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Non è facile riuscire a fare i conti con le perdite, le assenze, i dolori del passato, né riuscire a convivere con i fantasmi che dal passato inesorabilmente riemergono. Lo sa bene chi ha vissuto un evento sismico, così come impara, nel silenzio della propria distruzione, che se la vita non è altro che un esile filo che ci assicura gli uni agli altri, occorre adoperasi affinché questo filo non sia inesorabilmente difettoso, fragile ,scivoloso, come corroso dal sale. La parola “terremoto” evoca immagini di rovine, di morte e di sofferenze ma si tratta di sensazioni, per così dire, emotive che riducono il fenomeno al suo aspetto violento nei confronti dell’uomo indifeso. Il terremoto in realtà produce danni di ben più ampie proporzioni, e conseguenze molto più preoccupanti di quello che comunemente la gente pensa. Il terremoto è un evento drammatico che, oltre a lutti e distruzione, induce effetti psicologici inseribili in diverse categorie nosografiche: disturbo post-traumatico da stress (PTSD), disturbo depressivo maggiore (MDD), abuso d’alcol, disturbi d’ansia e di somatizzazione, problemi comportamentali, disturbi della performance e della reattività psicologica.

Naturalmente la maniera con cui si è vissuto il trauma (permanenza o meno sotto le macerie, lutti, perdita totale o parziale di case ed altri averi, ecc.), le reazioni, gli adattamenti e il meccanismo della memoria, essendo variabili ed individuali, hanno prodotto espressioni le più diverse. In altre parole, come già segnalato in varie passate esperienze, l’adattabilità allo stress è individuale e si manifesta già dalle prime fase dopo l’evento. Il soggetto che “riceve” l’evento può essere, rispetto all’impatto con l’evento stesso, malleabile, cioè avere la capacità di adeguarsi e adattarsi alle situazioni mutevoli, o resistente, cioè non avere la capacità di riprendersi rapidamente. La malleabilità e la resistenza agli effetti disadattativi dell’evento stressante si collegano a diversi fattori: la fase dello sviluppo, nella quale si inserisce l’evento, che ha un’importanza cruciale; la presenza di una figura significativa che svolga funzioni di accudimento e protezione. La differenza, per esempio, tra l’adattamento di un bambino e quello di un adulto consiste nel fatto che il comportamento dell’adulto si altera sotto l’influenza dell’esperienza, mentre l’esperienza fornisce una cornice organizzativa per il bambino. Dal momento che il cervello del bambino è plastico nella prima infanzia, egli risulta vulnerabile agli eventi in questo periodo. Infatti i sintomi specifici che un bambino può sviluppare in seguito all’esposizione a traumi o violenze, possono essere molto diversi, a seconda di svariati fattori quali la natura, la frequenza, le caratteristiche e l’intensità della violenza subita, la capacità di adattamento del bambino e la presenza di fattori protettivi, per esempio un buon supporto familiare.

Ma qui intendiamo sviluppare un diverso approccio, sulla base di esperienze condotte con la mediazione della Medicina Cinese, per la quale, da un lato vi è sempre una precisa correlazione fra sintomo e causa profonda, confermata dal vissuto personale e, d’altro, lo scopo del vero atto medico (cioè guaritorio) deve andare al di là della semplice cancellazione del dolore o della scomparsa dei sintomi, incentrandosi sulla ricerca del fattore responsabile dei disturbi. In questo modo essa è la forma più antica di “metamedicina”, termine coniato di recente nel lessico comune, ma antico nei contenuti sostanziali, formato dal prefisso greco meta, che significa “al di là” e dal sostantivo “medicina”, intesa come “l’insieme dei mezzi messi in atto per prevenire, guarire e alleviare le malattie”. La metamedicina, che è per la scienza moderna conquista recente, va al di là della semplice cancellazione del dolore o della scomparsa dei sintomi, incentrandosi sulla ricerca del fattore responsabile dei disturbi.

Ciò che importante sottolineare è che in metamedicina, il dolore, il malessere o l’affezione sono considerati segni precursori dell’incrinarsi dell’armonia in una parte dell’organismo, e far scomparire questi segnali senza ricercare l’informazione di cui sono forieri sarebbe come disinserire l’allarme antifumo dopo che ha rilevato un focolaio d’incendio. Ignorando l’allarme, rischiamo di trovarci nel bel mezzo delle fiamme ed è precisamente quanto fanno coloro che inghiottono un farmaco senza cercare di capire quale sia l’origine del segnale. In definitiva, l’atto metamedico aiuta a ricostruire la storia di un disturbo, di una malattia o di un mal-essere profondo, risalendo, per quanto possibile, alla comparsa dei primi sintomi e, a questo scopo, usando le chiavi che orientano il “colloquio pertinente”, necessario per scoprire la o le cause del male. Ora va detto che, la Medicina Cinese, attraverso la simbologia del corpo, è un atto pienamente metamerico, che può condurre, a volte, a guarigioni rapidissime o, più spesso, a guarigioni che sono il risultato di un processo di lenta e progressiva trasformazione. Secondo la filosofia taoista, alla base del pensiero medico classico, tutto ciò che esiste partecipa della natura dei due principi fondamentali, lo yin e lo yang, combinati in varia misura in tutte le sostanze. A poco a poco, lo yang è stato identificato col Dao. Il Dao è un temine assai vago, e difficile a rendersi. Significa “via, strada, principio, metodo, dire…”, ma conviene lasciarlo non tradotto, tanto più che dagli stessi filosofi taoisti – perché il Taoismo è una filosofia e una religione – lo ritengono indefinibile. Dargli un nome (ming) infatti presupporrebbe assegnargli un posto in questo mondo gerarchizzato, mentre esso è per sua natura al di fuori di ogni categoria, incommensurabile, infinito, immenso. Esso è il principio trascendente e immanente dell’universo, anteriore alla creazione di questo, presente dovunque sotto molteplici aspetti, secondo un processo spontaneo di continuo ritorno alle origini. Tutto deriva dal Dao e tutto ritorna ad esso; la vita e la morte si alternano in un movimento ciclico per cui il non-essere diventa essere per poi tornare non-essere. Il saggio si adegua al ciclo universale dell’essere e del non essere, conformandosi al suo ritmo senza contrastarlo o interferire, con un contegno che ripropone il non-agire teorizzato da Krishna ad Arjuna nella Bhagavad Gita.

I trattamenti medici (agopuntura, massaggio, fitoterapia o meditazione consapevole), hanno come scopo quello di porre il corpo e la mente in condizioni di non opporsi ai cambiamenti, affinché si possa, anche dopo un trauma violento, ricostruire un proprio equilibrio. In questo modo l’uomo viene ricollocato nell’alveo del grande fiume dell’universo e questo permette all’individuo, sintonizzando i suoi ritmi vitali con quelli universali, di superare i drammi ed i dolori, evitando le offese ed il logorio del tempo e delle malattie. Ma, qui va precisato cosa di intende per guarigione nella specifica prospettiva da noi proposta. Guarigione è un termine greco che significa “sono attento a”, “mi prendo cura di” ed un atto globale indirizzato all’intera personalità, che implica la purificazione ed il ripristino della forza vitale psico-fisica dell’uomo. Mentre in questo nostro tempo utilizziamo molte forze materiali per guarire la materia corporea ma dimentichiamo spesso che la forza vivente ha in Sé anche una natura spirituale (cioè non materiale) che deve essere sempre utilizzata nel percorso di guarigione; per la Medicina Cinese è lo spirito sereno e purificato da paure, angosce, rabbie, carico di ottimismo e progettualità, la Forza interiore che dirige la guarigione. La ricerca di pace, di serenità, di bellezza e amore è una ricerca nel percorso di guarigione morale e fisica. Il corpo diviene il tramite, per lo spirito umano, di esprimersi e riflette la forza, o la caduta momentanea di essa, in quel determinato momento. L’atto medico (con aghi, massaggio, piante, ecc.), favorirà l’integrazioni fra la nostra mente, il nostro cuore ed il nostro corpo, affinché essi possono spaziare e scegliere le esperienze più giuste, capaci di cancellare non il passato, ma ciò che esso a prodotto in noi. Va chiarito che dolore, dal radicale dar-dol = tagliare, spaccare, fendere, lacerare, può essere definito come ciò che, in qualunque modo interrompe il fluire del benessere della persona umana ed ogni intervento che ricomponga il fluire riesce a lenire questo dolore, sia fisico che morale o spirituale. Ma il dolore è anche una occasione per riflettere, comprendere e quindi crescere nella consapevolezza.

Con l’aiuto del terapeuta il paziente sarà invitato a riflettere su questi fatti: il dolore contiene molti nuclei di forza utili a creare e ricreare; ci fa vedere come stanno esattamente le cose della vita: ciò che è importante e ciò che lo è meno; ci fa capire dove stiamo noi e cosa urge fare; ci obbliga ad annientare ciò che fino a quel momento ci è stato utile ma ora non basta più; e questo sia nell’ordine di chi siamo, che nell’ordine di ciò che abbiamo; ci spinge a desiderare, volere ed attuare una nostra diversa identità nel sentirci, nel pensarci, nel comportarci. Il dolore deve anche essere occasione per uno “sguardo dal di fuori”, che ci assista nella visione del mondo quando sembra del tutto distrutto e senza speranza, un mondo che muta al passaggio di persone coraggiose e che, grazie al coraggio di ciascuno, può essere ricostruito.  E deve accomunarci il dolore, non dividersi fra invidie, sospetti e rancori, spezzare le radici del male, svellere quel tanto che piega il mondo all’oscurità della separazione dei suoi figli.

L’intervento terapeutico deve aiutare a rompere la tentazione di cadere vittime in un mondo in cui il più forte uccide il più debole, un modo privato di ogni atto d’amore, da fare invece riemergere come un relitto nel naufragio della nostra buona coscienza. Per una relazione di aiuto tesa a lavorare all’interno di un quadro di riferimento olistico è pertanto fondamentale che non ci sia scissione fra interventi fisici e psicologici, capaci di creare la condizione che porti ad unità verso gli altri e a un vero cambiamento dentro di noi. La maggior parte degli approcci alla relazione d’aiuto vedono corpo e psiche come entità distinte, con l’approccio verbale capace di un aiuto psichico e terapie fisiche per la parte corporale. Le tecniche esterne ed interne della Medicina Cinese, invece, mirano ad un’azione simultanea e integrata, non solo psico-fisica, ma anche spirituale.

Agopuntura newsletter marzo 2015

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