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La rabbia: questo sgradevole compagno di viaggio

Ero arrabbiato con il mio amico. Glielo dissi e la rabbia finì. Ero arrabbiato con il nemico. Non ne parlai, e la rabbia aumentò.” (William Blake)

Tutti gli psicologi sono concordi: la rabbia è un’emozione tipica e fondamentale, è identificabile sempre in una specifica origine funzionale ed è presente in tutte le età e i momenti evolutivi dell’uomo.

Insieme alla gioia e al dolore è una delle emozioni che si manifesta nell’uomo fin dai primordi e lo accompagnerà tutta l’esistenza. Insieme al disgusto e al disprezzo fa parte della triade dell’ostilità.

Sulla base di questo pensiero, come è possibile che un neonato possa già manifestare rabbia? Secondo le neuroscienze la situazione scatenante non è mai singola, ma plurima, e sempre riconducibile ad un insieme di frustrazioni sia fisiche che psicologiche.

Tra le varie circostanze che possono influire nel fare nascere l’impulso della rabbia gioca un ruolo predominante quello dell’intenzione da parte di qualcosa o qualcuno nell’impedimento a raggiungere uno scopo.

Ma come nasce la rabbia e come si scatena? In primo luogo la persona vive lo stato di raggiungere uno scopo o un obiettivo come un bisogno fondamentale. L’appagamento che pensa di ricevere dal risultato di questa situazione è senza dubbio enorme al punto da farglielo considerare vitale. Spesso la persona che si impegna in un processo complesso non distingue più le sfumature delle varianti che possono subentrare nel processo stesso: tutto è “o bianco o nero”; non esistono vie di mezzo e chi si frappone al raggiungimento di questo obiettivo è sempre visto come un nemico.

Molti obiettivi, soprattutto se fissati senza un piano realistico non potranno mai realizzarsi. È il caso di obiettivi troppo alti rispetto alle capacità, conoscenze, professionalità di chi li persegue. Il risultato è scontato: solo una grandissima fortuna può permettere che quanto desiderato si realizzi. Nel frattempo, tutto quello che è tra l’obiettivo sperato e il suo raggiungimento non è mai visto come un’opportunità di crescita e miglioramento, ma come un puro e semplice impedimento. A volte può essere una situazione, a volte una persona, altre entrambe le cose. Sta di fatto che il meccanismo che scatta nella mente della persona è quello di poter identificare in un oggetto, situazione o persona la causa che impedisce la propria realizzazione.

Definire un nemico, soprattutto fisico, è determinante per qualsiasi strategia: spesso chi è accecato dalla voglia di arrivare ad un punto ben preciso non è in grado di determinare nemmeno la portata della causa scatenante l’impedimento stesso. Ciò che impedisce la realizzazione dell’obiettivo va fermato con tutti i mezzi in ogni modo. Ne nasce una forza enorme legata a una altrettanto smisurata intenzione di attaccare. Se nel frattempo non succede qualcosa che possa sbloccare favorevolmente l’evento, il risultato è scontato: l’attacco avviene in modo palese, diretto e spesso violento. Molte persone, che non sanno contenere la rabbia, arrivano addirittura allo scontro fisico con conseguenze devastanti e spesso irreparabili.

A volte il danno diventa irreparabile già sotto il profilo psicosomatico. Ciò avviene quando la causa frustrante viene minimizzata o addirittura mascherata. Tutta l’energia che dovrebbe essere convogliata verso l’esterno è trattenuta all’interno.

Le filosofie orientali insegnano che quando un’energia non trova il normale sfogo, questa va a danneggiare il sistema provocando in una prima fase stati di disagio per arrivare poi alla malattia vera e propria. Al contrario è anche sbagliato pensare che per prevenire tutto questo si possa dare libero sfogo a tutte le emozioni senza tenere conto dei normali interlocutori. Questa fase è definita gestione della rabbia e potrebbe ricadere su qualcosa di diverso rispetto alle cause scatenanti la frustrazione o, peggio ancora, su se stessi con fasi di autolesionismo profondo.

Direi che la rabbia è proprio una brutta compagna di viaggio e, se torniamo al nostro legno possiamo solo aggiungere che per essere in equilibrio non deve essere minacciato nella sua crescita interna ed esterna: è come se l’albero debba avere normali agenti patogeni, ma la corretta capacità di reazione ad ognuno di essi senza che nessuno possa prevaricare.

Con la rabbia in corpo

“Facili all’ira sopra la terra siamo noi di stirpe umana”. (Omero)

Denti serrati, mascelle irrigidite, sopracciglia aggrottate, occhi piccoli e pupille dilatate sono solo il segno esteriore dell’elemento rabbia. Spesso sono accompagnate da una posizione curva verso l’interlocutore e da pugni chiusi, pronti a colpire. Tutti i muscoli del corpo diventano rigidi al punto da provocare anche la completa immobilità della persona mentre il cuore batte forte.

Chi ci è passato racconta di aver vissuto la paura di perdere il controllo e di aver sentito un forte impulso violento accompagnato da calore. La voce diventa intensa con un tono stridulo e pieno di minaccia.

Questo è ciò che prova una persona in preda alla rabbia nel momento in cui non riesce più a mascherarla, chi invece non la esprime la vivrà e rivivrà dentro di sé per un periodo molto più lungo.

La realizzazione di sé in una determinata situazione è nell’uomo un obiettivo pregnante: parlarne e riconoscere le vere motivazioni della sconfitta è la procedura più utile per avviare un processo di cambiamento, ma di certo non basta.

In ogni conflitto tutti vogliono vincere e difficilmente si sceglie la via della mediazione. I saggi dell’ebraismo e i kabbalisti la chiamano proattività. Questa si basa sulla semplice logica di buonsenso che non si può vincere sempre e tutto, ma che bisogna anche sapere perdere perché proprio da questa azione è possibile imparare, apprendere, e fare tesoro di nuove strategie ed azioni.

I pericoli esterni rimangono comunque molti: uno di questi è accorgersi, per esempio, che altri ottengono facilmente successi senza uno sforzo apparente e quindi si è portati, anziché ad analizzare i fatti in modo obiettivo, a riportarli su un piano personale perdendo la logica dei fatti e confondendoli con le opinioni.

È il momento dell’intolleranza verso tutti e tutto e nessun luogo è immune. Arrabbiarsi fa parte della natura umana, non è pericoloso, è normale. Il problema è quando questa rabbia più o meno inespressa si sfoga come un torrente in piena aggredendo tutto e tutti, senza alcuna esclusione.

E come insegnano molte filosofie orientali il primo a soffrirne è il nostro fegato: per la tradizione cinese il fegato è collegato all’energia cosmica del vento perché un fegato in salute è in grado di muoversi sempre in modo armonioso così come una pianta si lascia accarezzare dal vento.

Il fegato silenzioso

“L’espressione è l’atto dell’uomo completo. L’intelletto è impotente a esprimere il pensiero senza l’aiuto del cuore, del fegato e di ogni organo” Henry David Thoreau (filosofo)

Il fegato è l’organo più grosso del corpo umano, pesa circa 1,5 kg nell’uomo adulto e non a caso Rudolf Steiner, fondatore della Medicina Antroposofica lo riteneva l’organo della “volontà”. Il fegato nella visione di Steiner lavora moltissimo nelle fasi di progettazione, pianificazione, trasformazione della vita. È il fegato che realizza concretamente le idee trasformandole in azioni ed è sempre il fegato che crea nelle persone il coraggio.

Il fegato è un organo silenzioso: duole solo quando le patologie sono in stadio avanzato. I maestri di riflessologia comunque insegnano a leggere il malessere del fegato attraverso piccoli segni quotidiani quali un dolore persistente sul lato destro della schiena, amaro in bocca, vomito verdastro, emicrania spesso accompagnati anche da crampi agli arti inferiori.

Per i taoisti il fegato gioca un ruolo preponderante perché favorisce lo stoccaggio degli elementi nutritivi regolando così l’energia necessaria all’attività generale del corpo; crea nella persona la capacità alla resistenza durante la malattia sbloccando e muovendo le energie che sono necessarie ai meccanismi di autodifesa. Altra funzione è di aiutare nella decomposizione del cibo e nella disintossicazione del sangue. Per questa ragione in molte filosofie orientali è legato a sentimenti e affetti: il sangue trasporta emozioni e se questo non è purificato anche la qualità delle emozioni stesse sarà pessima alterando i sentimenti ad essa correlati.

La qualità dell’energia prodotta dal fegato avviene attraverso diversi sistemi quali il drenaggio delle tossine, la regolarizzazione della coagulazione del sangue e del metabolismo: le emozioni vengono trasformate in sentimenti dal fegato grazie alla sua azione di depurazione e filtraggio.

Mal di fegato

“La malattia è un avvertimento che ci è dato per ricordarci ciò che è essenziale”. (Libro della saggezza tibetana)

I problemi epatici ci indicano tutto ciò che è difficile “digerire” nella nostra vita anche se in modo differente da come lo fa lo stomaco.

Come abbiamo visto l’emozione principale legata al fegato è la rabbia: il modo in cui noi reagiamo alle differenti situazioni della vita può aiutare il nostro fegato e di conseguenza il nostro organismo.

Differentemente da quello che normalmente si pensa non è urlando o reagendo in modo esagerato che aiutiamo il nostro fegato a scaricare la rabbia che abbiamo in corpo. Agendo infatti in questo modo priviamo il nostro fegato di moltissima energia. Al contrario anche reprimendo continuamente la nostra rabbia addenseremo tutte le energie nell’organo stesso col rischio che si trasformino in patologie.

Nelle filosofie orientali le malattie del fegato vengono sempre collegate alla difficoltà ad affrontare la vita proprio partendo dall’accettazione dei nostri sentimenti: l’immagine che trasmettiamo agli altri è quella che noi abbiamo di noi stessi e dipende dal nostro fegato e da come lo aiutiamo a trasmettere energie positive prima a noi stessi e poi agli altri.

Sempre per le filosofie orientali le tensioni del fegato possono rappresentare l’immagine di noi stessi messa costantemente in discussione. Non si tratta di voler attuare un positivo e propositivo piano di miglioramento continuo, ma al contrario, è sviluppare un atteggiamento che porta alla creazione di acredine, acidità, rimorsi esagerati che sfociano in risentimenti , rabbia e via via fino a collera e ira.

La gioia della vita lascia così il posto all’astio che diventa una costante che può arrivare a distruggerci. Come?

Dobbiamo ricordare che il fegato è protagonista nella creazione del nostro sistema immunitario passando dalle esperienze che il nostro organismo ha elaborato nel tempo. Quando noi cediamo alla rabbia, non trovando altro mezzo, attiviamo un sistema di difesa psicologica in relazione alle nostre paure e inconsapevolmente, distruggendo il senso di calma rompiamo quell’equilibrio di cui il nostro fegato necessita per svolgere bene la sua funzione.

Da Olos e Logos rivista di Medicina Integrata

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