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L’ infiammazione da cibo può provocare ingrassamento. Questo dipende dalla  visione evoluzionistica del rapporto con il cibo, come riportato nell’articolo del Corsera che ne parla.

Eppure ci sono persone che negano ancora la relazione tra infiammazione e metabolismo a dispetto dei molti lavori scientifici che chiariscono come la produzione di Baff dovuta ad una eventuale intolleranza alimentare possa davvero provocare un indesiderato ingrassamento.

Resta poco comprensibile come molti dietologi ed “esperti” continuino a ripetere la stessa storia secondo cui una intolleranza alimentare può solo determinare diarrea e malassorbimento e quindi dare solo dimagrimento. Oggi sappiamo che non è vero.

Vallo infatti a spiegare alle persone che pur mangiando poco, o facendo tantissimo sport, si rendono conto di ingrassare perché qualcosa nel loro rapporto col cibo non funziona.

Per quelli che amano la scienza e la sua evoluzione, e per quelli che cercano di trovare soluzioni pratiche efficaci per i propri pazienti, le ultime ricerche sono davvero di grande aiuto.

Un gruppo di medici austriaci ha scoperto nel 2007 che l’infiammazione a basso grado (come quella tipica delle reazioni immunitarie) attiva dei macrofagi (cellule del sistema immunitario) che si trovano nel tessuto grasso, e che questi provocano tutte le reazioni necessarie perché l’organismo anziché consumare calorie e energia le accumuli sotto forma di grasso.

Il lavoro di Zeyda non è l’unico: sappiamo che Mitchell Lazar ha pubblicato fin dal 2004 su Science i lavori che spiegano perché i macrofagi possono produrre resistina, come semplice risposta all’infiammazione a basso grado e determinare così insulino resistenza e la risposta difensiva di accumulo di grasso nelle cellule adipose.

Nello stesso modo numerosi lavori hanno precisato che il Baff, citochina profondamente legata alla infiammazione da cibo, determina direttamente dei fenomeni di insulino resistenza, creando finalmente il ponte tra infiammazione e ingrassamento, e stimolando poi la produzione di adipochine che determinano obesità.

E non basta: si sta scoprendo che il modo di mangiare, la presenza di cibi non tollerati e il rapporto tra carboidrati e proteine nei singoli pasti non provocano solo malattie infiammatorie croniche (ad esempio l’artrite reumatoide), ma anche dei cambiamenti dei nuclei delle cellule che portano a malattie come la steatosi epatica, le malattie cardiovascolari e altro ancora. Lavorare sull’infiammazione da cibo infatti significa lavorare in modo profondo sulla salute e sulla prevenzione.

E allora perché i dietologi che sono sempre in televisione o sulle riviste più diffuse negano questi aspetti scientifici? Anche nei giorni scorsi, da “Salute Repubblica“, il dietologo di turno ha ribadito questo concetto, caso mai non lo avesse fatto anche solo poche settimane prima. Un pensiero viene: sappiamo che in Italia le intolleranze più diffuse sono per il lievito, il frumento e il latte. Ammetterlo metterebbe in profonda crisi il mercato delle merendine, dei biscotti e della pasta; mercati che probabilmente devono mantenere i loro attuali livelli…

L’aspetto più interessante dell’infiammazione da cibo è comunque che il tipo di ingrassamento che determina è spesso localizzato. Lieviti e sale danno frequentemente una tipica disposizione del grasso in eccesso sui fianchi e sulle gambe; il latte facilita l’ingrassamento addominale e delle spalle, e così via.

In molti casi le reazioni infiammatorie e metaboliche che determinano l’ingrassamento possono essere meglio controllate con l’aiuto di alcuni integratori naturali, che diventano in un certo senso dei dimagrandi fisiologici.

E’ necessario quindi, per un buon dimagrimento, valutare alimenti intolleranti ed impostare un regime alimentare atto ad attivare il metabolismo corporeo.

Abstract: Attilio Speciani

 

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