LA PERDITA… E LA SUA ELABORAZIONE

Il lutto ( simbolico o reale ) è quel processo di risposte fisiche, psicologiche, comportamentali, relazionali e sociali alla percezione di perdita.
L’elaborazione del lutto si riferisce agli sforzi di nuovo adattamento atti a favorire il riequilibrio personale. Il processo comporta lo scioglimento dei legami psicologici che hanno legato il soggetto al” defunto” quando era in vita e lo sviluppo di nuovi legami adeguati al fatto che “l’oggetto” è morto. Durante tale processo gli attaccamenti precedenti si modificano per consentire la trasformazione del precedente rapporto, basato sulla presenza, in un nuovo caretterizzato dall’assenza.
Pertanto il decesso improvviso ed inaspettato accresce e complica l’elaborazione del lutto, in quanto va a sconvolgere la capacità di adattamento dell’individuo; infrange traumaticamente le proprie convinzioni sul mondo; connota la perdita come priva di senso; determina una perdita profonda di sicurezza e di fiducia nel mondo.
Normalmente quando parliamo di lutto pensiamo ad una situazione nella quale muore qualcuno a cui siamo affezionati. Ovviamente il prototipo di lutto riguarda proprio la scomparsa per morte di una persona amata. Tipicamente questo avviene per i genitori, ma lutti molto frequenti sono anche la morte di un partner, di un fratello, di un amico e di un figlio. Ma nell’essere umano la sensazione di perdita si colloca non solo a questo frangente, ma a moltissime altre situazioni che raramente sono lette con efficacia dalla coscienza. Altro tipo di perdite molto frequenti non legate alla morte o alla separazione, sono i  cambiamenti. In ogni cambiamento infatti ci si ritrova con una situazione precedente che non può più essere mantenuta e che viene quindi persa e una situazione futura, che non si conosce e genera angoscia, e rappresenta un vero e proprio salto nel vuoto per l’individuo che la deve affrontare.

ESPERIENZE LEGATE AL LUTTO PROPRIAMENTE DETTO: tutte le morti che sono significative per una persona: genitori, partner, figli, fratelli, amici.
ESPERIENZE LEGATE ALLA SEPARAZIONE DA UNA PERSONA AMATA: perdita di un partner in una separazione, fratelli, amici, soci.
ESPERIENZE LEGATE AL CICLO DELLA VITA: tutti i passaggi critici dell’individuo: infanzia, adoloscenza, età adulta, età matura, vecchiaia.
ESPERIENZE LEGATE AL CICLO DI VITA DELLA COPPIA E DELLA FAMIGLIA: innamoramento, legame duraturo, fidanzamento e matrimonio, nascita di un figlio, crescita.
ESPERIENZE LEGATE AL CAMBIAMENTO DI LUOGO E IN AMBITO LAVORATIVO; INCIDENTALI E TRAUMATICHE CHE COMPORTANO DELLE PERDITE CONCRETE O FUNZIONALI; perdita del lavoro, cambio di lavoro, incidenti.

Ogni volta che avviene la perdita di un oggetto al quale siamo affezionati ci troviama in una situazione di elaborazione del lutto. Il problema dell’affezionarsi  e del perdere hanno a che vedere con il cervello biologico in una delle sue funzioni principali: l’attaccamento.
La funzione dell’attaccamento serve ai cuccioli per sviluppare un legame con la madre nel periodo del loro ciclo vitale nel quale non possono provvedere da soli alla propria sopravvivenza. In questa fase, infatti, avvengono degli importantissimi processi di apprendimento che riguardano un grande numero di competenze e lo sviluppo di un gran numero di funzioni che potenzieranno la possibilità di sopravvivenza dell’individuo. In tale fase della vita il cucciolo può fare esperienza del mondo circostante in un contesto protetto e sicuro. Opposta alla funzione di attaccamento appare la funzione di esplorazione che lo porta ad allontanarsi e ad esplorare il territorio e col tempo diventa autonomo. L’essere umano, a differenza di altre specie, presenta sia una grande difficoltà nel pervenire alla fase di maturazione delle funzioni e risorse, sia una particolare persistenza della funzione di attaccamento; tutto ciò lo porta a trovarsi dipendente nel senso affettivo a molte cose, persone e situazioni.
Quando si verifica una perdita, l’individuo sente che una parte di sè non permette la perdita e registra una sorta di impossibilità di sopravvivenza senza l’oggetto perduto. Questo vissuto ricorda molto da vicino i cuccioli che perdono la madre e che vivono un reale pericolo di morte in questa situazione.
I sintomi della perdita si possono dividere in due principali categorie: acuti e cronici. I sintomi acuti riguardano l’elaborazione della perdita quando essa è appena accaduta. Sono un senso di smarrimento, una crisi di tipo esistenziale con una perdita del senso dell’esistenza, un appiattirsi e rendersi grigio della vita, un senso struggente di mancanza dell’oggetto perduto: di fatto aleggia la morte. Nostalgia, cordoglio, dolore, sono emozioni molto frequenti quando il lutto è in azione.
Ma non sempre le persone sono in grado di elaborare e quando non elaborano o lo fanno solo in modo parziale si assiste alla comparsa dei sintomi cronici. L’elaborazione non riesce quando la persona non ritiene di avere le risorse sufficienti per reggere il mondo senza la persona o la cosa perduta. In questo caso il dolore risulta essere talmente forte da mettere in atto dei meccanismi di difesa da esso e il processo profondo di distacco dall’oggetto viene abortito. In questo caso nel livello biologico l’oggetto viene ad essere congelato insieme alla parte di organismo che aveva potuto vivere ed esprimersi nella relazione con esso.
Quando l’elaborazione non riesce allora entrano in gioco i meccanismi di difesa più disparati: tipicamente il dolore di una perdita viene tramutato in rabbia, negazione e svalorizzazione. Questo rifiuto di una vera elaborazione del lutto diminuisce il dolore per la mente apparentemente, ma allontana la possibilità di gestione della perdita in quanto il piano esistenziale non offre sostegno alcuno al processo di integrazione. Spesso in questi soggetti si verificano nel tempo delle somatizzazioni. Il lutto a volte è un evento più complesso ed insidioso di quello che si possa credere. Il lutto vero e proprio, la morte per una persona cara, rappresenta una forma di sofferenza, un evento socialmente accettato e che può essere condiviso. Vi sono invece dei traumi che non si possono comunicare, questo si verifica negli abusi, violenze sessuali ecc. Spesso si verifica che una elaborazione del lutto complicata in seguito ad un evento socialmente condivisibile abbia dietro un lutto ancora più grande e devastante ma non comunicabilee , che in esso trova la propria espressione. Alla luce di questo ragionamento la somatizzazione può essere spiegata in maniera analoga. La sofferenza, la malattia, il malessere sono una forma di dolore che si può esprimere senza doversene vergognare. In alcuni casi è l’unico modo per esternare in trauma-lutto non elaborato.
Apprendere la gestione delle perdite infatti è una risorsa che deve essere appresa culturalmente e non un fenomeno di natura biologico.
Diversi fattori influenzano l’andamento del periodo successivo a un lutto: età, sesso, classe sociale, reddito, razza, educazione, perdita di sostentamento futuro, iniziali sintomi di stress, morte improvvisa del coniuge, percezione del supporto sociale, qualità della relazione coniugale e molteplici eventi vitali.
L’eventuale sviluppo di un disturbo psichico è invece in relazione a due fattori, la qualità della vita seguente la perdita di una persona e la capacità di adattamento individuali.
Alcuni studi hanno dimostrato che la morte di un coniuge ha effetti più negativi se improvvisa, piuttosto che dopo una malattia di lunga durata. In questo ultimo caso si pensa che l’anticipazione del lutto abbia un ruolo protettivo , svolgendo un’azione preparatoria che consente di fronteggiare meglio l’evento. Sono i giovani a presentare maggiori difficoltà nell’affrontare un improvviso decesso del partner, poichè in questa età costituisce un evento innaturale che, quando accade inaspettetamente, può avere un impatto violento.
Anche le modalità del decesso possono facilitare  la comparsa di complicanze, come nel caso di morte violenta o accidentale. Se la morte riguarda un bambino il quadro luttuoso presenta uan maggiore gravità, con una persistenza di profondi sensi di colpa, pensieri intrusivi e rappresentazioni d’immagini relative all’evento.
Secondo alcuni studi le donne hanno una maggiore fragilità nei confronti del lutto in qunto tendono a mantenere più a lungo il rapporto con il defunto. Sono stati, infine, indicati come possibili fattori prognostici negativi , la mancanza di un valido supporto sociale, l’incapacità del soggetto a percepire l’aiuto disponibile, lo scadimento della qulità della vita sul piano finanziario e relazionale, le conflittualità famigliari, il persistere di eventi stressanti, le caratteristiche di personalità, la presenza di precedenti distrurbi psichici.
Nella maggior parte dei casi il lutto si risolve spontaneamente e non necessita, quindi, di terapia specifiche; un valido aiuto è dato dal sostegno di parenti ed amici. Quando avviene un evento traumatico viene distrurbato l’equilibrio necessario per l’elaborazione dell’informazione a livello cerebrale. Si può affermare che questo provochi il ” congelamento” dell’informazione nella sua forma ansiogena originale, nello stesso modo in cui è stato vissuto. Questa informazione congelata non può essere elaborata e quindi continua a provocare patologie.
Il lutto non elaborato, congelato è assimilabile nella Medicina Tradizionale Cinese al concetto del blocco dell’energia. Secondo la MTC la distinzione tra mente e corpo non esiste in quanto la psiche è il corpo e il corpo stesso è psiche. non vi è infatti funzione organica che non abbia una sua connotazione emotiva e non esiste stato psicologico , acuto o cronico che non lasci la sua impronta sugli organi e le loro funzioni.
L’approccio alla rielaborazione del lutto con l’agopuntura, l’omeopatia, l’ipnosi permette un più rapido sblocco e scongelamento dell’energia bloccata permettendo all’individuo di giungere meglio e più rapidamento alla soluzione del conflitto.

OMEOPATIA: UNA RISORSA FONDAMENTALE

Le novità sulla registrazione dei farmaci e sul sempre  maggior ricorso degli italiani alle Medicine Complementari stanno stimolando il confronto tra gli attori del settore. Nell’intervista che segue Claudia Gurschler (amministratore delegato di  Boiron Italia ) illustra ad ampio raggio il punto di vista dell’azienda francese sui temi appena citati, e aggiunge ulteriori considerazioni su come il ricorso all’omeopatia possa essere d’aiuto al cittadino nell’affrontare i costi della salute in un periodo critico come l’attuale.

Da una recente indagine che Omeoimprese ha commossionato a DoxaPharma emerge che gli italiani fanno sempre maggior ricorso ai medicinali omeopatici. Come commenta questi risultati? Dai dati presentati emerge che 1 italiano su 6 – cioè quasi 7 milioni di italiani adulti – ha utilizzato medicinali omeopatici nell’ultimo anno e che l’82,5% della popolazione dichiara di conoscere l’omeopatia. Sono risultati che evidenziano come questi medicinali, in Italia, siano sempre più diffusi, conosciuti e utilizzati. L’indagine rileva anche un altro dato per noi molto significativo: il 61% degli italiani auspica un ruolo informativo da parte del proprio medico di famiglia e il 42% della popolazione accetterebbe la prescrizione di un farmaco omeopatico, se consigliato dal proprio medico. Il 26% dei consumatori desidera inoltre un crescente ruolo informativo da parte del farmacista nella diffusione di informazioni sull’omeopatia. Molto spesso queste informazioni sono cercate su internet: DoxaPharma ha rilevato infatti come il 41% degli utilizzatori di medicinali omeopatici ricerchi informazioni riguardanti efficacia, indicazioni, test scientifici e modalità/posologia proprio sul web. In particolare, l’argomento più ricercato riguarda le indicazioni terapeutiche delle specialità che, in Italia, in base al D.Lgs. 219/2006, non possono essere riportate all’interno del foglietto illustrativo o sulla confezione. Non stupisce, quindi, un’altra tendenza evidenziata dalla ricerca: il 46,7% degli utilizzatori si fida del consiglio di amici e parenti, i quali una volta verificata la validità del medicinale omeopatico, lo hanno consigliato. Ciò significa che la notorietà dell’omeopatia è cresciuta grazie a un passaparola senz’altro positivo, ma che va rivalutato soprattutto alla luce della richiesta di ricevere maggiori informazioni da parte del medico di famiglia e del farmacista. Per un’azienda come la nostra, che ricopre una posizione di leadership nella produzione e distribuzione di medicinali omeopatici, sono tutti segnali su cui riflettere, perché ci permettono di capire sempre meglio il rapporto del consumatore con questi medicinali e il ruolo di medici e farmacisti in tal senso.

Negli ultimi mesi si è tornati a parlare di registrazione semplificata per i medicinali omeopatici. Quali sono, dal vostro punto di vista, le novità in questo ambito? In realtà non ci sono vere e proprie novità. Il quadro normativo in cui ci stiamo muovendo è ancora quello delineato dalla Direttiva Comunitaria 2001/83/CE, che definisce i criteri per la  registrazione dei medicinali omeopatici senza indicazioni terapeutiche (registrazione semplificata, art. 14) e con indicazioni terapeutiche (art. 16,2° comma). Ricordo a tale proposito che, nel nostro Paese, il recepimento della direttiva europea non ha visto a oggi la definizione di regole specifiche che – tenendo conto delle tradizione omeopatica – permettessero la registrazione dei medicinali omeopatici con indicazioni terapeutiche e posologia da riportare sia sulla confezione, che sul foglietto illustrativo. Questo problema riguarda in particolar modo le cosiddette specialità, costituite da un singolo medicinale omeopatico o da associazioni di farmaci omeopatici differenti. Ciascuna specialità ha precisi campi di applicazione e può essere prescritta dal medico, consigliata dal farmacista o utilizzata per l’automedicazione. Si tratta infatti di medicinali omeopatici che, per loro natura, sono stati concepiti per specifiche patologie minori, tipiche dell’automedicazione e che potrebbero quindi essere dispensati come tali, a fronte di un chiaro riferimento all’indicazione terapeutica e alla posologia sul foglietto illustrativo. Una legge tutta italiana del 2006 – che recepisce la direttiva europea 83 del 2001 – consente però di comunicare le indicazioni terapeutiche solo ai medici e ai farmacisti, motivo per cui le confezioni degli omeopatici “specialità” sono prive di indicazioni su campi di applicazione e posologia. A questo divieto si aggiunge anche quello di fare pubblicità al pubblico. In Paesi come la Francia, invece, questo problema non si pone e i medicinali omeopatici specialità possono riportare sulla confezione indicazioni terapeutiche, campi d’applicazione e posologia. Discorso differente si deve fare invece per i medicinali omeopatici a nome comune che, per loro natura, potrebbero essere utilizzati in modo diverso a seconda del paziente e della patologia, prevedendo quindi un intervento da parte del medico e/o del farmacista; i medicinali omeopatici a nome comune seguirebbero comunque l’iter della registrazione semplificata.

La registrazione degli omeopatici dovrà in ogni modo avvenire entro il 2015? Attualmente i medicinali omeopatici in Italia sono notificati, ma entro il 2015 dovranno essere registrati a tutti gli effetti. Recentemente è stata rilasciata da Aifa una piattaforma software per la creazione di una banca dati che censisca i prodotti sul mercato. Si tratta, in un certo senso, di un punto di avvicinamento alla vera e propria registrazione dei circa 30.000 medicinali omeopatici presenti sul mercato.

Cosa può fare la politica per aiutare la maggior diffusione delle cure omeopatiche. Pensate che il mondo politico abbia recepito questo segnale dalla società? L’interesse mostrato dalla politica, da AIFA e dal Ministero della Salute riguardo al settore, rappresenta un segno positivo per favorire il processo di accessibilità e diffusione dei medicinali omeopatici nel nostro Paese. Tuttavia, come azienda leader di mercato in Italia e all’estero, quello che più ci preme è il riconoscimento degli omeopatici come medicinali a tutti gli effetti. Il primo passo per parificare i farmaci omeopatici a quelli convenzionali è risolvere il problema dell’impossibilità di comunicare le indicazioni terapeutiche nelle confezioni degli omeopatici specialità. Alla luce dei limiti attuali, non stupisce quindi se dall’indagine DoxaPharma emerge che l’argomento più ricercato sul web dagli utilizzatori di farmaci omeopatici riguardi proprio le indicazioni terapeutiche. Questa situazione non rappresenta solo un problema per i pazienti, ma è anche in contrasto con i principi di sicurezza e tutela della salute dei cittadini. Ad ogni modo, vista la proficua collaborazione e l’interesse di politici e istituzioni verso il settore, siamo fiduciosi che si possa trovare una soluzione per risolvere il problema e normalizzare finalmente questa tipologia di farmaci.

Come può l’omeopatia venire incontro a chi è in difficoltà nel sostenere le spese sanitarie ? Uno dei luoghi comuni più frequenti sui medicinali omeopatici è quello di credere che si tratti di medicinali cari. Non è un’affermazione corretta, soprattutto se consideriamo che gli omeopatici costano in media circa 10 euro*, prezzo che scende a poco più di 8 euro se consideriamo i medicinali omeopatici Boiron**. Esistono invece medicinali allopatici che costano anche centinaia d’euro a confezione e si può arrivare a una spesa di diverse migliaia d’euro anche per un solo ciclo di cura. Nel mondo, le stime di vendita relative ai medicinali omeopatici rappresentano lo 0,3% del mercato mondiale del farmaco, ma rappresentano molto di più in volume, poiché – a conti fatti – sono molto meno costosi dei farmaci allopatici. Ad oggi in Italia i medicinali omeopatici e le visite mediche possono essere portate in detrazione nella dichiarazione dei redditi. In numerosi Paesi, invece, il Sistema Sanitario rimborsa in gran parte le visite dal medico omeopata e i medicinali omeopatici. In Italia questo ancora non accade, tranne che in Toscana, dove l’omeopatia è stata introdotta nei Livelli essenziali di assistenza (LEA). È però auspicabile che anche il nostro Paese – nell’ottica di un risparmio per il Sistema Sanitario Nazionale – si muova verso questa direzione. Uno studio effettuato in Inghilterra su 100 pazienti assistiti da un medico di medicina generale ha dimostrato come utilizzando l’omeopatia come terapia di prima scelta, i costi diminuiscono***. Dopo quattro anni di osservazione, considerando i costi del medicinale omeopatico confrontati con quelli del medicinale convenzionale, si arriva a poter dire che il risparmio per paziente si aggira intorno ai 100 € per paziente. La maggior parte di questi pazienti ha inoltre dichiarato di aver goduto di buona salute nel periodo considerato, e di non aver avuto effetti collaterali durante la terapia.

Molto spesso si dice che in Francia l’omeopatia costa meno. È vero? In realtà tutti i medicinali in Francia costano di meno! Questo dipende da una serie di motivi: l’IVA in Italia è pari al 10%, mentre in Francia va dal 2,1% al 5,5% a seconda del medicinale, quindi sul prezzo finale c’è differenza. Infine, a parità di prezzo di cessione da parte delle aziende, il prezzo al pubblico finale in farmacia può variare anche di molto, visto che il farmacista francese ha ampia libertà di decidere il margine che vuole tenere sul prodotto.

*Prezzo medio medicinali omeopatici in Italia calcolato con i dati IMS a MAT Aprile 2012 (ovvero da 05/11 a 04/12): MKTO OMEOPATICO (classe IMS 18A1 + 18A2) prezzo medio = Euro 10,98

**Dati IMS a MAT Aprile 2012 (ovvero da 05/11 a 04/12): Solo BOIRON prezzo medio = Euro 8,39

***Jain A et al. Does homeopathy reduce the cost of conventional drug prescribing? A study of comparative prescribing costs in general practice. Br. Homeopathic J 2003; 92: 71-76.

Igor Principe

L’ANSIA: UNA REAZIONE NATURALE

L’ ansia è un’emozione che fa parte integrante della natura umana ed è generata dalla primordiale necessità di rispondere ed un eventuale pericolo, percependolo in anticipo, prima che questo si sia manifestato concretamente.
L’ ansia mette in moto tutte le risorse mentali e fisiche dell’individuo affinchè, dopo una valutazione della situazione, questo possa affrontare adeguatamente il pericolo ed uscire dall’impasse oppure, ritenendo di non avere risorse adeguate, decida di fuggire.
Questa alternanza di lotta e fuga ha consentito all’uomo, fin dai primordi della sua presenza nel mondo, di conoscere il suo habitat e di vivere adattandosi sempre meglio ad esso. In questa scelta, che continuamente si propone all’individuo sino dall’origine della specie umana, l’ansia ricopre un ruolo di fondamentale importanza per la sopravvivenza e costituisce il motore che spinge all’azione la dove non esista la motivazione di una gratificazione immediata. Anche azioni apparentemente banali come uscire di casa in tempo per andare ad un appuntamento o per prendere il treno avrebbero ottime possibilità di naufragare miseramente se l’individuo non fosse spinto dall’ansia.
Fino a questo punto il ruolo positivo dell’ansia appare evidente, infatti si rivela costruttiva e funzionale alla sopravvivenza ed essenziale per lo sviluppo della personalità e per il raggiungimento degli obiettivi. Cosa accade, però, quando non  siamo capaci di superare una situazione di pericolo, oppure quando allo stato di allarme e attivazione non corrisponde un pericolo reale da frontaggiare e risolvere? In questo caso l’ansia si trasforma da risposta naturale e adattiva a preoccupazione sproprozionata o comunque poco reale assumendo la connotazione di disturbo psichico e perdendo la sua funzione di spinta per la crescita; così l’ansia perde la sua funzione adattiva tesa a favorire il rapporto con l’ambiente, provocando al contrario disadattamento e perdita di contatto con l’ambiente stesso.
Quando lo stato ansioso e la forte difficoltà nel controllare la preoccupazione eccessiva sono presenti per la maggior parte della giornata riguardo alla maggior parte degli eventi o delle attività, può accadere che si manifestino dei sintomi fisici che sembrano indicare un difetto o una disfunzione di natura organica, talvolta anche di notevole entità; spesso per questa sintomatologia non è possibile risalire ad alcuna causa fisiologica, pertanto siamo di fronte a sintomi di natura psicosomatica, che sono causati appunto dall’azione della psiche e non da cause esterne.

L’ANSIA DISFUNZIONALE

Quando l’ansia perde la sua connotazione di reazione naturale e necessaria alla sopravvivenza diventa una patologia che, coinvolgendo sia mente che corpo, porta come immediata conseguenza uno stato di continua ipereccitabilità che innesca un circolo vizioso fatto di stress, insonnia e somatizzazioni a livello di diversi organi e apparati.

Principali sintomi psicosomatici a carico dei diversi apparati :

Apparato digerente: bulimia, bruciori gastrici, ulcera, cattiva digestione, intestino irritabile, colite, stipsi, diarrea ecc.
Apparato respiratorio: mancanza di fiato, asma, senso di oppressione, ecc.
Arti: dolori muscolari, debolezza alle gambe, sudorazione, tremore, ecc.
Collo e spalle: cefalea muscolo-tensiva, mal di schiena, ecc.
Cuore: infarto, tachicardia, aritmia, palpitazioni, ecc.
Occhi: annebbiamento della vista, ecc.
Pelle: tutte le dermatosi, eczemi, psoriasi,ecc.
Sistema immunitario: calo delle difese

Dal punto di vista funzionale accade, che il perduare dello stato ansioso, suscitato da impulsi di paura o da emozioni negative, inneschi reazioni a livello dei meccanismi di produzione delle sostanze mediatrici dello stress con conseguenti effetti somatici scatenati dall’attivazione del sistemo nervoso autonomo.
Le medicine complementari (agopuntura, omeopatia, omotossicologia, medicina funzionale, ipnosi), attraverso la regolazione degli imput disturbanti il sistema portano ad una interruzione degli stimoli esagerati riportando l’organismo verso un punto di maggiore equilibrio.

LE INTOLLERANZE ALIMENTARI COME CAUSA DI INGRASSAMENTO

L’ infiammazione da cibo può provocare ingrassamento. Questo dipende dalla  visione evoluzionistica del rapporto con il cibo, come riportato nell’articolo del Corsera che ne parla.

Eppure ci sono persone che negano ancora la relazione tra infiammazione e metabolismo a dispetto dei molti lavori scientifici che chiariscono come la produzione di Baff dovuta ad una eventuale intolleranza alimentare possa davvero provocare un indesiderato ingrassamento.

Resta poco comprensibile come molti dietologi ed “esperti” continuino a ripetere la stessa storia secondo cui una intolleranza alimentare può solo determinare diarrea e malassorbimento e quindi dare solo dimagrimento. Oggi sappiamo che non è vero.

Vallo infatti a spiegare alle persone che pur mangiando poco, o facendo tantissimo sport, si rendono conto di ingrassare perché qualcosa nel loro rapporto col cibo non funziona.

Per quelli che amano la scienza e la sua evoluzione, e per quelli che cercano di trovare soluzioni pratiche efficaci per i propri pazienti, le ultime ricerche sono davvero di grande aiuto.

Un gruppo di medici austriaci ha scoperto nel 2007 che l’infiammazione a basso grado (come quella tipica delle reazioni immunitarie) attiva dei macrofagi (cellule del sistema immunitario) che si trovano nel tessuto grasso, e che questi provocano tutte le reazioni necessarie perché l’organismo anziché consumare calorie e energia le accumuli sotto forma di grasso.

Il lavoro di Zeyda non è l’unico: sappiamo che Mitchell Lazar ha pubblicato fin dal 2004 su Science i lavori che spiegano perché i macrofagi possono produrre resistina, come semplice risposta all’infiammazione a basso grado e determinare così insulino resistenza e la risposta difensiva di accumulo di grasso nelle cellule adipose.

Nello stesso modo numerosi lavori hanno precisato che il Baff, citochina profondamente legata alla infiammazione da cibo, determina direttamente dei fenomeni di insulino resistenza, creando finalmente il ponte tra infiammazione e ingrassamento, e stimolando poi la produzione di adipochine che determinano obesità.

E non basta: si sta scoprendo che il modo di mangiare, la presenza di cibi non tollerati e il rapporto tra carboidrati e proteine nei singoli pasti non provocano solo malattie infiammatorie croniche (ad esempio l’artrite reumatoide), ma anche dei cambiamenti dei nuclei delle cellule che portano a malattie come la steatosi epatica, le malattie cardiovascolari e altro ancora. Lavorare sull’infiammazione da cibo infatti significa lavorare in modo profondo sulla salute e sulla prevenzione.

E allora perché i dietologi che sono sempre in televisione o sulle riviste più diffuse negano questi aspetti scientifici? Anche nei giorni scorsi, da “Salute Repubblica“, il dietologo di turno ha ribadito questo concetto, caso mai non lo avesse fatto anche solo poche settimane prima. Un pensiero viene: sappiamo che in Italia le intolleranze più diffuse sono per il lievito, il frumento e il latte. Ammetterlo metterebbe in profonda crisi il mercato delle merendine, dei biscotti e della pasta; mercati che probabilmente devono mantenere i loro attuali livelli…

L’aspetto più interessante dell’infiammazione da cibo è comunque che il tipo di ingrassamento che determina è spesso localizzato. Lieviti e sale danno frequentemente una tipica disposizione del grasso in eccesso sui fianchi e sulle gambe; il latte facilita l’ingrassamento addominale e delle spalle, e così via.

In molti casi le reazioni infiammatorie e metaboliche che determinano l’ingrassamento possono essere meglio controllate con l’aiuto di alcuni integratori naturali, che diventano in un certo senso dei dimagrandi fisiologici.

E’ necessario quindi, per un buon dimagrimento, valutare alimenti intolleranti ed impostare un regime alimentare atto ad attivare il metabolismo corporeo.

Abstract: Attilio Speciani

 

I PRINCIPI DELL’OMOTOSSICOLOGIA

L’omotossicologia affonda le sue origine nell’omeopatia, grazie al lavoro svolto dal dott. Hans Heinrich Reckeweg.
La premessa dalla quale parte l’omotossicologia è che un organismo vivente è ininterrottamente attraversato da sostanze di origine esterna ( fattori inquinanti, virus , batteri, tossine alimentari, fattori di stress ecc ) ed interni ( prodotti del metabolismo dell’organismo, radicali liberi ecc ) che possono essere in causa nella manifestazione della malattia. Se l’organismo è in equilibrio ed in stato di salute, se l’omotossina non è particolarmente “tossica” e se gli organi di depurazione sono efficienti, essa attraversa il sistema senza dare nessun tipo di interferenza al suo equilibrio. Se invece o perchè la tossina è aggressiva o gli organi di depurazione sono inefficaci si ha una rottura dello stato di equilibrio e l’organismo mette in atto dei meccanismi supplementari per recuperare lo stato di salute e sul piano sintomatologico questi si manifestano attraverso la malattia. Secondo l’omotossicologia la malattia è da vedere come il risultato dato dall’interazione tra agente disturbante, fattori ambientali e reattività dell’organismo coinvolto: la malattia sarebbe l’espressione della lotta del corpo contro le tossine, al fine di neutralizzarle ed espellerle. A seconda della gravità dell’aggressione e dell’integrità del sistema difensivo dell’organismo attaccato, il corpo manifesterebbe quadri clinici differenti che si possono definire in sei fasi.
Le FASI UMORALI sono manifestazioni in cui l’esito è positivo, in quanto sono il manifestarsi di una buona reattività. Si dividono:
FASE DI ESCREZIONE : le tossine non giungono nemmeno in contatto con le cellule delle mucose, ma vengono inglobate ed eliminate con le secrezioni fisiologiche ( sudore, muco, catarro, cerume ecc.
FASE DI REAZIONE O DI INFIAMMAZIONE : mediante il meccanismo dell’infiammazione, l’organismo prima neutralizza ed elimina dopo le tossine

Le FASI DELLA SOSTANZA FONDAMENTALE sono date da situazioni patologiche in cui il carico tossinico è prima localizzato a livello del connettivo e dopo a livello della stessa cellula.  Si dividono:
FASE DI DEPOSITO: in questo stadio della malattia  l’organismo, allo scopo di mantenere il suo equilibrio accumula a livello del connettivo quelle tossine che gli organi di depurazione non sono stati in grado di eliminare e che la successiva fase di reazione non è riuscita a neutralizzare.
FASE DI IMPREGNAZIONE: partendo da questa fase le tossine non sono più localizzate e livello del connettivo ma a livello dell’organi ed iniziano quindi a destrutturare la cellula ed attaccando i suoi meccanismi di funzionamento.

Le FASI CELLULARI rappresentano quadri in cui l’ evoluzione non è più favorevole, in quanto sono espressioni di una alterazione lesionale. Si distinguono:
FASE DI DEGENERAZIONE : il perdurare dell’ accumulo di tossine determina il blocco del funzionamento della cellula e la conseguente degenerazione del tessuto.
FASE NEOPLASTICA: la stimolazione infiammatoria cronoca della cellula può dare il suo mutamento in cellule anomale che possono prendere il sopravvento sull’intero organismo (cancro).

In questa ottica  si inserise la fase  di una reazione detta di VICARIAZZIONE  che può avere un esito positivo o regressivo e corrisponde al processo di guarigione naturale o viceversa negativo o progressivo che coincide con l’aggravamento dei sintomi.
La terapia omotossicologia si pone come obiettivo l’avvio della reazione positiva regressiva, favorevole a riattivare le funzioni disintossicanti e i meccanismi di escrezione dell’organismo.

 

 

“IL MAL DI PANCIA” seconda parte

Per la Medicina Tradizionale Cinese la pancia rappresenta il nostro approccio emozionale nei confronti dela nostra realtà
La poca o la mancanza di Gioia lede  nel tempo il nostro intestino tenue mentre l’eccessiva preoccupazione, tristezza e rimuginazione mentale danneggio il nostro colon.
Non dobbiamo, alla luce di quanto sopra scritto, stupirci del sempre più crescente numero di persone che descrivono sintomi, molte volte non controllabili, nell’area addominale.
L’intestino tenue ci rimanda a ” smistamento, analisi e critica; assimilazione e rifiuto.” Seleziona ciò che può essere assorbito e trasformato e ciò che invece va rifiutato. Il tenue, quindi, accetta o rifiuta le informazioni, dunque giudica.
I disturbi del tenue si riferiscono alla difficoltà che abbiamo nell” assimilare” l’esperienza quando questa si presenta. Tale difficoltà può essere legata alle precedenti fasi della digestione degli alimenti oppure ad una mente eccessivamente critica, tipica delle persone che passano il tempo ad analizzare in modo eccessivo. Al livello più estremo, quando c’è il rifiuto di assimilare un’esperienza che viene giudicata tossica (come per certi cibi) a torto o a ragione si produrrà una diarrea.
Il colon, le feci, si riferiscono a qualcosa di” sporco”, quando ci si indigna per un atteggiamento o della malafede altrui o peggio ci si colpevolizza. Si tratta di evacuare un’esperienza dolorosa, di mollare la presa e di girare la pagina; si tratta a volte di andare avanti, superando il bisogno di sicurezza e le paure materiali.
Un discepolo chiese al Buddha quale fosse la condizione per accedere alla saggezza, ed egli rispose: “Che il tuo intestino sia libero da ostacoli ed elimini correttemente”.
A prima vista questa risposta da parte del maestro spirituale che ha ispirato l’Oriente può stupirci, ma dietro a questa condizione fisiologica si nasconde una condizione psicologica molto importante: la capacità di mollare la presa, di evacuare e liberarsi delle esperienze di vecchia data dopo averne estratto l’essenza. La stitichezza è quindi la tendenza a trattenere, spesso per paura che qualcosa ci venga a mancare. Abbiamo allora un’eccessiva ritenzione, il rifiuto di lasciare andare, di abbandonare. Spesso la stitichezza concretizza l’ansia materiale, la tendenza a volere tenere con sé e conservare vecchi schemi di comportamento perchè è meglio non lasciare il certo per l’incerto. Può inoltre tradurre la tendenza a trattenersi, per una sorta di pudore, nella nostra relazione con l’altro, cosa che spesso avviene nelle donne; la stitichezza può essere intesa come ad un trattenersi affettivamente, la paura di perdere, di far dispiacere, di venir abbandonato, quando ci si trattiene dall’amare, dal dare qualcosa di sé.
La flatulenza spesso si produce quando si rimane attaccati ad una situazione che non è più né soddisfacente né benefica, ma che rappresenta ancora una sicurezza materiale o affettiva.
Il disturbo al colon può riferisrsi ad una difficolta nel cicatrizzare certe nostre ” ferite”, nell’evacuarle e nel voltare pagina. Polipi e diverticoli potrebbero essere visti come piccoli grumi di tristezza e di collera, come piccoli nodi che non abbiamo sciolto completamente. E quando una grave preoccupazione risveglia una di quelle piccole ferite, può alterare il nostro desiderio di vivere tanto da produrre un cancro, che spesso si sviluppa per degenerazione di un polipo. Per fortuna le cose non sono sempre tanto gravi e perlopiù la colite ci parla del nostro dolore nel digerire il lato affettivo dell’esperienza. E’ una specie di collera che ci è difficile da esprimere, di fronte ad un’autorità, al nostro parter, a uno dei genitori, per paura di affermare la nostra posizione. Da qui il suo carattere molto spesso cronico, perchè queste situazioni sono di solito cristallizzate e durature e le subiamo a lungo.
Il retto e l’ano sono il prolungamento del colon e sono legati al mantenere il controllo sulle cose e le situazioni, certi vincoli ed obblighi di cui non sappiamo come liberarci. Il retto simboleggia quindi la capacità di trattenersi prima di lasciarci andare. Ma se tratteniamo troppo le cose senza poi lasciarle andare si rischia poi di averne le scatole piene che si manifestano con le emorroidi che ci descrivono un carico di esperienza e spesso sono testimoni del fatto che ci sforziamo in una situazione sgradevole. Ciò che diciamo a noi stessi attraverso le emorroidi è spesso un miscuglio di collera, di costrizione e senso di colpa o di un vecchio risentimento che non riusciamo ad evacuare.

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