LA MALATTIA COME BLOCCO DEL FLUSSO DI ENERGIA

La prospettiva energetico-spirituale è un modo prezioso e complementare di conoscere l’origine dei nostri disturbi e/o malattie.

Che la malattia sia un messaggio del corpo fisico, che ci dice che si è alterato un equilibrio, è banale e scontato. Non è invece banale sapere e comprendere che la causa non è esterna, ma interna e che quindi si può guarire. Virus e microbi ci colpiscono infatti dove e quando siamo più vulnerabili, non per cause genetiche, ma per cause interne, legate alle tensioni che creiamo dentro di noi quando facciamo scelte o prendiamo decisioni che non ci fanno sentire bene.

Questo succede quando non ascoltiamo la nostra guida interiore, alterando di conseguenza il nostro equilibrio energetico. La tecnica energetico-spirituale parte dalla considerazione che, a monte della malattia, ci sia un blocco energetico, un blocco del flusso di energia, un disequilibrio che genera la malattia, la quale si localizza proprio dove avviene tale blocco. Per spiegare il nostro sistema energetico, dobbiamo prima capire che l’unità infinitesimale di ogni cellula è energia, di cui il tessuto, l’organo, il corpo fisico sono la parte più densa, ovvero quella che vediamo. Tutto ciò non è invenzione, bensì scienza, quella quantistica.

 I “motori” che regolano il flusso del nostro sistema energetico sono i chakra. La funzione dei chakra è simile a quella del cuore: regolare il flusso dell’energia nel nostro sistema energetico, che è governato dalla coscienza. E’ importante sottolineare che, in questo contesto, il significato di coscienza è esteso a tutto ciò che possiamo sperimentare a livello fisico, emotivo, mentale e spirituale nella nostra esistenza.

Tutto procede bene se le decisioni che prendiamo sono coerenti con la nostra essenza, con il nostro progetto intimo di vita, ma se non ci ascoltiamo, se neghiamo la nostra essenza, iniziano a sorgere problemi. “Può accadere, ad esempio, che per una decisione errata si crei un blocco, una tensione. Da quel momento in avanti la nuova configurazione della nostra energia funzionerà come una calamita, attirandoci esperienze che confermano la tensione originaria” ci racconta Rossella Panigatti, studiosa e praticante della tecnica.

Conoscere i chakra diviene così indispensabile per capire la malattia e sbloccare il flusso energetico. Sottolinea ancora R. Panigatti: per riacquistare la salute, dobbiamo intraprendere un lavoro personale di ricerca, comprendendo ciò che stiamo facendo ‘contro di noi’ e, soprattutto, dobbiamo attuare una serie di cambiamenti nella nostra vita, lasciando andare quei modi di essere che ci creano tensione, ritrovando la nostra vera essenza. Dobbiamo semplicemente tornare ad essere noi stessi, e in questo cammino il sintomo è un nostro alleato, e ci aiuta.

Questo lavoro personale di ricerca, di collocazione del sintomo all’interno del sistema energetico, per essere ben capito, deve anche tenere in considerazione il lato, destro o sinistro, in cui la patologia si manifesta; questo aspetto è importante perché legato alla polarità Yin (delle emozioni) e Yang (della volontà).

I chakra sono i nostri centri energetici, sono sette e sono associati a specifici organi e parti del corpo. Il sintomo localizzato in una specifica parte del corpo è quindi rapportabile ad un blocco nel chakra corrispondente, per effetto di una decisione presa riguardante la nostra vita, che non è in sintonia con la nostra unicità ed essenza.
Da fisica quantistica

AFTE RICORRENTI… SE FOSSE CELIACHIA?

Pz: Dottore, probabilmente ho un dente spezzato. Periodicamente ho la guancia destra che si riempie di piccole lesioni. Sono dolorosissime…

D: Vediamo… non mi sembra. Tutti i suoi denti godono di ottima salute!
Pz: Allora sarà lo stress del lavoro. Ultimamente sono sempre più stanca e anche l’intestino fa capricci e…
D: Posso permettermi di consigliarle un prelievo ematico?
Pz: Ma lei è un dentista!?

Poche battute per introdurre un argomento oggi “di moda”: celiachia e dieta gluten free. Il dentista, protagonista del colloquio, ha sicuramente avuto una brillante quanto illuminata intuizione semplicemente ascoltando attentamente il racconto della paziente.

Le afte ricorrenti, meglio note ai professionisti del settore come stomatite aftosa, sono piccole ulcere (lesioni) ovali o rotonde, singole o multiple, con margini rilevati circondati da un alone arrossato e con una parte centrale di colore biancastro, che circa in una settimana regrediscono. Sono manifestazioni di una patologia immuno-mediata e possono essere avvisaglia di celiachia.
La celiachia, una patologia autoimmune geneticamente determinata, peculiare dell’età pediatrica è diagnosticata oggi anche nell’adulto e nell’anziano. Il distretto corporeo bersaglio della patologia e della sua sintomatologia è l’intestino, ma non solo. Diarrea, arresto della crescita, addome globoso ma anche poli-abortività, dolori addominali, alopecia, cefalea, rappresentano i sintomi più ricorrenti.

Nel caso della nostra protagonista, il binomio comprovato da numerosi studi scientifici è celiachia e afte. Poco si sa del meccanismo bio-molecolare che sottende alla relazione afte-celiachia non diagnosticata. Quello che si suppone è che la destrutturazione dei villi, strutture deputate all’assorbimento, peculiare della celiachia porti a carenza di ferro, vitamina B12 e acido folico. La mancanza di questi micronutrienti faciliterebbe la formazione di afte. L’evidenza clinica di correlazione e il riscontro della remissione delle lesioni quando si realizza l’alimentazione priva di glutine rendono queste lesioni un importante dato obiettivo e/o anamnestico nella diagnosi di celiaca.

Il giusto input per una corretta diagnosi è suggerire esami sierologici specifici:
– anticorpi anti-transglutaminasi IgA e dosaggio delle IgA sieriche
– anticorpi anti-gliadina deamidata (AGAD)
– anticorpi anti-endomisio (EmA).

Successivamente si inizierà una corretta alimentazione e un sano stile di vita che prevedono l’allontanamento del glutine, miscela proteica peculiare dei cereali e derivati.

Per approfondimenti:
Z Slebioda et al. Etiopathogenesis of recurrent aphthous stomatitis and the role of immunologic aspects: literature review. Arch Immunol Ther Exp. 2014 Jun; 62(3):205-15. doi: 10.1007/s00005-013-0261-y.

U Volta et al. The changing clinical profile of celiac disease: a 15-year experience (1998-2012) in an Italian referral center. BMC Gastroenterol. 2014 Nov 18;14:194. doi: 10.1186/s12876-014-0194-x.

K Cantekin et al. Presence and distribution of dental enamel defects, recurrent aphthous lesions and dental caries in children with celiac disease. Pak J Med Sci. 2015;31(3):606-9. doi:10.12669/pjms.313.6960.

Letizia Saturni – Da Nutrizione 33

I POTERI CURATIVI DELLA VITAMINA D

La prima cosa da capire è che non si tratta di una vera vitamina. Per definizione, una vitamina è una sostanza essenziale alla salute che non può essere prodotta dal corpo. La vitamina D, nella sua funzione più ovvia è fondamentale, è essenziale al metabolismo del calcio e del fosforo nell’organismo. Senza di essa, non potremo avere ossa in salute. Quindi è indispensabile per in nostro corpo, ma viene prodotta dall’organismo stesso quando ci esponiamo ai raggi UVB del sole. Poiché la vitamina D è prodotta dal corpo non corrisponde ai due criteri necessari per definire una vitamina, quindi in realtà non lo è.

Malgrado il termine vitamina D sia utilizzato per identificare differenti sostanze ad essa associate, i principali tipi di vitamina D sono due: la vitamina D2 (nota come ergocaciferolo) e la vitamina D3 (nota anche come colecalciferolo).
Nella sua forma attivata (1,25 D3 o calcitriolo), la vitamina D è un ormone steroideo. E’ liposolubile e può passare attraverso le membrane cellulari per legarsi ai recettori.
E,’ appunto, un potente ormone steroideo e regola l’espressione genetica poiché riesce ad agire su duecento geni nel corpo.

Come assumere la vitamina D?

Già dalla fine degli anna Ottanta ci veniva detto di tenerci alla larga dal sole per evitare il rischio di tumore alla pelle e di rughe precoci. Categorie di medici, come i dermatologi, hanno consigliato di evitare l’esposizione al sole e di usare sempre filtri protettivi all’aperto. Però questi moniti pressanti non sono stati accompagnati da raccomandazioni per aumentare l’integrazione di vitamina D.
Infatti, il sole è  un modo fantastico per ottenere vitamina D. E’ anche il modo migliore per assorbirne quantità incredibili e velocemente. Dodici minuti appena di esposizione al sole del pomeriggio in estate con gambe e braccia scoperte fornisce ad una donna bianca in media 3000 Ul di vitamina D.
Ci sono undici fattori che indicano quanto sia complesso gestire l’esposizione al sole in modo da garantirsi una giusta dose di vitamina D:
– Latitudine
– Stagione dell’anno
– Altitudine
– Momento della giornata
– Inquinamento atmosferico
– Fenomeni di nuvolosità
– Utilizzo di creme solari
– Contenuto di melanina nella pelle
– Età
– Peso
– Vestiti che coprono il corpo
Se anche uno di questi fattori vi limita, aumenterà per voi il rischio di manifestare  una carenza. Quindi insegno ai miei pazienti a sottoporsi alle giuste analisi e ad assumere integratori.
Alcuni, convinti sostenitori dell’alimentazione equilibrata, si aggrappano alla convinzione che tutto ciò che ci serve come nutrimento possa venire da una dieta sana e bilanciata e così pensano che possiamo ottenere quantità sufficienti di vitamina D mangiando alimenti
che ne sono ricchi.
Un’idea ammirevole, ma la maggior parte delle persone non è attenta all’alimentazione e inoltre i livelli di vitamina D presenti nei cibi sono spesso mal dichiarati e comunque insufficienti per la nostra quotidiana assunzione.

Che ruolo assume la vitamina D nel nostro organismo?

La vitamina D circola nel sangue e interagisce con le cellule intestinali per stimolare l’assorbimento del calcio e mantenere stabili i suoi livelli ematici e le ossa forti e robuste.
Gli scienziati hanno dimostrato che quasi tutti gli organi del corpo riescono a trasformare la vitamina D proveniente dal fegato nella sua forma attiva. Se è presente una vitamina D extra dopo che i reni hanno compiuto il loro lavoro, mantenendo stabile il calcio, allora sarà trasportata attraverso l’organismo per essere convertita e utilizzata in ciascun organo. In questa forma attiva la vitamina D ha funzioni uniche che dipendono dal fabbisogno delle cellule e dei tessuti in cui si trova. Ciò che sorprende è che questa vitamina D, prodotta in questi altri organi, non entra in circolazione nell’organismo, viene invece organizzata dalle cellule di quell’organo e quindi immediatamente scomposta.
Tra le altre cose, è stato provato che la vitamina D ha proprietà legate alla prevenzione del cancro.

La vitamina D e il cuore

Riguardo alle malattie cardiache e a tutte le malattie cardiovascolari, è stato documentato come la carenza di vitamina D colpisca il rivestimento muscolare dei vasi sanguigni e contribuisca all’infiammazione e alla calcificazione delle pareti vascolari. Tale carenza compromette anche la parte centrale del sistema endocrino che controlla la pressione sanguigna.
La pressione alta, infatti, migliora quando i pazienti sono sottoposti a raggi UVB. Pazienti con ipertensione sono stati esposti ai raggi UVB tre volte alla settimana per tre mesi. I livelli di vitamina D nel sangue sono aumentati del 180% e la loro pressione si è normalizzata.

La vitamina D e le ossa

L’osteoporosi si ha quando le ossa perdono minerali e diventano deboli, fragili e facili alle rotture. Quando si invecchia, le ossa possono perdere densità e le donne in post-menopausa perdono densità più velocemente rispetto agli uomini. Il ruolo primario della vitamina D è quello di assicurare che il calcio sia metabolizzato nel corpo e si depositi nelle ossa. Se siete carenti di vitamina D, non avrete sufficiente accesso di calcio, a prescindere da quanto ne ingerite. Infatti, se avete una carenza di vitamina D, riuscite ad assorbire solo dalla metà ad un terzo del calcio che assorbireste con i valori più alti di vitamina. L’osteoporosi è indolore e solitamente una frattura senza conseguente dolore è il primo segnale della malattia.

Tratto da “I poteri curativi della vitamina D” – Soram Khalsa

STRETTA CORRELAZIONE FRA CELIACHIA E PATOLOGIE AUTOIMMUNI DEL FEGATO

Abbiamo parlato della relazione fra glutine, celiachia e salute del fegato con il dott. Marco Silano, direttore del Reparto di alimentazione, nutrizione e salute dell’Istituto superiore di sanità e coordinatore del Board scientifico dell’Associazione italiana celiachia (Aic).

Parliamo della relazione fra celiachia e salute del fegato: a che punto è la ricerca?
È ormai consolidata la consapevolezza che elevati valori plasmatici di transaminasi possono essere un segno di celiachia e segnalare la necessità di un approfondimento in tal senso. In effetti oggi più del 20% dei pazienti celiaci alla diagnosi presentano livelli di transaminasi sopra la norma, per cui oggi l’ipertransaminasemia è vista giustamente come un campanello d’allarme e fra tutti gli esami che il medico deve prescrivere c’è anche la ricerca degli anticorpi specifici per la celiachia.

Come vengono interpretati questi valori?
Sono un sintomo di celiachia non trattata. Infatti dopo circa 6 mesi/un anno di dieta senza glutine nella maggior parte dei pazienti i valori tornano nella norma. Il problema invece riguarda quella piccola parte di celiaci, che nonostante la dieta, continuano a far registrare livelli elevati di transaminasi. Questi sono i soggetti su cui la ricerca si sta concentrando: quelli ai quali il glutine provoca un danno permanente al fegato.

Di che tipo di danno si tratta?
Nella maggior parte dei casi, nel momento in cui si elimina il glutine dalla dieta anche il suo effetto tossico sul fegato piano piano viene meno. In alcuni pazienti invece i livelli di transaminasi che rimangono elevati dopo una dieta senza glutine sono il sintomo di un danno permanente al fegato dovuto a un’epatite auto-immune, che si innesca proprio a causa del glutine che attacca non solo l’intestino, ma colpisce anche il fegato e le vie biliari.

C’è una connessione fra patologie autoimmuni e microbioma intestinale?
Al momento attuale, la ricerca scientifica ha ipotizzato un nesso tra microbioma intestinale – permeabilità intestinale e malattie autoimmuni e degenerative. Nello specifico della malattia celiaca, tuttavia, non ci sono ancora evidenze sperimentali che indichino con certezza che le modifiche del microbioma siano responsabili dello sviluppo di questa condizione.

Come si procede dunque con i pazienti con epatite?
I pazienti vengono seguiti nel tempo con monitoraggi periodici della funzionalità epatica nel suo complesso. Si prendono poi provvedimenti terapeutici ad hoc in funzione degli esiti delle analisi. Spesso le patologie autoimmuni del fegato coinvolgono anche le vie biliari, come nel caso per esempio delle colangiti sclerosanti. Queste condizioni possono in casi molto rari determinare quadri clinici gravi, fino all’insufficienza epatica.

Francesca De Vecchi
da Nutrizione 33

L’ATTACCO DI PANICO. DAL SINTOMO ALLA COMPRENSIONE

Parlare di “attacco di panico” vuol dire affrontare lo spettro della dissoluzione, della frantumazione della propria identità, delle certezze e delle difese che fino a quel momento hanno sorretto l’individuo e gli hanno permesso di mantenersi in un delicato equilibrio tra angosce e sicurezze. L’attacco di panico è una esperienza acuta e improvvisa di forte angoscia che, nonostante la natura transitoria, produce sensazioni intense, incombenti e dolorose. Il panico evidenzia lo stretto rapporto tra mente e corpo. È quest’ultimo a reagire, ad urlare con forza le proprie tragiche paure. Lo fa attraverso una sintomatologia fisica caratterizzata da senso di soffocamento, tachicardia, intensa sudorazione spesso associata a sensazioni di freddo, vertigini, tremore, dolore o fastidio al petto, nausea.

Sembra che oggi, nella nostra società ‘liquida’, il corpo abbia subito un’altra – l’ennesima – rimozione, sia stato nuovamente ‘inscatolato’ e reso ostaggio di logiche di consumo dove si afferma sempre più l’equivalenza corpo = merce.  Non è un caso allora se oggi assistiamo a problematiche in cui il corpo ed il corporeo si fanno contenitore ed ultimo ricettacolo di quelle istanze esistentive negate, respinte e forcluse a livello psichico. (Fernando Maddalena)

La nostra esistenza si delinea all’interno di una matrice culturale di riferimento, con le sue pressioni e le sue aspettative. L’essere umano è da subito immerso in un sistema di relazioni, attraverso le quali struttura il proprio senso di sé e la sua sicurezza di base. Le figure di riferimento genitoriali, in questo contesto, sono le primissime forme di interazione e confronto con le quali l’individuo si relaziona. Dall’incontro e dallo scontro con le aspettative dell’esterno vengono ridefinite, e spesso stravolte, le caratteristiche intrinseche dell’individuo, in una continua negoziazione tra bisogni di sicurezza ed accudimento e necessità di autorealizzazione, libertà, autenticità ed indipendenza.

L’individuo sofferente, è infine costretto da più fronti a ricorrere alla fantasia per sentirsi intero, per sperimentare un sé solo in apparenza coeso, abile a fronteggiare le difficoltà ambientali, costruisce una sua immagine idealizzata. Questa costruzione fittizia è qualcosa di molto lontano dalla dimensione reale, ma comunque utile all’individuo per sopravvivere all’angoscia di base che minaccia il senso profondo dell’esistere. La caratteristica peculiare della immagine idealizzata è quella della staticità, per cui è quasi impossibile per il soggetto tendere al cambiamento e men che meno alla messa in discussione delle proprie aree grigie. Essa è una immagine fissa da idolatrare e non un ideale da perseguire con innumerevoli sforzi.

“Gli ideali genuini conducono all’umiltà, l’immagine idealizzata all’arroganza” scrive Karen Horney.

La funzione fondamentale dell’immagine idealizzata è dunque quella di sostituire alla fiducia di sé una fiducia fittizia che porta il soggetto alla dipendenza dalle richieste esterne, piuttosto che dalla sana attitudine all’autorealizzazione spontanea e creativa, che si esplicita nella tendenza a cercare di governare la propria vita. In questo contesto il mondo è visto come minaccioso e ostile e l’immagine ideale trae da questa visione maggiore linfa vitale per attecchire e svilupparsi. Quando il mondo esterno viene percepito come eccessivamente ostile, foriero di esperienze di abbandono e rifiuto, è necessario adattarvisi in maniera coatta, rigida ed inautentica. È questo il preludio per la formazione di strutture nevrotiche cristallizzate, schemi di relazione disfunzionali ed impoveriti, immagini di sé in relazione all’altro poco negoziabili e ridefinibili. Winnicott, Karen Horney ed altri autori parlano di “Falso Sé” ad indicare una costruzione rigida che imbriglia la personalità all’interno di schemi predefiniti, limita la sperimentazione e la scoperta, uccide i desideri reali e le aspirazioni, esaspera una forma di adattamento all’ambiente per nulla creativo, nel quale l’universo emotivo è impoverito, ingabbiato e lontano dalla sua reale possibilità di espressione vitale.

La più importante delle radici degli attacchi di panico è costituita dall’incapacità di percepire e riconoscere le emozioni, come conseguenza di una specie di “analfabetismo emozionale”, che si è strutturato progressivamente nel corso della vita, di pari passo con la strutturazione del Sé. Il paziente, non riuscendo a riconoscere l’emozione come un accadimento mentale unitario, percepisce slegate fra loro le singole espressioni fisiche di essa. È come se percepisse slegate tra loro le tessere di un mosaico. Non possono che apparirgli del tutto prive di senso. Ma il “mosaico”, che lui non riesce a integrare, e di cui non ha consapevolezza perché neppure lo percepisce, non è esterno a lui. Lo riguarda direttamente. È dentro di lui. Sensazioni, quindi, fortissime e insensate. (Paolo Roccato)

La psicoanalisi contemporanea  vede l’attacco di panico come una espressione vitale di ciò che ancora rimane di autentico nell’individuo. Una espressione del “Vero Sé”, intrappolato e ferito, ma non ancora sconfitto. Può sembrare paradossale, ma è assolutamente importante leggere l’esperienza del terror panico come un tentativo disperato e certamente destabilizzante per urlare con forza il proprio disagio, per riconnettersi con le parti vitali presenti in dentro di sé.  La crisi di panico mette l’individuo di fronte al fallimento della struttura difensiva, evidenzia cioè una fondamentale fragilità del Sé in termini di non acquisizione di uno stabile senso di identità soggettiva…

Di Fabio Masciullo

 

“GLUTEN SENSITIVITY NON CELIACA”: UNA DELLE CAUSE PIU’ FREQUENTI DELL’IBS

Fino a pochi anni fa la sindrome del colon irritabile (IBS) era spesso considerata una malattia a sfondo funzionale, dovuta a particolari caratteristiche emotive. Poi i lavori del 2008 di Shulman  hanno evidenziato nella sindrome la partecipazione di fatti infiammatori del colon in modo più evidente e documentato di quanto lo fossero gli aspetti di disagio emotivo.

L’infiammazione colica dovuta al glutine è oggi confermata come una delle più frequenti cause di questa condizione che, almeno in Europa, è riferita come problema dominante nel 12% delle visite con il medico di base e nel 28% dei consulti con lo specialista gastroenterologo. L’IBS trova quindi spiegazioni di tipo immunologico e infiammatorio sempre più consistenti, legate all’infiammazione dovuta al cibo. Per anni, di sensibilità al glutine non celiaca si è semplicemente evitato di parlare, nonostante i continui richiami provenienti da chi si occupava di nutrizione applicata. I primi lavori di Sapone  e di Biesiekiersky , che nel 2011 hanno definito l’esistenza di questo disturbo, hanno ipotizzato che la prevalenza della reattività glutinica potesse aggirarsi intorno al 6-10% delle persone sane, ma le successive acquisizioni hanno proposto percentuali più elevate, tanto che il British Medical Journal (BMJ), nel novembre 2012  indicava una prevalenza anche del 25% tra la popolazione apparentemente sana. Di certo, le ricerche di Carroccio  hanno evidenziato una crescita dei valori di anticorpi antigliadina sia di tipo IgA sia di tipo IgG in chi si lamenta di “colon irritabile” e soprattutto ha identificato una risposta alla introduzione del glutine (test in doppio cieco randomizzato, crossover) in circa un terzo dei casi valutati (29,5%).  Secondo il BMJ, le persone che hanno disturbi intestinali ed extraintestinali legati all’assunzione di glutine e che non sono né celiaci (biopsia) né allergici al frumento (IgE), dovrebbero essere messi a dieta sui derivati glutinici, con una diagnosi di “Gluten sensitivity non celiaca” e devono essere avvisati che si tratta di una entità clinica di recente scoperta di cui va ancora perfezionata la completa comprensione…

Da Nutrizione 33

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