IL “SACERDOZIO DELLA MENTE” DELL’INDUSTRIA PSICOFARMACEUTICA 2° Parte

 

L’architettura della sorveglianza
“La scienza non possiede la tecnologia per misurare gli squilibri biochimici all’interno del cervello vivo”, osserva il medico scrittore Peter R. Breggin. “La speculazione sugli squilibri biochimici è in realtà una campagna di marketing delle aziende farmaceutiche per vendere le medicine.” Così, agli “screening” sulla salute mentale mancano i parametri scientifici oggettivi e la valutazione di indicatori fisici per determinare l’esistenza di un disturbo. Piuttosto, l’opinione si basa sulla risposta del soggetto a una serie di domande.
Negli ultimi anni, sono stati implementati scrupolosamente dei metodi di marketing nei campus dei college americani per condizionare una generazione verso l’accettazione della natura di routine dei controlli per la salute mentale. Nei primi anni del Duemila, la Wyeth, produttrice dell’antidepressivo Effexor, sponsorizzò “campagne educative per la salute mentale” in dieci campus universitari. Il programma di 90 minuti, intitolato La depressione al college: mondo vero, vita vera, problemi veri, si svolgeva negli auditorium dei campus ed era presentato dalla star di MTV, nonchè consumatrice di Effexor, Cara Kahn. Agli “screening” per la depressione associati al programma, che oggi sono diventati parte normale del regime sanitario pubblico, si accompagnavano slogan vivaci, come “Sei stressato? Vieni a scoprire quanto”, e “Vieni a testare il tuo umore”. I rappresentanti del settore osservavano come queste sollecitazioni incontravano un interesse maggiore fra i potenziali partecipanti rispetto a quello che avrebbe riscosso un più prosaico ” test di controllo per la depressione”.
Se è vero che il fascino dei rimedi psicotropi si sta esaurendo come suggeriscono alcune tendenze del settore del mercato, è essenziale creare in qualsiasi modo un nuovo bisogno di terapie e prodotti psicofarmaceutici. Considerando l’effettivo calo delle vendite di antidepressivi e l’ampia accettazione da parte dei governi delle superficiali definizioni degli psichiatri sulle anomalie del comportamento con i relativi rimedi, ci si può spiegare la comparsa recente di studi, ampiamente pubblicizzati, a sostegno di una crescente epidemia di malattie mentali e i programmi statali che impongono ai giovani controlli psicologici obbligatori, completi di eventuali trattamenti farmaceutici. Che cosa, esattamente, costituisce un disturbo mentale che richiede un trattamento? Ancora una volta, l’assorbimento ampliato di peculiarità descritte nell’imminente DSM-5 fornirà alcune indicazioni di ciò su cui si focalizzeranno i futuri screening. Una persona che esprime piacere nel fumare una sigaretta occasionale sarà classificata come sofferente di “disturbo da uso di tabacco”. A uno che ama bere in compagnia potrebbe essere applicata l’etichetta del “disturbo da uso di alcool”. A qualcuno che beve regolarmente troppe tazze di caffè o lattine di tè freddo potrebbe venire una “intossicazione da caffeina” o, peggio, un “disturbo d’ansia indotto da caffeina”. Chi passa troppo tempo a navigare in rete, visitando siti di scommesse online o siti porno o facendo troppi acquisti online, potrebbe essere giudicato rispettivamente come affetto da “dipendenza da Internet”, “disturbo da gioco d’azzardo”, “ipersessualità” o “disturbo da shopping compulsivo”, e gli si potrà prescrivere di conseguenza un adeguato regime farmacologico. Inoltre, l’espansione della psichiatria sotto l’elgida federale aumenta il potenziale per un abuso in stile sovietico per mettere a tacere i dissidenti politici, come illustra il caso di un ex Marine statunitense, Brandon Raub.
Esprimere la ferma convinzione che esistano le manipolazioni climatiche o discutere dell’inspiegabile collasso,  l’11 settembre, dell’edificio 7 del World Trade Center potrebbe essere motivo di diagnosi di un “disturbo deliratante paranoide”. Gli attivisti che richiamano l’attenzione sulla logica poco credibile della “guerra al terrorismo”, sulla Federal Reserve o sulle prevaricazioni di quello che sta diventando uno stato di polizia si potranno facilmente classificare come affetti da problemi irrisolti di “disturbo oppositivo provocatorio”.
Con una gamma talmente vasta di malattie a loro volta soggette all’interpretazione del medico psichiatra, quasi tutti siamo vulnerabili allo sguardo inquisitore della lobby psicofarmaceutica, specialmente se questo sguardo cade sui gruppi d’età più giovani.
“[La nuova legge sulla sanità accessibile] è studiata per contribuire ad aumentare gli incentivi ai professionisti della medicina e della salute mentale affinchè si prendano cura dei pazienti nell’intera sfera dell’assistenza”, sottolinea lo psicologo John M. Grohol, redattore del popolare sito PsychCentral. “Le ricerche indicano che questo tipo di assistenza integrata e coordinata si rivela benefica per il paziente. Può contribuire a portare allo scoperto i problemi di salute prima che si trasformino in disturbi più gravi”.
Il diffondersi di un’epidemia di malattie mentali, o il fatto che la professione psichiatrica ne sostenga l’esistenza, ha conseguenze gravi non solo in termini di pene personale, ma anche per interi settori economici.
Gli esperti di salute mentale sostengono che quasi il 40% degli europei soffra di disturbi mentali: questo problema costerebbe all’economia europea centinai di miliardi di euro all’anno. Uno studio del 2011 conclude che 165 milioni di residenti nell’Unione Europea sono afflitti da una forma di malattia mentale. “E’ assolutamente necessario colmare l’immenso vuoto esistente nella cura dei disturbi mentali”, afferma l’autore principale dello studio. “Dato che i disturbi mentali iniziano spesso in età giovanile, hanno un forte impatto negativo nelle fasi successive della vita… Solo un trattamento precoce e mirato nei giovani riuscirà a prevenire con efficacia il rischio di una proporzione sempre maggiore di malati gravi… i pazienti del futuro”.
Negli USA, dove la legge sulla sanità accessibile sottolinea “l’importanza di integrare e coordinare l’offerta di servizi per la salute fisica e mentale e fornisce degli incentivi agli operatori sanitari per integrare l’assistenza”, anche un individuo che ha un’assicurazione privata e che va all’ospedale per un malore fisico o un infortunio sarà sempre più soggetto alla sorveglianza e valutazione secondo gli standard stabiliti dal DSM. Il rapporto “Vigilanza sulle malattie mentali 2011” dei Centri per il Controllo delle Malattie evidenzia che il 25% degli americani soffre di malattie mentali e che uno su due svilupperà una malattia mentale in futuro. In questo modo un programma di “vigilanza sulla salute pubblica” comprende “funzionari della sanità pubblica, accademici, personale medico e paramedico e gruppi di sostegno” metterà a disposizione “più sistemi di vigilanza” per “ridurre l’incidenza, la diffusione, la gravità e l’impatto economico delle malattie mentali; valutare le associazioni fra le malattie mentali e altri problemi medici cronici (obesità, diabete, cardiopatie e abuso di alcool o sostanze); identificare gruppi ad alto rischio di malattie mentali e fornire interventi, trattamenti e misure preventive mirati; offrire parametri misurabili per valutare la riuscita degli interventi sulle malattie mentali. Il progetto si avvale del DSM per identificare e diagnosticare queste malattie.
I CDC notano poi che “l’importanza per la salute pubblica delle misure per aumentare i tassi di trattamento della depressione si riflette in Healthy People 2020″, un piano decennale del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani che include “obbiettivi nazionali per accrescere il trattamento della depressione negli adulti e il trattamento per i problemi di salute mentale nei minori”.
Per contribuire al programma, il governo degli Stati Uniti ha stabilito una Task Force per la Prevenzione che oggi raccomanda “screening della salute mentale” ai ragazzi dai 12 ai 18 anni. Così come il programma Vigilanza sulle Malattie Mentali, la Task Force utilizza il DSM come modello per le diagnosi.

Conclusione
Dato che il governo federale degli Stati Uniti e il settore assicurativo oggi sono impegnati in un investimento combinato per mitigare i rischi associati a una miriade di comportamenti personali classificati dal DSM, i singoli individui, e la società più in generale, devono chiedersi: “Ma fin dove si spinge questa vigilanza?”
Attualmente, l’individuo può ancora esercitare un certo grado di controllo rispetto a quali informazioni mediche desidera rivelare all’apparato di vigilanza medica. Tuttavia, il sempre maggiore dispiegamento di tecnologie biometriche e il rapido passaggio a una base elettronica, senza contanti, delle transazioni finanziarie praticamente assicura la fine di questa modesta sfera di privacy, nonchè la realizzazione completa di una rete panottica e di vasta portata in grado di identificare e localizzare le idiosincrasie private, producendo così dei candidati per “interventi” e trattamenti.
Per sfidare e contrastare il complesso psicofarmaceutico e la sua morsa sulla società, che va sempre più estendendosi, è assolutamente necessario comprendere e riconoscere come la sua storia si intrecci a giochi di pubblicità e pubbliche relazioni per modellare la percezione pubblica e quello che oggi costituisce un sistema di convinzioni ampiamente accettato nei confronti della salute e della malattia mentale. Il fatto che questo complesso oggi sia più che mai alleato della sovrastruttura della sanità nazionale e costituisca un elemento centrale in ambito medico delle macchinazioni del governo suggerisce l’imminente realizzazione di una vera e propria tecnocrazia farmacologica in cui, attraverso una incessante persuasione di massa e direttive legislative, sarà una falsa medicina con i suoi farmaci a riempire il vuoto di un’esistenza sciupata e insoddisfatta.

IL “SACERDOZIO DELLA MENTE” DELL’INDUSTRIA PSICOFARMACEUTICA 1° Parte

di James F. Tracy tratto dall'articolo pubblicato su 
Global Research 6/10/2012 http://www.globalresearch.ca

Dalla persuasione alla coercizione
Il “complesso psicofarmaceutico”, formato dalla moderna psichiatria, dall’industria farmaceutica e da un apparato normativo accomodante, si mantiene attraverso la fiducia pubblica nella sua competenza medico-scientifica e la leggittimazione ottenuta attraverso il marketing e le pubbliche relazioni. Ora, una combinazione di fattori – il coinvolgimento più diretto dell’amministrazione pubblica in campo medico attraverso la legge sulla sanità accessibile (Affordable Care Act), la pubblicazione nel 2013 della nuova edizione ampliata del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (5° ed., DSM-5) dell’American Psychiatric Association (APA), oltre a sistemi più completi di vigilanza della sanità federale e alle tecnologie di identificazione biometrica – indica che le norme comportamentali e i protocolli di psichiatria saranno sempre più integrati nella vita quotidiana. In generale, il complesso psicofarmaceutico appare sempre più in procinto di abbandonare un paradigma basato sulla persuasione e la fiducia per spostarsi verso un modello che si avvale della coercizione e della legge per far rispettare il suo ideale di normalità.

La ragione, facoltà dell’uomo di comprendere il mondo attraverso il pensiero, si contrappone all’intelligenza, capacità dell’uomo di manipolare il mondo con l’aiuto del pensiero. La ragione è lo strumento dell’uomo per raggiungere la verità, l’intelligenza è lo strumento dell’uomo per manipolare meglio il mondo; la prima è essenzialmente umana, la seconda appartiene alla parte animale dell’uomo.  – Erich Fromm

Dagli anni Cinquanta in poi, ai farmaci psicotropi si è accompagnata la brillante e redditizia opera di pubbliche relazioni e marketing messa in moto dal complesso psichiatrico-farmaceutico. La diffusione e l’uso di queste sostanze  si sono insidiati nella mente collettiva  attraverso il condizionamento di una riverenza culturale nei confronti della competenza professionale, ulteriormente amplificata dalla pubblicità e da una comunicazione con fini promozionali.
Oggigiorno, il 20% degli americani assume almeno un farmaco per trattare uno o più disturbi psichiatrici. Fra il 2001 e il 2004, l’uso fra le donne e i bambini sotto i 10 anni è raddoppiato. Secondo i Centri per il Controllo delle Malattie (CDC), la classe di antidepressivi SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della seretonina), sul mercato con nomi commerciali oggi comuni,  quali Zoloft, Celeza, Effexor e Paxil, è una delle categorie farmaceutiche più prescritte : ne fa uso l’11% degli americani dai 12 anni in su. I farmaci sono prescritti diffusamente  tanto dagli psichiatri quanto dai medici di base come cura per i disturbi delineati nel DSM, il manuale attraverso cui la professione psichiatrica esercita un’autorità a livello mondiale nel definire che cos’è una malattia mentale, con una vasta gamma di designazioni comportamentali applicabili a migliaia di anomalie comportamentali soggettive. Sempre secondo i CDC, l’APA raccomanda gli antidepressivi per una grossa proporzione di presunte malattie, fra cui quelle che indica come “sintomatologie depressive da moderate o gravi”. Eppure, come nota lo storico David Healy, l’attuale DSM-IV ha “opportunamente reso impossibile definire come disturbo la dipendenza da SSRI, antipsicotici o benzodiazepine”.
Fra il 1988 e il 1994 e fra il 2005 e il 2008, l’uso di antidepressivi negli USA è aumentato quasi del 400%. Se  l’uso dovesse espandersi ulteriormente lungo questa traiettoria, intorno al 2020 i soli antidepressivi sarebbero assunti da due persone su cinque. Le vendite di antidepressivi hanno toccato il picco di 15 miliardi di dollari nel 2003, ma la scadenza dei brevetti, l’incapacità dell’industria farmaceutica di produrre novità di successo per sostituirli, le notizie sempre più diffuse sull’inutilità e, spesso, la pericolosità di questi farmaci potrebbero far ridurre le vendite a 6 miliardi di dollari nel 2016.
Il quadruplicarsi del consumo di antidepressivi dimostra come la “depressione” e l’ntroduzione degli SSRI siano stati indubbiamente una manna per le compagnie farmaceutiche. Eppure, ci si interroga molto di meno sul fenomeno sociale che ha portato la depressione e gli antidepressivi a diventare un elemento scontato nella mente collettiva.
Le compagnie farmaceutiche esercitano un enorme potere sul dibattito e sull’opinione pubblica, attraverso una studiatissima campagna di pubblicità e pubbliche relazioni che ingigantisce l’immagine dei prodotti, spesso inutili e pericolosi, che vendono.  In particolare, è stata sfruttata l’inclinazione culturale a mostrare deferenza verso l’opinione degli esperti: in questo caso, verso la psichiatria.

Una professione costruita
Nel 2006, il giornalista investigativo Jon Rappoport ha condotto una serie di interviste a Ellis Medavoy, pseudonimo utilizzato da un esperto di pubbliche relazioni di alto livello che ha giocato un ruolo importante nell’orchestrare e manipolare la percezione pubblica di crisi sanitaria di ampia portata, fra cui quella dell’HIV/AIDS. Fra le varie rivelazioni significative, questo esperto di comunicazione ha spiegato come la competenza psichiatrica sia in gran parte il risultato di tecniche di propaganda. “Problema uguale disturbo mentale, uguale diagnosi, uguale farmaci”, osserva Medavoy. “Il lavoro delle pubbliche relazioni è di confezionare il concetto e collocarlo in un contesto che sa di scientifico, mettendoci dentro ogni tipo di discorso sulla ‘ricerca’…e così hai creato un settore produttivo. Ma in senso lato, quello che crei è un sacerdozio della mente. Un sacerdozio ufficiale. Autorizzato. E vendi anche quello, usando altre parole. Lo vendi, veramente. ‘Nessun altro sa come funziona le mente. Solo gli psichiatri possiedono questo sapere.’ Tu vendi scemenze tipo ‘ha bisogno di un aiuto professionale’ e ‘occorre sottoporsi a una terapia’ e  ‘nuove scoperte fondamentali’. Le rifili in ogni modo possibile.”

Il meccanismo per instillare una fede collettiva nella duplice divinità della farmacia e della pschiatria prevede vari processi specifici nell’ambito della pubblicità e delle pubbliche relazioni. Per esempio, ci sono esperti di linguistica che elaborano i nomi commerciali dei farmaci per “attingere a diverse sinapsi nel cervello dei clienti: quelle che legano il semplice suono delle vocali e delle consonanti – dette fonemi – a significati specifici e perfino ad emozioni”. In questo modo, il nome dell’SSRI per eccellenza, il Prozac, è stato escogitato proprio per avere una risonanza specifica nella mente dei consumatori. “Prozac: Pro è un prefisso abbastanza banale, ma i suoni p, z e k conferiscono tutti una forte qualità attiva, di audacia. Questi crepitii e ronzii suggeriscono a livello subliminale l’attività, a  sostegno del suffisso -ac, che richiama la parola action.” Il nome di uno dei cugini del Prozac, lo Zoloft, utilizza lo stesso metodo di ingegneria linguistica. “Zoloft: Zo significa vita in greco e loft ne eleva il concetto.”
Il Giappone è il terzo mercato farmaceutico al mondo e offre un caso esemplare della capacità dell’industria farmaceutica di manipolare e sedurre una società inducendola a fare un uso su ampia scala di specifiche sostanze psicoattive. A partire dal 1998, il paese ha allentato i requisiti normativi per la vendita e la promozione dei farmaci. Già nel 2001 proliferavano pubblicità di farmaci in stile statunitense, dirette al consumatore, e alcune aziende con sede negli USA controllavano quasi il 50% del fatturato farmaceutico giapponese di 364,2 miliardi di dollari.
La crescente popolarità e disponibilità di prodotti farmaceutici di marca in un ambiente culturale non occidentale pose le basi per le strategie di marketing che prevedevano di influenzare in tempi brevi la percezione pubblica in modo da superare le barriere culturali e generare domanda.
Negli anni Ottanta, quando la compagnia farmaceutica giapponese Meiji Seika chiese all’agenzia regolatrice giapponese l’approvazione di un farmaco per la sindrome ossessivo-compulsiva (OCD), i funzionari dell’azienda si resero conto che in Giappone non esistevano degli standard diagnostici per l’OCD. Allora fu l’azienda stessa a scrivere una propria definizione, usando come modello quella statunitense. Alla fine degli anni Novanta, Meiji Seika portò la pratica su un livello del tutto nuovo quando ottenne il via libera dall’agenzia regolatrice per commercializzare il proprio prodotto SSRI, il Luvox. Dopo aver ricevuto l’approvazione, l’azienda sostenne una dura battaglia per fare accettare questo farmaco in un paese in cui, secondo il sondaggio condotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità all’inizio degli anni Novanta, la prescrizione più comune per un “disturbo dell’umore” era un blando tranquillante. Alla luce di ciò, Meiji Seika e vari altri partner aziendali interessati procedettero a “mettere in atto niente di meno che un radicale cambiamento culturale”, come spiegava un osservatore.
“Una fase cruciale: alterare il linguaggio usato dalla gente per parlare di depressione. La parola giapponese per designare la depressione clinica, utsu-byo, era sgradevolmente associata a gravi malattie psichiatriche. Così la Meiji e i suoi partner iniziarono a usare l’espressione kokoro no kaze, traducibile come ‘il raffreddore dell’animo’. Il messaggio: se in inverno prendi delle pillole per alleviare la congestione nasale, perchè non fare lo stesso anche per la depressione?” Il direttore di marketing di Meiji e affiliati ammise di fare uso regolarmente del termine kokoro no kaze nello spiegare ai giornalisti giapponesi “perchè era necessario sfatare il tabù che circondava la malattia”.
L’America era molto più avanti del Giappone nel riconoscimento dei farmaci per affrontare le malattie mentali. La nozione che la depressione fosse una potenziale epidemia che richiedeva un “trattamento” era stata inculcata sulla mente collettiva molti anni prima dell’introduzione, nel 1988, del popolarissimo SSRI Prozac. Quest’idea, tuttavia, richiede continui sforzi, e lo stesso vale per il discutibile concetto di “screening” per valutare “umori” o comportamenti potenzialmente dannosi, una pratica attualmente in uso presso alcune strutture sanitarie statunitensi che utilizzano le classificazioni del DSM-5.

I PERICOLI NASCOSTI DEI CIBI INDUSTRIALI – 2° Parte

Coloranti chimici: trappole per gli incauti
Probabilmente gli additivi più pericolosi e mono necessari sono i coloranti. Perlomeno i conservanti, per quanto siano nocivi, servono a uno scopo. L’unico vantaggio dei coloranti è che così il produttore riesce a mascherare dei cibi mezzi putrefatti e ben poco naturali convincendo la gente a comprarli, pensando che siano freschi e  nutrienti. I coloranti sono una trappola per gli incauti, in particolare i bambini, che sono attratti dai colori brillanti e vivaci.
I coloranti alimentari naturali sono usati raramente, perchè costano molto di più di quelli chimici, spesso derivati dal catrame di carbon fossile, notoriamente cancerogeno. La tartrazina è solo uno fra tanti esempi. Viene usata per colorare il cibo di giallo, arancione e verde, e si trova nelle bibite, nelle marmellate, nelle creme, nelle guarnizioni, nelle bevande a base di latte e in molti prodotti da forno.
Circa il 10% del pubblico è intollerante o allergico alla tartrazina, e nessuno ne conosce gli effetti a lungo termine su persone  che non presentano sintomi visibili immediati. E’ uno dei coloranti azoici, tutti legati al cancro del tratto intestinale. Dà luogo anche ad altri sintomi, come problemi cutanei e respiratori, e inoltre molti la considerano tossica per il sistema nervoso centrale. Questo e altri coloranti sintetici avrebbero dovuto essere vietati fin dall’inizio.
La prossima volta che andate al supermercato, date un’occhiata ai colluttori antiplacca. Eccoli là, tutti in fila nel loro arcobaleno sintetico: rosa shocking, arancione brillante, verde smeraldo, azzurro mare e rosso scarlatto. Ammiccano per essere invitati a entrare nella vostra bocca per sciacquare le vostre delicate membrane assorbenti e lasciarvi avvelenare.
I consumatori accorti riescono a evitare la maggior parte degli additivi alimentari, ma uno difficile da scoprire è lo zolfo. Da anni si usa per evitare che la frutta secca diventi marrone. Se la frutta ha un aspetto morbido e il colore è brillante, contiene zolfo. Non sarà altrettanto tenera, ma se vi abituerete a consumare frutta secca senza zolfo la troverete gradevole, e il piacere sarà prolungato dalla masticazione più lunga. Sarà più sana se la farete rinvenire in acqua prima del consumo, ripristinando l’umidità e la morbidezza. In genere nei negozi di alimenti naturali si trova frutta secca senza zolfo, ma è bene essere sempre sospettosi e controllare prima dell’acquisto. Quelli che vengono chiamati “solfiti” sono una minaccia molto più ardua da scovare. Alcuni ristoranti li spruzzano sugli ortaggi dell’insalata per mantenerne l’aspetto  fresco, come anche su frutti di mare e patate fritte. Alcuni soggetti hanno reazione come diarrea, attacchi acuti d’asma, nausea, perdita di coscienza e perfino shock anafilattico.

Leggi blande, veleni ovunque
 Negli Stati Uniti ci sono decessi a sufficienza perchè venissero introdotte delle leggi a tutela del pubblico. Sfortunatamente, sono leggi senza mordente. Anzichè eliminare i solfiti, oggi i ristoranti hanno semplicemente l’obbligo di specificare che vengono utilizzati. Gli alimenti in scatola sono spaventosamente pieni di sostanze tossiche, sali e non- nutrienti.
La maggior parte delle vitamine e dei minerali si perde durante la lavorazione, così come tutti i preziosi enzimi senza i quali il corpo non riesce a funzionare in modo efficiente. Le lattine stesse pongono un problema grave per via della sostanze che disperdono nell’alimento. Ciò diventa particolarmente pericoloso nel caso di agrumi in scatola, frutti di bosco o altri cibi acidi. In alcuni esperimenti è stata dimostrata una contaminazione dei contenuti  pari a 150 parti per milione. Inoltre, è risaputo che i soggetti con ipersensibilità vanno incontro a crisi violente se esposti al rivestimento bruno-dorato utilizzato per evitare che il metallo alteri il colore del cibo. Per chiudere le lattine si utilizza il piombo, e anche questo finisce nel cibo. Chi conserva il cibo in scatola nel frigorifero è a caccia di problemi, dato che la contaminazione aumenta enormemente  da un giorno all’altro. Accadde un incidente di questo genere a una famiglia di Los Angeles che aveva portato delle graziose stoviglie da un viaggio in Messico, fra cui una caraffa in cui era stato conservato del succo d’arancia in frigorifero per vari giorni. Uno dei figli morì e gli altri membri della famiglia si ammalarono gravemente  prima che ci si rendesse conto che il piombo della caraffa era finito nel succo d’arancia. Il pericolo delle lattine non è altrettanto drammatico, naturalmente. Se lo fosse, il cibo in scatola sarebbe bandito dal mercato e le persone sarebbero  molto più sane. Tuttavia il principio è identico, e i pericoli sono lenti e cumulativi. Le industrie alimentari fanno cose disgustose. Per facilitare la sbucciatura, c’è chi riduce in poltiglia le bucce di frutta e verdura usando soluzione caustiche come la soda. Per evitare la perdita di clorofilla si usa il carbonato di magnesio o la magnesia, sia che abbiate bisogno di un lassativo o meno. Nella preparazione possono essere usati agenti rassodanti come calcio monofosfato, cloruro di calcio e citrato.
Dato che il cibo in scatola sarebbe grigio o poco allettante senza un ritocco estetico, vi si aggiungono comunemente soda o cloruro di stagno. La maggior parte di queste sgradevoli sostanze non viene elencata in etichetta, ma potete stare certi che ci sono lo stesso. I produttori sostengono che queste sostanze si “dissipano”, ma visti i loro precedenti quanto a sincerità e premura per il prossimo, non ne siamo convinti.

Pane bianco: l’unico motivo è il profitto
C’è un vecchio proverbio che dice “Più il pane è bianco, più la vita è corta”, eppure i fornai continuano a produrre un pane asfittico, pericoloso, di un bianco cadaverico, e la gente continua a ingurgitarlo e a darlo ai propri figli inconsapevoli. Probabilmente vostra madre ve lo dava, spesso spalmato di burro e marmellata, ed era un premio, una parte della vostra crescita. Come tante cose della vostra infanzia, è difficile associarlo ad un veleno. Eppure è veleno, ed è impossibile conquistare o mantenere una salute ottimale consumando questa roba.
Per 30 anni, la farina è stata sbiancata con tricloroammina,  tossica per il sistema nervoso centrale. Ora viene sbiancata con ammoniaca, alluminio, gesso e diossido di cloro, tutte sostanze pericolose, a dispetto delle garanzie di sicurezza da parte dei produttori. Molti scienziati condannano questa pratica, e negli esperimenti sui topi è stato dimostrato che mangiare farina trattata con diossido di cloro provoca ritardi nella crescita. La motivazione è il profitto: la decolorazione permette  di usare farine di pessima qualità e di prolungare la conservazione del prodotto. I produttori non si preoccupano del fatto che togliendo alla farina il colore se ne elimini anche il nutrimento.
Escludendo il processo di decolorazione, tutti i pericoli che si annidano nella farina bianca riguardano anche il frumento integrale. Dunque, non ci si può congratulare nemmeno con chi serve sistematicamente alla famiglia il pane scuro, a meno che non si macini personalmente la farina usando cereali biodinamici (per evitare la farina bromurata) e faccia il pane in casa, oppure usi un essicatore per alimenti per trattare i chicchi di cereali (che mantengono i principi nutritivi se la temperatura non supera i 40°C). Se preferite il pane tradizionale, panificare in casa può essere un’opportunità per riportare un pò di antico calore nella vita familiare e coinvolgere i bambini tenendoli per un pò lontani dalla televisione e dalla strada. Ma anche il pane migliore contiene glutine, che fa male alla salute.
Se vi state lamentando di quanto tempo ci vuole per panificare, ricordate che i chicchi di frumento sono trattati con veleni al mercurio, e nei magazzini vi si spruzza  sopra del gas cianogeno. Poi, i fornai saturano l’impasto con propionati di sodio o calcio, che distruggono l’enzima che permette al nostro corpo di assimilare il calcio. Lo usano perchè impedisce la formazione di muffe, senza preoccuparsi che tutto ciò che ritarda la crescita di un organismo vivente possa anche essere pericoloso per le persone. A questo mix inquietante aggiungete il bromo che si trova in tutte le farine commerciali, e capirete perchè così tante persone sono allergiche ai farinacei! Quindi, se volete fare il pane usate solo cereali biologici.
In una pagnotta possono esserci fino a 80 ingredienti, ma solo pochi sono indicati in etichetta. La maggior parte sono non-alimenti, e molto pericolosi. Ci sono coloranti, conservanti, antimuffa, miglioranti delle farine, antiossidanti, volumizzanti, emulsionanti, lievitanti e lucidanti. Alcuni sono sostituti di uova, latte e grassi naturali, perchè le sostanze chimiche costano meno degli alimenti veri. Altri servono a facilitare la distribuzione e ritardare la scadenza del prodotto. Questo pane chimico resta “fresco” e soffice a lungo, e perchè non dovrebbe? Non è più vero cibo, e non c’è niente che possa andare a male.
Prima che tutti si saranno decisi ad agire, quasi tutto il pane sarà diventato immangiabile, sia per gli umani che per gli animali. Persino le larve di scarafaggio sono più sagge di tanta gente: loro non mangiano la farina bianca. Non solo questa è spaventosamente piena di veleni, ma tutte le vitamine, i minerali e gli enzimi sono stati rimossi durante la macinatura e dati in pasto ai maiali. La farina “arricchita” è una farsa. Infatti sono vitamine di sintesi ricavate dal catrame quelle che vengono aggiunte una volta che si sono persi tutti i nutrienti naturali. Il pane fatto con questo tipo di farina è uno strumento di morte, e sulla  confezione ci dovrebbe essere il simbolo del teschio con le tibie incrociate.
E’ saggio evitare qualsiasi cibo che abbia dei numeri elencati fra gli ingredienti. Quei numeri sono stati messi per via delle pressioni dei consumatori – troppe persone restavano intossicate, o addirittura uccise, perchè non sapevano cosa stavano mangiando – e la maggior parte di quei numeri rappresenta sostanze chimiche che nessuna persona sana di mente sceglierebbe volontariamente di mangiare o bere. Per esempio, l'”additivo 920″ è prodotto usando peli di animali e piume di pollo. L’anonimo “miglioratore per farine”, che si trova in molti tipi di pane industriale e figura in tante ricette per la macchina del pane, va evitato perchè contiene alluminio e altri additivi pericolosi.

Proteggetevi dai cibi tossici
Quelli che dovrebbero essere i nostri “custodi”, i governi, hanno fallito miseramente nel compito di provvedere a salvaguardare la nostra salute. Diventano tutti molto miopi quando sono in gioco gli interessi delle multinazionali e trascurano completamente di darci la protezione di cui abbiamo assoluto bisogno, che meritiamo e per cui paghiamo. Questo è un argomento troppo complicato per i politici. Ancor più sinistri sono l’industria alimentare, che è troppo ricca, e i suoi lobbisti, che sono troppo potenti e/o generosi per farsi mettere i bastoni tra le ruote per le loro pratiche pericolose dai politici, quand’anche questi ne  avessero la motivazione, l’interesse o le competenze. Ma in ogni caso non ce l’hanno, e probabilmente sarà sempre così. Come sempre, dobbiamo essere noi stessi a proteggerci!
Per fare un esempio dell’atteggiamento incurante adottato dal governo australiano e da altri governi di paesi “civilizzati”, quella che segue è una lista di alcune sostanze  che è permesso utilizzare all’interno di alimenti: alcool benzilico, alcool isopropilico, alcool etilico, propanolo, glicerina, mannitolo, sorbitolo, polidestrosio, acetato di etile, monoacetina, diacetina, triacetina, citrato di trietile, grassi e oli commestibili, clorudo di sodio, eritrolo, agenti modificanti, amidi naturali, maltodestrine, gelatina, oli idrogenati, silicato di calcio, caseinato di potassio, alluminiosilicato di sodio, carbonato di magnesio, alluminosilicato di calcio e sodio, calcio fosfato tribasico e idrossifosfato di calcio.

Queste sostanze chimiche sono ammesse a fare parte di ciò che mangiamo! Pensate che il vostro governo abbia una minima idea di quali danni alcune o tutte queste sostanze possano arrecare? C’è mai stato qualcuno che abbia considerato quali interazioni possano avere queste sostanze chimiche? Pur non essendo espressamente indicato, io ho buoni motivi per sospettare che alcune di queste sostanze siano contenute negli alimenti per la prima infanzia! Se è permesso usare l’aspartame nei cibi per neonati, perchè non anche le sostanze sopra elencate, molte delle  quali sospettate di cancerogenicità? Siete disposti a nutrire la vostra famiglia con queste sostanze? Io sicuramente no, ed è per questo che non acquisto mai cibi industriali. Spero che vogliate seguire il mio esempio.

L’autrice:
Elaine Hollingswort – tratto dal quinto capitolo del libor Take Control of Your Health and Escape the Sickness Industry. Elaine Hollingswort è la direttrice del Centro Medico Hippocrates, sulla Gold Coast del Queensland, in Australia, e fin dagli anni Cinquanta si batte su tematiche legate alla salute. E’ l’autrice di Take Control o Your Healt and Escape the Sickness Industry (Empowerment Press, 2012, 12°edizione, dal quale sono stati tratti e pubblicati articoli su NEXUS n.ri 98 e 100). Per maggiori informazioni e per acquistare libri, CD e DVD di Elaine, si visiti http://www.doctorsaredangerous.com.

 

IL CALCIO HA SMESSO DI FARE DEL BENE. Finalmente anche la scienza se ne accorge

Qualsiasi tipo di Calcio si introduca nell’organismo, attraverso i latticini o attraverso le integrazioni, l’organismo rischia di riceverne un danno se solo si superano i 1400 mg al giorno di assunzione complessiva.

Purtroppo si tratta di un livello che è troppo vicino ai livelli minimi raccomandati a livello istituzionale (dai 1000 ai 1500 mg al dì a seconda delle età), e se fosse un farmaco ad avere queste caratteristiche, il suo uso verrebbe definito “estremamente pericoloso”.

In medicina infatti quando il dosaggio consigliato è vicino al dosaggio che può provocare danno, si cerca di evitare l’uso di quel farmaco per i rischi presenti. Per il Calcio il dosaggio consigliato da una Medicina un po’ stantia e poco attenta alle evoluzioni, è spesso superiore a quello a cui è stato documentato un danno.

Purtroppo infatti, a tutti gli adolescenti viene suggerito dalle linee guida di usarne almeno 1500 mg al dì, mentre tutte le donne che anche solo si avvicinano alla menopausa vengono invitate ad assumerne “come minimo” 1500 mg al giorno.

Sembra che yogurt (750 mg Calcio per confezione da 500), latte (1250 mg per litro) e formaggio (1150 mg per 100 g di formaggio grana, 650 mg di Calcio per un etto di stracchino) diventino alimenti obbligatori da mangiare in quantità notevole quando una qualsiasi donna supera i 40 anni.

Risale a solo pochi anni fa il passaggio da un dosaggio di 800 mg al giorno a un suggerimento quasi raddoppiato. E allora c’è da domandarsi perché la Scienza passi certi momenti di assoluta astrazione dalla realtà e segua in modo più o meno consapevole le indicazioni di alcune lobby alimentari.

La ricerca che è stata pubblicata sul British Medical Journal dello scorso febbraio descrive gli effetti a lungo termine nel sesso femminile della assunzione di Calcio, riuscendo a definire la corrispondenza tra le diverse malattie e i livelli di assunzione giornaliera (Michaelsson K et al, BMJ. 2013 Feb 12;346:f228. doi: 10.1136/bmj.f228),

Diciamo che fino a livelli di assunzione intorno agli 800 mg al giorno non ci sono particolari effetti da registrare, mentre per livelli vicini ai 1400 mg (facilmente raggiungibili con tazzona di latte, una porzione di stracchino, qualche cubetto di formaggio grana e uno yogurt) proseguiti per un tempo prolungato, gli effetti di aumento della mortalità per tutte le cause (cardiovascolari o tumorali che siano, escludendo l’ictus) sono decisamente elevati. Nessun effetto deleterio invece è emerso dalla assunzione di bassi livelli di Calcio (sotto ai 600 mg/giorno).

Si tratta di uno studio effettuato su 61.000 donne seguite per una media di 19 anni, con dimensioni di popolazione di tutto rispetto. Lo studio non ha dimostrato un rapporto di causalità tra latticini o Calcio e malattia, ma solo una relazione molto stretta tra i due eventi (per dimostrare una causalità bisognerebbe impostare lo studio in modo diverso). Talmente stretta da suggerire agli estensori dell’articolo di consigliare l’uso del Calcio solo in situazioni in cui i benefici superino di molto e con chiarezza i possibili rischi.

I danni da uso eccessivo di Calcio sono stati già dimostrati soprattutto negli uomini e questo lavoro definisce con certezza questa relazione anche per il mondo femminile.

Ci tornano quindi alla mente le considerazioni già fatte sull’eccesso di diagnosi di osteoporosi  e sulla necessità di mantenere l’alimentazione in equilibrio. Ricordiamo anche la documentata azione negativa del Calcio sulle reazioni allergiche (ostacolando l’azione di Zinco e Rame) e quindi lo riteniamo coinvolto anche se indirettamente anche nella genesi dei sempre più diffusi fenomeni infiammatori a bassa intensità.

Non fa male il Calcio, ma il suo eccesso, tragicamente vicino al livello di normalità raccomandato per tutti e purtroppo innalzato proprio in anni recenti, in dispregio degli studi effettuati e di quelli in corso di pubblicazione.

Non fanno male neanche il latte e i latticini, se fanno parte dell’alimentazione in modo ragionato. Quando diventano l’unica fonte proteica o si trasformano in prodotti ripetutamente assunti grazie alla pubblicità martellante, allora è giusto lasciare spazio anche al fiorire di qualche perplessità in più, e all’espressione di qualche critica su modelli alimentari proposti in modo così diffuso e insistente.

da Attilio Speciani

I PERICOLI NASCOSTI DEI CIBI INDUSTRIALI – 1° Parte

Una delle cose migliori che potete fare per la vostra salute e quella della vostra famiglia è evitare il consumo di cibi e bevande industriali, che sono pieni di additivi chimici: molti additivi non sono mai stati testati e addirittura alcuni sono notoriamente cancerogeni.

Sono così pratici…per accorciarsi la vita
E’ difficile decidere da dove cominciare quando si affronta un argomento come questo, che al tempo stesso indigna e spaventa. Il capitolo di un libro può dare tutt’al più una panoramica superficiale; per comprendere davvero la complessità e i pericoli degli additivi alimentari bisogna essere esperti di biochimica, o perlomeno leggersi una buona quantità di libri voluminosi, indisponenti e difficili.
Se consumate cibi industriali, potete essere certi che sono zeppi di potenti sostanze chimiche in cui l’organismo umano non si è mai imbattuto prima dell’avvento della provetta. Il computer del nostro corpo si trova in difficoltà nel gestire questi additivi che vi buttiamo dentro senza criterio. Questa confusione può essere causa di divisione cellulare, e tutti noi sappiamo cosa significa. Come ha espresso l’autorevole ricercatore oncologico Dott. William E. Smith: “L’abitudine sempre più diffusa di introdurre una serie infinita di molecole biologicamente estranee all’organismo umano per vari scopi commerciali è come gettare una manciata di dadi e bulloni nella più delicata macchina esistente al mondo.”
Praticamente tutto ciò che mangiate è stato, in una fase o l’altra della produzione, imbottito di additivi. Se consumate cibi industriali, il vostro corpo deve vedersela con emulsionanti, conservanti, coloranti, aromi artificiali, umettanti, essicanti, dolcificanti artificiali, sbiancanti, neutralizzanti, disinfettanti, addensanti, antischiumogeni, antiagglomeranti, alcalinizzanti, deodoranti, volumizzanti, gas, lucidanti, idrogenanti, idrolizzanti, maturanti, solfiti, anidride solferosa, pesticidi, antimicotici, stabilizzanti, testurizzanti, antibiotici, steroidi e perfino radiazioni. E voi che pensavate di mangiare cibo!
Fornire un elenco dettagliato delle migliaia di sostanze aggiunte al nostro cibo e dei pericoli, effettivi o potenziali, di ciascuna andrebbe oltre lo scopo di questo libro. Esistono diversi ottimi testi sull’argomento, per chi desidera saperne di più. Ma fate attenzione: leggerli potrebbe incidere sul vostro equilibrio mentale, e distruggere quel barlume di fede o rispetto che potreste ancora nutrire verso le agenzie regolatrici, le aziende chimiche, gli scienziati o l’industria alimentare.

E’ cibo “genuino”…come no!
La lista delle sostanze chimiche contenuta nelle bibite è  da capogiro. Molte contengono oli vegetali bromurati, che hanno prodotto enormi lesioni ai reni, fegati, cuori e milze delle cavie da laboratorio. Ci vorrebbero pagine intere per nominare tutte le sostanze pericolose contenute in queste bevande frizzanti dall’aspetto tanto innocuo. Basti dire che molti sono derivati dal catrame di carbone, e da molti anni si sa che queste sostanze sono cancerogene.
Per chi si stia chiedendo come mai i governi dovrebbero consentire la vendita di queste bibite se sono così pericolose, posso solo dire che dovete pensare con la vostra testa se intendete proteggere voi e la vostra famiglia. L’industria alimentare è immensa e potente, e storicamente tutti i governi si sono sempre preoccupati soprattutto di proteggere l’industria, più che i consumatori.
…le statistiche ci dicono che l’aumento senza precedenti dell’incidenza di cancro va di pari passo con il forte aumento della prevalenza di sostanze non testate nell’offerta alimentare.
Per esempio, negli Stati Uniti le società produttrici di bibite, con l’aiuto dei governi, si sono infiltrate nel sistema scolastico pubblico. Credete che l’Australia e gli altri paesi “civilizzati” resteranno a guardare? Diversi distretti scolastici degli USA hanno firmato contratti con Coca-Cola che fruttano milioni di dollari, purchè vengano rispettate le quote di vendita annuali! Il risultato è prevedibile: gli amministratori scolastici incoraggiano gli studenti a bere la Coca, persino in classe.  Nel 1998, il Centro per le Scienze nell’Interesse Pubblico avvertì che Coca-Cola aveva pagato 60 milioni di dollari al Boys & Girls Clubs of America perchè il suo marchio venisse venduto in esclusiva in oltre 2000 strutture.
Le bevande gassate non fanno male solo alle ossa, ma possono anche distruggervi i denti. Se non basta il buon senso per convincere voi e i vostri figli a smettere di berle, provate a fare questi esperimenti:
– Buttate dei chiodi di metallo dentro una bottiglia di cola. Nel giro di due giorni, si  saranno dissolti.
– Versate della cola su una superficie di cemento, e osservate cosa succede ad una mosca che la ingerisce. Notate anche come diventa pulita la superficie.
– Se ne avete il coraggio, versate della cola sulla vostra auto, e osservate cosa succede alla vernice della carrozzeria. Sembrerà pronta per l’autodemolitore!
Molti prodotti che conosciamo e amiamo non esisterebbero senza un uso generoso di conservanti, in particolare gli alimenti in scatola e le carni confezionate, che hanno bisogno di conservanti potenti per evitare effetti collaterali indesiderati, come la putrefazione. Le carni confezionate sono dannose a tutti i livelli, ed è meglio evitarle in ogni caso. Certe carni contengono tanti di quei conservanti che vicino alla data di scadenza dovrebbero scrivere: “Sempre che ci arriviate!”

Le sostanze che vi predispongono al cancro
La scusa che viene spesso riportata dai portavoce dell’industria e a cui, incredibilmente, prestano fede i governi e i cittadini, è che queste sostanze nonostante causino il cancro nelle cavie sperimentali, sono usate solo in quantità minime e dunque sono innocue. Eppure alcune sono talmente velenose che, se ingerite in grandi quantità, potrebbero uccidere un essere umano all’istante! La spaventosa verità è che persino in quantità minime una sostanza cancerogena, assunta occasionalmente, è sufficiente per causare il cancro negli individui predisposti.
Durante un simposio di oncologia, il tedesco Dott. Hermann Druckry ha chiarito: “Anche in chi ne assorbe quantità infinitesimali c’è comunque un effetto cumulativo, e quando si raggiunge un certo livello ed è trascorso un periodo di latenza, l’effetto diventerà evidente sotto forma di tumore.” La sostanza che ingerite oggi, nascosta dentro quella deliziosa golosità a cui non sapete resistere, potrebbe predisporvi ad avere un cancro fra qualche anno. Ne vale la pena?
Anche il direttore della divisione tossicologica della FDA statunitense ha detto che non si conosce esattamente il destino finale degli additivi alimentari una volta che sono entrati nel corpo. Anni fa si pensava che il corpo fosse in grado di detossificarsi dagli additivi alimentari, e che questi venissero scomposti in sostanze innocue. Oggi sappiamo che ciò non avviene. L’industria alimentare, l’industria chimica e i governi stanno giocando alla roulette russa con il nostro corpo. Potranno continuare a farlo solo se noi glielo permettiamo. Anche se è impossibile stabilire la causa della maggior parte dei tumori umani, le statistiche ci dicono che l’aumento senza precedenti dell’incidenza di cancro va di pari passo con il forte aumento della prevalenza di sostanze non testate nell’offerta alimentare. L’abitante medio di una nazione industrializzata ingerisce da tre a sette chili di questi additivi all’anno. Dato che ci sono persone prudenti che non ne ingeriscono affatto, significa che tante altre persone ne assumono almeno due o tre volte tanto. Stanno strizzando l’occhio al cancro, e a tutti gli altri mali prodotti dagli additivi alimentari.

Additivi testati raramente
Nel nostro cibo ci sono migliaia di sostanze artificiali che non sono mai state adeguatamente testate, dunque nessuno sa se potenzialmente potrebbero causare malattie congenite, allergie, difetti genetici o cancro. L’industria alimentare  ha continuato per 75 anni a fare uso di sostanze chimiche che avevano causato gravi danni epatici nelle cavie sperimentali, prima che il pubblico venisse a saperlo. Cumarina, dulcina, giallo burro (non suona appetitoso?) sono solo alcuni esempi.
Molte sostanze che notoriamente causano il cancro negli animali sperimentali sono tollerate dai governi, nonostante i moniti degli oncologi, solo sulla base del fatto che vengono consumate in piccole quantità e non sono istantaneamente letali.
Raramente sono i produttori alimentari stessi a svolgere i test sugli additivi. Si affidano a chi produce gli additivi e a società “indipendenti” come gli statunitensi Industrial Bio-Test Laboratories, annoverati fra i maggiori laboratori di analisi industriale al mondo. I dirigenti di questa azienda sono stati condannati per aver falsificato i risultati di oltre 22.000 analisi svolte per conto di compagnie chimiche, nonostante un incendio avesse “accidentalmente” distrutto tutti i loro archivi appena prima che irrompessero i federali! E’ agghiacciante considerare che i laboratori americani sono considerati i migliori al mondo e che la maggior parte degli altri paesi si affida ai risultati dei loro test. Anche i laboratori che non falsificano i risultati sono poco affidabili. Il più delle volte, gli agenti cancerogeni sono identificati solo dopo che il prodotto è stato testato su un pubblico ignaro. Persino nei laboratori di specchiata integrità, in genere si ignorano i pericoli cumulativi. Ciò che può essere relativamente innocuo a breve termine potrebbe causare il cancro dopo anni di ingestione. Nei test si è sempre trascurato anche l’aspetto dell’interazione: qualcosa che da solo è innocuo potrebbe rivelarsi letale se combinato con altri additivi o sostanze naturali. Considerando che possono esserci 30 o più additivi in un unico alimento, le combinazioni sono infinite!
Leggere attentamente le etichette al supermecato è quanto mai inutile. Un produttore di pizza è tenuto a elencare che usa pasta da pane, salsa di pomodoro, formaggio e verdure. In molti paesi, non c’è bisogno che specifichi  gli orrori che sono stati commessi per “migliorare” la farina con cui ha preparato l’impasto, nè gli additivi del formaggio. Se non è stato lui a produrre la salsa di pomodoro, probabilmente nemmeno questi ingredienti sono elencati. Se usa del salame fornito da altri, gli basta indicare “salame”, e i relativi contenuti resteranno un raccapricciante segreto del salumificio. Se voi o i vostri figli foste  allergici al nitrato di sodio o a uno dei tanti altri additivi consentiti nelle carni conservate, buona fortuna. Gli studi su animali mostrano che gli additivi costituiscono un rischio soprattutto  per i giovani rispetto agli individui maturi. E’ possibile che gli organi completamente  sviluppati siano più capaci di resistere all’attacco delle sostanze nocive. Qualunque sia il motivo, è ormai assodato che tutti gli additivi alimentari presentano un rischio inaccettabile per i nostri figli. Se considerate quanti non-alimenti coloratissimi, bibite e altra roba super-chimica consumano, non c’è da sorprendersi che l’incidenza dei tumori infantili sia tanto alta. Cinquant’anni fa, si sentiva molto raramente di bambini o giovani che si ammalavano di cancro o altre malattie degenerative: oggi è una realtà comune.

Nel cibo dei più piccoli
Persino i neonati sono vittime dell’industria alimentare. Leggere gli ingredienti di alcuni alimenti  e integratori per la prima infanzia, fra cui il latte in polvere, farebbe accapponare la pelle a un avvoltoio. Sembra più una lezione di chimica che non un elenco di ingredienti alimentari. Si sa che i bambini non percepiscono il gusto salato, eppure viene  aggiunto sale, dando precocemente il via a una dipendenza. Nel cibo per neonati si può trovare persino il gluttamato monosodico (MSG), noto da tempo come un pericoloso non-alimento. Dopo una lunga lotta, i gruppi di consumo sono riusciti a farlo bandire in molti paesi.
Negli USA, i dirigenti della prestigiosa Beech-Nut Nutrition Corporation sono stati citati in giudizio per aver venduto cinque milioni di barattoli di coloranti artificiali, zucchero e acido malico sintetico sotto l’etichetta “succo di frutta 100%”. Uno è stato condannato con 429 capi d’accusa per violazioni della legge su alimenti, farmaci e cosmetici.
Quando scegliete il cibo per i vostri figli, non fidatevi dell’industria alimentare, ma solo di voi stessi! Se ci tenete al vostro bimbo, allattate al seno il più possibile, e poi nutritelo con frullati di frutta fresca e verdure. Non sarà veloce come aprire un barattolo o una bottiglia, ma perderete meno tempo ad accudire bimbi malati, e li proteggerete da disturbi medici, interventi chirurgici, chemioterapia e morte prematura.

ALLERGIA E MEDICINA COMPLEMENTARE

Sempre di più si sente parlare di allergie. Ma che cos’è l’allergia?
L’allergia è una situazione di ipersensibilità dato dall’esposizione ad una particolare sostanza che provaoca reazioni immunitarie avverse. L’allergia è quindi un’alterazione del sistema immunitario caratterizzato da reazioni esagerate date da particolari anticorpi, detti IgE, nei confronti di sostanze abitualmente innocue, come ad esempio pollini, alimenti, sostanze chimiche ecc.
La medicina affronta il problema cercando di stabilire l’agente allergizzante e una volta determinato imposta in alcuni casi un iter desensibilizzante basato su vaccini, non sempre privi di effetti indesiderati e, su di una terapia sintomatica atta non a rimodulare il quadro ma solo all’ eliminazione del sintomo presentato.
L’approccio che la medicina complementare (agopuntura, omeopatia, omotossicologia, medicina funzionale ) attua, non è solo quello di attenuare il più possibile la sintomatologia scatenata dalla reazione allergica, ma quello di cercare di capire, al di là delle predisposizioni genetiche, quali possono essere i fattori che portando in sovraccarico il sistema arrivano a rompere gli equilibri.
La valutazione generale e specifica su apparati ed organi permette molte volte di individuare il o i fattori disturbanti . La maggiore parte delle volte quello che viene riscontrato è un sovraccarico ed una rottura degli equilibri a livello delle mucose, principalmente quelle dell’apparato digerente . Distress, disbiosi, alterazione della mucosa data da processi infiammatori, alimentazione scorretta, intolleranze alimentari, abuso di farmaci, nel tempo condizionano in modo negativo il sistema arrivando a rompere i delicati equilibri che il sistema immunitario sostiene. Oramai è risaputo che la quota maggiore del sistema immunitario è presente a livello delle mucose e tutti i fattori che portano ad alterazione di queste condiziona il buon funzionamento del nostro sistema di difesa.
La medicina complementare valutando e determinando quali sono i fattori disturbanti agisce cercando di eliminare le cause che hanno portato alla rottura dell’equilibrio ed instaura una terapia di recupero funzionale del sistema eliminando i fattori scatenanti ed impostando una terapia atta al migliore recupero dell’organismo attraverso un approccio che permette di scaricare l’eccesso di stimoli negativi che ha determinato il problema.
Così l’eliminazione degli alimenti disturbanti, il recupero della disbiosi intestinale, il reset funzionale organico, lo stimolo sugli organi emuntori ed il recupero sugli organi disturbati porta ad una attenuazione del disturbo e molto spesso alla scomparsa dell’allergia .

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