sofferenza e al sacrificio. Alla base di queste persone dalla facciata altruistica c’è l’aridità. Solo quando dissolviamo le nostre tenebre, allora la nostra stessa luce si diffonde ed inonda anche agli altri, coloro che circondano. Partire da noi stessi, aiutandoci a ritrovare l’armonia dentro di noi ed amandoci, è il primo passo verso l’altruismo.
di Silvia Deni

L’approccio alla depressione, unito ad un profondo e fondamentale ascolto di sé stessi, può essere affrontato con la Medicina Complementare, la Tecnica Metamorfica ecc. sia per aiutare a sbloccare le cause profonde scatenanti, sia nell’alleviare tutta la serie di disturbi che questa comporta.

L’Ombra in Psicologia – Tutto ciò che non è accettato e integrato

«Se finora si pensava che l’Ombra umana fosse la fonte di ogni male, si può adesso, a un’indagine più precisa, scoprire che l’uomo inconscio, l’Ombra, non consiste solo in tendenze moralmente riprovevoli, ma presenta anche una serie di buone qualità, istinti normali, reazioni appropriate, percezioni realistiche, impulsi creativi ecc. A questo livello di conoscenza, il male appare piuttosto come distorsione, deformazione, erronea interpretazione e indebita applicazione di fatti in sé naturali.»
(C.G.Jung – Aion)

«Ricordiamo che in Psicologia, l’archetipo dell’OMBRA, non è assolutamente il polo di tutti i lati negativi  dell’individuo. Non si tratta di lati ‘buoni’ o ‘cattivi’, piuttosto di lati inespressi che in se possono essere anche positivi, ma che restando appunto in “ombra”, non essendo portati cioè alla luce della coscienza (come anche un talento o una vocazione), allora si ‘deformano’, prendendo varie ‘distorsioni’ ed agendo sull’individuo in maniera non più ottimale e, perlopiù delle volte, autonoma. Si può dire che questi elementi agiscano in maniera “perversa”. Da qui deriva il corollario: Conosci te stesso e (soprattutto) DIVENTA’ CIO’ CHE SEI. Perchè se non diventi ciò che sei, quel che tu ‘sei’ cade nell’OMBRA, non si esprime, e lì, agisce in maniera incontrollata, inflazionata, distruttiva.
Dovremmo forse dare più peso ad alcune sagge parole che il Cristo pronuncia:
“Se porti al di fuori ciò che è dentro di te, ciò che porterai fuori ti salverà.
Se non porterai fuori ciò che è in te, ciò che non porterai fuori ti distruggerà” (Il Cristo Gnostico – Rotoli del Mar Morto)»

(Emanuele G. Casale)

Noi e gli altri

Cerchiamo di capire quello che riguarda noi in relazione agli altri.
Abbiamo trattato moltissime volte questo argomento, ma c’è sempre bisogno di puntualizzare alcuni concetti che spesso vengono travisati.
La nostra relazione con gli altri è imprescindibile: non possiamo pensare di essere soli nell’Universo, e perciò abbiamo necessità assoluta di relazionarci.
Nella nostra relazione dobbiamo tenere presente che non è MAI, MAI, MAI un caso il relazionarci con quella persona invece che con un’altra.
Dobbiamo avere la Consapevolezza che NOI ci siamo attirati quell’incontro, quel confronto, perché questi servono a noi.
È sbagliatissimo pensare al dare agli altri come un dovere, come missione, come segno già definito nella nostra Vita; dobbiamo invece essere consapevoli di dare a noi stessi attraverso gli altri.
Io mi attirerò sempre incontri con una certa tipologia di persone che, in prima istanza, servono a me.
Se chi ho di fronte capirà – dal mio modo di porgermi, di essere, dal nostro confronto – ciò sarà perché vuole capire, ma non è mio dovere far capire agli altri qualcosa; piuttosto è mio dovere capire più che posso su di me attraverso l’altro.
Questo è molto chiaro se partiamo dal presupposto che MAI è un caso il nostro incontro con l’altro e il nostro trovarci in quella situazione, in quel confronto.
Nel momento del confronto ci vuole una grande pacatezza d’animo e una grande apertura mentale, senza preconcetti; ma soprattutto quello che può aiutare moltissimo è una grande curiosità: che cosa posso imparare da questa situazione?
Cosa posso imparare da questa persona?
La curiosità deve essere costruttiva e, se è anche esente da preconcetti e vincoli, può veramente dare il massimo dei frutti, perché avrò un animo aperto, una mente libera per poter capire e allora il mio confronto sarà assolutamente costruttivo.
Perché molte volte invece i nostri confronti finiscono con un nulla di fatto o con un senso di amarezza e persino di rabbia?
Perché nel nostro porgerci agli altri abbiamo la pretesa di essere dalla parte del bene e del giusto, perciò pretendiamo che gli altri ci capiscano, che vengano sulla nostra lunghezza d’onda e ci diano ragione.
Noi abbiamo ragione di  pensarla così perché siamo strutturati in quel modo, ma se iniziamo a chiederci il motivo per cui abbiamo attirato proprio una persona con delle ragioni così opposte alle nostre (magari addirittura in contrasto), possiamo capire meglio che abbiamo bisogno di aggiustare il nostro sentire, di confrontarlo, di farlo emergere dal nostro profondo e soprattutto di renderlo stabile dentro di noi.
Questo è un concetto che spessissimo trascuriamo.
Noi siamo convinti di conoscerci. Siamo convinti delle nostre reazioni, ma non sempre queste reazioni sono stabili; d’altra parte se lo fossero non darebbero adito né a rabbia, né a fastidio o a modi di reagire a volte persino violenti.
Se fossimo stabili tutto ciò che ci viene detto e che è in contrasto con il nostro sentire, non in Armonia con il nostro modo di vedere la Vita, non darebbe adito a quello che ho detto: sarebbe semplicemente qualcosa che entra in noi, si sedimenta, ci fa riflettere ma non ci sconvolge, perché in noi c’è stabilità.
La stabilità è un punto di arrivo.
Dobbiamo trovare la stabilità anche nella nostra apertura mentale, nel nostro voler essere continuamente a confronto con gli altri e nella nostra necessità di voler e poter cambiare idea.
Cambiare idea non significa non essere stabili: vuol dire semplicemente arricchire il nostro pensiero con qualcosa che prima non avevamo preso in considerazione.
Se dentro di noi siamo stabili, allora riusciamo a cambiare idea senza traumi e senza conflitti con gli altri.
L’altro è una parte importantissima di noi, quella deputata a farci conoscere meglio noi stessi: è proprio attraverso l’altro che  arricchiamo la conoscenza di noi.
Quello che va evitato in modo assoluto è il voler prevaricare l’altro, il voler a tutti i costi imporre la nostra idea, il voler cercare nell’altro soltanto gli aspetti di similitudine perché così si evitano i contrasti.
I contrasti sono assolutamente costruttivi se siamo in grado di gestirli: è proprio dalla differenza che possiamo trovare lo stimolo per capirci, migliorarci e progredire.
Tralasciamo tutto ciò che nella Vita può farci del male.
Come fare per tralasciarlo?
Non pensando che la Vita possa farci del male, ma ritenendo semplicemente che tutto ciò che viene a contatto con noi – anche se doloroso o diverso dal nostro modo di essere – è comunque qualcosa che ci sta arricchendo, che ci sta insegnando e che ci apporta una miglior conoscenza di noi stessi.
La Vita vissuta in questo modo non è più fonte di traumi e di dolore, ma semplicemente di Conoscenza e Consapevolezza.

 di Carla Parola
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