Ago 26, 2015 | AGOPUNTURA
L’elettroagopuntura, una tecnica di agopuntura che impiega la stimolazione elettrica a bassa tensione , sarebbe in grado di abbassare la pressione nei pazienti ipertesi.
Sanihelp.it – L’ipertensione (comunemente detta ‘pressione alta’) è uno dei principali fattori di rischio delle malattie cardiovascolari, un dato importante se si considera che queste ultime sono la prima causa di morte al mondo.
In Italia poi, secondo l’Oec/Hes (Osservatorio epidemiologico cardiovascolare/Health Examination Survey), il 56% degli uomini e il 43% delle donne di età compresa tra i 35 ed i 79 anni sarebbe ipertesa, una situazione preoccupante considerando che la stragrande maggioranza dei casi (circa il 90-95%) potrebbe essere evitata migliorando lo stile di vita.
Oltre a seguire un’alimentazione sana, dedicarsi costantemente alla pratica di un’attività fisica ed evitare vizi nocivi come il fumo, uno studio ha dimostrato come sia possibile trattare efficacemente l’ipertensione con l’elettroagopuntura, una tecnica sviluppata in Cina negli anni Trenta che impiega impulsi di corrente elettrica a bassa tensione per stimolare diversi agopunti del corpo.
Gli effetti di questa tecnica, come dimostrato dai ricercatori del Centro di Medicina Integrativa dell’Università della California, durerebbero fino ad un mese e mezzo dopo la seduta, pertanto un ricorso regolare a questa tecnica potrebbe essere d’aiuto per controllare l’ipertensione da lieve a moderata, e diminure nel contempo il rischio di ictus e malattie cardiache.
Nello specifico, la ricerca ha coinvolto 65 pazienti ipertesi che non ricevevano alcun farmaco per l’ipertensione: i risultati del test hanno rilevato come il 70% dei partecipanti, dopo aver effettuato una seduta di elettroagopuntura con gli agopunti collocati sui polsi e sotto ciascun ginocchio, avessero beneficiato di un abbassamento della pressione sanguigna (mediamente di 6-8 mmHg per la pressione sanguigna sistolica e 4 mmHg per la pressione diastolica) che ha poi persistito per il mese e mezzo successivo.
«Questo studio clinico è il culmine di oltre un decennio di ricerca in questo settore – commenta il dottor John Longhurst dall’Università della California – Utilizzando il rigore scientifico occidentale per convalidare un’antica terapia orientale, abbiamo ottenuto una guida integrata utile per il trattamento di una malattia che colpisce milioni di persone nel mondo».
di Margherita Monfroni
FONTE – CONFLITTO DI INTERESSI:
University of California
Lug 10, 2015 | AGOPUNTURA
I disturbi del sono molto frequenti in Occidente e una recente statistica indica che circa il 14% delle persone lamenta un qualche disturbo del sonno ed è insoddisfatta del proprio dormire. La percentuale di insonnia aumenta poi con l’età raggiungendo, dopo i 60-65 anni, il 33% e il sesso femminile sembra essere più colpito (Gratton 2002). Il termine insonnia indica la sensazione soggettiva di non aver tratto sufficientemente riposo dal proprio sonno, perché non adeguatamente lungo o privo di sufficienti capacità ristoratrici.
Il fattore “durata” del sonno è purtroppo non significativo per fare diagnosi di insonnia poiché vi sono notevoli differenze individuali nella percezione della quantità di sonno di cui ciascuno necessita (Gaillard, 1996). Dunque, per definire questo disturbo del sonno è estremamente importante tenere conto della soggettività e si può definire insonne chiunque, indipendentemente dalla durata del sonno, non dorme bene e per questo non si sente in completa efficienza fisica e mentale durante il giorno.
Nel termine “insonnia” si condensano diversi problemi quali la difficoltà ad addormentarsi facilmente, svegliarsi durante la notte, il sonno agitato, svegliarsi presto la mattina e il sonno disturbato da sogni; quindi nel porre domande al paziente riguardo alla qualità del sonno è importante chiarire se faccia fatica ad addormentarsi o a mantenere il sonno, se si sveglia troppo presto, oppure se esista iperonirismo.
Sebbene molte insonnie croniche riconoscano una eziologia organica in cui le patologie più frequentemente coinvolte risultano essere l’angina pectoris, lo sconpenso cardiovascolare, le apnee notturne date da ostruzioni delle vie aeree superiori, la sindrome premestruale, la menopausa, l’iper e ipotiroidismo, l’ipertrofia prostatica, l’ultimo mese di gravidanza, l’alterazione del normale ciclo di attività-riposo, tale condizione si può anche interpretare come un sentimento che va al di là delle cause effettive che la determinano, con un carattere di forte soggettività. Infatti, molti dei problemi della giornata vengono poi rivissuti durante le ore notturne con connotati diversi dalla realtà tali da turbare la sfera emotiva: l’ansia è riconosciuta come causa di insonnia iniziale, la depressione di insonnia centrale e terminale. Perciò succede che durante il sonno vengono rivissuti fatti, dialoghi, discussioni che assumono tinte intense e fosche in grado di evocare una sensazione di forte ansia. I disturbi del sonno diventano una spia dell’identità delle persone che ne soffrono.
A questi aspetti soggettivi si aggiunge l’alterazione di tutti i meccanismi percettivi capaci di esercitare una forte influenza sul rendimento, sul benessere e l’equilibrio psico-fisico. Pertanto cresce il desiderio di trovare una terapia in grado di risolvere il problema. Il legame paziente-malattia-farmaco può rappresentare una chiave di svolta. Più il paziente riesce ad essere consapevole del disturbo che lo affligge, più è in grado di gestirlo come “non-malattia”. Numerose scuole di tipo psicologico hanno affrontato il problema seppur partendo da presupposti diversi (Bolognini 2002; Cagli 2002; Lombardo et al.2002).
Agopuntura e Medicina Tradizionale Cinese
Per la Medicina Tradizionale Cinese il giorno e la notte appartengono rispettivamente alle due energie Yang e Yin, energie che scorrono nell’universo, nella natura e dentro l’uomo. Yang e Yin sono compresenti ed in movimento l’uno verso l’altro e il sonno viene causato da una pienezza fisiologica serale dell’energia Yin contemporaneamente a un minimo energetico dell’energia Yang (Bottalo e al., 1999). Il tipo di alimentazione, situazioni psichiche, fattori climatici per questa medicina sono importanti cause di aumento o diminuzione delle due energie che influenzano i vari organi del corpo umano tonificandoli o indebolendoli.
Secondo la teoria dello Yin e dello Yang l’insonnia viene definita come uno stato di pienezza dello Yang serale contemporanea ad un vuoto dell’energia Yin (il contrario della situazione fisiologica). Mentre nelle forme croniche e persistenti occorre stabilire lo stato di pienezza vuoto e/o disfunzione di alcuni Zang/Fu (De Berardinis e al., 1992; Lihui e al., 1999; Montakab, 1999), le forme episodiche vanno trattate facendo “circolare” lo Yang e “salire” lo Yin (Kespì, 1989).
La quantità e la qualità del sonno dipendono dallo stato dello Shen. Lo Shen è radicato nel Cuore, in particolare nel Sangue di Cuore e nello Yin del Cuore. Se il Cuore è sano e il Sangue abbondante, lo Shen è radicato correttamente e il sonno sarà tranquillo. Se il Cuore è in vuoto oppure se è agitato da fattori patogeni come il Fuoco, lo Schen non è radicato in maniera adeguata e il sonno sarà disturbato.
Lo Shen non è la sola facoltà mentale-spirituale coinvolta nel sonno. Anche gli Hun hanno un ruolo importante nella fisiologia e nella patologia del sonno, la cui durata e qualità sono correlate allo stato degli Hun stessi. Se gli Hun sono radicati nel Fegato (nel Sangue del Fegato o nello Yin del Fegato), il sonno sarà normale, profondo e senza troppi sogni. Se lo Yin del Fegato e il Sangue del Fegato sono in vuoto, gli Hun sono privati della residenza e vagano durante la notte, causando un sonno irrequieto caratterizzato da molti sogni affaticanti.
Le domande sul sonno forniscono indicazioni sullo stato dello Shen e degli Hun e devono essere poste ad ogni paziente anche se non si presenta per un disturbo del sonno. Disturbi dello Shen o degli Hun sono estremamente comuni nei pazienti occidentali, la cui vita è generalmente sottoposta a stress intensi.
La quantità di sonno necessaria varia secondo l’età e, in genere, diminuisce gradualmente nell’arco della vita: è massima nei neonati e minima nelle persone anziane.
E’ necessario essere precisi nel raccogliere informazioni sul sonno o sui sogni, non basta chiedere se il paziente dorme bene ma indagare in quale fase si presenta il disturbo e chiarire se esiste iperonirismo. Quest’ultimo sintomo è difficile da definire anche se in medicina cinese il “sognare eccessivamente” può essere ricondotto ad una doppia definizione: sia sognare tanto intensamente da sentirsi esausti al mattino, sia fare sogni spiacevoli da rimanere ugualmente stanchi e lievemente disturbati al mattino, o anche da risvegliarsi durante la notte. Nel caso di sogni eccessivi è utile approfondire se ci sono sogni ricorrenti. Nel testo Su Wen vi è una lunga lista di sogni con il significato loro attribuito dalla medicina cinese: per esempio sognare acqua in modo ricorrente suggerisce la presenza di un deficit di Rene.
Da Rivista Italiana di Agopuntura n. 136
Mag 28, 2015 | AGOPUNTURA, ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
Parlare di “attacco di panico” vuol dire affrontare lo spettro della dissoluzione, della frantumazione della propria identità, delle certezze e delle difese che fino a quel momento hanno sorretto l’individuo e gli hanno permesso di mantenersi in un delicato equilibrio tra angosce e sicurezze. L’attacco di panico è una esperienza acuta e improvvisa di forte angoscia che, nonostante la natura transitoria, produce sensazioni intense, incombenti e dolorose. Il panico evidenzia lo stretto rapporto tra mente e corpo. È quest’ultimo a reagire, ad urlare con forza le proprie tragiche paure. Lo fa attraverso una sintomatologia fisica caratterizzata da senso di soffocamento, tachicardia, intensa sudorazione spesso associata a sensazioni di freddo, vertigini, tremore, dolore o fastidio al petto, nausea.
Sembra che oggi, nella nostra società ‘liquida’, il corpo abbia subito un’altra – l’ennesima – rimozione, sia stato nuovamente ‘inscatolato’ e reso ostaggio di logiche di consumo dove si afferma sempre più l’equivalenza corpo = merce. Non è un caso allora se oggi assistiamo a problematiche in cui il corpo ed il corporeo si fanno contenitore ed ultimo ricettacolo di quelle istanze esistentive negate, respinte e forcluse a livello psichico. (Fernando Maddalena)
La nostra esistenza si delinea all’interno di una matrice culturale di riferimento, con le sue pressioni e le sue aspettative. L’essere umano è da subito immerso in un sistema di relazioni, attraverso le quali struttura il proprio senso di sé e la sua sicurezza di base. Le figure di riferimento genitoriali, in questo contesto, sono le primissime forme di interazione e confronto con le quali l’individuo si relaziona. Dall’incontro e dallo scontro con le aspettative dell’esterno vengono ridefinite, e spesso stravolte, le caratteristiche intrinseche dell’individuo, in una continua negoziazione tra bisogni di sicurezza ed accudimento e necessità di autorealizzazione, libertà, autenticità ed indipendenza.
L’individuo sofferente, è infine costretto da più fronti a ricorrere alla fantasia per sentirsi intero, per sperimentare un sé solo in apparenza coeso, abile a fronteggiare le difficoltà ambientali, costruisce una sua immagine idealizzata. Questa costruzione fittizia è qualcosa di molto lontano dalla dimensione reale, ma comunque utile all’individuo per sopravvivere all’angoscia di base che minaccia il senso profondo dell’esistere. La caratteristica peculiare della immagine idealizzata è quella della staticità, per cui è quasi impossibile per il soggetto tendere al cambiamento e men che meno alla messa in discussione delle proprie aree grigie. Essa è una immagine fissa da idolatrare e non un ideale da perseguire con innumerevoli sforzi.
“Gli ideali genuini conducono all’umiltà, l’immagine idealizzata all’arroganza” scrive Karen Horney.
La funzione fondamentale dell’immagine idealizzata è dunque quella di sostituire alla fiducia di sé una fiducia fittizia che porta il soggetto alla dipendenza dalle richieste esterne, piuttosto che dalla sana attitudine all’autorealizzazione spontanea e creativa, che si esplicita nella tendenza a cercare di governare la propria vita. In questo contesto il mondo è visto come minaccioso e ostile e l’immagine ideale trae da questa visione maggiore linfa vitale per attecchire e svilupparsi. Quando il mondo esterno viene percepito come eccessivamente ostile, foriero di esperienze di abbandono e rifiuto, è necessario adattarvisi in maniera coatta, rigida ed inautentica. È questo il preludio per la formazione di strutture nevrotiche cristallizzate, schemi di relazione disfunzionali ed impoveriti, immagini di sé in relazione all’altro poco negoziabili e ridefinibili. Winnicott, Karen Horney ed altri autori parlano di “Falso Sé” ad indicare una costruzione rigida che imbriglia la personalità all’interno di schemi predefiniti, limita la sperimentazione e la scoperta, uccide i desideri reali e le aspirazioni, esaspera una forma di adattamento all’ambiente per nulla creativo, nel quale l’universo emotivo è impoverito, ingabbiato e lontano dalla sua reale possibilità di espressione vitale.
La più importante delle radici degli attacchi di panico è costituita dall’incapacità di percepire e riconoscere le emozioni, come conseguenza di una specie di “analfabetismo emozionale”, che si è strutturato progressivamente nel corso della vita, di pari passo con la strutturazione del Sé. Il paziente, non riuscendo a riconoscere l’emozione come un accadimento mentale unitario, percepisce slegate fra loro le singole espressioni fisiche di essa. È come se percepisse slegate tra loro le tessere di un mosaico. Non possono che apparirgli del tutto prive di senso. Ma il “mosaico”, che lui non riesce a integrare, e di cui non ha consapevolezza perché neppure lo percepisce, non è esterno a lui. Lo riguarda direttamente. È dentro di lui. Sensazioni, quindi, fortissime e insensate. (Paolo Roccato)
La psicoanalisi contemporanea vede l’attacco di panico come una espressione vitale di ciò che ancora rimane di autentico nell’individuo. Una espressione del “Vero Sé”, intrappolato e ferito, ma non ancora sconfitto. Può sembrare paradossale, ma è assolutamente importante leggere l’esperienza del terror panico come un tentativo disperato e certamente destabilizzante per urlare con forza il proprio disagio, per riconnettersi con le parti vitali presenti in dentro di sé. La crisi di panico mette l’individuo di fronte al fallimento della struttura difensiva, evidenzia cioè una fondamentale fragilità del Sé in termini di non acquisizione di uno stabile senso di identità soggettiva…
Di Fabio Masciullo
Mag 20, 2015 | AGOPUNTURA, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
La rabbia: questo sgradevole compagno di viaggio
“Ero arrabbiato con il mio amico. Glielo dissi e la rabbia finì. Ero arrabbiato con il nemico. Non ne parlai, e la rabbia aumentò.” (William Blake)
Tutti gli psicologi sono concordi: la rabbia è un’emozione tipica e fondamentale, è identificabile sempre in una specifica origine funzionale ed è presente in tutte le età e i momenti evolutivi dell’uomo.
Insieme alla gioia e al dolore è una delle emozioni che si manifesta nell’uomo fin dai primordi e lo accompagnerà tutta l’esistenza. Insieme al disgusto e al disprezzo fa parte della triade dell’ostilità.
Sulla base di questo pensiero, come è possibile che un neonato possa già manifestare rabbia? Secondo le neuroscienze la situazione scatenante non è mai singola, ma plurima, e sempre riconducibile ad un insieme di frustrazioni sia fisiche che psicologiche.
Tra le varie circostanze che possono influire nel fare nascere l’impulso della rabbia gioca un ruolo predominante quello dell’intenzione da parte di qualcosa o qualcuno nell’impedimento a raggiungere uno scopo.
Ma come nasce la rabbia e come si scatena? In primo luogo la persona vive lo stato di raggiungere uno scopo o un obiettivo come un bisogno fondamentale. L’appagamento che pensa di ricevere dal risultato di questa situazione è senza dubbio enorme al punto da farglielo considerare vitale. Spesso la persona che si impegna in un processo complesso non distingue più le sfumature delle varianti che possono subentrare nel processo stesso: tutto è “o bianco o nero”; non esistono vie di mezzo e chi si frappone al raggiungimento di questo obiettivo è sempre visto come un nemico.
Molti obiettivi, soprattutto se fissati senza un piano realistico non potranno mai realizzarsi. È il caso di obiettivi troppo alti rispetto alle capacità, conoscenze, professionalità di chi li persegue. Il risultato è scontato: solo una grandissima fortuna può permettere che quanto desiderato si realizzi. Nel frattempo, tutto quello che è tra l’obiettivo sperato e il suo raggiungimento non è mai visto come un’opportunità di crescita e miglioramento, ma come un puro e semplice impedimento. A volte può essere una situazione, a volte una persona, altre entrambe le cose. Sta di fatto che il meccanismo che scatta nella mente della persona è quello di poter identificare in un oggetto, situazione o persona la causa che impedisce la propria realizzazione.
Definire un nemico, soprattutto fisico, è determinante per qualsiasi strategia: spesso chi è accecato dalla voglia di arrivare ad un punto ben preciso non è in grado di determinare nemmeno la portata della causa scatenante l’impedimento stesso. Ciò che impedisce la realizzazione dell’obiettivo va fermato con tutti i mezzi in ogni modo. Ne nasce una forza enorme legata a una altrettanto smisurata intenzione di attaccare. Se nel frattempo non succede qualcosa che possa sbloccare favorevolmente l’evento, il risultato è scontato: l’attacco avviene in modo palese, diretto e spesso violento. Molte persone, che non sanno contenere la rabbia, arrivano addirittura allo scontro fisico con conseguenze devastanti e spesso irreparabili.
A volte il danno diventa irreparabile già sotto il profilo psicosomatico. Ciò avviene quando la causa frustrante viene minimizzata o addirittura mascherata. Tutta l’energia che dovrebbe essere convogliata verso l’esterno è trattenuta all’interno.
Le filosofie orientali insegnano che quando un’energia non trova il normale sfogo, questa va a danneggiare il sistema provocando in una prima fase stati di disagio per arrivare poi alla malattia vera e propria. Al contrario è anche sbagliato pensare che per prevenire tutto questo si possa dare libero sfogo a tutte le emozioni senza tenere conto dei normali interlocutori. Questa fase è definita gestione della rabbia e potrebbe ricadere su qualcosa di diverso rispetto alle cause scatenanti la frustrazione o, peggio ancora, su se stessi con fasi di autolesionismo profondo.
Direi che la rabbia è proprio una brutta compagna di viaggio e, se torniamo al nostro legno possiamo solo aggiungere che per essere in equilibrio non deve essere minacciato nella sua crescita interna ed esterna: è come se l’albero debba avere normali agenti patogeni, ma la corretta capacità di reazione ad ognuno di essi senza che nessuno possa prevaricare.
Con la rabbia in corpo
“Facili all’ira sopra la terra siamo noi di stirpe umana”. (Omero)
Denti serrati, mascelle irrigidite, sopracciglia aggrottate, occhi piccoli e pupille dilatate sono solo il segno esteriore dell’elemento rabbia. Spesso sono accompagnate da una posizione curva verso l’interlocutore e da pugni chiusi, pronti a colpire. Tutti i muscoli del corpo diventano rigidi al punto da provocare anche la completa immobilità della persona mentre il cuore batte forte.
Chi ci è passato racconta di aver vissuto la paura di perdere il controllo e di aver sentito un forte impulso violento accompagnato da calore. La voce diventa intensa con un tono stridulo e pieno di minaccia.
Questo è ciò che prova una persona in preda alla rabbia nel momento in cui non riesce più a mascherarla, chi invece non la esprime la vivrà e rivivrà dentro di sé per un periodo molto più lungo.
La realizzazione di sé in una determinata situazione è nell’uomo un obiettivo pregnante: parlarne e riconoscere le vere motivazioni della sconfitta è la procedura più utile per avviare un processo di cambiamento, ma di certo non basta.
In ogni conflitto tutti vogliono vincere e difficilmente si sceglie la via della mediazione. I saggi dell’ebraismo e i kabbalisti la chiamano proattività. Questa si basa sulla semplice logica di buonsenso che non si può vincere sempre e tutto, ma che bisogna anche sapere perdere perché proprio da questa azione è possibile imparare, apprendere, e fare tesoro di nuove strategie ed azioni.
I pericoli esterni rimangono comunque molti: uno di questi è accorgersi, per esempio, che altri ottengono facilmente successi senza uno sforzo apparente e quindi si è portati, anziché ad analizzare i fatti in modo obiettivo, a riportarli su un piano personale perdendo la logica dei fatti e confondendoli con le opinioni.
È il momento dell’intolleranza verso tutti e tutto e nessun luogo è immune. Arrabbiarsi fa parte della natura umana, non è pericoloso, è normale. Il problema è quando questa rabbia più o meno inespressa si sfoga come un torrente in piena aggredendo tutto e tutti, senza alcuna esclusione.
E come insegnano molte filosofie orientali il primo a soffrirne è il nostro fegato: per la tradizione cinese il fegato è collegato all’energia cosmica del vento perché un fegato in salute è in grado di muoversi sempre in modo armonioso così come una pianta si lascia accarezzare dal vento.
Il fegato silenzioso
“L’espressione è l’atto dell’uomo completo. L’intelletto è impotente a esprimere il pensiero senza l’aiuto del cuore, del fegato e di ogni organo” Henry David Thoreau (filosofo)
Il fegato è l’organo più grosso del corpo umano, pesa circa 1,5 kg nell’uomo adulto e non a caso Rudolf Steiner, fondatore della Medicina Antroposofica lo riteneva l’organo della “volontà”. Il fegato nella visione di Steiner lavora moltissimo nelle fasi di progettazione, pianificazione, trasformazione della vita. È il fegato che realizza concretamente le idee trasformandole in azioni ed è sempre il fegato che crea nelle persone il coraggio.
Il fegato è un organo silenzioso: duole solo quando le patologie sono in stadio avanzato. I maestri di riflessologia comunque insegnano a leggere il malessere del fegato attraverso piccoli segni quotidiani quali un dolore persistente sul lato destro della schiena, amaro in bocca, vomito verdastro, emicrania spesso accompagnati anche da crampi agli arti inferiori.
Per i taoisti il fegato gioca un ruolo preponderante perché favorisce lo stoccaggio degli elementi nutritivi regolando così l’energia necessaria all’attività generale del corpo; crea nella persona la capacità alla resistenza durante la malattia sbloccando e muovendo le energie che sono necessarie ai meccanismi di autodifesa. Altra funzione è di aiutare nella decomposizione del cibo e nella disintossicazione del sangue. Per questa ragione in molte filosofie orientali è legato a sentimenti e affetti: il sangue trasporta emozioni e se questo non è purificato anche la qualità delle emozioni stesse sarà pessima alterando i sentimenti ad essa correlati.
La qualità dell’energia prodotta dal fegato avviene attraverso diversi sistemi quali il drenaggio delle tossine, la regolarizzazione della coagulazione del sangue e del metabolismo: le emozioni vengono trasformate in sentimenti dal fegato grazie alla sua azione di depurazione e filtraggio.
Mal di fegato
“La malattia è un avvertimento che ci è dato per ricordarci ciò che è essenziale”. (Libro della saggezza tibetana)
I problemi epatici ci indicano tutto ciò che è difficile “digerire” nella nostra vita anche se in modo differente da come lo fa lo stomaco.
Come abbiamo visto l’emozione principale legata al fegato è la rabbia: il modo in cui noi reagiamo alle differenti situazioni della vita può aiutare il nostro fegato e di conseguenza il nostro organismo.
Differentemente da quello che normalmente si pensa non è urlando o reagendo in modo esagerato che aiutiamo il nostro fegato a scaricare la rabbia che abbiamo in corpo. Agendo infatti in questo modo priviamo il nostro fegato di moltissima energia. Al contrario anche reprimendo continuamente la nostra rabbia addenseremo tutte le energie nell’organo stesso col rischio che si trasformino in patologie.
Nelle filosofie orientali le malattie del fegato vengono sempre collegate alla difficoltà ad affrontare la vita proprio partendo dall’accettazione dei nostri sentimenti: l’immagine che trasmettiamo agli altri è quella che noi abbiamo di noi stessi e dipende dal nostro fegato e da come lo aiutiamo a trasmettere energie positive prima a noi stessi e poi agli altri.
Sempre per le filosofie orientali le tensioni del fegato possono rappresentare l’immagine di noi stessi messa costantemente in discussione. Non si tratta di voler attuare un positivo e propositivo piano di miglioramento continuo, ma al contrario, è sviluppare un atteggiamento che porta alla creazione di acredine, acidità, rimorsi esagerati che sfociano in risentimenti , rabbia e via via fino a collera e ira.
La gioia della vita lascia così il posto all’astio che diventa una costante che può arrivare a distruggerci. Come?
Dobbiamo ricordare che il fegato è protagonista nella creazione del nostro sistema immunitario passando dalle esperienze che il nostro organismo ha elaborato nel tempo. Quando noi cediamo alla rabbia, non trovando altro mezzo, attiviamo un sistema di difesa psicologica in relazione alle nostre paure e inconsapevolmente, distruggendo il senso di calma rompiamo quell’equilibrio di cui il nostro fegato necessita per svolgere bene la sua funzione.
Da Olos e Logos rivista di Medicina Integrata
Apr 14, 2015 | AGOPUNTURA, ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
I disturbi d’ansia sono correlati all’efficienza con cui il macchinario cellulare all’interno dei neuroni legge e traduce in proteine il gene che codifica per il recettore dell’ossitocina, un ormone coinvolto nella gestione di molti comportamenti sociali.
La suscettibilità ai disturbi d’ansia e ad altre emozioni e comportamenti, come paura e rabbia, è influenzata da fattori epigenetici (cioè che riguardano il modo in cui viene letta la sequenza del DNA, e non il DNA stesso) che modificano l’azione a livello cerebrale dell’ossitocina, un ormone secreto nel sangue dalll’ipofisi. A dimostrarlo è stato un gruppo di ricercatori dell’Università della Virginia a Charlottesville, che firmano un articolo pubblicato sui “Proceedings of the National Academy of Sciences”.
Il coinvolgimento dell’ossitocina nel comportamento emotivo e sociale – dal riconoscimento delle emozioni altrui alla fiducia, dall’atteggiamento di cura all’invidia – è testimoniato da numerosi studi; tuttavia stabilire legami diretti tra i livelli plasmatici dell’ormone (molto variabili da individuo a individuo) e specifiche abilità sociali si è dimostrato difficile, e le ricerche in merito hanno dato risultati discordanti.
Anche gli studi che hanno cercato di individuare i rapporti fra specifiche varianti (polimorfismi di singolo nucleotide o SNP) del gene per l’ossitocina e la propensione dei loro portatori a comportamenti o stati d’animo specifici – per esempio, essere facilmente preda di ansia – non hanno dato risultati soddisfacenti.
Invece di guardare alla genetica, nel nuovo studio Jessica J. Connelly e colleghi si sono rivolti all’epigenetica: per esplicare la propria azione a livello cerebrale, l’ossiticina si lega infatti a un recettore che si trova sui neuroni. Il numero e la densità di questi recettori neuronali, però, non dipende soltanto dal gene che li codifica (il gene OXTR), ma anche dal modo in cui quel gene viene letto dal macchinario cellulare che presiede alla produzione del recettore.
I ricercatori hanno quindi misurato i livelli di efficienza della traduzione del gene OXTR nei campioni di sangue di 98 soggetti che erano stati precedentemente sottoposti a risonanza magnetica funzionale mentre osservavano delle facce per interpretare l’emozione che esprimevano.
Dal confronto dei dati è emerso che bassi livelli di efficienza nell’espressione di OXTR erano sistematicamente associati a una maggiore attività nelle regioni cerebrali deputate all’interpretazione dei volti e all’elaborazione delle emozioni, e in particolare a una forte attività dell’amigdala, della circonvoluzione fusiforme, e dell’insula.
Il fatto che alla riduzione dei recettori per l’ossitocina sui neuroni corrisponda un aumento dell’attività di centri cerebrali che innescano uno stato di allarme (e viceversa), indica d’altra parte che l’ossitocina ha un’azione diretta di attenuazione della risposta di paura a una situazione.
Da Le Scienze
Mar 19, 2015 | AGOPUNTURA, ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
Tanto per iniziare e comprendere al meglio il suo importante ruole, cominciamo nello spiegare cos’è la tiroide. LA TIROIDE è ghiandola endocrina posizionata a livello del collo. Essa ha il compito di regolare il metabolismo. Inoltre, determina il flusso sanguigno diretto verso i vari organi del nostro corpo. Infatti le cellule, grazie al sangue, ricevono ossigeno e nutrienti di cui hanno bisogno. Numerose, quanto preziose sono le funzioni che la tiroide può svolgere grazie alla produzione di ormoni specifici, cioè la tiroxina o T4 e la triodotironina o T3. Questi ormoni contenenti iodio, che, attraverso il sangue, raggiungo tutti gli organi del corpo, T3 e il T4, danno alcuni impulsi fondamentali all’ organismo: gli comunicano quanto velocemente lavorare, come utilizzare l’energia e come impiegare altre funzioni. Tra i disturbi che alterano la morfologia, cioè la forma, della ghiandola, ci sono i noduli, formazioni che possono misurare pochi millimetri o arrivare a essere grandi alcuni centimetri, e i tumori, che non sono altro che i noduli di natura maligna.
Ma quanti di voi sapevano che la tiroide viene influenzata negativamente del GLUTINE?! Esattamente…Le due, sarebbero completamente incompatibili e, qual’ora ci fosse un’ eccessiva assunzione di Glutine, si causerebbe gravi danni alla tiroide. Ma ovviamente pochi ne parlano e pochi diffondono la notizia! Il glutine causa lo stress metabolico della tiroide… E’ stato documentato da alcuni ricercatori, che a livello biologico c’è un aumento della capacità di buffer c-AMP dei tessuti della tiroide dopo 7 mesi di adozione di un regime privo glutine. Quindi in parole semplici, il consumo di glutine determinerebbe un’interferenza cronica a livello cellulare che pone sotto STRESS la nostra tiroide provocandone un mal funzionamento. Questa reattività a distanza con antigeni generati dall’ intolleranza al glutine viene alimentata senza dubbio, dalla aumentata permeabilità della mucosa intestinale che caratterizza l’assunzione di glutine. Normalizzazione della tiroide si può, ma per far si che tale processo sia attuato c’è bsognio di una dieta senza glutine Sategna-Guidetti [2001] valuta gli effetti dell’adozione di un regime senza glutine in pazienti celiaci precedentemente a dieta libera (con glutine), che dalle analisi risultano affetti da ipotiroidismo (31 casi) otiroidite autoimmune (29 casi). Nella maggior parte dei pazienti dopo un anno senza glutine si registra una normalizzazione delle condizioni della tiroide, specialmente in coloro che erano stati più scrupolosi nell’applicazione del regime senza glutine. Per quanto concerne la tiroide, possiamo distinguere 2 casi:
1- Ipertiroidismo: si manifesta quando nel sangue circola una quantità eccessiva di ormoni tiroidei. Tra le cause principali dell’ipertiroidismo troviamo il gozzo, l’adenoma tossico e il morbo di Basedow-Graves, ma anche alcune forme più comuni, come la tiroidite post partum. L’ ipertiroidismo comporta inoltre, una perdita di peso, l’ affaticamento, iperattività, irritabilità, apatia, depressione, pelle ingiallita e indebolimento. In alcuni casi possono manifestarsi anche nausea, vomito e dissenteria. In caso di ipertiroidismo si può intervenire attraverso la somministrazione di farmaci, con la chirurgia o con terapie a base di iodio.
2- Ipotiroidismo: In questo caso abbiamo una tiroide “stanca” e un metabolismo rallentato nelle sue funzioni. A causa della scarsa presenza di iodio, il volume della tiroide aumenta e si forma il gozzo. Tra i sintomi dell’ipotiroidismo troviamo: difficoltà a dimagrire e con una spiccata tendenza ad ingrassare, capelli secchi e che tendono a cadere, unghie fragili, pelle secca e ruvida, pallore, stanchezza mattutina, depressione problemi di memoria. Se i sintomi presenti sono numerosi, è bene sottoporsi ad un esame specifico per la tiroide, in modo da valutare la situazione e prendere provvedimenti. LA TIROIDE è un ghiandola poco conosciuta ma è di fondamentale importanza per il nostro organismo. A l fine di farla funzionare al meglio per la nostra salute, occorre far attenzione a cosa si mangia. Se il problema in questione è legato all’ipotiroidismo, potrebbe essere necessario risvegliare la tiroide. Per farlo vi sono dei rimedi naturali che non comportano alcun dispendio…Aggiungendo anche importanti i alimenti i quali vi aiuteranno a mantenere in buono stato la vostra tiroide.
I CIBI Cibi da evitare
La dieta da seguire in caso di problemi alla tiroide, con particolare riferimento all’ipotiroidismo può essere differente a seconda delle persone. Generalmente tra i cibi da evitare ci sono i latticini, che possono rallentare il metabolismo e potrebbero essere stati ottenuti da latte di animali nutriti con soia, il cui consumo potrebbe essere sconsigliato in caso di ipotiroidismo.
I Cibi da preferire
Tra i cibi da preferire per garantire un buon funzionamento della tiroide troviamo i broccoli, spinaci e rape. Molto importante nella dieta ipotiroidea è l’ elevato consumo di frutta e verdura, la quale dovrebbe sempre essere alla base di un’alimentazione sana. Tra i cibi che stimolano il funzionamento della tiroide possiamo trovare anche la noce di cocco. Da questo punto di vista nella nostra dieta non dovrebbero mai mancare pesce, cereali integrali e carne di tacchino. In questo modo possiamo provvedere a far funzionare bene la tiroide. Scegliere gli alimenti ricchi di odio è un’azione fondamentale a vantaggio della nostra salute. Ad esempio possiamo frullare dei frutti con la buccia rossa, che abbondano proprio di iodio. Sottovalutare questo problema può portare seri danni al nostro organismo, alcuni dei quali persino irreparabili. Fare dei controlli e stare attenti al suo funzionamento è un grande passo verso il benessere del proprio corpo!
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