Giu 26, 2015 | ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
Abbiamo parlato della relazione fra glutine, celiachia e salute del fegato con il dott. Marco Silano, direttore del Reparto di alimentazione, nutrizione e salute dell’Istituto superiore di sanità e coordinatore del Board scientifico dell’Associazione italiana celiachia (Aic).
Parliamo della relazione fra celiachia e salute del fegato: a che punto è la ricerca?
È ormai consolidata la consapevolezza che elevati valori plasmatici di transaminasi possono essere un segno di celiachia e segnalare la necessità di un approfondimento in tal senso. In effetti oggi più del 20% dei pazienti celiaci alla diagnosi presentano livelli di transaminasi sopra la norma, per cui oggi l’ipertransaminasemia è vista giustamente come un campanello d’allarme e fra tutti gli esami che il medico deve prescrivere c’è anche la ricerca degli anticorpi specifici per la celiachia.
Come vengono interpretati questi valori?
Sono un sintomo di celiachia non trattata. Infatti dopo circa 6 mesi/un anno di dieta senza glutine nella maggior parte dei pazienti i valori tornano nella norma. Il problema invece riguarda quella piccola parte di celiaci, che nonostante la dieta, continuano a far registrare livelli elevati di transaminasi. Questi sono i soggetti su cui la ricerca si sta concentrando: quelli ai quali il glutine provoca un danno permanente al fegato.
Di che tipo di danno si tratta?
Nella maggior parte dei casi, nel momento in cui si elimina il glutine dalla dieta anche il suo effetto tossico sul fegato piano piano viene meno. In alcuni pazienti invece i livelli di transaminasi che rimangono elevati dopo una dieta senza glutine sono il sintomo di un danno permanente al fegato dovuto a un’epatite auto-immune, che si innesca proprio a causa del glutine che attacca non solo l’intestino, ma colpisce anche il fegato e le vie biliari.
C’è una connessione fra patologie autoimmuni e microbioma intestinale?
Al momento attuale, la ricerca scientifica ha ipotizzato un nesso tra microbioma intestinale – permeabilità intestinale e malattie autoimmuni e degenerative. Nello specifico della malattia celiaca, tuttavia, non ci sono ancora evidenze sperimentali che indichino con certezza che le modifiche del microbioma siano responsabili dello sviluppo di questa condizione.
Come si procede dunque con i pazienti con epatite?
I pazienti vengono seguiti nel tempo con monitoraggi periodici della funzionalità epatica nel suo complesso. Si prendono poi provvedimenti terapeutici ad hoc in funzione degli esiti delle analisi. Spesso le patologie autoimmuni del fegato coinvolgono anche le vie biliari, come nel caso per esempio delle colangiti sclerosanti. Queste condizioni possono in casi molto rari determinare quadri clinici gravi, fino all’insufficienza epatica.
Francesca De Vecchi
da Nutrizione 33
Mag 28, 2015 | AGOPUNTURA, ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
Parlare di “attacco di panico” vuol dire affrontare lo spettro della dissoluzione, della frantumazione della propria identità, delle certezze e delle difese che fino a quel momento hanno sorretto l’individuo e gli hanno permesso di mantenersi in un delicato equilibrio tra angosce e sicurezze. L’attacco di panico è una esperienza acuta e improvvisa di forte angoscia che, nonostante la natura transitoria, produce sensazioni intense, incombenti e dolorose. Il panico evidenzia lo stretto rapporto tra mente e corpo. È quest’ultimo a reagire, ad urlare con forza le proprie tragiche paure. Lo fa attraverso una sintomatologia fisica caratterizzata da senso di soffocamento, tachicardia, intensa sudorazione spesso associata a sensazioni di freddo, vertigini, tremore, dolore o fastidio al petto, nausea.
Sembra che oggi, nella nostra società ‘liquida’, il corpo abbia subito un’altra – l’ennesima – rimozione, sia stato nuovamente ‘inscatolato’ e reso ostaggio di logiche di consumo dove si afferma sempre più l’equivalenza corpo = merce. Non è un caso allora se oggi assistiamo a problematiche in cui il corpo ed il corporeo si fanno contenitore ed ultimo ricettacolo di quelle istanze esistentive negate, respinte e forcluse a livello psichico. (Fernando Maddalena)
La nostra esistenza si delinea all’interno di una matrice culturale di riferimento, con le sue pressioni e le sue aspettative. L’essere umano è da subito immerso in un sistema di relazioni, attraverso le quali struttura il proprio senso di sé e la sua sicurezza di base. Le figure di riferimento genitoriali, in questo contesto, sono le primissime forme di interazione e confronto con le quali l’individuo si relaziona. Dall’incontro e dallo scontro con le aspettative dell’esterno vengono ridefinite, e spesso stravolte, le caratteristiche intrinseche dell’individuo, in una continua negoziazione tra bisogni di sicurezza ed accudimento e necessità di autorealizzazione, libertà, autenticità ed indipendenza.
L’individuo sofferente, è infine costretto da più fronti a ricorrere alla fantasia per sentirsi intero, per sperimentare un sé solo in apparenza coeso, abile a fronteggiare le difficoltà ambientali, costruisce una sua immagine idealizzata. Questa costruzione fittizia è qualcosa di molto lontano dalla dimensione reale, ma comunque utile all’individuo per sopravvivere all’angoscia di base che minaccia il senso profondo dell’esistere. La caratteristica peculiare della immagine idealizzata è quella della staticità, per cui è quasi impossibile per il soggetto tendere al cambiamento e men che meno alla messa in discussione delle proprie aree grigie. Essa è una immagine fissa da idolatrare e non un ideale da perseguire con innumerevoli sforzi.
“Gli ideali genuini conducono all’umiltà, l’immagine idealizzata all’arroganza” scrive Karen Horney.
La funzione fondamentale dell’immagine idealizzata è dunque quella di sostituire alla fiducia di sé una fiducia fittizia che porta il soggetto alla dipendenza dalle richieste esterne, piuttosto che dalla sana attitudine all’autorealizzazione spontanea e creativa, che si esplicita nella tendenza a cercare di governare la propria vita. In questo contesto il mondo è visto come minaccioso e ostile e l’immagine ideale trae da questa visione maggiore linfa vitale per attecchire e svilupparsi. Quando il mondo esterno viene percepito come eccessivamente ostile, foriero di esperienze di abbandono e rifiuto, è necessario adattarvisi in maniera coatta, rigida ed inautentica. È questo il preludio per la formazione di strutture nevrotiche cristallizzate, schemi di relazione disfunzionali ed impoveriti, immagini di sé in relazione all’altro poco negoziabili e ridefinibili. Winnicott, Karen Horney ed altri autori parlano di “Falso Sé” ad indicare una costruzione rigida che imbriglia la personalità all’interno di schemi predefiniti, limita la sperimentazione e la scoperta, uccide i desideri reali e le aspirazioni, esaspera una forma di adattamento all’ambiente per nulla creativo, nel quale l’universo emotivo è impoverito, ingabbiato e lontano dalla sua reale possibilità di espressione vitale.
La più importante delle radici degli attacchi di panico è costituita dall’incapacità di percepire e riconoscere le emozioni, come conseguenza di una specie di “analfabetismo emozionale”, che si è strutturato progressivamente nel corso della vita, di pari passo con la strutturazione del Sé. Il paziente, non riuscendo a riconoscere l’emozione come un accadimento mentale unitario, percepisce slegate fra loro le singole espressioni fisiche di essa. È come se percepisse slegate tra loro le tessere di un mosaico. Non possono che apparirgli del tutto prive di senso. Ma il “mosaico”, che lui non riesce a integrare, e di cui non ha consapevolezza perché neppure lo percepisce, non è esterno a lui. Lo riguarda direttamente. È dentro di lui. Sensazioni, quindi, fortissime e insensate. (Paolo Roccato)
La psicoanalisi contemporanea vede l’attacco di panico come una espressione vitale di ciò che ancora rimane di autentico nell’individuo. Una espressione del “Vero Sé”, intrappolato e ferito, ma non ancora sconfitto. Può sembrare paradossale, ma è assolutamente importante leggere l’esperienza del terror panico come un tentativo disperato e certamente destabilizzante per urlare con forza il proprio disagio, per riconnettersi con le parti vitali presenti in dentro di sé. La crisi di panico mette l’individuo di fronte al fallimento della struttura difensiva, evidenzia cioè una fondamentale fragilità del Sé in termini di non acquisizione di uno stabile senso di identità soggettiva…
Di Fabio Masciullo
Mag 20, 2015 | AGOPUNTURA, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
La rabbia: questo sgradevole compagno di viaggio
“Ero arrabbiato con il mio amico. Glielo dissi e la rabbia finì. Ero arrabbiato con il nemico. Non ne parlai, e la rabbia aumentò.” (William Blake)
Tutti gli psicologi sono concordi: la rabbia è un’emozione tipica e fondamentale, è identificabile sempre in una specifica origine funzionale ed è presente in tutte le età e i momenti evolutivi dell’uomo.
Insieme alla gioia e al dolore è una delle emozioni che si manifesta nell’uomo fin dai primordi e lo accompagnerà tutta l’esistenza. Insieme al disgusto e al disprezzo fa parte della triade dell’ostilità.
Sulla base di questo pensiero, come è possibile che un neonato possa già manifestare rabbia? Secondo le neuroscienze la situazione scatenante non è mai singola, ma plurima, e sempre riconducibile ad un insieme di frustrazioni sia fisiche che psicologiche.
Tra le varie circostanze che possono influire nel fare nascere l’impulso della rabbia gioca un ruolo predominante quello dell’intenzione da parte di qualcosa o qualcuno nell’impedimento a raggiungere uno scopo.
Ma come nasce la rabbia e come si scatena? In primo luogo la persona vive lo stato di raggiungere uno scopo o un obiettivo come un bisogno fondamentale. L’appagamento che pensa di ricevere dal risultato di questa situazione è senza dubbio enorme al punto da farglielo considerare vitale. Spesso la persona che si impegna in un processo complesso non distingue più le sfumature delle varianti che possono subentrare nel processo stesso: tutto è “o bianco o nero”; non esistono vie di mezzo e chi si frappone al raggiungimento di questo obiettivo è sempre visto come un nemico.
Molti obiettivi, soprattutto se fissati senza un piano realistico non potranno mai realizzarsi. È il caso di obiettivi troppo alti rispetto alle capacità, conoscenze, professionalità di chi li persegue. Il risultato è scontato: solo una grandissima fortuna può permettere che quanto desiderato si realizzi. Nel frattempo, tutto quello che è tra l’obiettivo sperato e il suo raggiungimento non è mai visto come un’opportunità di crescita e miglioramento, ma come un puro e semplice impedimento. A volte può essere una situazione, a volte una persona, altre entrambe le cose. Sta di fatto che il meccanismo che scatta nella mente della persona è quello di poter identificare in un oggetto, situazione o persona la causa che impedisce la propria realizzazione.
Definire un nemico, soprattutto fisico, è determinante per qualsiasi strategia: spesso chi è accecato dalla voglia di arrivare ad un punto ben preciso non è in grado di determinare nemmeno la portata della causa scatenante l’impedimento stesso. Ciò che impedisce la realizzazione dell’obiettivo va fermato con tutti i mezzi in ogni modo. Ne nasce una forza enorme legata a una altrettanto smisurata intenzione di attaccare. Se nel frattempo non succede qualcosa che possa sbloccare favorevolmente l’evento, il risultato è scontato: l’attacco avviene in modo palese, diretto e spesso violento. Molte persone, che non sanno contenere la rabbia, arrivano addirittura allo scontro fisico con conseguenze devastanti e spesso irreparabili.
A volte il danno diventa irreparabile già sotto il profilo psicosomatico. Ciò avviene quando la causa frustrante viene minimizzata o addirittura mascherata. Tutta l’energia che dovrebbe essere convogliata verso l’esterno è trattenuta all’interno.
Le filosofie orientali insegnano che quando un’energia non trova il normale sfogo, questa va a danneggiare il sistema provocando in una prima fase stati di disagio per arrivare poi alla malattia vera e propria. Al contrario è anche sbagliato pensare che per prevenire tutto questo si possa dare libero sfogo a tutte le emozioni senza tenere conto dei normali interlocutori. Questa fase è definita gestione della rabbia e potrebbe ricadere su qualcosa di diverso rispetto alle cause scatenanti la frustrazione o, peggio ancora, su se stessi con fasi di autolesionismo profondo.
Direi che la rabbia è proprio una brutta compagna di viaggio e, se torniamo al nostro legno possiamo solo aggiungere che per essere in equilibrio non deve essere minacciato nella sua crescita interna ed esterna: è come se l’albero debba avere normali agenti patogeni, ma la corretta capacità di reazione ad ognuno di essi senza che nessuno possa prevaricare.
Con la rabbia in corpo
“Facili all’ira sopra la terra siamo noi di stirpe umana”. (Omero)
Denti serrati, mascelle irrigidite, sopracciglia aggrottate, occhi piccoli e pupille dilatate sono solo il segno esteriore dell’elemento rabbia. Spesso sono accompagnate da una posizione curva verso l’interlocutore e da pugni chiusi, pronti a colpire. Tutti i muscoli del corpo diventano rigidi al punto da provocare anche la completa immobilità della persona mentre il cuore batte forte.
Chi ci è passato racconta di aver vissuto la paura di perdere il controllo e di aver sentito un forte impulso violento accompagnato da calore. La voce diventa intensa con un tono stridulo e pieno di minaccia.
Questo è ciò che prova una persona in preda alla rabbia nel momento in cui non riesce più a mascherarla, chi invece non la esprime la vivrà e rivivrà dentro di sé per un periodo molto più lungo.
La realizzazione di sé in una determinata situazione è nell’uomo un obiettivo pregnante: parlarne e riconoscere le vere motivazioni della sconfitta è la procedura più utile per avviare un processo di cambiamento, ma di certo non basta.
In ogni conflitto tutti vogliono vincere e difficilmente si sceglie la via della mediazione. I saggi dell’ebraismo e i kabbalisti la chiamano proattività. Questa si basa sulla semplice logica di buonsenso che non si può vincere sempre e tutto, ma che bisogna anche sapere perdere perché proprio da questa azione è possibile imparare, apprendere, e fare tesoro di nuove strategie ed azioni.
I pericoli esterni rimangono comunque molti: uno di questi è accorgersi, per esempio, che altri ottengono facilmente successi senza uno sforzo apparente e quindi si è portati, anziché ad analizzare i fatti in modo obiettivo, a riportarli su un piano personale perdendo la logica dei fatti e confondendoli con le opinioni.
È il momento dell’intolleranza verso tutti e tutto e nessun luogo è immune. Arrabbiarsi fa parte della natura umana, non è pericoloso, è normale. Il problema è quando questa rabbia più o meno inespressa si sfoga come un torrente in piena aggredendo tutto e tutti, senza alcuna esclusione.
E come insegnano molte filosofie orientali il primo a soffrirne è il nostro fegato: per la tradizione cinese il fegato è collegato all’energia cosmica del vento perché un fegato in salute è in grado di muoversi sempre in modo armonioso così come una pianta si lascia accarezzare dal vento.
Il fegato silenzioso
“L’espressione è l’atto dell’uomo completo. L’intelletto è impotente a esprimere il pensiero senza l’aiuto del cuore, del fegato e di ogni organo” Henry David Thoreau (filosofo)
Il fegato è l’organo più grosso del corpo umano, pesa circa 1,5 kg nell’uomo adulto e non a caso Rudolf Steiner, fondatore della Medicina Antroposofica lo riteneva l’organo della “volontà”. Il fegato nella visione di Steiner lavora moltissimo nelle fasi di progettazione, pianificazione, trasformazione della vita. È il fegato che realizza concretamente le idee trasformandole in azioni ed è sempre il fegato che crea nelle persone il coraggio.
Il fegato è un organo silenzioso: duole solo quando le patologie sono in stadio avanzato. I maestri di riflessologia comunque insegnano a leggere il malessere del fegato attraverso piccoli segni quotidiani quali un dolore persistente sul lato destro della schiena, amaro in bocca, vomito verdastro, emicrania spesso accompagnati anche da crampi agli arti inferiori.
Per i taoisti il fegato gioca un ruolo preponderante perché favorisce lo stoccaggio degli elementi nutritivi regolando così l’energia necessaria all’attività generale del corpo; crea nella persona la capacità alla resistenza durante la malattia sbloccando e muovendo le energie che sono necessarie ai meccanismi di autodifesa. Altra funzione è di aiutare nella decomposizione del cibo e nella disintossicazione del sangue. Per questa ragione in molte filosofie orientali è legato a sentimenti e affetti: il sangue trasporta emozioni e se questo non è purificato anche la qualità delle emozioni stesse sarà pessima alterando i sentimenti ad essa correlati.
La qualità dell’energia prodotta dal fegato avviene attraverso diversi sistemi quali il drenaggio delle tossine, la regolarizzazione della coagulazione del sangue e del metabolismo: le emozioni vengono trasformate in sentimenti dal fegato grazie alla sua azione di depurazione e filtraggio.
Mal di fegato
“La malattia è un avvertimento che ci è dato per ricordarci ciò che è essenziale”. (Libro della saggezza tibetana)
I problemi epatici ci indicano tutto ciò che è difficile “digerire” nella nostra vita anche se in modo differente da come lo fa lo stomaco.
Come abbiamo visto l’emozione principale legata al fegato è la rabbia: il modo in cui noi reagiamo alle differenti situazioni della vita può aiutare il nostro fegato e di conseguenza il nostro organismo.
Differentemente da quello che normalmente si pensa non è urlando o reagendo in modo esagerato che aiutiamo il nostro fegato a scaricare la rabbia che abbiamo in corpo. Agendo infatti in questo modo priviamo il nostro fegato di moltissima energia. Al contrario anche reprimendo continuamente la nostra rabbia addenseremo tutte le energie nell’organo stesso col rischio che si trasformino in patologie.
Nelle filosofie orientali le malattie del fegato vengono sempre collegate alla difficoltà ad affrontare la vita proprio partendo dall’accettazione dei nostri sentimenti: l’immagine che trasmettiamo agli altri è quella che noi abbiamo di noi stessi e dipende dal nostro fegato e da come lo aiutiamo a trasmettere energie positive prima a noi stessi e poi agli altri.
Sempre per le filosofie orientali le tensioni del fegato possono rappresentare l’immagine di noi stessi messa costantemente in discussione. Non si tratta di voler attuare un positivo e propositivo piano di miglioramento continuo, ma al contrario, è sviluppare un atteggiamento che porta alla creazione di acredine, acidità, rimorsi esagerati che sfociano in risentimenti , rabbia e via via fino a collera e ira.
La gioia della vita lascia così il posto all’astio che diventa una costante che può arrivare a distruggerci. Come?
Dobbiamo ricordare che il fegato è protagonista nella creazione del nostro sistema immunitario passando dalle esperienze che il nostro organismo ha elaborato nel tempo. Quando noi cediamo alla rabbia, non trovando altro mezzo, attiviamo un sistema di difesa psicologica in relazione alle nostre paure e inconsapevolmente, distruggendo il senso di calma rompiamo quell’equilibrio di cui il nostro fegato necessita per svolgere bene la sua funzione.
Da Olos e Logos rivista di Medicina Integrata
Apr 14, 2015 | AGOPUNTURA, ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
I disturbi d’ansia sono correlati all’efficienza con cui il macchinario cellulare all’interno dei neuroni legge e traduce in proteine il gene che codifica per il recettore dell’ossitocina, un ormone coinvolto nella gestione di molti comportamenti sociali.
La suscettibilità ai disturbi d’ansia e ad altre emozioni e comportamenti, come paura e rabbia, è influenzata da fattori epigenetici (cioè che riguardano il modo in cui viene letta la sequenza del DNA, e non il DNA stesso) che modificano l’azione a livello cerebrale dell’ossitocina, un ormone secreto nel sangue dalll’ipofisi. A dimostrarlo è stato un gruppo di ricercatori dell’Università della Virginia a Charlottesville, che firmano un articolo pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”.
Il coinvolgimento dell’ossitocina nel comportamento emotivo e sociale – dal riconoscimento delle emozioni altrui alla fiducia, dall’atteggiamento di cura all’invidia – è testimoniato da numerosi studi; tuttavia stabilire legami diretti tra i livelli plasmatici dell’ormone (molto variabili da individuo a individuo) e specifiche abilità sociali si è dimostrato difficile, e le ricerche in merito hanno dato risultati discordanti.
Anche gli studi che hanno cercato di individuare i rapporti fra specifiche varianti (polimorfismi di singolo nucleotide o SNP) del gene per l’ossitocina e la propensione dei loro portatori a comportamenti o stati d’animo specifici – per esempio, essere facilmente preda di ansia – non hanno dato risultati soddisfacenti.
Invece di guardare alla genetica, nel nuovo studio Jessica J. Connelly e colleghi si sono rivolti all’epigenetica: per esplicare la propria azione a livello cerebrale, l’ossiticina si lega infatti a un recettore che si trova sui neuroni. Il numero e la densità di questi recettori neuronali, però, non dipende soltanto dal gene che li codifica (il gene OXTR), ma anche dal modo in cui quel gene viene letto dal macchinario cellulare che presiede alla produzione del recettore.
I ricercatori hanno quindi misurato i livelli di efficienza della traduzione del gene OXTR nei campioni di sangue di 98 soggetti che erano stati precedentemente sottoposti a risonanza magnetica funzionale mentre osservavano delle facce per interpretare l’emozione che esprimevano.
Dal confronto dei dati è emerso che bassi livelli di efficienza nell’espressione di OXTR erano sistematicamente associati a una maggiore attività nelle regioni cerebrali deputate all’interpretazione dei volti e all’elaborazione delle emozioni, e in particolare a una forte attività dell’amigdala, della circonvoluzione fusiforme, e dell’insula.
Il fatto che alla riduzione dei recettori per l’ossitocina sui neuroni corrisponda un aumento dell’attività di centri cerebrali che innescano uno stato di allarme (e viceversa), indica d’altra parte che l’ossitocina ha un’azione diretta di attenuazione della risposta di paura a una situazione.
Da Le Scienze
Apr 8, 2015 | ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, PILLOLE DI RIFLESSIONE
BENEFICI DI UNA CORRETTA IDRATAZIONE
L’importanza di un’appropriata idratazione è troppo spesso sottovalutata. Il corpo umano è costituito per circa due terzi da acqua. E’ fondamentale garantirne il ricambio attraverso un apporto adeguato.
L’acqua corporea entra attraverso l’assunzione di liquidi e alimenti (tutti la contengono, anche se in percentuali diverse); inoltre viene prodotta durante i processi metabolici.
L’assunzione di liquidi, ed in particolare di acqua, dovrebbe rappresentare la percentuale più importante del ricambio.
Si dovrebbe assumere acqua durante tutta la giornata: poca durante i pasti, in abbondanza lontano da questi. Ciò consente all’organismo, ed in particolare al rene, di lavorare meno e meglio e ai processi digestivi di non essere ostacolati.
Il tipo di acqua da assumere è da scegliere in funzione delle caratteristiche personali.
In presenza di funzione renale normale, le acque devono essere mineralizzate (Residuo Fisso elevato) in modo da poter essere sfruttate come fonte di minerali e di oligoelementi.
Per contrastare l’acidosi metabolica latente, sono da preferire le acque con pH basico (soprattutto negli sportivi, nelle donne in menopausa e nei pazienti oncologici).
L’acqua (ed eventualmente uno/mezzo bicchiere di vino rosso a pasto) dovrebbero completamente sostituire le bibite gassate, colorate, dolcificate o i superalcolici e gli alcolici di scarsa qualità, dei quali molto spesso vi è abuso.
Il tè verde è ricco di catechine; ha azione antiossidante molto potente e protegge da diversi tipi di tumore.
Caratteristiche -queste- che lo rendono la bevanda ideale nella nostra dieta.
BENEFICI DI UNA CORRETTA ALIMENTAZIONE
L’alimentazione dovrebbe comprendere di tutto, senza osservazioni dettate dalla quantità.
Dovrebbe contemplare principalmente frutta e verdura, e a seguire cereali integrali o decorticati (riso, frumento, farro, orzo, segale, mais, etc.), legumi e talvolta pesce o carne bianca.
Gli alimenti vanno conditi con oli extra-vergine di oliva; frutta secca ed essiccata, semi oleaginosi e centrifugati di frutta e verdura vanno assunti con moderazione.
Il sale è da evitare o da limitare fortemente, sostituendolo con le spezie.
1) VERDURE, ORTAGGI, FRUTTA
Questi devono essere consumati in abbondanza (verdure e ortaggi in tutti i pasti, la frutta meglio negli spuntini o prima del pasto), poiché ricchi in vitamine e in oligoelementi.
Per quanto concerne la verdura, le quantità sono irrilevanti (tranne nei casi di sindrome del colon irritabile); più se ne mangia meglio è.
L’apporto energetico di verdure e ortaggi è, in generale, molto scarso, dato il contenuto limitato in carboidrati, proteine e grassi.
Inoltre, le verdure presentano una elevata percentuale di acqua (circa 80%) e importanti quantità di fibra (che aiuta a regolare il transito intestinale, aumentando la massa fecale).
La fibra contenuta in verdure e ortaggi si presenta sotto forma di cellulosa, polisaccaridi non derivati dalla cellulosa e lignina.
La frutta va limitata maggiormente.
Due o tre frutti al giorno andrebbero sempre consumati (meglio lontano dai pasti, come spuntini, onde evitarne la fermentazione, e dunque il conseguente gonfiore di stomaco, quando si assumono a fine pasto).
In alternativa sono utili i centrifugati e i frullati, che possono diventare in caso di inappetenza, ottimi sostituti del pasto.
Per ottenere il massimo risultato dall’introduzione di frutta e verdura andrebbero seguite 3 semplici regole : 1 stagionalità, 2 Km 0, 3 biologico.
E’ opportuno consumare frutta e verdura di stagione, coltivate nelle vicinanze (evitando in qualche modo che il prodotto abbia viaggiato a lungo in celle frigorifere prima di arrivare sulla tavola, perdendo gran parte del potere nutritivo).
Inoltre, andrebbero preferiti alimenti biologici, privi di sostanze chimiche e tossiche come pesticidi, erbicidi, concimi chimici, oltre a tutti i molteplici additivi alimentari come conservanti, coloranti, edulcoranti che, oltre a mascherare le carenze organolettiche dei cibi di scarsa qualità, presentano talvolta azione cancerogena.
– Complessivamente, frutta e verdura dovrebbero rappresentare il 50-70% della quantità di alimenti assunti nella giornata, garantendo due risultati importanti: quello dell’idratazione e quello dell’alcalinizzazione.
Il primo è conseguenza del fatto che la verdura e la frutta hanno un contenuto in liquido molto elevato.
Secondariamente, entrambi questi gruppi di alimenti producono un effetto alcalinizzante sull’organismo e dunque contrastano l’effetto dei cereali e delle proteine che sono acidificanti (soprattutto le proteine animali).
Per valutare il potenziale alcalinizzante/acidificante di un alimento è possibile fare riferimento ad Indici reperibili in articoli e testi di alimentazione.
Quello più utilizzato è il PRAL (Potential Renal Acid Load – Potenziale di Carico Acido Renale), calcolato sulla base del contenuto di proteine, Fosforo, Magnesio, Potassio e Calcio di un alimento, tenendo conto della capacità di assorbimento intestinale dei singoli elementi.
In pratica, determina l’effetto chimico acido-base di quell’alimento sull’organismo.
Vi sono vari alimenti tra la frutta e la verdura che sono di uso frequente e che possiedono anche proprietà anticancro. I più studiati attualmente sono quelli della Famiglia Cruciferae e Brassicaceae (cavoli, broccoli, cavoletti di Bruxelles, crescione, rape e verza, etc.) attraverso alcune sostanze in essi contenute, i glucosinolati, ma in particolare il sulforafano che si forma durante la masticazione, sono in grado di sviluppare un’azione antitumorale diretta, ma anche anti-proliferativa e disintossicante. Altri alimenti che rivestono un ruolo protettivo contro i tumori e che contengono Zolfo organico, un elemento fondamentale per i meccanismi di difesa, sono aglio, cipolla, porro, scalogno ed erba cipollina.
Tutti questi ortaggi, per esplicare la propria azione, devono essere consumati crudi o poco cotti (saltati in padella per tempi molto brevi o al vapore).
Il pomodoro, grazie al suo elevato contenuto in licopene, è un alimento utile nella prevenzione di alcuni tumori; il licopene viene estratto con maggiore efficacia dal pomodoro quando questo è cotto in presenza di olio.
Alcuni studi hanno dimostrato che estratti di alghe rallentano la crescita delle cellule neoplastiche; i principi attivi in gioco in questo caso sono le fucoxantine e il fucoidano.
Le alghe sono ancora poco utilizzate nei Paesi occidentali nonostante siano ricche in minerali, aminoacidi essenziali e fibre.
La loro introduzione nella dieta è fortemente raccomandabile.
Anche la frutta svolge un ruolo importante; i frutti di bosco sono ricchi in pigmenti antiossidanti e sostanze antitumorali efficaci come l’acido ellagico, fenilico e clorogenico, mentre gli agrumi sono ricchi in polifenoli e flavonoidi e mostrano interessanti proprietà in campo oncologico (soprattutto nei tumori dell’Apparato Digerente).
Infine, è necessario menzionare i funghi che contengono polisaccaridi con proprietà anticancro [il lentinano, quello più studiato (sintetizzato da Lentinula edodes (Berk.) Pegler, 1976 – shiitake) sembra avere un’azione immunostimolante].
Quelli più noti sono il shiitake e l’enokitake, ma sono consigliati anche i comunissimi champignon.
2) CARBOIDRATI
La miglior fonte di carboidrati è rappresentata dai cereali integrali e decorticati.
Il cereale raffinato ed il perlato sono stati impoveriti di vitamine, oligoelementi, grassi essenziali e fibre.
L’assorbimento degli zuccheri contenuti nei cereali o farine trattate è molto (troppo) rapido e la glicemia, dopo una fetta di pane o un piatto di riso raffinati, aumenta rapidamente determinando un anomalo incremento dell’insulinemia.
– Il risultato è che il glucosio viene “spinto” troppo rapidamente dentro le cellule dove la sua abbondanza fa sì che una parte, anziché essere utilizzata a fini energetici, venga convertita in deposito adiposo.
Intanto scende la glicemia con conseguente incremento dell’appetito e senso di stanchezza e sonnolenza che compaiono regolarmente da una a due ore dopo il pasto.
Le farine raffinate (0 e 00), così come i cereali perlati, non differiscono molto dallo zucchero in quanto a Indice Glicemico, né come potere nutrizionale.
Contrariamente, tutti i cereali integrali/decorticati sono raccomandati e andrebbero alternati nel corso della settimana; il riso, nelle sue differenti varietà (integrale, rosso, venere, etc.) è tra i più indicati, ma sono consigliabili anche tutti gli altri cereali (segale, avena, farro, orzo, miglio, etc.) e gli pseudo cereali come grano saraceno, amaranto, quinoa; questi ultimi per di più possiedono una componente proteica sovrapponibile a quella dell’albume d’uovo, la più completa per l’uomo.
3) PROTEINE
Queste possono essere suddivise in base alla loro origine in proteine animali (carne, pesce, uova, latte e latticini) e vegetali (legumi come arachidi, ceci, fagioli, fave, lenticchie, lupini, piselli, soia, etc., oppure derivati dei legumi come latte di soia, tofu, tempeh, ma anche semi oleaginosi come anacardi, nocciole, noci, mandorle, pistacchi, sesamo, etc.)
I legumi sono validi sostituti della carne; la combinazione dei cereali integrali con i legumi consente di ottenere un alimento completo e bilanciato dal punto di vista amminoacidico. Inoltre sono ricchi in carboidrati a basso Indice Glicemico e poveri in grassi (quei pochi presenti sono peraltro essenziali per l’organismo).
Questa combinazione può essere considerata uno dei punti di correttezza nutrizionale delle diete tradizionali di tutto il mondo che prevedono: riso e soia in Asia, frumento e ceci in Africa, mais e fagioli in America Latina, etc.
La stessa dieta mediterranea ne era ricca (pasta e fagioli, riso e piselli, polenta e lenticchie) con ricadute positive sulle malattie cardiovascolari e degenerative tumorali.
Tra i legumi, merita una menzione la soia che contiene fitoestrogeni in grado di proteggere dalla maggior parte dei tumori ormono-dipendenti come il cancro della mammella e della prostata.
Il consumo di proteine animali, specie quelle derivate da carni e latticini, dovrebbero essere ridotte drasticamente.
Per coloro che mangiano carni rosse e lavorate è nota l’associazione con un maggior rischio di tumori del colon.
Viceversa, il pesce contiene gli acidi grassi omega-3 essenziali per l’uomo e ottimi per la prevenzione del cancro e della patologia cardio-vascolare (in Pelosi, 2010).
Il pesce azzurro, il salmone, e il tonno ne sono particolarmente ricchi ed il loro consumo andrebbe raccomandato 2-3 volte/settimana.
Le sostanze chimiche contenute negli additivi alimentari, oltre ad essere direttamente cancerogene, fungono da interferenti endocrini sulla sintesi, secrezione e trasporto degli ormoni predisponendo l’organismo ad ulteriori squilibri.
4) GRASSI
La maggior parte dei grassi animali andrebbero esclusi.
Andrebbero prediletti, tra i vegetali, l’olio di oliva extravergine spremuto a freddo.
Sono raccomandati anche gli oli di semi di sesamo, di girasole e di lino (quest’ultimo molto ricco in Omega-3), ma solo se spremuti a freddo.
Tra i grassi è utile ricordare il cioccolato fondente, che contiene polifenoli, sostanze con importanti proprietà antiossidanti.
Piccole quantità di cioccolato fondente potrebbero pertanto essere incluse in una dieta anticancro.
Da segnalare infine:
– le spezie, in particolare la curcuma (curcumina) e lo zenzero (gingerolo) che hanno importanti proprietà anti-infiammatorie, anticancro ed antimicrobiche.
La loro principale azione è quella di bloccare la cicloossigenasi 2, enzima implicato nel processo infiammatorio.
– i probiotici (Lactobacilli e Bifidobatteri, presenti in yogurt e lattte fermentato) sembrerebbero svolgere un’azione antiproliferativa; inoltre rinforzano il Sistema Immunitario e riducono l’assorbimento del colesterolo.
CONCLUSIONI
La prevenzione primaria/secondaria della patologia neoplastica dovrebbe associare abitudini alimentari, attività fisica e nuove modalità per la gestione del carico di stress.
Questo approccio alla patologia oncologica non esclude né è in conflitto con quello convenzionale rappresentato dalle cure chirurgiche, chemioterapiche ed immunologiche.
– Si tratta di riappropriarsi di uno stile di vita che consenta all’organismo di recuperare la propria omeostasi e in questo modo di fortificarsi e tornare ad essere nelle condizioni di guarire se stesso.
Tutto ciò richiede l’abbandono dei cibi “spazzatura”, la riduzione del consumo delle proteine animali, delle farine raffinate, il recupero di sane abitudini di vita che includano attività fisica moderata come camminare, andare in bicicletta o lavorare nell’orto, insieme ad un migliore gestione/riduzione del carico di stress.
– “Cose” semplici, di facile attuazione, note ormai a tutti i medici ma, spesso dimenticate, poco o non diffuse se non addirittura trascurate.
Cambiare il proprio stile di vita, recuperando in salute e benessere si può e si deve.
In definitiva per incominciare, basta volerlo.
Ettore Pelosi
Mar 23, 2015 | ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
La rivista Journal of Medicinal Food pubblica una sintesi di tutte le ultime ricerche sull’interazione tra batteri intestinali e sistema nervoso centrale; appurata ormai l’esistenza di un asse intestino-cervello e di vari meccanismi di interazione, gli scienziati sono già proiettati verso il prossimo traguardo: curare una serie di malattie con diete ‘modifica-microbioma’ e supplementazione di prebiotici e probiotici.
Il modo di dire denigrativo ‘ragionare con la pancia’, potrebbe assumere tutt’altro significato alla luce dei contenuti di una review appena pubblicata.
Leo Galland e colleghi della Foundation for Integrated Medicine di New York, autori del lavoro pubblicato su Journal of Medicinal Food, dopo aver valutato tutte le ultime pubblicazioni in materia, presentano la summa di tutte le ultime ricerche sulla relazione tra composizione della flora batterica intestinale e sistema nervoso centrale nell’uomo.
Il microbioma di un uomo adulto contiene normalmente 5 diversi gruppi di batteri: quelli maggiormente rappresentati sono Firmicutes e Bacteroidetes, mentre Actinobacteria, Proteobacteria e Verrucomicrobia costituiscono appena il 2% del totale. Una dieta ricca di proteine animali, favorisce la crescita dei Bacteroides; in chi segue una dieta vegetariana o una ricca di monosaccaridi sono invece abbondantemente rappresentati i Prevotella. Un elevato consumo di oligosaccaridi infine, favorisce la crescita dei Bifidobacteria, il ceppo più rappresentato nell’intestino dei neonati allattati al seno.
Impressionante il numero dei batteri che populano il nostro intestino. Sono centinaia di migliardi e contengono circa 4 milioni di geni batterici diversi (per avere un termine di paragone il pool dell’uomo è rappresentato da appena 26.000 unità funzionanti). La maggior parte di questi geni batterici codifica enzimi e proteine strutturali, in grado di influenzare il funzionamento del sistema immunitario, di modificare l’epigenoma dei mammiferi e di intervenire sulla regolazione del metabolismo.
Il microbioma intestinale può influenzare la salute del cervello in diversi modi. Alcune componenti della struttura dei batteri ad esempio, quali i lipopolisaccaridi, esercitano continuamente una blanda stimolazione sul sistema immunitario; quando questa stimolazione ‘fisiologica’ diventa eccessiva, come accade in caso di dismicrobismo intestinale, si può verificare una crescita incontrollata di batteri nell’intestino tenue o un’aumentata permeabilità intestinale che a loro volta determinano un’infiammazione sistemica o a livello del sistema nervoso centrale.
Alcune proteine batteriche possono dare reazioni crociate con alcuni antigeni umani e questo evoca delle risposte ‘sbagliate’ da parte dell’immunità adattiva, che possono condurre a malattie autoimmuni.
Ci sono enzimi batterici in grado di determinare la produzione di metaboliti neurotossici, quali ammoniaca e acido D-lattico; ma anche alcuni metaboliti ‘benefici’, quali acidi grassi a catena corta (SCFA), possono esercitare un’azione neurotossica. Se è vero infatti che gli SCFA possono inibire l’infiammazione, dall’altra, alcuni studi ne suggeriscono un possibile ruolo nella patogenesi dei disordini dello spettro autistico (ASD).
Sul versante ormoni e neurotrasmettitori, è noto che alcuni batteri intestinali sono in grado di produrne ‘copie’ identiche a quelle secrete dalle cellule specializzate dell’organismo; i batteri inoltre possiedono dei recettori specifici per questi ormoni che, se stimolati, possono influenzare la crescita e la virulenza dei batteri stessi.
I batteri intestinali infine sono in grado di stimolare direttamente i neuroni afferenti del sistema nervoso enterico e inviare così segnali al cervello, attraverso il nervo vago.
Attraverso tutte queste vie i batteri intestinali riescono dunque ad interagire con il funzionamento del sistema nervoso centrale, fino a modificare l’architettura del sonno e ad influenzare la reattività allo stress dell’asse ipotalamo-ipofisi-surreni.
I batteri intestinali – ricordano gli autori – possono influenzare la memoria, ma anche il nostro umore e addirittura le funzioni cognitive.
Il microbioma è insomma ormai un argomento ‘caldo’ in molte branche della medicina, dalle malattie autoimmuni a quelle infiammatorie intestinali alle patologie cardiovascolari. Dopo anni di ricerche mirate a distinguere i batteri intestinali ‘buoni’ da quelli ‘cattivi’, la nuova frontiera della ricerca in questo campo è cercare di alterare la composizione del microbioma, per correggere o trattare alcune condizioni patologiche.
Ci si sta provando attraverso modifiche della composizione della dieta, che dovrebbero alterare la composizione del microbioma, o mediante la somministrazione di prebiotici o di probiotici per le condizioni più disparate: dall’alcolismo, alla sindrome da stanchezza cronica, alla fibromialgia, alla restless leg syndrome.
E non mancano filoni di ricerca che indagano i rapporti tra microbioma intestinale e sclerosi multipla o manifestazioni neurologiche della celiachia. Recenti studi indicano ad esempio che una riduzione di Bifidobatteri a livello di microbioma intestinale sembra giocare un ruolo patogenetico nella celiachia e forse contribuisce alla sua aumentata prevalenza. La somministrazione di Bifidobacterium longum migliora l’enteropatia da glutine in un modello animale; per questo, la supplementazione di Bidifobacteria è stata proposta come possibile intervento di prevenzione della celiachia, nei soggetti ad alto rischio.
Il microbioma è insomma una specie di ‘alien’ che si sta appena cominciando a conoscere e che in futuro si cercherà di ‘domare’, allo scopo di correggere una serie di alterazioni e di curare varie patologie.
Maria Rita Montebelli – quotidiano sanità