Nel 1993, lo scienziato Bob Elliott notò che i bambini della Samoa che andavano a vivere in Nuova Zelanda erano molto suscettibili al diabete di tipo 1, mentre quelli che restavano nelle isole di Samoa avevano un’incidenza molto bassa di questa patologia. La differenza può essere espressa solo da un fattore ambientale o di alimentazione. Elliott sospettò che fosse correlata al consumo di latte, che era più basso a Samoa.
Quindi studiò la biochimica e composizione del latte vaccino.
La composizione del latte vaccino
Il latte vaccino è composto da circa un 87% di acqua e un 13% da solidi:
– grassi (panna)
– minerali
– solidi lattei, rappresentati dagli zuccheri (lattosio) e dalle proteine, che sono: l’alfa-caseina, la beta-caseina, la kappa-caseina e le proteine sieriche. La beta-caseina è la proteina presente nella percentuale maggiore.
La beta-caseina
Ci sono due principali tipi di proteina beta-caseina, note come A1 e A2. Esistono anche altre varianti minori oltre a questi due tipi, ma attualmente non sono conosciuti.
Le beta-caseine trovate nel latte vaccino sono composte da 209 aminoacidi in una sequenza fissa e la differenza tra tipo A1 e A2 sta in un singolo aminoacido. Infatti mentre il latte A1 ha un aminoacido istidina in posizione 67, il latte A2 in quella posizione ha una prolina.
La prevalenza tra la proteina beta-caseina A1 e A2 varia dalla razza delle mucche e anche dalla regione. Nel mondo occidentale è diffuso il tipo A1, dalla sottospecie Bos taurus (foto 1 nel libro).
Le vacche asiatiche della sottospecie Bos indicus (foto 2 nel libro) non producono invece beta-caseina di tipo A1.
Le vacche africane (foto 3 nel libro), anche se sono soprattutto Bos taurus, non producono comunque beta-caseina A1.
Gli scienziati ipotizzano che circa 8000 anni fa sia avvenuta una mutazione aminoacidica in posizione 67, dove la prolina è stata sostituita dall’istidina.
Ad oggi è noto che due meccanismi patogenetici principali della relazione tra latte vaccino e diabete mellito di tipo 1 sono:
– l’attività oppioide della beta-casomorfina-7, che compromette lo sviluppo dell’immunità intestino-associata
– il mimetismo molecolare tra la beta-caseina e un epitopo del trasportatore GLUT-2, con il conseguente sviluppo di autoanticorpi capaci di colpire le cellule-beta del pancreas.
L’attività oppioide della beta-casomorfina-7
Bob Elliott volle investigare se il rischio di sviluppare diabete di tipo 1 dipendesse dalla quota di latte che era stato bevuto e dalla proporzione della proteina A1 nel latte. Il fattore di rischio sarebbe quindi la quota di latte moltiplicato per il proprio contenuto di A1.
Egli studiò il problema con un approccio epidemiologico, confrontando l’incidenza della patologia con l’assunzione di latte A1 e A2 per ciascuna regione (figura 4).
Figura 4: Incidenza del diabete mellito di tipo 1 e introito di proteine del latte, da Laugesen e Elliott, New Zealand Medical Journal 116 (1168), 2003.
L’84% della variazione dell’incidenza del diabete può essere spiegata dalla variazione dell’introito di beta-caseina A1. E’ una relazione molto forte. Il grafico è simile comprendendo o meno nell’analisi il formaggio.
Bob Elliott fece uno studio su animali, aiutato dal Dr. Jeremy Hill, in cui somministrò i due diversi tipi di beta-caseina a topi. I topolini nutriti con la beta-caseina di tipo A2 non svilupparono il diabete di tipo 1, mentre il 47% di quelli nutriti con il tipo A1 divennero diabetici dopo 250 giorni. Egli scoprì anche che somministrando il naloxone con la beta-caseina A1 questo effetto si annullava. Il naloxone è un antagonista degli oppiodi, ossia blocca l’effetto narcotico degli oppioidi.
La differenza tra beta-caseina di tipo A1 e A2, sta nel rilascio di una molecola chiamata beta-casomorfina-7 (BCM7), un potente oppioide già pubblicato nel 1985 (figura 5). Gli effetti negativi della beta-caseina A1 sarebbero correlate all’attività oppioide della BCM7.
Figura 5: il rilascio della BCM7.
Il latte umano contiene meno dell’1% della BCM7 contenuta nel latte vaccino di tipo A1.
I neonati possono assorbirla visto che le loro pareti intestinali permettono facilmente il passaggio di molecole grandi al flusso sanguigno.
Questa è la forma in cui sono capaci di assorbire il colostro della madre.
Dato che devono assorbire i complessi macromolecolari del colostro, i neonati hanno una mucosa intestinale assai permeabile, che li rende più suscettibili ai danni della BCM7.
(Figura 5: il rilascio della BCM7)
La BCM7 rappresenta un fattore infiammatorio sull’epitelio vascolare, stimola la produzione di muco dalle mucose ed ha affinità per i recettori μ e δ, esplicitando quindi attività oppioide.
David Chamberlain, dall’Istituto di Ricerca Hannah in Scozia, condusse un team di scienziati per osservare cosa accade quando le beta-casomorfine (inclusa la BCM7) vengono infuse direttamente nell’abomaso (una parte del rumine) delle vacche. Essi hanno trovato che le beta-casomorfine abbassano la risposta insulinica del pancreas e credono che questo dipenda direttamente da un effetto oppioide diretto.
La BCM7 inoltre ha una correlazione in diversi studi con il diabete di tipo 1, ipercolesterolemia, intolleranza al lattosio, alterazioni neurologiche come l’autismo, la sindrome di Asperger e la schizofrenia.
Il mimetismo molecolare tra la beta-caseina e un epitopo del trasportatore GLUT-2
La logica dietro quest’affermazione risiede nella in una sequenza di aminoacidi (un peptide) nella beta-caseina bovina che è molto simile con una sequenza aminoacidica contenuta nel GLUT-2, la molecola che trasporta il glucosio all’interno delle cellule-beta del pancreas (figura nel libro), che producono l’insulina. Infatti, la sequenza dei quattro aminoacidi (Prolina-Glicina-Prolina-Isoleucina) è identica.
Lo scienziato italiano Paolo Pozzilli ha suggerito che questa sequenza e i frammenti più lunghi di beta-caseina che la contengono “sono responsabili per l’induzione di una risposta immunitaria contro la caseina che, per cross-reattività, sarebbe diretta contro la sequenza omologa dei GLUT-2, causando danno alle cellule che producono l’insulina”.
Nel 1999, Pozzilli ha pubblicato una review che includeva la relazione tra diabete mellito di tipo 1 e le singole proteine del latte. Ha concluso che la beta-caseina era una delle responsabili più probabili. Ha riportato i risultati del suo laboratorio, con 51% di coloro che soffrivano di diabete mellito di tipo 1 mostravano linfociti T che erano sensibili alla beta-caseina, contro il 2,7% dei controlli non-diabetici. Egli ha anche trovato che il 37% dei diabetici di tipo 1 mostravano anticorpi anti-beta-caseina, mentre solo il 5,6% dei controlli aveva questi anticorpi.
Un anno dopo, alcuni scienziati di Francoforte, diretti da S. Padberg, pubblicarono i risultati dei test sugli anticorpi confrontati tra diabetici e non-diabetici, non solo per la beta-caseina, ma anche per il tipo A1 e A2. Trovarono che i diabetici hanno alti livelli di anticorpi contro la beta-caseina di tipo A1, mentre i non-diabetici hanno alti livelli di anticorpi contro la beta-caseina A2. I risultati erano significativi con p<0,001.
Quindi gli Autori conclusero che questo studio potrebbe confermare l’ipotesi che “nel diabete mellito di tipo 1 c’è una scarsa immuno-tolleranza al latte vaccino”, ossia il sistema immunitario confonde la BCM7 e le proprie molecole del trasportatore del glucosio GLUT-2. Dapprima il corpo produce anticorpi contro la BCM7 e poi, per errore, attacca anche le cellule-beta del pancreas, perché queste cellule sono produttrici di molecole con la stessa sequenza aminoacidica della parte terminale della BCM7.
La relazione patogenetica tra cereali e diabete mellito di tipo 1
Il problema dei cereali è correlato al glutine che contengono. Il glutine è la principale proteina nel grano, ed è anche presente nell’orzo e nella segale, ma non nel mais. E’ il costituente della farina che conferisce elasticità al pane quando lievita. A oggi sono conosciute due proteine del glutine: glutenina e gliadina. Quando la gliadina viene parzialmente digerita, può formare alcuni peptidi oppioidi, di cui il più importante è la gliadomorfina (nota anche come gliadorfina e gliadinomorfina).
Il punto importante della questione è che la gliadomorfina ha una struttura molto simile alla BCM7. Entrambe presentano 7 aminoacidi; entrambe hanno una tirosina seguita da una prolina; entrambe hanno una prolina in posizione 4 e 6. Nonostante alcune lievi differenze, gli scienziati le considerano omologhe, simili fra loro, soprattutto per il numero di patologie con cui pare siano correlate. Infatti, una delle strategie più raccomandate per ridurre il rischio di patologie auto-immuni nelle persone a rischio è mantenere un’alimentazione priva di caseina e priva di glutine (GFCF diet).
Perché l’incidenza di diabete mellito di tipo 1 sta aumentando?
Non esiste una risposta chiara a questa domanda, ma scienziati come Bob Elliott e Dr. Andrew Clarke della Corporazione A2 hanno ipotizzato che il motivo risieda nella glicazione della BCM7. Nel 2007, Bob Elliott pubblicò uno studio sulla rivista Medical Hypotheses. La glicazione è un processo in cui il glucosio e altri zuccheri reagiscono con le proteine, formando proteine modificate dallo zucchero, chiamate prodotti della glicazione avanzata (AGE). Gli AGE, secondo numerosi studi, sono correlati ad un vasto numero di malattie degenerative. La BCM7 glicata è uno di questi prodotti AGE, i cui livelli sono aumentati dai moderni processi alimentari, come il trattamento del latte a temperatura ultra-alta (UHT, molto comune in Europa), l’uso dell’acido ascorbico nei prodotti confezionati per il processo di conservazione in scatola e dal livello sempre maggiore di bibite zuccherate consumate dai bambini. Solo il tempo ci dirà se questa è la risposta.
(…)
Tratto dal libro: “Diabete” di Marcello Pamio
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