AGOPUNTURA: QUALI BENEFICI PER LE VITTIME DI ICTUS?

L’agopuntura migliora l’attivazione delle aree funzionali del cervello nelle vittime di ictus. È quanto emerge da uno studio condotto dai ricercatori della Scuola di Medicina Tradizionale Cinese (MTC) alla Southern Medical University in Cina e pubblicato sulla rivista Neural Regeneration Research. Gli studiosi si sono concentrati su un contesto patologico, coinvolgendo 16 pazienti che avevano subìto un ictus ischemico – il più comune degli ictus, che si caratterizza per l’ostruzione di un’arteria cerebrale che blocca l’afflusso di sangue al cervello.

I risultati dello studio hanno mostrato che sia l’agopuntura Waiguan (SJ5), che la finta agopuntura (sham) sono in grado di attivare o disattivare le cosiddette “Aree di Brodmann”.  I ricercatori hanno confrontato gli effetti dell’agopuntura nei punti Waiguan e sham, trovando che l’agopuntura è risultata capace di agire sulle aree di Brodmann.

L’ictus ischemico può comportare danni invalidanti. In base alle aree interessate dall’evento si può perdere del tutto o in parte l’uso di uno o più arti, della parola e così via. I pazienti  possono in parte ritrovare le facoltà perdute per mezzo di interventi di riabilitazione ma non sempre si ottengono i risultati cercati.

da  Redazione InformaSalus


EMOZIONI E BLOCCHI MUSCOLARI

L’ingorgo delle energie pulsionali non rinnovate e scaricate porta all’insorgere delle nevrosi. Tali ingorghi si strutturano in blocchi muscolari determinando, nella loro varia composizione, precisi connotati caratteriali creando quindi degli specifici blocchi muscolo-caratteriali.
Tutto questo si è potuto determinare mediante alcune tecniche terapeutiche somatopsicologiche in cui era possibile superare le difese psichiche del paziente (spesso insormontabili con la tecnica psicoanalitica verbale) mediante lo scioglimento del blocco somatico funzionalmente corrispondente. Per comprendere meglio cosa significa blocco somatico corrispondente ad un ingorgo basterà pensare che una persona che viene aggredita da un cane ha automaticamente una reazione di paura. Dire automaticamente, significa affermare che si attivano forme di difesa automatiche comandate dal suo Sistema Nervoso Autonomo (SNA). Questa reazione, è quindi involontaria e sfugge al controllo razionale. Essa serve ad attivire l’organismo perché possa mettere in atto nel minor tempo possibile una delle due possibili reazioni in questi casi: la fuga o l’attacco difensivo. L’attivazione di questa reazione si manifesta nell’organismo con precisi segni: aumento della tensione muscolare (bisogna avere forza per difendersi); dilatazione delle pupille (per vedere meglio il pericolo) aumento del battito cardiaco (il cuore deve pompare una maggiore quantità di sangue dato che serve ai muscoli); respiro affannoso (il ritmo cardiaco è responsabile di quello polmonare); pallore (il sangue refluisce dalla pelle verso i muscoli per irrorarli).
In sintesi, questo stato può essere definito di contrazione del sistema, dal momento che esso si chiude in sé per difendersi. La contrazione è, in senso generale, funzione appartenente a uno dei due rami SNA: il simpatico. L’altro ramo, quello con funzione di espansione del sistema, è il parasimpatico, chiamato anche vagale perché il Vago è il nervo principale che lo costituisce.
Quindi, se il cane se ne va senza attaccare, il parasimpatico tornerà a espandere il sistema e si ripristinerà un’ alternanza funzionale tra i due rami, necessaria al buon funzionamento dell’organismo. Tutto ciò avviene, come è stato detto, nella involontarietà e quindi sfugge al controllo della mente cosciente.
Ma immaginiamo che questa persona venga aggredita più volte al giorno da un cane: sarà quindi meno dispendioso per il suo SNA mantenersi in uno stato costante di simpaticotonia, cioè di allarme costante.
Le tensioni muscolari e le altre manifestazioni che da ciò dipendono diventeranno dunque costanti  e ne plasmeranno la struttura ed il carattere; ma egli non ne sarà cosciente, perché il suo stato deriva da una condizione involontaria e lo stato di tensione in cui si trova si è talmente connaturato in lui, che lo percepisce come una condizione normale. La sua paura sarà diventata dunque incosciente (l’incosciente, a differenza dell’inconscio freudiano, risiede dunque nella muscolarità e, a differenza dell’inconscio freudiano può riapparire alla coscienza sciogliendo il blocco muscolare che lo contiene).
Conducete ora questa persona con voi in un canile. Se ci riuscite, dovete poi convincerlo che i cani sono chiusi in gabbia e non possono aggredirlo. Sul piano logico egli obbietterà, portandovi non solo l’esperienza di altri ma anche una bibliografia sull’argomento, casi di gabbie che si sono inaspettatamente aperte, e che quindi la sua paura è giustificata. Sul piano logico, ha ragione; sul piano psicopatologico sta esprimendo un pensiero paranoico.
Esistono tecniche che portano il paziente all’allentamento dei blocchi muscolari (ipnosi, agopuntura, massaggio connettivale ecc.) che consentono alla persona di percepire come la sua paura attuale abbia avuto origine nel suo passato biografico e biologico. Compresa quindi la ragione, percepita l’emozione paura legata alla muscolarità, e capita la modalità psicologica attraverso la quale essa si è espressa (il carattere), egli avrà la possibilità di liberarsene e rendere disponibile per la vitalità, l’energia che prima gli serviva a contrarre i muscoli.

ALLERGIA E MEDICINA COMPLEMENTARE

Sempre di più si sente parlare di allergie. Ma che cos’è l’allergia?
L’allergia è una situazione di ipersensibilità dato dall’esposizione ad una particolare sostanza che provaoca reazioni immunitarie avverse. L’allergia è quindi un’alterazione del sistema immunitario caratterizzato da reazioni esagerate date da particolari anticorpi, detti IgE, nei confronti di sostanze abitualmente innocue, come ad esempio pollini, alimenti, sostanze chimiche ecc.
La medicina affronta il problema cercando di stabilire l’agente allergizzante e una volta determinato imposta in alcuni casi un iter desensibilizzante basato su vaccini, non sempre privi di effetti indesiderati e, su di una terapia sintomatica atta non a rimodulare il quadro ma solo all’ eliminazione del sintomo presentato.
L’approccio che la medicina complementare (agopuntura, omeopatia, omotossicologia, medicina funzionale ) attua, non è solo quello di attenuare il più possibile la sintomatologia scatenata dalla reazione allergica, ma quello di cercare di capire, al di là delle predisposizioni genetiche, quali possono essere i fattori che portando in sovraccarico il sistema arrivano a rompere gli equilibri.
La valutazione generale e specifica su apparati ed organi permette molte volte di individuare il o i fattori disturbanti . La maggiore parte delle volte quello che viene riscontrato è un sovraccarico ed una rottura degli equilibri a livello delle mucose, principalmente quelle dell’apparato digerente . Distress, disbiosi, alterazione della mucosa data da processi infiammatori, alimentazione scorretta, intolleranze alimentari, abuso di farmaci, nel tempo condizionano in modo negativo il sistema arrivando a rompere i delicati equilibri che il sistema immunitario sostiene. Oramai è risaputo che la quota maggiore del sistema immunitario è presente a livello delle mucose e tutti i fattori che portano ad alterazione di queste condiziona il buon funzionamento del nostro sistema di difesa.
La medicina complementare valutando e determinando quali sono i fattori disturbanti agisce cercando di eliminare le cause che hanno portato alla rottura dell’equilibrio ed instaura una terapia di recupero funzionale del sistema eliminando i fattori scatenanti ed impostando una terapia atta al migliore recupero dell’organismo attraverso un approccio che permette di scaricare l’eccesso di stimoli negativi che ha determinato il problema.
Così l’eliminazione degli alimenti disturbanti, il recupero della disbiosi intestinale, il reset funzionale organico, lo stimolo sugli organi emuntori ed il recupero sugli organi disturbati porta ad una attenuazione del disturbo e molto spesso alla scomparsa dell’allergia .

CEFALEA E MEDICINE COMPLEMENTARI

Le cefalee sono tra i dolori che più colpiscono gli individui quotidianamente. In alcuni casi si può trovare un legame causa-effetto e a determinare la causa che provoca il dolore ( intossicazioni, stress, insonnia ecc.) Nell’origine delle cefalee si deve ricordare che gli antidolorifici assunti per curarle possono rappresentare la causa del attacco doloroso successivo per il cosidetto effetto ” rebound”. La ricerca dell’origine dei meccanismi alterati che portano alla cefalea è un percorso difficile in cui vanno considerati anche fattori molte volte nascosti come frustrazioni, traumi emotivi, rimozioni oltre ai meccanismi psicosomatici.
Le cefalee possono essere divisi in due gruppi principali, primarie e secondarie:

Le cefalee primarie sono date da modificazioni vasomotorie ( spasmi con successiva vasodilatazione ) o metaboliche cerebrali ( alterato equilibrio tra sostanze eccitanti ed inibitorie ) e rappresentano il 90% delle cefalee. Questo dato ci dice che la maggiore parte delle cefalee ha un’ origine funzionale e non fisiologica.
Le cefalee primarie si suddividono in cefalea da tensione, emicranie e cluster ( emicrania a grappolo).
Le cefalee secondarie sono riconducibili ad alterazioni strutturali della testa o  a squilibri localizzati altrove spesso legati ad una patologia soggiacente ( tumore, aneurisma, embolo, meningite ).

DIAGNOSI DIFFERENZIALE TRA LE CEFALEE PRIMARIE

Le cefalee da tensione rappresentano il 90% dei casi e sono diffuse a tutta la testa e colpiscono circa il 3 % della popolazione . Allo stato attuale si pensa che i fattori di sovraccarico emozionale siano i principali responsabili. Gli stati di tensione nervosa uniti allo stress quotidiano, determinano una contrazione involontaria dei muscoli della regione del collo con ripercussioni sulla circolazione sanguigna cerebrale, che sicuramente contribuisce all’insorgere della cefalea.
Le emicranie colpiscono circa il 20% delle donne e il 5 % degli uomini e possono dare un insieme di sintomi premonitori e di accompagnamento di tipo neurologico detti aura , presente nel 25% dei pazienti. Il dolore è di solito localizzato in una zona della testa, è pulsante, accompagnato da nausea nel 40% dei casi, fotofobia, fonofobia e sensazione di formicolio nel viso e nelle mani.
Una sostanza coinvolta nel processo doloroso è la serotonina, generata dalle cellule nervose del tronco cerebrale, la cui produzione può essere stimolata da alterazioni del climaterio, mestruazioni e stress: gli impulsi generati raggiungono la corteccia cerebrale stimolando i neuroni  e li deprimono subito dopo dando luogo al fenomeno dell’aura. I fattori emozionali sono considerati i responsabili principali.
La cefalea può essere scatenata anche da determinati alimenti ( alcool, carne di maiale, agrumi, cioccolato, formaggio ecc) , sforzo fisico e medicinali.
Le cefalee a grappolo ( 0,5% ) provocano un dolore insopportabile, simile all’emicrania ma più localizzato e non pulsante. Il dolore può essere localizzato a livello di un occhio, con possibile arrossamento e lacrimazione, ptosi palpebrale, miosi e secrezioni nasali nello stesso lato del dolore.

Come per qualsiasi patologia il punto più importante è realizzare una buona diagnosi: conoscendo la causa si può determinare la cura. Questo processo di indagine deve prendere in esame tutte le varie ipotesi: farmaci, problemi emotivi, alimenti ecc.
Nella terapia delle cefalee la soppressione del dolore mediante farmaci non è sempre un atteggiamento corretto perchè cercare di diminuire o neutralizzare il dolore equivale a combattere l’effetto e non la causa, ossia la malattia o lo squilibrio che l’ha provocato.
Il dolore non deve essere visto come fatto negativo bensì un fenomeno positivo, che ci informa che nell’organismo o nella mente c’è qualcosa di disturbante. Il dolore svolge la stessa funzione delle spie del quadro di un’automobile: è il segnale di un problema al quale occorre porvi rimedio per riportare l’individuo allo stato di salute.
L’approccio terapeutico delle medicine complementari ( agopuntura, omeopatia, omotossicologia, medicina funzionale, ipnosi ) non maschera il quadro clinico, rispetta l’omeostasi fisiologica e se elimina il dolore è perchè tratta il processo scatenante soggiacente: rimuove la causa e non solamente la sua manifestazione.

LA PERDITA… E LA SUA ELABORAZIONE

Il lutto ( simbolico o reale ) è quel processo di risposte fisiche, psicologiche, comportamentali, relazionali e sociali alla percezione di perdita.
L’elaborazione del lutto si riferisce agli sforzi di nuovo adattamento atti a favorire il riequilibrio personale. Il processo comporta lo scioglimento dei legami psicologici che hanno legato il soggetto al” defunto” quando era in vita e lo sviluppo di nuovi legami adeguati al fatto che “l’oggetto” è morto. Durante tale processo gli attaccamenti precedenti si modificano per consentire la trasformazione del precedente rapporto, basato sulla presenza, in un nuovo caretterizzato dall’assenza.
Pertanto il decesso improvviso ed inaspettato accresce e complica l’elaborazione del lutto, in quanto va a sconvolgere la capacità di adattamento dell’individuo; infrange traumaticamente le proprie convinzioni sul mondo; connota la perdita come priva di senso; determina una perdita profonda di sicurezza e di fiducia nel mondo.
Normalmente quando parliamo di lutto pensiamo ad una situazione nella quale muore qualcuno a cui siamo affezionati. Ovviamente il prototipo di lutto riguarda proprio la scomparsa per morte di una persona amata. Tipicamente questo avviene per i genitori, ma lutti molto frequenti sono anche la morte di un partner, di un fratello, di un amico e di un figlio. Ma nell’essere umano la sensazione di perdita si colloca non solo a questo frangente, ma a moltissime altre situazioni che raramente sono lette con efficacia dalla coscienza. Altro tipo di perdite molto frequenti non legate alla morte o alla separazione, sono i  cambiamenti. In ogni cambiamento infatti ci si ritrova con una situazione precedente che non può più essere mantenuta e che viene quindi persa e una situazione futura, che non si conosce e genera angoscia, e rappresenta un vero e proprio salto nel vuoto per l’individuo che la deve affrontare.

ESPERIENZE LEGATE AL LUTTO PROPRIAMENTE DETTO: tutte le morti che sono significative per una persona: genitori, partner, figli, fratelli, amici.
ESPERIENZE LEGATE ALLA SEPARAZIONE DA UNA PERSONA AMATA: perdita di un partner in una separazione, fratelli, amici, soci.
ESPERIENZE LEGATE AL CICLO DELLA VITA: tutti i passaggi critici dell’individuo: infanzia, adoloscenza, età adulta, età matura, vecchiaia.
ESPERIENZE LEGATE AL CICLO DI VITA DELLA COPPIA E DELLA FAMIGLIA: innamoramento, legame duraturo, fidanzamento e matrimonio, nascita di un figlio, crescita.
ESPERIENZE LEGATE AL CAMBIAMENTO DI LUOGO E IN AMBITO LAVORATIVO; INCIDENTALI E TRAUMATICHE CHE COMPORTANO DELLE PERDITE CONCRETE O FUNZIONALI; perdita del lavoro, cambio di lavoro, incidenti.

Ogni volta che avviene la perdita di un oggetto al quale siamo affezionati ci troviama in una situazione di elaborazione del lutto. Il problema dell’affezionarsi  e del perdere hanno a che vedere con il cervello biologico in una delle sue funzioni principali: l’attaccamento.
La funzione dell’attaccamento serve ai cuccioli per sviluppare un legame con la madre nel periodo del loro ciclo vitale nel quale non possono provvedere da soli alla propria sopravvivenza. In questa fase, infatti, avvengono degli importantissimi processi di apprendimento che riguardano un grande numero di competenze e lo sviluppo di un gran numero di funzioni che potenzieranno la possibilità di sopravvivenza dell’individuo. In tale fase della vita il cucciolo può fare esperienza del mondo circostante in un contesto protetto e sicuro. Opposta alla funzione di attaccamento appare la funzione di esplorazione che lo porta ad allontanarsi e ad esplorare il territorio e col tempo diventa autonomo. L’essere umano, a differenza di altre specie, presenta sia una grande difficoltà nel pervenire alla fase di maturazione delle funzioni e risorse, sia una particolare persistenza della funzione di attaccamento; tutto ciò lo porta a trovarsi dipendente nel senso affettivo a molte cose, persone e situazioni.
Quando si verifica una perdita, l’individuo sente che una parte di sè non permette la perdita e registra una sorta di impossibilità di sopravvivenza senza l’oggetto perduto. Questo vissuto ricorda molto da vicino i cuccioli che perdono la madre e che vivono un reale pericolo di morte in questa situazione.
I sintomi della perdita si possono dividere in due principali categorie: acuti e cronici. I sintomi acuti riguardano l’elaborazione della perdita quando essa è appena accaduta. Sono un senso di smarrimento, una crisi di tipo esistenziale con una perdita del senso dell’esistenza, un appiattirsi e rendersi grigio della vita, un senso struggente di mancanza dell’oggetto perduto: di fatto aleggia la morte. Nostalgia, cordoglio, dolore, sono emozioni molto frequenti quando il lutto è in azione.
Ma non sempre le persone sono in grado di elaborare e quando non elaborano o lo fanno solo in modo parziale si assiste alla comparsa dei sintomi cronici. L’elaborazione non riesce quando la persona non ritiene di avere le risorse sufficienti per reggere il mondo senza la persona o la cosa perduta. In questo caso il dolore risulta essere talmente forte da mettere in atto dei meccanismi di difesa da esso e il processo profondo di distacco dall’oggetto viene abortito. In questo caso nel livello biologico l’oggetto viene ad essere congelato insieme alla parte di organismo che aveva potuto vivere ed esprimersi nella relazione con esso.
Quando l’elaborazione non riesce allora entrano in gioco i meccanismi di difesa più disparati: tipicamente il dolore di una perdita viene tramutato in rabbia, negazione e svalorizzazione. Questo rifiuto di una vera elaborazione del lutto diminuisce il dolore per la mente apparentemente, ma allontana la possibilità di gestione della perdita in quanto il piano esistenziale non offre sostegno alcuno al processo di integrazione. Spesso in questi soggetti si verificano nel tempo delle somatizzazioni. Il lutto a volte è un evento più complesso ed insidioso di quello che si possa credere. Il lutto vero e proprio, la morte per una persona cara, rappresenta una forma di sofferenza, un evento socialmente accettato e che può essere condiviso. Vi sono invece dei traumi che non si possono comunicare, questo si verifica negli abusi, violenze sessuali ecc. Spesso si verifica che una elaborazione del lutto complicata in seguito ad un evento socialmente condivisibile abbia dietro un lutto ancora più grande e devastante ma non comunicabilee , che in esso trova la propria espressione. Alla luce di questo ragionamento la somatizzazione può essere spiegata in maniera analoga. La sofferenza, la malattia, il malessere sono una forma di dolore che si può esprimere senza doversene vergognare. In alcuni casi è l’unico modo per esternare in trauma-lutto non elaborato.
Apprendere la gestione delle perdite infatti è una risorsa che deve essere appresa culturalmente e non un fenomeno di natura biologico.
Diversi fattori influenzano l’andamento del periodo successivo a un lutto: età, sesso, classe sociale, reddito, razza, educazione, perdita di sostentamento futuro, iniziali sintomi di stress, morte improvvisa del coniuge, percezione del supporto sociale, qualità della relazione coniugale e molteplici eventi vitali.
L’eventuale sviluppo di un disturbo psichico è invece in relazione a due fattori, la qualità della vita seguente la perdita di una persona e la capacità di adattamento individuali.
Alcuni studi hanno dimostrato che la morte di un coniuge ha effetti più negativi se improvvisa, piuttosto che dopo una malattia di lunga durata. In questo ultimo caso si pensa che l’anticipazione del lutto abbia un ruolo protettivo , svolgendo un’azione preparatoria che consente di fronteggiare meglio l’evento. Sono i giovani a presentare maggiori difficoltà nell’affrontare un improvviso decesso del partner, poichè in questa età costituisce un evento innaturale che, quando accade inaspettetamente, può avere un impatto violento.
Anche le modalità del decesso possono facilitare  la comparsa di complicanze, come nel caso di morte violenta o accidentale. Se la morte riguarda un bambino il quadro luttuoso presenta uan maggiore gravità, con una persistenza di profondi sensi di colpa, pensieri intrusivi e rappresentazioni d’immagini relative all’evento.
Secondo alcuni studi le donne hanno una maggiore fragilità nei confronti del lutto in qunto tendono a mantenere più a lungo il rapporto con il defunto. Sono stati, infine, indicati come possibili fattori prognostici negativi , la mancanza di un valido supporto sociale, l’incapacità del soggetto a percepire l’aiuto disponibile, lo scadimento della qulità della vita sul piano finanziario e relazionale, le conflittualità famigliari, il persistere di eventi stressanti, le caratteristiche di personalità, la presenza di precedenti distrurbi psichici.
Nella maggior parte dei casi il lutto si risolve spontaneamente e non necessita, quindi, di terapia specifiche; un valido aiuto è dato dal sostegno di parenti ed amici. Quando avviene un evento traumatico viene distrurbato l’equilibrio necessario per l’elaborazione dell’informazione a livello cerebrale. Si può affermare che questo provochi il ” congelamento” dell’informazione nella sua forma ansiogena originale, nello stesso modo in cui è stato vissuto. Questa informazione congelata non può essere elaborata e quindi continua a provocare patologie.
Il lutto non elaborato, congelato è assimilabile nella Medicina Tradizionale Cinese al concetto del blocco dell’energia. Secondo la MTC la distinzione tra mente e corpo non esiste in quanto la psiche è il corpo e il corpo stesso è psiche. non vi è infatti funzione organica che non abbia una sua connotazione emotiva e non esiste stato psicologico , acuto o cronico che non lasci la sua impronta sugli organi e le loro funzioni.
L’approccio alla rielaborazione del lutto con l’agopuntura, l’omeopatia, l’ipnosi permette un più rapido sblocco e scongelamento dell’energia bloccata permettendo all’individuo di giungere meglio e più rapidamento alla soluzione del conflitto.

L’ANSIA: UNA REAZIONE NATURALE

L’ ansia è un’emozione che fa parte integrante della natura umana ed è generata dalla primordiale necessità di rispondere ed un eventuale pericolo, percependolo in anticipo, prima che questo si sia manifestato concretamente.
L’ ansia mette in moto tutte le risorse mentali e fisiche dell’individuo affinchè, dopo una valutazione della situazione, questo possa affrontare adeguatamente il pericolo ed uscire dall’impasse oppure, ritenendo di non avere risorse adeguate, decida di fuggire.
Questa alternanza di lotta e fuga ha consentito all’uomo, fin dai primordi della sua presenza nel mondo, di conoscere il suo habitat e di vivere adattandosi sempre meglio ad esso. In questa scelta, che continuamente si propone all’individuo sino dall’origine della specie umana, l’ansia ricopre un ruolo di fondamentale importanza per la sopravvivenza e costituisce il motore che spinge all’azione la dove non esista la motivazione di una gratificazione immediata. Anche azioni apparentemente banali come uscire di casa in tempo per andare ad un appuntamento o per prendere il treno avrebbero ottime possibilità di naufragare miseramente se l’individuo non fosse spinto dall’ansia.
Fino a questo punto il ruolo positivo dell’ansia appare evidente, infatti si rivela costruttiva e funzionale alla sopravvivenza ed essenziale per lo sviluppo della personalità e per il raggiungimento degli obiettivi. Cosa accade, però, quando non  siamo capaci di superare una situazione di pericolo, oppure quando allo stato di allarme e attivazione non corrisponde un pericolo reale da frontaggiare e risolvere? In questo caso l’ansia si trasforma da risposta naturale e adattiva a preoccupazione sproprozionata o comunque poco reale assumendo la connotazione di disturbo psichico e perdendo la sua funzione di spinta per la crescita; così l’ansia perde la sua funzione adattiva tesa a favorire il rapporto con l’ambiente, provocando al contrario disadattamento e perdita di contatto con l’ambiente stesso.
Quando lo stato ansioso e la forte difficoltà nel controllare la preoccupazione eccessiva sono presenti per la maggior parte della giornata riguardo alla maggior parte degli eventi o delle attività, può accadere che si manifestino dei sintomi fisici che sembrano indicare un difetto o una disfunzione di natura organica, talvolta anche di notevole entità; spesso per questa sintomatologia non è possibile risalire ad alcuna causa fisiologica, pertanto siamo di fronte a sintomi di natura psicosomatica, che sono causati appunto dall’azione della psiche e non da cause esterne.

L’ANSIA DISFUNZIONALE

Quando l’ansia perde la sua connotazione di reazione naturale e necessaria alla sopravvivenza diventa una patologia che, coinvolgendo sia mente che corpo, porta come immediata conseguenza uno stato di continua ipereccitabilità che innesca un circolo vizioso fatto di stress, insonnia e somatizzazioni a livello di diversi organi e apparati.

Principali sintomi psicosomatici a carico dei diversi apparati :

Apparato digerente: bulimia, bruciori gastrici, ulcera, cattiva digestione, intestino irritabile, colite, stipsi, diarrea ecc.
Apparato respiratorio: mancanza di fiato, asma, senso di oppressione, ecc.
Arti: dolori muscolari, debolezza alle gambe, sudorazione, tremore, ecc.
Collo e spalle: cefalea muscolo-tensiva, mal di schiena, ecc.
Cuore: infarto, tachicardia, aritmia, palpitazioni, ecc.
Occhi: annebbiamento della vista, ecc.
Pelle: tutte le dermatosi, eczemi, psoriasi,ecc.
Sistema immunitario: calo delle difese

Dal punto di vista funzionale accade, che il perduare dello stato ansioso, suscitato da impulsi di paura o da emozioni negative, inneschi reazioni a livello dei meccanismi di produzione delle sostanze mediatrici dello stress con conseguenti effetti somatici scatenati dall’attivazione del sistemo nervoso autonomo.
Le medicine complementari (agopuntura, omeopatia, omotossicologia, medicina funzionale, ipnosi), attraverso la regolazione degli imput disturbanti il sistema portano ad una interruzione degli stimoli esagerati riportando l’organismo verso un punto di maggiore equilibrio.

Copy Protected by Chetan's WP-Copyprotect.