LA SENSIBILITA’ AL GLUTINE SI MANIFESTA CON SINTOMI PSICHIATRICI

Nuovo studio avverte:  la Neuropsichiatria non faccia confusione!

Recentemente un team di ricerca internazionale composto da studiosi della Facoltà di Medicina dell’Università di Baltimora guidati dal dr. Alessio Fasano e della Seconda Università degli Studi di Napoli, coordinati dalla dr. Anna Sapone, ha individuato una nuova malattia, denominata Sensibilità al Glutine, ovvero una ipersensibilità a questa proteina ma con marcate differenze biologiche rispetto alla celiachia. Un nuovo studio, pubblicato il 30 Agosto su PubMed, ha ora dimostrato che questa Sensibilità al Glutine si manifesta, associata a disturbi neurologici e/o psichiatrici nella sua fase iniziale, come atassia, neuropatia, emicrania, schizofrenia, depressione, deficit dell’attenzione e autismo.La celiachia è un disordine autoimmune completamente dipendente dall’ingestione del glutine, una proteina presente in grano, segale od orzo. La sensibilità al glutine è considerata lo stadio iniziale della celiachia ma può esistere anche come malattia indipendente (Sapone et al. 2011). Fino a oggi i medici si erano limitati a collegare a queste malattie solo un piccolo sottogruppo di sintomi intestinali tra cui malassorbimento, diarrea, perdita di peso e ritardo nella crescita, considerandoli sintomi classici della celiachia come il danno dei villi dell’intestino tenue.

La sensibilità al glutine invece si manifesta raramente in questo modo (solo 1/3 dei pazienti per esempio soffre di diarrea), presentandosi invece con sintomi neuropsichiatrici, cosa che purtroppo rende la diagnosi molto difficile e pone i pazienti a rischio di ulteriori malattie autoimmuni nonché a pericolose complicazioni.

Si sa oggi con certezza che la sensibilità al glutine non porta cambiamenti istologici, cosa che rende inaffidabile l’endoscopia, finora ritenuta l’esame cardine per una corretta diagnosi, mentre si riportano invece disfunzioni neurologiche relative. Conseguentemente a queste nuove conoscenze, molti medici stanno iniziando a fare meno affidamento sulle biopsie e a basarsi di più su esami del sangue e a provare direttamente una dieta ristretta senza glutine. Conoscere la complessità dei problemi delle persone sensibili al glutine può aiutare il medico all’atto della formulazione della diagnosi a prendere in considerazione, oltre ai vecchi schemi, anche l’ipotesi di tante diverse possibili malattie causate dalla ingestione del glutine, che si possono manifestare in vari modi e che richiedono tutte lo stesso trattamento, ovvero una dieta priva di glutine.

A proposito dell’autismo nello studio si riferisce:“Nei disordini dello spettro autistico (ASD), una dieta priva di glutine continua ad essere centro di prove discordanti: un piccolo studio (Pavalone et al. 1997) non ha trovato alcuna relazione tra ASD e celiachia in contrasto però con uno studio più ampio, eseguito nel 2008, che ha riportato una diffusione del 3,3% della celiachia nei disordini pervasivi dello sviluppo. Mentre aumentano le prove di una connessione tra ASD e diffusione della celiachia, non è ancora chiaro se una dieta priva di glutine potrebbe alleviare i sintomi (Hill et al. 2004) anche se Genuis e Bouchard (2010) riportano che una dieta priva di glutine favorirebbe la regressione dei sintomi autistici. Inoltre, la recente scoperta di una componente immunologica nell’autismo, permette una nuova comprensione dei problemi associati: alcuni report indicano una reazione immunitaria nell’intestino di un sottogruppo di pazienti con autismo. Questi pazienti hanno mostrato una maggiore infiltrazione linfocitaria dei villi con danno lieve/moderato (Ashwood et al. 2003, Ashwood et al. 2004). Vojdani e colleghi, hanno trovato un aumento degli anticorpi anti-gliadina così come reazioni autoanticorpali in peptidi cerebrali relativi al glutine usando i sieri da paziente ASD (Vojdani et al. 2004a, Vojdani et al. 2004b). Questo suggerisce un’associazione immunitaria mediata tra l’ingestione del glutine e i sintomi dell’autismo”.In conclusione, possiamo dire che celiachia e sensibilità al glutine non dovrebbero essere più considerate malattie dell’intestino bensì un disordine neurologico. E’ vero infatti che possono originarsi nell’intestino, ma i danni non si limitano certamente a quest’area del nostro corpo e si manifestano con disturbi per i quali i pazienti vengono erroneamente presi in carica dal neuropsichiatra. E’ necessario quindi che questi medici abbiano almeno una conoscenza di base sia della celiachia che della sensibilità al glutine per individuarla e diagnosticarne la presenza. E’ importantissimo che imparino a riconoscerne meglio i primi sintomi, valutando come tali non solo i sintomi intestinali (a volte addirittura assenti), ma anche quelli neuropsichiatrici che finora li hanno purtroppo deviati verso altre diagnosi.Abstract

Manifestazioni neurologiche e psichiatriche di celiachia e sensibilità al glutine
Jackson JR, Eaton WW, Cascella NG, Fasano A, Kelly DL.
Psychiatr Q. 2011 Aug 30.

La celiachia (MC) è una malattia immunomediata dipendente dal glutine (una proteina presente in frumento, segale od orzo) che si manifesta nel 1% della popolazione ed è generalmente caratterizzata da problemi gastrointestinali. Più recentemente la comprensione e la conoscenza della sensibilità al glutine (GS) l’ha fatta emergere come malattia distinta dalla celiachia con una diffusione stimata pari a 6 volte quella della MC. Le persone che soffrono di sensibilità al glutine non hanno atrofia dei villi o anticorpi come nella celiachia, ma risultano invece positivi agli anticorpi della gliadina. Entrambe le malattie possono presentarsi con una varietà di co-morbidità neurologiche e psichiatriche, ma i sintomi extraintestinali possono essere il primo segnale negli affetti da sensibilità al glutine. In ogni caso, questa resta poco curata e poco riconosciuta quale fattore che contribuisce alle manifestazioni psichiatriche e neurologiche. Questa revisione si focalizza sulle manifestazioni neurologiche e psichiatriche implicate nella sensibilità al glutine, sottolineando la distinzione della sensibilità al glutine dalla celiachia e riassume i meccanismi potenziali collegati a questa reazione immunitaria.

FONTE: http://www.emergenzautismo.org/content/view/959/48/

 

 

GUARIRE LE PERDITE E IL DOLORE

Non è facile riuscire a fare i conti con le perdite, le assenze, i dolori del passato, né riuscire a convivere con i fantasmi che dal passato inesorabilmente riemergono. Lo sa bene chi ha vissuto un evento sismico, così come impara, nel silenzio della propria distruzione, che se la vita non è altro che un esile filo che ci assicura gli uni agli altri, occorre adoperasi affinché questo filo non sia inesorabilmente difettoso, fragile ,scivoloso, come corroso dal sale. La parola “terremoto” evoca immagini di rovine, di morte e di sofferenze ma si tratta di sensazioni, per così dire, emotive che riducono il fenomeno al suo aspetto violento nei confronti dell’uomo indifeso. Il terremoto in realtà produce danni di ben più ampie proporzioni, e conseguenze molto più preoccupanti di quello che comunemente la gente pensa. Il terremoto è un evento drammatico che, oltre a lutti e distruzione, induce effetti psicologici inseribili in diverse categorie nosografiche: disturbo post-traumatico da stress (PTSD), disturbo depressivo maggiore (MDD), abuso d’alcol, disturbi d’ansia e di somatizzazione, problemi comportamentali, disturbi della performance e della reattività psicologica.

Naturalmente la maniera con cui si è vissuto il trauma (permanenza o meno sotto le macerie, lutti, perdita totale o parziale di case ed altri averi, ecc.), le reazioni, gli adattamenti e il meccanismo della memoria, essendo variabili ed individuali, hanno prodotto espressioni le più diverse. In altre parole, come già segnalato in varie passate esperienze, l’adattabilità allo stress è individuale e si manifesta già dalle prime fase dopo l’evento. Il soggetto che “riceve” l’evento può essere, rispetto all’impatto con l’evento stesso, malleabile, cioè avere la capacità di adeguarsi e adattarsi alle situazioni mutevoli, o resistente, cioè non avere la capacità di riprendersi rapidamente. La malleabilità e la resistenza agli effetti disadattativi dell’evento stressante si collegano a diversi fattori: la fase dello sviluppo, nella quale si inserisce l’evento, che ha un’importanza cruciale; la presenza di una figura significativa che svolga funzioni di accudimento e protezione. La differenza, per esempio, tra l’adattamento di un bambino e quello di un adulto consiste nel fatto che il comportamento dell’adulto si altera sotto l’influenza dell’esperienza, mentre l’esperienza fornisce una cornice organizzativa per il bambino. Dal momento che il cervello del bambino è plastico nella prima infanzia, egli risulta vulnerabile agli eventi in questo periodo. Infatti i sintomi specifici che un bambino può sviluppare in seguito all’esposizione a traumi o violenze, possono essere molto diversi, a seconda di svariati fattori quali la natura, la frequenza, le caratteristiche e l’intensità della violenza subita, la capacità di adattamento del bambino e la presenza di fattori protettivi, per esempio un buon supporto familiare.

Ma qui intendiamo sviluppare un diverso approccio, sulla base di esperienze condotte con la mediazione della Medicina Cinese, per la quale, da un lato vi è sempre una precisa correlazione fra sintomo e causa profonda, confermata dal vissuto personale e, d’altro, lo scopo del vero atto medico (cioè guaritorio) deve andare al di là della semplice cancellazione del dolore o della scomparsa dei sintomi, incentrandosi sulla ricerca del fattore responsabile dei disturbi. In questo modo essa è la forma più antica di “metamedicina”, termine coniato di recente nel lessico comune, ma antico nei contenuti sostanziali, formato dal prefisso greco meta, che significa “al di là” e dal sostantivo “medicina”, intesa come “l’insieme dei mezzi messi in atto per prevenire, guarire e alleviare le malattie”. La metamedicina, che è per la scienza moderna conquista recente, va al di là della semplice cancellazione del dolore o della scomparsa dei sintomi, incentrandosi sulla ricerca del fattore responsabile dei disturbi.

Ciò che importante sottolineare è che in metamedicina, il dolore, il malessere o l’affezione sono considerati segni precursori dell’incrinarsi dell’armonia in una parte dell’organismo, e far scomparire questi segnali senza ricercare l’informazione di cui sono forieri sarebbe come disinserire l’allarme antifumo dopo che ha rilevato un focolaio d’incendio. Ignorando l’allarme, rischiamo di trovarci nel bel mezzo delle fiamme ed è precisamente quanto fanno coloro che inghiottono un farmaco senza cercare di capire quale sia l’origine del segnale. In definitiva, l’atto metamedico aiuta a ricostruire la storia di un disturbo, di una malattia o di un mal-essere profondo, risalendo, per quanto possibile, alla comparsa dei primi sintomi e, a questo scopo, usando le chiavi che orientano il “colloquio pertinente”, necessario per scoprire la o le cause del male. Ora va detto che, la Medicina Cinese, attraverso la simbologia del corpo, è un atto pienamente metamerico, che può condurre, a volte, a guarigioni rapidissime o, più spesso, a guarigioni che sono il risultato di un processo di lenta e progressiva trasformazione. Secondo la filosofia taoista, alla base del pensiero medico classico, tutto ciò che esiste partecipa della natura dei due principi fondamentali, lo yin e lo yang, combinati in varia misura in tutte le sostanze. A poco a poco, lo yang è stato identificato col Dao. Il Dao è un temine assai vago, e difficile a rendersi. Significa “via, strada, principio, metodo, dire…”, ma conviene lasciarlo non tradotto, tanto più che dagli stessi filosofi taoisti – perché il Taoismo è una filosofia e una religione – lo ritengono indefinibile. Dargli un nome (ming) infatti presupporrebbe assegnargli un posto in questo mondo gerarchizzato, mentre esso è per sua natura al di fuori di ogni categoria, incommensurabile, infinito, immenso. Esso è il principio trascendente e immanente dell’universo, anteriore alla creazione di questo, presente dovunque sotto molteplici aspetti, secondo un processo spontaneo di continuo ritorno alle origini. Tutto deriva dal Dao e tutto ritorna ad esso; la vita e la morte si alternano in un movimento ciclico per cui il non-essere diventa essere per poi tornare non-essere. Il saggio si adegua al ciclo universale dell’essere e del non essere, conformandosi al suo ritmo senza contrastarlo o interferire, con un contegno che ripropone il non-agire teorizzato da Krishna ad Arjuna nella Bhagavad Gita.

I trattamenti medici (agopuntura, massaggio, fitoterapia o meditazione consapevole), hanno come scopo quello di porre il corpo e la mente in condizioni di non opporsi ai cambiamenti, affinché si possa, anche dopo un trauma violento, ricostruire un proprio equilibrio. In questo modo l’uomo viene ricollocato nell’alveo del grande fiume dell’universo e questo permette all’individuo, sintonizzando i suoi ritmi vitali con quelli universali, di superare i drammi ed i dolori, evitando le offese ed il logorio del tempo e delle malattie. Ma, qui va precisato cosa di intende per guarigione nella specifica prospettiva da noi proposta. Guarigione è un termine greco che significa “sono attento a”, “mi prendo cura di” ed un atto globale indirizzato all’intera personalità, che implica la purificazione ed il ripristino della forza vitale psico-fisica dell’uomo. Mentre in questo nostro tempo utilizziamo molte forze materiali per guarire la materia corporea ma dimentichiamo spesso che la forza vivente ha in Sé anche una natura spirituale (cioè non materiale) che deve essere sempre utilizzata nel percorso di guarigione; per la Medicina Cinese è lo spirito sereno e purificato da paure, angosce, rabbie, carico di ottimismo e progettualità, la Forza interiore che dirige la guarigione. La ricerca di pace, di serenità, di bellezza e amore è una ricerca nel percorso di guarigione morale e fisica. Il corpo diviene il tramite, per lo spirito umano, di esprimersi e riflette la forza, o la caduta momentanea di essa, in quel determinato momento. L’atto medico (con aghi, massaggio, piante, ecc.), favorirà l’integrazioni fra la nostra mente, il nostro cuore ed il nostro corpo, affinché essi possono spaziare e scegliere le esperienze più giuste, capaci di cancellare non il passato, ma ciò che esso a prodotto in noi. Va chiarito che dolore, dal radicale dar-dol = tagliare, spaccare, fendere, lacerare, può essere definito come ciò che, in qualunque modo interrompe il fluire del benessere della persona umana ed ogni intervento che ricomponga il fluire riesce a lenire questo dolore, sia fisico che morale o spirituale. Ma il dolore è anche una occasione per riflettere, comprendere e quindi crescere nella consapevolezza.

Con l’aiuto del terapeuta il paziente sarà invitato a riflettere su questi fatti: il dolore contiene molti nuclei di forza utili a creare e ricreare; ci fa vedere come stanno esattamente le cose della vita: ciò che è importante e ciò che lo è meno; ci fa capire dove stiamo noi e cosa urge fare; ci obbliga ad annientare ciò che fino a quel momento ci è stato utile ma ora non basta più; e questo sia nell’ordine di chi siamo, che nell’ordine di ciò che abbiamo; ci spinge a desiderare, volere ed attuare una nostra diversa identità nel sentirci, nel pensarci, nel comportarci. Il dolore deve anche essere occasione per uno “sguardo dal di fuori”, che ci assista nella visione del mondo quando sembra del tutto distrutto e senza speranza, un mondo che muta al passaggio di persone coraggiose e che, grazie al coraggio di ciascuno, può essere ricostruito.  E deve accomunarci il dolore, non dividersi fra invidie, sospetti e rancori, spezzare le radici del male, svellere quel tanto che piega il mondo all’oscurità della separazione dei suoi figli.

L’intervento terapeutico deve aiutare a rompere la tentazione di cadere vittime in un mondo in cui il più forte uccide il più debole, un modo privato di ogni atto d’amore, da fare invece riemergere come un relitto nel naufragio della nostra buona coscienza. Per una relazione di aiuto tesa a lavorare all’interno di un quadro di riferimento olistico è pertanto fondamentale che non ci sia scissione fra interventi fisici e psicologici, capaci di creare la condizione che porti ad unità verso gli altri e a un vero cambiamento dentro di noi. La maggior parte degli approcci alla relazione d’aiuto vedono corpo e psiche come entità distinte, con l’approccio verbale capace di un aiuto psichico e terapie fisiche per la parte corporale. Le tecniche esterne ed interne della Medicina Cinese, invece, mirano ad un’azione simultanea e integrata, non solo psico-fisica, ma anche spirituale.

Agopuntura newsletter marzo 2015

LA CORRELAZIONE TRA ICTUS E CARBOIDRATI

Dimostrata un’associazione tra consumo di elevate quantità di carboidrati ad alto indice glicemico, come ad esempio il pane bianco, e il rischio di essere colpiti da ictus.

Una dieta ad alto carico glicemico non solo aumenta il rischio di cancro ma anche quello di altre malattie cronico degenerative: questo è il risultato di uno studio condotto dai ricercatori dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano guidati da Vittorio Krogh, responsabile della Struttura complessa di epidemiologia e prevenzione, che ha messo in luce in particolare il rapporto tra il consumo di carboidrati ad alto indice glicemico, come pane bianco e zucchero, e l’insorgenza di ictus.
Il lavoro, pubblicato oggi sulla rivista scientifica PLOS ONE, fa parte del progetto EPICOR, studio sull’associazione tra dieta e incidenza delle malattie cardiovascolari in Italia che nasce come satellite del grande studio oncologico EPIC (European Investigation into Cancer and Nutrition) svolto in Italia su oltre 47000 volontari a cui l’istituto partecipa insieme ad altri 22 centri in 10 paesi Europei. E’ stato proprio nello studio EPIC che lo stesso gruppo di ricercatori aveva messo in evidenza come una dieta ad alto carico glicemico fosse associata ad un maggior rischio di tumore alla mammella (articolo pubblicato su Nutrition Metabolism and Cardiovascular Disease, aprile 2012 ).
EPICOR fa parte dei grandi studi epidemiologici condotti dall’Istituto Nazionale dei Tumori che hanno permesso di ottenere risultati non solo in campo oncologico ma anche nell’ambito di malattie non oncologiche quali quelle cardiovascolari.
Lo studio ha permesso di osservare che chi consuma in grande quantità carboidrati ad alto indice glicemico, come pane bianco, zucchero, miele, marmellata, pizza e riso ha un rischio più elevato dell’87% di essere colpito da ictus.
Sabina Sieri, biologa e nutrizionista dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, precisa: “Con questo lavoro l’indice glicemico degli alimenti si conferma un fattore importante nella definizione di una dieta sana.
Conoscere l’indice glicemico di un alimento e privilegiare il consumo di cibi a basso carico glicemico diventa quindi sempre più rilevante per la prevenzione delle malattie cronico-degenerative”.

Alimentazione, indice glicemico e rischio di ictus
L’indice glicemico di un alimento misura la velocità con cui il cibo fa aumentare i livelli di glucosio nel sangue. La “risposta glicemica” a ciascun pasto è influenzata non solo dall’indice glicemico dei singoli alimenti ma anche, in misura determinante, dal “carico glicemico” cioè dalla quantità di carboidrati in esso contenuto. Cibi ad alto contenuto di carboidrati ad alto indice glicemico sono, ad esempio, il pane, lo zucchero, la pizza, ma anche il riso; al contrario, hanno un alto contenuto di carboidrati a basso indice glicemico gli alimenti integrali, la pasta, i legumi e la frutta. Questi ultimi sono digeriti lentamente e quindi determinano un limitato picco della glicemia e una bassa risposta insulinica. Al contrario, il consumo di alimenti ad alto indice glicemico aumenta rapidamente la glicemia e la risposta insulinemica.
L’associazione tra il consumo di carboidrati ad alto indice glicemico e rischio di ictus scoperta da questo studio supporta l’ipotesi che un’elevata glicemia post-pranzo possa essere il meccanismo sottostante all’aumentato del rischio di ictus.

Lo studio EPICOR
Il progetto EPICOR, da cui nasce questa scoperta, fa parte del più vasto studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition). Obiettivo principale di EPIC è studiare il ruolo dei fattori alimentari e lo stile di vita (in particolare il fumo, il sovrappeso e l’obesità, e l’attività fisica) nella genesi dei tumori.
Questo studio ha coinvolto oltre 47.000 volontari sani, uomini e donne residenti in Italia (i centri di reclutamento sono stati Varese, Torino, Firenze, Napoli e Ragusa). Tra il 1992 e il 1996 si sono raccolte informazioni sulla dieta, lo stile di vita e lo stato di salute di questi volontari. Queste persone sono poi state seguite nel tempo raccogliendo informazioni sul loro stato di salute (ad esempio tramite i registri di patologie o le schede di dimissione ospedaliere).

Per la ricerca sul rapporto tra indice glicemico e ictus, dal 1996 al 2008 sono stati osservati 355 casi di eventi cerebrovascolari ed è dallo studio della dieta che queste persone consumavano prima di ammalarsi che si è scoperto come l’indice glicemico degli alimenti è un importante fattore di rischio per l’ictus.

L’Articolo scientifico:
 “Dietary glycemic load and glycemic index and risk of cerebrovascular disease in the EPICOR cohort”. PLOS ONE. DOI: 10.1371/journal.pone.0062625

Redazione MolecularLab.it (23/09/2014 14:30:32)

APPROCCIO INTEGRATO AI DISTURBI COMPORTAMENTALI E DI APPRENDIMENTO IN ETA’ PEDIATRICA

Attualmente uno dei più importanti problemi psico-neurologici in età pediatrica è la Sindrome da Deficit di Attenzione e Iperattività-Impulsività (ADHD), caratterizzata  da disattenzione , distraibilità, impulsività e, in certi casi, iperattività: si manifesta prevalentemente in età scolare con maggior incidenza nel sesso maschile. L’incidenza è in continuo aumento, soprattutto nei bambini delle aree urbane. Anche in Italia questa sindrome sta diventando più frequente: si calcola che 1 alunno su 25 ne sia affetto. L’eziologia dell’ADHD è ancora oggetto di studio,  e l’impostazione terapeutica, volendo proporre un approccio integrato di tipo omeopatico, sarà personalizzata, basata sull’analisi degli specifici sintomi alla luce di quelli che si presumono essere i fattori etiologici. Dovremo distinguere fattori eziologici endogeni e esogeni.

I fattori endogeni sono legati alla costituzione del bambino che influenzerà le manifestazioni esprimendo la letargia e la scarsa attenzione nel bambino carbonico, piuttosto che incostanza ed esauribilità nel bambino fosforico, eccessiva disattenzione e scarse capacità logiche nel bambino sulfurico, atteggiamenti bizzarri, facile annoiabilità e atteggiamenti autodistruttivi nel fluorico. Importanti sono i deficit nutrizionali, in  particolare la carenza di Ferro, causa di diminuzione dell’attenzione, della perseveranza e dell’attività volontaria; il deficiti di Zinco correlato, oltre che all’insonnia, anche alle problematiche legate all’apprendimento, alla tendenza alla violenza e alla riduzione del quoziente intellettivo. E’  stata notata da alcuni ricercatori anche una stretta correlazione  tra le problematiche nell’ apprendimento del bambino e gli accumuli organici di Piombo, Mercurio, Cadmio, e Rame. Questi accumuli patologici possono essere legati sia all’ingestione di sostanze contenenti questi metalli pesanti, sia a carenze nutrizionali che determinerebbero l’accumulo di sostanze tossiche. Nel bambino con carente apporto di Calcio è frequente l’accumulo di Piombo; la carenza di Zinco porta a un possibile accumulo di Cadmio, Rame o Mercurio.

L’ADHD è correlato anche con situazioni famigliari sfavorevoli quali conflitti genitoriali e/o disturbi psichiatrici genitoriali. Il 10-35% ha una famigliarità per tali disturbi, così come una discreta percentuale di pazienti affetti da un’anamnesi positiva per difficoltà perinatali.
Da recenti studi emerge un deficit di concentrazione di neurotrasmettitori che provoca una reazione anomala agli stimoli ambientali.
Tra i più importanti fattori esogeni, per alcuni autori fra i quali Feingold, vi è una reazione allergica o di intolleranza a coloranti e conservanti contenuti in numerosi cibi o ad abusi di dolci a base di zuccheri raffinati, merendine industriali, salumi e cibi conservati di cui i bambini fanno largo consumo.
La corretta diagnosi è fondamentale; è importante per la definizione di una vera ADHD che i sintomi debbano:

  • esordire prima dei 7 anni di età;
  • durare da più di 6 mesi;
  • essere evidenti in almeno 2 contesti della vita del bambino (casa, scuola, ambiente di gioco);
  • causare significativa compromissione dello stato comportamentale generale del bambino.

E’ importante formulare sempre la diagnosi differenziata tra ADHD e le problematiche che facilmente possono essere confuse con questa sindrome quali:

– semplice vivacità;
– negligenza pedagocica legata a permissivismo e a tolleranza dei capricci;
– disfunzioni dello sviluppo;
– ritardo del linguaggio;
– disturbi emozionali;
– ritardo mentale;
– psicosi, schizofrenia, mania, depressione mascherata;
– fasi iniziali di un tumore cerebrale;
– sindrome di Gilles de la Tourette.

In particolare il bambino affetto da iperattività:
       1. risponde prima di aver ascoltato l’intera domanda;
       2. interrompe, interviene nelle attività e impone la propria presenza, ha loquacità
           eccessiva;
       3. non valuta le conseguenze dei propri comportamenti e non fa esperienza degli
           errori commessi, può dedicarsi a giochi pericolosi senza valutarne le conseguen-
           ze;
       4. ha scrittura particolare con varie caratteristiche;
       5. ipercinesia somatica.

Si tratta, quindi, di bambini incapaci di controllare i propri comportamenti. Il Defici di Attenzione è caratterizzato dal fatto che il bambino fatica a concentrarsi su un gioco o un compito perché ipersensibile agli stimoli esterni.
Un bambino che non presta attenzione e, quindi, non impara né dall’esperienza né dalla rielaborazione personale, rischia:
       – cattivo sviluppo cerebrale e somatico;
      – turbe della personalità (18-25%)
       – ritardi di apprendimento e fallimento scolastico che portano a precoce
          abbandono della scuola: dal 32 al 40% dei bambini ADHD non terminano
          la scuola dell’obbligo; solo il 5-10% arriva all’Università;
       – maggior frequenza di gravidanze prima dei 20 anni e di malattie trasmesse
          sessualmente;
       – problemi medici e sociali (guida spericolata, uso di droghe, alcool e fumo);
       – difficoltà nell’instaurare rapporti interpersonali;
       – problemi legali.

I sintomi di iperattività-impulsività solitamente migliorano col tempo ma, se prevale la disattenzione, tendono a prolungarsi in età adulta. Alcuni sintomi secondari come l’ansia possono aumentare con l’età…

Sarà utile ovviamente lavorare anche sulla dieta e sull’equilibrio intestinale… Il ripristino della flora intestinale  e di una corretta risposta immune saranno quindi ai primi posti negli interventi curativi per questi disturbi…
L’aspetto dietetico, il problema delle intolleranze alimentari e degli squilibri metabolici, devono avere un ruolo nella programmazione della strategia terapeutica, ma sempre dovrà essere data giusta rilevanza all’assistenza psicologica di questi bambini e dei loro genitori.

da Omeopatia oggi 9/14

RELAZIONE PATOGENETICA TRA DIABETE TIPO I E LATTE VACCINO

Nel 1993, lo scienziato Bob Elliott notò che i bambini della Samoa che andavano a vivere in Nuova Zelanda erano molto suscettibili al diabete di tipo 1, mentre quelli che restavano nelle isole di Samoa avevano un’incidenza molto bassa di questa patologia. La differenza può essere espressa solo da un fattore ambientale o di alimentazione. Elliott sospettò che fosse correlata al consumo di latte, che era più basso a Samoa.

Quindi studiò la biochimica e composizione del latte vaccino.

La composizione del latte vaccino
Il latte vaccino è composto da circa un 87% di acqua e un 13% da solidi:
– grassi (panna)
– minerali
– solidi lattei, rappresentati dagli zuccheri (lattosio) e dalle proteine, che sono: l’alfa-caseina, la beta-caseina, la kappa-caseina e le proteine sieriche. La beta-caseina è la proteina presente nella percentuale maggiore.

La beta-caseina
Ci sono due principali tipi di proteina beta-caseina, note come A1 e A2. Esistono anche altre varianti minori oltre a questi due tipi, ma attualmente non sono conosciuti.
Le beta-caseine trovate nel latte vaccino sono composte da 209 aminoacidi in una sequenza fissa e la differenza tra tipo A1 e A2 sta in un singolo aminoacido. Infatti mentre il latte A1 ha un aminoacido istidina in posizione 67, il latte A2 in quella posizione ha una prolina.
La prevalenza tra la proteina beta-caseina A1 e A2 varia dalla razza delle mucche e anche dalla regione. Nel mondo occidentale è diffuso il tipo A1, dalla sottospecie Bos taurus (foto 1 nel libro).
Le vacche asiatiche della sottospecie Bos indicus (foto 2 nel libro) non producono invece beta-caseina di tipo A1.
Le vacche africane (foto 3 nel libro), anche se sono soprattutto Bos taurus, non producono comunque beta-caseina A1.
Gli scienziati ipotizzano che circa 8000 anni fa sia avvenuta una mutazione aminoacidica in posizione 67, dove la prolina è stata sostituita dall’istidina.
Ad oggi è noto che due meccanismi patogenetici principali della relazione tra latte vaccino e diabete mellito di tipo 1 sono:
– l’attività oppioide della beta-casomorfina-7, che compromette lo sviluppo dell’immunità intestino-associata
– il mimetismo molecolare tra la beta-caseina e un epitopo del trasportatore GLUT-2, con il conseguente sviluppo di autoanticorpi capaci di colpire le cellule-beta del pancreas.

L’attività oppioide della beta-casomorfina-7
Bob Elliott volle investigare se il rischio di sviluppare diabete di tipo 1 dipendesse dalla quota di latte che era stato bevuto e dalla proporzione della proteina A1 nel latte. Il fattore di rischio sarebbe quindi la quota di latte moltiplicato per il proprio contenuto di A1.
Egli studiò il problema con un approccio epidemiologico, confrontando l’incidenza della patologia con l’assunzione di latte A1 e A2 per ciascuna regione (figura 4).


Figura 4: Incidenza del diabete mellito di tipo 1 e introito di proteine del latte, da Laugesen e Elliott, New Zealand Medical Journal 116 (1168), 2003.

L’84% della variazione dell’incidenza del diabete può essere spiegata dalla variazione dell’introito di beta-caseina A1. E’ una relazione molto forte. Il grafico è simile comprendendo o meno nell’analisi il formaggio.
Bob Elliott fece uno studio su animali, aiutato dal Dr. Jeremy Hill, in cui somministrò i due diversi tipi di beta-caseina a topi. I topolini nutriti con la beta-caseina di tipo A2 non svilupparono il diabete di tipo 1, mentre il 47% di quelli nutriti con il tipo A1 divennero diabetici dopo 250 giorni. Egli scoprì anche che somministrando il naloxone con la beta-caseina A1 questo effetto si annullava. Il naloxone è un antagonista degli oppiodi, ossia blocca l’effetto narcotico degli oppioidi.

La differenza tra beta-caseina di tipo A1 e A2, sta nel rilascio di una molecola chiamata beta-casomorfina-7 (BCM7), un potente oppioide già pubblicato nel 1985 (figura 5). Gli effetti negativi della beta-caseina A1 sarebbero correlate all’attività oppioide della BCM7.
Figura 5: il rilascio della BCM7.
Il latte umano contiene meno dell’1% della BCM7 contenuta nel latte vaccino di tipo A1.
I neonati possono assorbirla visto che le loro pareti intestinali permettono facilmente il passaggio di molecole grandi al flusso sanguigno.
Questa è la forma in cui sono capaci di assorbire il colostro della madre.
Dato che devono assorbire i complessi macromolecolari del colostro, i neonati hanno una mucosa intestinale assai permeabile, che li rende più suscettibili ai danni della BCM7.


(Figura 5: il rilascio della BCM7)

La BCM7 rappresenta un fattore infiammatorio sull’epitelio vascolare, stimola la produzione di muco dalle mucose ed ha affinità per i recettori μ e δ, esplicitando quindi attività oppioide.
David Chamberlain, dall’Istituto di Ricerca Hannah in Scozia, condusse un team di scienziati per osservare cosa accade quando le beta-casomorfine (inclusa la BCM7) vengono infuse direttamente nell’abomaso (una parte del rumine) delle vacche. Essi hanno trovato che le beta-casomorfine abbassano la risposta insulinica del pancreas e credono che questo dipenda direttamente da un effetto oppioide diretto.
La BCM7 inoltre ha una correlazione in diversi studi con il diabete di tipo 1, ipercolesterolemia, intolleranza al lattosio, alterazioni neurologiche come l’autismo, la sindrome di Asperger e la schizofrenia.

Il mimetismo molecolare tra la beta-caseina e un epitopo del trasportatore GLUT-2
La logica dietro quest’affermazione risiede nella in una sequenza di aminoacidi (un peptide) nella beta-caseina bovina che è molto simile con una sequenza aminoacidica contenuta nel GLUT-2, la molecola che trasporta il glucosio all’interno delle cellule-beta del pancreas (figura nel libro), che producono l’insulina. Infatti, la sequenza dei quattro aminoacidi (Prolina-Glicina-Prolina-Isoleucina) è identica.
Lo scienziato italiano Paolo Pozzilli ha suggerito che questa sequenza e i frammenti più lunghi di beta-caseina che la contengono “sono responsabili per l’induzione di una risposta immunitaria contro la caseina che, per cross-reattività, sarebbe diretta contro la sequenza omologa dei GLUT-2, causando danno alle cellule che producono l’insulina”.

Nel 1999, Pozzilli ha pubblicato una review che includeva la relazione tra diabete mellito di tipo 1 e le singole proteine del latte. Ha concluso che la beta-caseina era una delle responsabili più probabili. Ha riportato i risultati del suo laboratorio, con 51% di coloro che soffrivano di diabete mellito di tipo 1 mostravano linfociti T che erano sensibili alla beta-caseina, contro il 2,7% dei controlli non-diabetici. Egli ha anche trovato che il 37% dei diabetici di tipo 1 mostravano anticorpi anti-beta-caseina, mentre solo il 5,6% dei controlli aveva questi anticorpi.

Un anno dopo, alcuni scienziati di Francoforte, diretti da S. Padberg, pubblicarono i risultati dei test sugli anticorpi confrontati tra diabetici e non-diabetici, non solo per la beta-caseina, ma anche per il tipo A1 e A2. Trovarono che i diabetici hanno alti livelli di anticorpi contro la beta-caseina di tipo A1, mentre i non-diabetici hanno alti livelli di anticorpi contro la beta-caseina A2. I risultati erano significativi con p<0,001.
Quindi gli Autori conclusero che questo studio potrebbe confermare l’ipotesi che “nel diabete mellito di tipo 1 c’è una scarsa immuno-tolleranza al latte vaccino”, ossia il sistema immunitario confonde la BCM7 e le proprie molecole del trasportatore del glucosio GLUT-2. Dapprima il corpo produce anticorpi contro la BCM7 e poi, per errore, attacca anche le cellule-beta del pancreas, perché queste cellule sono produttrici di  molecole con la stessa sequenza aminoacidica della parte terminale della BCM7.

La relazione patogenetica tra cereali e diabete mellito di tipo 1
Il problema dei cereali è correlato al glutine che contengono. Il glutine è la principale proteina nel grano, ed è anche presente nell’orzo e nella segale, ma non nel mais. E’ il costituente della farina che conferisce elasticità al pane quando lievita. A oggi sono conosciute due proteine del glutine: glutenina e gliadina. Quando la gliadina viene parzialmente digerita, può formare alcuni peptidi oppioidi, di cui il più importante è la gliadomorfina (nota anche come gliadorfina e gliadinomorfina).

Il punto importante della questione è che la gliadomorfina ha una struttura molto simile alla BCM7. Entrambe presentano 7 aminoacidi; entrambe hanno una tirosina seguita da una prolina; entrambe hanno una prolina in posizione 4 e 6. Nonostante alcune lievi differenze, gli scienziati le considerano omologhe, simili fra loro, soprattutto per il numero di patologie con cui pare siano correlate. Infatti, una delle strategie più raccomandate per ridurre il rischio di patologie auto-immuni nelle persone a rischio è mantenere un’alimentazione priva di caseina e priva di glutine (GFCF diet).

Perché l’incidenza di diabete mellito di tipo 1 sta aumentando?
Non esiste una risposta chiara a questa domanda, ma scienziati come Bob Elliott e Dr. Andrew Clarke della Corporazione A2 hanno ipotizzato che il motivo risieda nella glicazione della BCM7. Nel 2007, Bob Elliott pubblicò uno studio sulla rivista Medical Hypotheses. La glicazione è un processo in cui il glucosio e altri zuccheri reagiscono con le proteine, formando proteine modificate dallo zucchero, chiamate prodotti della glicazione avanzata (AGE). Gli AGE, secondo numerosi studi, sono correlati ad un vasto numero di malattie degenerative. La BCM7 glicata è uno di questi prodotti AGE, i cui livelli sono aumentati dai moderni processi alimentari, come il trattamento del latte a temperatura ultra-alta (UHT, molto comune in Europa), l’uso dell’acido ascorbico nei prodotti confezionati per il processo di conservazione in scatola e dal livello sempre maggiore di bibite zuccherate consumate dai bambini. Solo il tempo ci dirà se questa è la risposta.
(…)

Tratto dal libro: “Diabete” di Marcello Pamio

IL VIRUS DEL MORBILLO SCONFIGGE IL CANCRO. MA CI SI OSTINA A SCONFIGGERE IL VIRUS DEL MORBILLO!

Distruggere il tumore utilizzando una dose massiccia di virus del morbillo, che riesce a infettare e uccidere le cellule cancerose, risparmiando i tessuti sani. Sono riusciti a farlo i ricercatori statunitensi della Mayo Clinic di Rochester, in Minnesota, in una prima prova effettuata su due pazienti malate di mieloma multiplo che non rispondevano alle altre terapie disponibili e avevano già avuto diverse ricadute.

In particolare, una delle due donne, una 49enne che lottava con la malattia da nove anni, pare essere in remissione completa da sei mesi, per cui gli studiosi sperano possa essere sulla via della guarigione. Anche l’altra partecipante alla sperimentazione, una 65enne malata da sette anni già sottoposta a vari trattamenti senza successo, ha beneficiato della cura, con una riduzione sia del tumore a livello del midollo osseo che delle proteine di mieloma. L’articolo è per ora comparso sulla rivista edita dallo stesso ospedale in cui lavorano i ricercatori, Mayo Clinic Procedeenigs  ma la ricerca prosegue e gli studi sono promettenti.

“Purtroppo” si tocca un tasto dolente e si porta alla luce una contraddizione, forse per questo le riviste mediche “di grido” e “sponsorizzate” nicchiano a pubblicare l’esito dello studio! La popolazione è oggetto di una campagna di promozione massiccia per intensificare ancora di più la diffusione del vaccino contro il morbillo, da anni si dice che il virus del morbillo va eradicato e che è da considerare peggio della peste bubbonica, poi…si scopre che sconfigge il cancro. Ma ormai i bambini non si ammalano nemmeno più di morbillo. Si ammalano però sempre più di cancro. Ci pare un ottimo spunto su cui riflettere.

Fonte: ASSIS – Associazione di Studi e Informazione sulla salute.

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