Nov 24, 2014 | AGOPUNTURA, ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
Attualmente vengono riconosciuti tre cervelli, il primo ubicato nella testa, il secondo nell’addome ed il terzo nel cuore. I tre cervelli sono collegati con le loro diramazioni finali alle tre parti e/o strati del cervello superiore (teoria dei tre cervelli secondo Paul MacLean: cervello rettile, emotivo e neocorteccia o cervello pensante + cervello).
Il cervello addominale: ha memoria, ha nevrosi e controlla quello più nobile. Il cervello posto nella testa è sede della coscienza, anche se spesso le decisioni “si prendono di pancia”, o dei centri nervosi ivi ubicati. Inoltre digerisce le emozioni ed è sede dell’intuito e incide anche sulla salute. Bisogna poi pensare che nell’intestino tenue sono presenti oltre 100 milioni di neuroni, numero quasi uguale a quello del midollo spinale. Mentre lo stomaco sottoposto a stress aumenta considerevolmente la produzione di grelina, ormone della fame. Inoltre dallo stomaco all’ano si dipanano circa 30 cm di duodeno, circa 5 metri di intestino tenue e 1,5-1,8 m. d’intestino crasso.
Per dirigere le quattro fasi della peristalsi di norma utilizziamo un secondo cervello. In più il cervello smista, mentre la testa invia scarse informazioni al sistema nervoso “intestinale” poiché è per la maggior parte indipendente. Infatti quasi il 90% delle informazioni percorrono la strada inversa, cioè dall’addome al cervello.
Nella parete intestinale poi, si celano due sottilissimi strati di sistema nervoso complesso, che è anche il secondo per dimensioni dopo quello della testa. Gli strati avvolgono il tratto digerente come fossero una fitta rete, perciò possono sincronizzare i movimenti peristaltici per far avanzare il cibo nell’intestino.
II compito del cervello addominale è anche quello di trasferire informazioni alla testa. Si tratta per lo più di input evidenti, come il vomito provocato dall’avvelenamento. Ma diversi altri “pensieri” sarebbero spontanei, coerenti alle emozioni, e inapprezzabili dalla coscienza ovvero inconsci. Dunque il cervello addominale, è completamente autonomo e invia più segnali al cervello (testa) di quanti non ne riceve. Fissa i ricordi legati alle emozioni, soffre di stress, si ammala e sviluppa proprie nevrosi. In più percepisce sensazioni, cogita e ricorda e ci aiuta a prendere decisioni. Nella clinica, uno dei disturbi di più frequente riscontro dello stomaco è la “nevrosi gastrica”.
Si può perciò affermare che la nevrosi gastrica non è una vera e propria malattia, infatti in questo caso lo stomaco del soggetto appare senza alcuna lesione organica ma il paziente solitamente lamenta disturbi assai fastidiosi come se presentasse una patologia più seria. In realtà si manifesta una disfunzione gastrica, non dovuta a malattia, in quanto quella parte del sistema nervoso che armonizza la sua attività, non porta a termine correttamente la sua funzione. Questo dimostra che l’eziologia della nevrosi gastrica è preponderatamente nervosa e/o psicologica, correlata a uno stile di vita non corretto o all’abuso di sostanze eccitanti tipo caffè, droghe, fumo o per un’alimentazione scorretta e non regolare (per esempio irregolarità dei pasti) con scarso apporto di frutta e verdura.
Dal punto di vista clinico si possono osservare sintomi riferiti alla sfera gastrointestinale, accompagnati da affaticamento, cefalea, palpitazioni, angoscia, sudorazione notturna, insonnia, incubi, amnesia, evacuazioni involontarie e altri sintomi tipici della nevrosi. Di solito si riscontra con più frequenza nei soggetti giovani o di mezza età. In Medicina Tradizionale Cinese la nevrosi gastrointestinale viene riportata come “dolore gastrico”, “vomito”, “eruttazioni”, “diarrea”, secondo la presenza di sintomi individuali. Frequentemente è dovuta ad alimentazione scorretta od anche a disarmonia tra Fegato e Stomaco, oppure alla anormale ascesa del Qi dello Stomaco o ancora a deficit e freddo nella Milza e nello Stomaco. Il principio terapeutico quindi consiste nel normalizzare la funzione del Riscaldatore medio e dello Stomaco, rinforzare la Milza e purgare il Fegato…
Nicolò Visalli – Olos e Logos
Nov 3, 2014 | ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, PILLOLE DI RIFLESSIONE
Dimostrata un’associazione tra consumo di elevate quantità di carboidrati ad alto indice glicemico, come ad esempio il pane bianco, e il rischio di essere colpiti da ictus.
Una dieta ad alto carico glicemico non solo aumenta il rischio di cancro ma anche quello di altre malattie cronico degenerative: questo è il risultato di uno studio condotto dai ricercatori dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano guidati da Vittorio Krogh, responsabile della Struttura complessa di epidemiologia e prevenzione, che ha messo in luce in particolare il rapporto tra il consumo di carboidrati ad alto indice glicemico, come pane bianco e zucchero, e l’insorgenza di ictus.
Il lavoro, pubblicato oggi sulla rivista scientifica PLOS ONE, fa parte del progetto EPICOR, studio sull’associazione tra dieta e incidenza delle malattie cardiovascolari in Italia che nasce come satellite del grande studio oncologico EPIC (European Investigation into Cancer and Nutrition) svolto in Italia su oltre 47000 volontari a cui l’istituto partecipa insieme ad altri 22 centri in 10 paesi Europei. E’ stato proprio nello studio EPIC che lo stesso gruppo di ricercatori aveva messo in evidenza come una dieta ad alto carico glicemico fosse associata ad un maggior rischio di tumore alla mammella (articolo pubblicato su Nutrition Metabolism and Cardiovascular Disease, aprile 2012 ).
EPICOR fa parte dei grandi studi epidemiologici condotti dall’Istituto Nazionale dei Tumori che hanno permesso di ottenere risultati non solo in campo oncologico ma anche nell’ambito di malattie non oncologiche quali quelle cardiovascolari.
Lo studio ha permesso di osservare che chi consuma in grande quantità carboidrati ad alto indice glicemico, come pane bianco, zucchero, miele, marmellata, pizza e riso ha un rischio più elevato dell’87% di essere colpito da ictus.
Sabina Sieri, biologa e nutrizionista dell’Istituto Nazionale dei Tumori di Milano, precisa: “Con questo lavoro l’indice glicemico degli alimenti si conferma un fattore importante nella definizione di una dieta sana.
Conoscere l’indice glicemico di un alimento e privilegiare il consumo di cibi a basso carico glicemico diventa quindi sempre più rilevante per la prevenzione delle malattie cronico-degenerative”.
Alimentazione, indice glicemico e rischio di ictus
L’indice glicemico di un alimento misura la velocità con cui il cibo fa aumentare i livelli di glucosio nel sangue. La “risposta glicemica” a ciascun pasto è influenzata non solo dall’indice glicemico dei singoli alimenti ma anche, in misura determinante, dal “carico glicemico” cioè dalla quantità di carboidrati in esso contenuto. Cibi ad alto contenuto di carboidrati ad alto indice glicemico sono, ad esempio, il pane, lo zucchero, la pizza, ma anche il riso; al contrario, hanno un alto contenuto di carboidrati a basso indice glicemico gli alimenti integrali, la pasta, i legumi e la frutta. Questi ultimi sono digeriti lentamente e quindi determinano un limitato picco della glicemia e una bassa risposta insulinica. Al contrario, il consumo di alimenti ad alto indice glicemico aumenta rapidamente la glicemia e la risposta insulinemica.
L’associazione tra il consumo di carboidrati ad alto indice glicemico e rischio di ictus scoperta da questo studio supporta l’ipotesi che un’elevata glicemia post-pranzo possa essere il meccanismo sottostante all’aumentato del rischio di ictus.
Lo studio EPICOR
Il progetto EPICOR, da cui nasce questa scoperta, fa parte del più vasto studio EPIC (European Prospective Investigation into Cancer and Nutrition). Obiettivo principale di EPIC è studiare il ruolo dei fattori alimentari e lo stile di vita (in particolare il fumo, il sovrappeso e l’obesità, e l’attività fisica) nella genesi dei tumori.
Questo studio ha coinvolto oltre 47.000 volontari sani, uomini e donne residenti in Italia (i centri di reclutamento sono stati Varese, Torino, Firenze, Napoli e Ragusa). Tra il 1992 e il 1996 si sono raccolte informazioni sulla dieta, lo stile di vita e lo stato di salute di questi volontari. Queste persone sono poi state seguite nel tempo raccogliendo informazioni sul loro stato di salute (ad esempio tramite i registri di patologie o le schede di dimissione ospedaliere).
Per la ricerca sul rapporto tra indice glicemico e ictus, dal 1996 al 2008 sono stati osservati 355 casi di eventi cerebrovascolari ed è dallo studio della dieta che queste persone consumavano prima di ammalarsi che si è scoperto come l’indice glicemico degli alimenti è un importante fattore di rischio per l’ictus.
L’Articolo scientifico:
“Dietary glycemic load and glycemic index and risk of cerebrovascular disease in the EPICOR cohort”. PLOS ONE. DOI: 10.1371/journal.pone.0062625
Redazione MolecularLab.it (23/09/2014 14:30:32)
Ott 27, 2014 | ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
L’insorgere di patologie respiratorie delle alte vie aeree nel bambino è molto più comune che nell’adulto e spesso accade che al manifestarsi di un primo episodio ne facciano seguito diversi altri. Generalmente la frequenza di recidive è inversamente proporzionale all’età e, nello stesso soggetto, va calando progressivamente dai 3 ai 6 anni.
E’ opinione molto diffusa che questo genere di patologia sia legato al sopraggiungere dei mesi più freddi, in realtà sono principalmente due la cause scatenanti: gli ambienti in cui il bambino abitualmente vive e le terapie alle quali è stato sottoposto al manifestarsi dei primi episodi. Si stima che circa il 6% di bambini sia affetto da patologie delle alte vie aeree recidivanti, con una maggiore incidenza del numero nei bambini che vivono in città rispetto a quelli che vivono in zone rurali.
L’approccio allopatico, costituito dall’impiego di antinfiammatori, antibiotici ed antipiretici, mentre da un lato elimina la sintomatologia, dall’altro agisce negativamente sulla capacità di reazione del sistema immunitario.
In modo particolare, la grande diffusione di un approccio terapeutico basato sull’impiego di antibiotici che esercitano la loro azione disgregando la parete cellulare dei microrganismi, ha causato l’adattamento di alcuni di questi ultimi che si sono riprodotti sviluppando forme mutate prive di parete cellulare; in questo modo non solo viene vanificato l’attacco degli antibiotici, ma anche le metodiche laboratoristiche per l’individuazione dei ceppi batterici si rivelano inefficaci.
La risposta immuno-isopatica al diffondersi di queste mutazioni batteriche è rivolta sia alla prevenzione che alla cura delle patologie recidivanti tramite un’azione mirata al potenziamento delle difese immunitarie dell’organismo. In tale ottica, i medicinali immuno-isopatici vengono impiegati sia per la prevenzione che per la terapia delle infezioni ricorrenti modulando la risposta immunitaria. In sostanza viene provocata ed aumentata la reattività delle cellule immunitarie in previsione di un attacco di patogeni.
Da Medicina Integrata – Settembre
Ott 22, 2014 | ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
Nuove discipline hanno trasformato il modo di pensare di molti medici, ricercatori e pazienti. Oggi siamo in grado di riconoscere e di attivare il potenziale di autoguarigione insito in noi, attraverso conoscenze che risultano sia dalla summa di profondi e antichi insegnamenti spirituali, sia da nuovi e sorprendenti dati della ricerca scientifica
Da lunghissimo tempo nella comunità scientifica si discute sulla relazione mente-corpo. Per molti anni, chi ha negato il ruolo della psiche nella genesi, nella cura e nella guarigione dalla malattia, ha avuto buon gioco nel contrastare quelle che erano solo casistiche aneddotiche o teorie prive di una comprovata validazione.
Un’immagine emblematica di come funzionano i neuroni specchio.
Oggi le cose sono mutate. Le neuroscienze, con lo studio del funzionamento del sistema limbico e della corteccia prefrontale, con la scoperta dei neuroni specchio e della neuroplasticità, la psiconeuroimmunologia (PNEI), con gli studi sulla ricaduta che le emozioni hanno sul sistema immunitario, endocrino e nervoso, e la fisica quantistica, con gli studi sorprendenti sul funzionamento energetico sotteso alla materia, hanno già trasformato profondamente il modo di pensare di molti medici, ricercatori e pazienti.
L’atteggiamento riduzionista che periodicamente riappare, di fronte alle sfide che a tutt’oggi le malattie oncologiche, le patologie degenerative e autoimmuni e i disturbi mentali cronici ci pongono, non può più essere adottato e la malattia deve essere ricollocata nella storia della persona che la vive e quindi in una rete psicofisica o unità psiche-soma. Geni, ambiente, alimentazione, stress e stili di vita, ma anche traumi, emozioni collegate alla nostra stessa biografia e capacità di gestirle in resilienza sono fattori tutti interconnessi nei processi di malattia e guarigione.
La nuova medicina integrata
La nuova medicina integrata ha ormai recepito molto chiaramente che la biologia di un individuo è il riflesso della sua biografia e che la psiche e le emozioni inconsce hanno un ruolo determinante in questa dinamica; e che esiste oggi un ponte tra scienza e coscienza capace di guidarci alla profonda comprensione di questi meccanismi.
Oggi siamo in grado di riconoscere ad attivare il potenziale di autoguarigione insito in noi e di farlo attraverso conoscenze che risultano sia dalla summa di profondi e antichi insegnamenti spirituali, sia da nuovi e sorprendenti dati della ricerca scientifica. Il coraggio e l’apertura mentale si possono sposare al rigore intellettuale e alla conoscenza scientifica, aprendo le porte ad un nuovo livello evolutivo degli esseri umani, con nuovi modi di pensare e gradi di libertà interiore ed esistenziale assai maggiori di tempo fa.
Oggi la medicina tiene conto anche della dimensione energetica dell’individuo.
Il grado di conoscenza scientifica che abbiamo raggiunto ci conduce ai lembi estremi della materia e porta la medicina stessa a parlare di energia e di anima come fulcro della guarigione. I processi di guarigione vengono così ad essere riformulati fino a mutare radicalmente le vecchie credenze, che vedevano la malattia come danno di un pezzo del nostro corpo-macchina. La malattia appare oggi nella sua essenza più vera di messaggero che dall’intelligenza del corpo, dai cervelli del cuore e dell’intestino che dialogano con il cervello della testa, giunge a mostrarci, attraverso la biologia, il senso più profondo della nostra biografia e la necessità di una trasformazione che ci conduca più vicino alla nostra Essenza.
Il dato entusiasmante, per il medico, il ricercatore e per noi tutti, è che i meccanismi con cui la malattia fa questa operazione alchemica oggi sono spiegabili in termini cellulari e biochimici e possono essere resi accessibili a un numero crescente di persone, offrendo a chiunque voglia la possibilità di trasformare ciò che viene comunemente definita “malattia” in una straordinaria esperienza di crescita interiore e realizzazione.
In questo senso dunque la mal-attia è ben-attia, ossia occasione di guarigione.
I sette principi della guarigione
La guarigione passa così dal comprendere i concetti fondamentali della profonda unità di psiche e soma, del ruolo che le emozioni inconsce hanno nei processi di malattia e guarigione, della nostra essenza energetica e del ruolo che l’Anima, non solo come costrutto psichico, ma persino come correlato cerebrale, ha nel determinare la guarigione completa della persona.
Giungiamo così a definire sette principi della nuova Medicina Integrata, con solide basi scientifiche, in grado di spiegare l’intero network umano nell’ottica delle relazioni bidirezionali tra dimensione psichica e sistemi biologici.
Sono questi principi, basati sulle conoscenze neuroscientifiche riguardo al sistema limbico, al cervello del cuore e dell’intestino, alla corteccia prefrontale, alla neuroplasticità, fino all’essenza vibratoria del DNA e delle proteine del nostro corpo, a guidarci nel favorire l’autoguarigione.
Da questi principi discendono tecniche di lavoro con livelli significativi di efficacia scientificamente assodata, che ci permettono di riconoscere e curare la componente emotiva nella genesi e progressione della malattia, di riconoscere e trattare la componente energetica e di apprendere le strategie comportamentali, emotive, esistenziali che possiamo utilizzare fin da ora per apprendere e favorire l’autoguarigione.
Mai prima d’ora era stata attuata una sintesi così efficace e rigorosa di neuroscienze, medicina quantistica e discipline psicologiche e spirituali. Questo apre le porte ad una reale speranza e ad una profonda gioia.
Nuovi medici, nuovi pazienti
La diagnosi integrata e l’integrazione sinergica dei trattamenti sono oggi realtà possibili e questo è davvero un momento gravido, di nuova medicina, per nuovi medici e nuovi pazienti, che decidono di compiere assieme un profondo viaggio di grande consapevolezza.
Durante i miei studi universitari m’interrogavo sul miracolo della guarigione invece che soltanto sui meccanismi della malattia: quindici anni dopo mi sono ritrovata a scrivere un testo che definisce i pilastri fondamentali della Nuova Medicina Integrata e, alla luce di questi, propone la visione della malattia come un viaggio che svela i segreti che legano corpo, emozioni, mente e spirito. La malattia dunque come strumento intelligente, come occasione di risveglio.
Si tratta infatti di un viaggio che termina con lo svelamento dell’essenza della guarigione, che è, in ultima analisi, spinta alla ricerca della felicità interiore, quella che secondo le scienze dello spirito deriva da un profondo salto di consapevolezza, che nelle Neuroscienze corrisponde all’attivazione della coerenza cerebrale e cardiaca e nella medicina quantistica all’equilibrio della risonanza energetica in noi.
Linguaggi diversi, oggi unificati ed integrati in un nuovo paradigma medico serio e possibile. La medicina che tutti avrebbero voluto incontrare quando hanno vissuto uno stato di malattia è oggi una realtà che tutti dovrebbero conoscere.
di Erica Poli
Ott 20, 2014 | ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA, PILLOLE DI RIFLESSIONE
Attualmente uno dei più importanti problemi psico-neurologici in età pediatrica è la Sindrome da Deficit di Attenzione e Iperattività-Impulsività (ADHD), caratterizzata da disattenzione , distraibilità, impulsività e, in certi casi, iperattività: si manifesta prevalentemente in età scolare con maggior incidenza nel sesso maschile. L’incidenza è in continuo aumento, soprattutto nei bambini delle aree urbane. Anche in Italia questa sindrome sta diventando più frequente: si calcola che 1 alunno su 25 ne sia affetto. L’eziologia dell’ADHD è ancora oggetto di studio, e l’impostazione terapeutica, volendo proporre un approccio integrato di tipo omeopatico, sarà personalizzata, basata sull’analisi degli specifici sintomi alla luce di quelli che si presumono essere i fattori etiologici. Dovremo distinguere fattori eziologici endogeni e esogeni.
I fattori endogeni sono legati alla costituzione del bambino che influenzerà le manifestazioni esprimendo la letargia e la scarsa attenzione nel bambino carbonico, piuttosto che incostanza ed esauribilità nel bambino fosforico, eccessiva disattenzione e scarse capacità logiche nel bambino sulfurico, atteggiamenti bizzarri, facile annoiabilità e atteggiamenti autodistruttivi nel fluorico. Importanti sono i deficit nutrizionali, in particolare la carenza di Ferro, causa di diminuzione dell’attenzione, della perseveranza e dell’attività volontaria; il deficiti di Zinco correlato, oltre che all’insonnia, anche alle problematiche legate all’apprendimento, alla tendenza alla violenza e alla riduzione del quoziente intellettivo. E’ stata notata da alcuni ricercatori anche una stretta correlazione tra le problematiche nell’ apprendimento del bambino e gli accumuli organici di Piombo, Mercurio, Cadmio, e Rame. Questi accumuli patologici possono essere legati sia all’ingestione di sostanze contenenti questi metalli pesanti, sia a carenze nutrizionali che determinerebbero l’accumulo di sostanze tossiche. Nel bambino con carente apporto di Calcio è frequente l’accumulo di Piombo; la carenza di Zinco porta a un possibile accumulo di Cadmio, Rame o Mercurio.
L’ADHD è correlato anche con situazioni famigliari sfavorevoli quali conflitti genitoriali e/o disturbi psichiatrici genitoriali. Il 10-35% ha una famigliarità per tali disturbi, così come una discreta percentuale di pazienti affetti da un’anamnesi positiva per difficoltà perinatali.
Da recenti studi emerge un deficit di concentrazione di neurotrasmettitori che provoca una reazione anomala agli stimoli ambientali.
Tra i più importanti fattori esogeni, per alcuni autori fra i quali Feingold, vi è una reazione allergica o di intolleranza a coloranti e conservanti contenuti in numerosi cibi o ad abusi di dolci a base di zuccheri raffinati, merendine industriali, salumi e cibi conservati di cui i bambini fanno largo consumo.
La corretta diagnosi è fondamentale; è importante per la definizione di una vera ADHD che i sintomi debbano:
- esordire prima dei 7 anni di età;
- durare da più di 6 mesi;
- essere evidenti in almeno 2 contesti della vita del bambino (casa, scuola, ambiente di gioco);
- causare significativa compromissione dello stato comportamentale generale del bambino.
E’ importante formulare sempre la diagnosi differenziata tra ADHD e le problematiche che facilmente possono essere confuse con questa sindrome quali:
– semplice vivacità;
– negligenza pedagocica legata a permissivismo e a tolleranza dei capricci;
– disfunzioni dello sviluppo;
– ritardo del linguaggio;
– disturbi emozionali;
– ritardo mentale;
– psicosi, schizofrenia, mania, depressione mascherata;
– fasi iniziali di un tumore cerebrale;
– sindrome di Gilles de la Tourette.
In particolare il bambino affetto da iperattività:
1. risponde prima di aver ascoltato l’intera domanda;
2. interrompe, interviene nelle attività e impone la propria presenza, ha loquacità
eccessiva;
3. non valuta le conseguenze dei propri comportamenti e non fa esperienza degli
errori commessi, può dedicarsi a giochi pericolosi senza valutarne le conseguen-
ze;
4. ha scrittura particolare con varie caratteristiche;
5. ipercinesia somatica.
Si tratta, quindi, di bambini incapaci di controllare i propri comportamenti. Il Defici di Attenzione è caratterizzato dal fatto che il bambino fatica a concentrarsi su un gioco o un compito perché ipersensibile agli stimoli esterni.
Un bambino che non presta attenzione e, quindi, non impara né dall’esperienza né dalla rielaborazione personale, rischia:
– cattivo sviluppo cerebrale e somatico;
– turbe della personalità (18-25%)
– ritardi di apprendimento e fallimento scolastico che portano a precoce
abbandono della scuola: dal 32 al 40% dei bambini ADHD non terminano
la scuola dell’obbligo; solo il 5-10% arriva all’Università;
– maggior frequenza di gravidanze prima dei 20 anni e di malattie trasmesse
sessualmente;
– problemi medici e sociali (guida spericolata, uso di droghe, alcool e fumo);
– difficoltà nell’instaurare rapporti interpersonali;
– problemi legali.
I sintomi di iperattività-impulsività solitamente migliorano col tempo ma, se prevale la disattenzione, tendono a prolungarsi in età adulta. Alcuni sintomi secondari come l’ansia possono aumentare con l’età…
Sarà utile ovviamente lavorare anche sulla dieta e sull’equilibrio intestinale… Il ripristino della flora intestinale e di una corretta risposta immune saranno quindi ai primi posti negli interventi curativi per questi disturbi…
L’aspetto dietetico, il problema delle intolleranze alimentari e degli squilibri metabolici, devono avere un ruolo nella programmazione della strategia terapeutica, ma sempre dovrà essere data giusta rilevanza all’assistenza psicologica di questi bambini e dei loro genitori.
da Omeopatia oggi 9/14
Set 12, 2014 | MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
Un recente studio del gruppo di Paolo Bellavite (Dipartimento di Patologia e Diagnostica dell’Università di Verona), riporta un effetto del medicinale Gelsemium sempervirens sulle cellule neuronali in coltura. L’articolo, pubblicato sulla prestigiosa rivista “BMC Complementary Alternative Medicine” il 19 marzo, è intitolato “Extreme sensitivity of gene expression in human SH-SY5Y neurocytes to ultra-low doses of Gelsemium sempervirens”. Autori, oltre a Bellavite, sono anche Marta Marzotto, Debora Olioso, Paola Tononi, Mirco Cristofoletti dell’Università di Verona e Maurizio Brizzi, professore di Statistica all’Università di Bologna che ha compiuto indipendentemente i calcoli. La ricerca è frutto di un accordo di collaborazione scientifica tra il Dipartimento universitario e Boiron.
Il Gelsemium è una pianta tradizionalmente utilizzata in alte diluizioni (dosi ultra-basse) nella cura di pazienti che, tra l’altro, presentano sintomi di ansietà e di stress. In precedenza, lo stesso gruppo veronese (con studi confermati da altri laboratori) aveva dimostrato che alte diluizioni di Gelsemium agiscono come “tranquillanti” in modelli sperimentali sul topo di laboratorio. Per cercare di capire il meccanismo d’azione, i ricercatori hanno utilizzato una potente tecnica di indagine, basata su un “microarray” in cui si può analizzare l’espressione di tutti i geni della cellula attraverso la quantità di RNA presente dopo il trattamento col medicinale oppure con una soluzione di controllo (“placebo”). Il modello sperimentale è stato quello di neuroni umani in coltura (una linea cellulare utilizzata spesso per questo tipo di studi, ma mai usata con diluizioni così alte).
L’esposizione per 24 ore al Gelsemium 2CH (seconda diluizione centesimale omeopatica), che contiene una quantità piccolissima di principio attivo della pianta (precisamente 6.5 × 10-9 M di gelsemina), ha causato la diminuzione significativa dell’espressione di 49 geni (su un totale di oltre 45.000 studiati!) facenti parte di diverse “famiglie” implicate nella trasmissione del segnale, nell’omeostasi del calcio e nella risposta infiammatoria. Tutto ciò rappresenta una prima identificazione di quelli che potrebbero essere i meccanismi coinvolti nei molteplici effetti terapeutici di tale rimedio. I più significativi di tali geni sono stati confermati anche con la tecnica della polymerase-chain-reaction.
Mentre l’identificazione di un gruppo di geni sensibili al farmaco è comunque una novità, la cosa straordinaria è che, considerando tali geni “ultra-sensibili” al Gelsemium, una piccola ma significativa diminuzione globale di attività dei neuroni , coerente con un possibile effetto ansiolitico, è stata osservata anche con diluzioni sempre più alte (3CH, 4CH, 5CH). I ricercatori si sono spinti fino alla 9CH e 30CH, in cui teoricamente a causa della diluizione ci sono pochissime (o nessuna nella 30CH) molecole del principio attivo. Naturalmente tale ricerca andrà approfondita, ma rappresenta una solida conferma del principio secondo cui la preparazione omeopatica mantiene l’“imprinting” dell’attività farmacologica delle sostanze naturali persino ad altissime diluizioni. È suggestivo sapere che il DNA dei neuroni umani è ultra-sensibile a tale tipo di regolazione.
Fonte: http://www.notiziariochimicofarmaceutico.it/2014/04/10/un-medicinale-omeopatico-agisce-sullespressione-genica-nelle-cellule-neuronali/