Set 25, 2019 | ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
élite ‹elìt› s. f., fr. [femm. sostantivato di élit, antico part. pass. di élire «scegliere»]. – L’insieme delle persone considerate le più colte e autorevoli in un determinato gruppo sociale, e dotate quindi di maggiore prestigio: l’é. della società o di una società; l’é. intellettuale della città, del Paese; fare parte dell’é. o di una é.; come locuz. agg., d’élite, destinato a una élite, e quindi particolarmente scelto o raffinato.
Da 200 anni nobili, papi, ricchi, borghesia, artisti, attori, professionisti, persone con formazione culturalmente elevata (quasi tutti laureati) moltissimi medici per sé e per i familiari, utilizzano anche farmaci omeopatici per curare le loro malattie. E’ una realtà. L‘élite si è sempre curata e continua a curarsi con la medicina omeopatica. Attori famosi come Penelope Cruz e Catherine Zeta-Jones per esempio si curano esclusivamente con l’omeopatia.
Recentemente il Principe di Galles Carlo ha dato il suo patrocinio alla Faculty of Homeopathy un organismo professionale britannico che regola e promuove l’omeopatia, scatenando molte critiche nel mondo medico britannico.
La famiglia reale inglese ha sempre avuto un medico omeopatico di corte e ha sempre utilizzato la terapia dei simili per curarsi.
Finché questa élite è l’unica a curarsi con l’omeopatia, non disturba i fatturati delle case farmaceutiche convenzionali per lo scarso numero di persone coinvolte e ciò viene tollerato.
Quando invece i numeri cambiano e il trend può avere una iperbole di gradimento, il pericolo di un significativo calo di business del mercato farmaceutico convenzionale diventa possibile.
In questi ultimi 30 anni altri gruppi sociali hanno cominciato a scoprire i vantaggi dell’omeopatia. La maggior efficacia sulle malattie croniche con buon miglioramento del quadro clinico e frequente guarigione completa, l’assenza di effetti collaterali, i costi contenuti, l’indipendenza dal farmaco quando si raggiunge la guarigione, la mancanza di impatto ambientale per la produzione dei farmaci, l’assenza di farmaco resistenza e l’impossibilità a brevettare i farmaci omeopatici unitari, hanno indotto molte persone ad avvicinarsi alla medicina omeopatica con buoni risultati .
L’altro aspetto della guarigione da patologie croniche è, però, la perdita di utili da parte delle aziende farmaceutiche convenzionali.
Ecco che allora la tolleranza che c’è stata fino a poco tempo fa, relegando l’omeopatia ad un fatto di moda e costume, è finita e l’equilibrio esistente tra la farmaceutica convenzionale e l’omeopatia si è rotto definitivamente.
Questa dinamica si era già presentata circa un secolo fa.
Nella seconda metà del 1800 l’omeopatia ebbe una vastissima diffusione in tutto il mondo. Alla luce dei suoi evidenti successi nelle grandi epidemie di colera negli USA e in Europa (Londra e Italia) dove chi si curava omeopaticamente moriva 5 volte meno rispetto agli altri e ai continui successi su patologie difficilmente curabili con la medicina tradizionale, vennero costruiti centinaia di ospedali omeopatici e moltissimi medici abbracciarono lo studio di questa medicina e di pari passo la popolazione cominciò ad abituarsi all’utilizzo di questi presidi.
Alla fine dell’Ottocento, negli USA, l’omeopatia annoverava: 12.000 medici (numero considerevole per quei tempi), 22 college, dozzine d’ospedali, dozzine di giornali.
Nel 1900, a Washington, s’inaugurava un monumento ad Hahnemann alla presenza del Presidente degli Stati Uniti McKinley; il discorso conclusivo della cerimonia fu tenuto da J. Griggs, Ministro della Giustizia.
Ecco allora che la risposta dei medici convenzionali, che vedevano in pericolo il loro status, fu, nel 1846, la fondazione dell’ AMA American Medical Association, che ebbe fra i suoi primi obiettivi la lotta contro l’omeopatia: l’iscrizione fu vietata ai medici omeopati, ai membri fu vietato, pena l’espulsione, persino di consultarsi con omeopati, fu negato il riconoscimento legale ai diplomi rilasciati da università dove vi fossero cattedre di omeopatia. Nel 1910 venne stilata una classifica delle scuole mediche americane (FlexnerReport), in base a criteri che davano alti punteggi alle scuole che privilegiavano l’approccio fisico-chimico e patologico al corpo umano, penalizzando l’approccio omeopatico Ovviamente i colleges omeopatici ottennero bassi punteggi e poiché solo i laureati nelle scuole con alto punteggio vedevano riconosciuto il titolo di studio, ciò rappresentò un colpo mortale all’insegnamento dell’omeopatia: infatti su 22 colleges omeopatici presenti nel 1900 solo 2 rimanevano nel 1923. Nel 1950 non vi erano più colleges che insegnassero l’omeopatia e si stimava che esistessero solo un centinaio di medici omeopati, tutti di età superiore ai 50 anni, in tutti gli Stati Uniti. Un parallelo declino, per vicende analoghe, subì la pratica omeopatica in Europa nei primi decenni del ‘900.
Pochi anni più tardi, nel 1913, i college si erano ridotti a 10, diventeranno 5 nel 1919: tanto questi che i vari ospedali omeopatici nel giro di pochi anni si riconvertiranno in college ed ospedali regolari, mentre i giornali progressivamente sospenderanno le pubblicazioni.
Se non mettiamo la libertà di cure mediche nella costituzione, verrà il tempo in cui la medicina si organizzerà, piano piano e senza farsene accorgere, in una dittatura. E il tentativo di limitare l’arte della medicina solo ad una classe di persone rappresenterà la Bastiglia della scienza medica (Benjamin Rush, firmatario della Dichiarazione d’Indipendenza USA).
Giambattista Vico, filosofo napoletano del 600, nelle sue teorie dei corsi e ricorsi storici anticipò la ricorrenza di questi eventi.
Ecco che allora, tornando ai giorni nostri, si comprendono gli imponenti investimenti economici nella crociata di disprezzo e dileggio verso chiunque utilizzi l’omeopatia (sia medici che pazienti) e di tutta la sofisticata architettura della costruzione delle identità delle fake news e della pseudoscienza, termini introdotti attraverso una astuta strategia di comunicazione: prima costruisco la figura artefatta, l’idea, il concetto razionale di bugia, falsità, bufala non casuale ma studiata, poi la uso contro il nemico additandolo come untore e truffatore.
Per esempio a ottobre uscirà un libro del ruspante e gettonatissimo (dalle case farmaceutiche) Prof Burioni, virologo di media fama scientifica, famoso, invece, per le sue campagne provax e sue sortite da fascismo intellettuale: “la scienza non è democratica”. Questo libro verterà sull’omeopatia, materia che il Burioni non conosce perchè non l’ha mai studiata e, tantomeno, mai applicata sui pazienti. Il titolo non lascia dubbi : “Omeopatia: la grande truffa”. E’ stata minacciata una querela da parte di chi si cura omeopaticamente e che non gradisce essere insultato e il Burioni, eroicamente, ha fatto subito marcia indietro modificando il titolo: Omeopatia: la grande illusione”. Il libro ovviamente non è stato scritto dal Burioni ma dai soliti ghostwriter stipendiati dalla case farmaceutiche che usano il Burioni come marionetta nel teatrino mediatico. Il risultato però è ridicolo. Se io, medico omeopatico con 40 anni di esperienza clinica, decidessi di scrivere un libro sulla virologia sarei sicuramente più preparato rispetto a quello che sa Burioni sull’omeopatia, ma risulterei comunque ridicolo. Che credibilità potrei avere se confrontato con i luminari della virologia come, per esempio, il Prof. Tarro insignito del premio di miglior virologo del mondo, avendo fatto io, per tutta la vita, un altro lavoro? Nessuna.
Ma questo è.
L’obiettivo è ridicolizzare e screditare questo approccio terapeutico attraverso il costante e martellante uso di molteplici vie di comunicazione (ormai è guerra e non si fanno prigionieri, vedi i medici radiati dai loro Ordini). L’obiettivo è convincere chi non ha strumenti critici sufficienti per avere una propria idea sulla medicina omeopatica a non usarla presentandola come un raggiro e truffa pericolosa.
Se 100 anni fa gli attori principali di questa dinamica erano i medici tradizionali oggi lo sono le multinazionali del farmaco.
Dal punto di vista scientifico, a fronte di un buon numero di lavori di qualità a favore dell’omeopatia che non vengono tenuti in considerazione, queste campagne fanno sempre riferimento, invece, a pochi lavori farlocchi e ampiamente screditati. Mai nessuno invece parla delle 5 metanalisi a favore della MO, dei lavori di Betti, Elia, Bellavite dell’impiego di omeopatia in campo agricolo, dove quindi si esclude l’effetto placebo. Si citano solo Shang 2005 e Australian report (veri e propri falsi scientifici strumentalmente costruiti per raggiungere un risultato deciso a priori) e mai la recente metanalisi 2019 di Mathie. Il truffatore usa qualsiasi mezzo per raggiungere il risultato preposto. Del resto come dice Gregg Easterbrook, giornalista e scrittore statunitense: “Se torturi i numeri abbastanza a lungo, confesseranno qualsiasi cosa.“
Recentemente è stato pubblicato un libro che smonta pezzo per pezzo questi falsi scientifici. Lo ha scritto il Dott. Ciro D’Arpa di Palermo e si intitola OMEOFOBIA analisi dei documenti che affermano che l’omeopatia è solo un placebo. Ne consiglio la lettura. Ci sono buoni spunti di riflessione sulla scarsa serietà di questo mondo omeofobico.
Questa è la vera Pseudoscienza o scientismo.
Che in Francia siano riusciti, pagando opinion leader scientifici, lobbisti e politici, a interrompere il rimborso dei farmaci omeopatici dopo una consolidata storia lunga moltissimi anni, mentre in Svizzera da poco tempo si sia giunti ad un traguardo esattamente opposto, inserendola nel Sistema Sanitario Nazionale, è emblematico.
Pensate che in Francia l’omeopatia rappresenta solo lo 0,3% dei rimborsi sanitari (quindi incide minimamente sul budget), 1 medico su 5 prescrive farmaci omeopatici, 1 francese su 3 si cura omeopaticamente. Ma nella struttura che ha stilato il de profundis dell’omeopatia francese, l’HAS Haute Autoritè de Santè è presente un solo medico generalista mentre tutti gli altri membri sono soggetti più o meno legati a case farmaceutiche convenzionali.
Questo attacco massiccio è il disperato colpo di coda di un mondo economico-finanziario consapevole della profonda crisi in cui versa la medicina moderna. La crisi del paradigma della medicina e del medico (quella ben descritta nelle 100 tesi degli Stati Generali di Ivan Cavicchi) che può generare conseguenti, ingenti, perdite economiche.
Come più di 100 anni fa i commercianti di cavalli cominciarono a intravedere, nelle prime carrozze a motore, gioco e diletto per pochi eletti di una società borghese, la loro fine nel momento in cui le grandi masse avessero avuto accesso a questo mezzi, nello stesso modo il medical industrial complex vede nella crisi dei valori della medicina e in queste proposte alternative, come la medicina omeopatica, una futura preoccupante crisi economica.
Come già avevo detto in un precedente articolo, invece di cavalcare l’onda e cominciare a produrre farmaci omeopatici si ostinano ad investire nel marketing del discredito perchè la produzione non sarebbe altrettanto remunerativa rispetto ai farmaci convenzionali.
Certe dinamiche, però, talvolta, possono essere controproducenti.
Nel 1500 circa, grazie agli esploratori del nuovo mondo, arrivò in Europa un tubero commestibile sconosciuto. Il tentativo di inserirla nella dieta europea non ebbe successo. Ma dopo 200 anni il re di Francia Luigi XVI ebbe l’intuizione di creare delle coltivazioni ad uso esclusivo dei ricchi e della nobiltà. Furono approntati grandi campi di coltivazione con guarnigioni di soldati a loro difesa.
Il successo fu garantito. Nel giro di pochi anni i tuberi furono trafugati e diffusi in tutta Europa. E’ così che la patata è diventata uno dei cibi più apprezzati dagli abitanti del vecchio mondo.
La curiosità per il proibito o esclusivo è irresistibile.
Questo potrebbe essere il risvolto di questa campagna diffamante architettata contro di noi, che i cittadini capiscano l’inganno di questa informazione esageratamente addomesticata al solo scopo di speculare sulla loro salute e si rivolgano in numero sempre maggiore all’omeopatia.
Peccato! Potremmo vivere in pace come prima, accettare il cambiamento graduale del paradigma e sfruttare positivamente le peculiarità dei diversi approcci alla malattia e costruire insieme una nuova medicina del terzo millennio ma, purtroppo, tristemente, business is business.
“Una sempre maggiore collaborazione che vada aldilà dei dogmatismi dei singoli saperi, la definizione di una semantica condivisa e lo sviluppo di un vero approccio multidisciplinare sono il solo metodo che abbiamo per affrontare le sfide del futuro.” Christian Greco
Posterity will judge!
PS. per tutti gli omeopati e pazienti omeopatici.
Come difendersi da questa montagna di guano che ci viene scaricata addosso quotidianamente? Ho trovato questa gustosa quanto realistica storiella. Leggetela. Può essere utile.
L’ insegnamento dell’asino
“Una mattina l’asino di un contadino cadde in un pozzo.. . L’ animale pianse fortemente per ore, mentre il contadino cercava di fare qualcosa per farlo uscire …
Alla fine, il contadino decise che l’asino era già vecchio e il pozzo era ormai asciutto e non serviva e che anzi era giunto il momento di essere tappato in ogni modo, e convinto che davvero non valesse la pena di far uscire l’asino dal pozzo invitò tutti i suoi vicini per essere aiutato a chiudere il pozzo per sempre.
Cosi’ afferrarono una pala e iniziarono a tirar terra dentro al pozzo… L’ asino rendendosi conto di quello che stava succedendo pianse orribilmente…
Poi, per sorpresa di tutti, si acquietò…
Il contadino guardò in fondo al pozzo e si è stupì di quello che videro i suoi occhi…
con ogni badilata di terra, l’asino stava facendo qualcosa di incredibile: si scuoteva la terra da sopra e la faceva cadere sotto di sé e poi ci camminava sopra appiattendo la terra…
Molto presto tutti videro con sorpresa come l’asino riuscì ad arrivare fino alla bocca del pozzo, è una volta passato sopra il bordo uscì fuori e se ne andò via trotterellando …
Se la vita sta per lanciarti terra, ogni tipo di terra… il trucco per uscire dal pozzo è usarla per fare un passo verso l’alto. Ognuno dei nostri problemi è un gradino verso l’alto… Possiamo uscire dai più profondi vuoti se non ci diamo per vinti… Usa la “ terra “ che ti buttano sopra per andare avanti.”
http://blog-appuntamento-con-l-omeopatia.it/omeopatia-medicina-delite/
https://www.facebook.com/StudioMedicoDottMauroPiccini/
Set 12, 2019 | ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
La ricerca – pubblicata ad Aprile 2016 sulla rivista “Alternative therapies in health and medicine” – costituisce uno studio pilota condotto per nove settimane su 10 casi clinici presso il Dipartimento medico omeopatico dell’Università di Johannesburg a Johannesburg, Sudafrica.
In ciascun singolo caso preso in esame, i rimedi omeopatici individualizzati sono stati prescritti per sei settimane, con una approfondita analisi che per ciascuno ha documentato e valutato i cambiamenti nel tempo.
Lo studio – che ha avuto lo scopo di misurare l’efficacia di trattamenti omeopatici (ad alte diluizioni oltre il numero di Avogadro) individualizzati per il binge eating in maschi adulti – ha riportato in tutti i partecipanti miglioramento con una diminuzione della gravità e della frequenza del comportamento binging; Sono stati, inoltre, descritti anche miglioramenti concorrenti nella salute generale.
Questo studio pilota è importante poiché mostra i potenziali benefici del trattamento omeopatico individualizzato nei casi di binge eating in pazienti maschi. Il ruolo, infatti, delle terapie omeopatiche nel trattamento del binge eating rimane ancora scarsamente esplorato.
La ricerca, inoltre, nel contribuire ad arricchire la conoscenza sull’uso di un trattamento omeopatico individualizzato ad alte diluizioni per il binge eating negli adulti, serve ad aprire il campo per ulteriori studi da condurre su pazienti affetti da disturbi alimentari caratterizzati da binge eating: come la bulimia nervosa (BN) e il disturbo alimentare binge (BED).
Lo studio mette, infatti, in evidenza i potenziali vantaggi terapeutici dell’omeopatia come opzione di trattamento complementare, che può essere di grande valore sia per i medici, che per pazienti.
Nello specifico della ricerca, sono stati prescritti in totale otto diversi medicinali omeopatici ad alte diluizioni (LM), di cui tre rimedi sono stati prescritti due volte (Natrum muriaticum, Phosphorus e Sulphur) e cinque rimedi sono stati prescritti una volta (Arsenicum album, Aurum metallicum, Staphysagria, Lachesis mutans e Rhus toxicodendron ).
Al termine della ricerca, tutti i partecipanti hanno riportato una diminuzione della frequenza e della gravità del loro binge eating in una misura più o meno ampia. La maggior parte dei partecipanti ha sperimentato un miglioramento contemporaneo di altri aspetti della loro salute, come le loro abitudini di sonno, la libido, la pressione sanguigna, il loro livello di fiducia e / o un senso generale di benessere.
L’analisi statistica dei risultati conferma un significativo miglioramento sia della frequenza e della gravità di binging dopo il trattamento con il medicinale omeopatico più individualizzato.
[Per leggere l’Articolo per intero clicca QUI]
Binge eating è un sintomo comune associato a disturbi alimentari. Il binge eating è spesso accompagnato da disagio gastrointestinale, stipsi e distensione addominale che contribuisce a una scarsa qualità della vita. I disturbi alimentari sono spesso associati a disturbi sottostanti nella regolazione emotiva e nell’immagine corporea che porta alla scarsa autostima e all’isolamento sociale. Inoltre i disturbi alimentari possono provocare complicazioni mediche come le anomalie degli elettroliti, l’edema, le anomalie della conduzione cardiaca e le complicazioni gastrointestinali.
Dott. Mauro Piccini
http://www.omeopatiasimoh.org/studio-pilota-sul-trattamento-dei-disturbi-alimentazione-incontrollata-binge-eating-terapie-omeopatiche-ad-alte-diluizioni/
Set 9, 2019 | AGOPUNTURA, ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, NEURALTERAPIA, OMEOPATIA, PILLOLE DI RIFLESSIONE
La menopausa è un passaggio naturale ed obbligato con cui ogni donna, nella propria vita, si trova a confrontarsi. Nonostante sia caratterizzata da notevoli cambiamenti nell’organismo la menopausa non è una malattia: coincide, infatti, con la cessazione del ciclo mestruale e della vita riproduttiva femminile.
Si definisce “menopausa” l’ultima mestruazione della donna. La donna è in menopausa quando è trascorso almeno un anno dall’ultimo ciclo mestruale.
Si parla di menopausa quando le mestruazioni cessano definitivamente ed in modo irreversibile, mentre il periodo che precede e segue la menopausa (detto perimenopausa), di durata variabile, è caratterizzato da una complessa sintomatologia fisica ed emotiva, tra cui le note vampate di calore, sonno disturbato, irritabilità, tristezza, ansia, tachicardia, modificazioni della libido, depressione, secchezza vulvo-vaginale.
Si definisce, invece, climaterio il periodo di transizione tra la vita riproduttiva e la menopausa.
La menopausa è fisiologica quando avviene tra i 48 e 52 anni si presenta a seguito della cessazione di produzione, da parte delle ovaie, degli ormoni riproduttivi (estrogeni).
Alcune donne entrano in menopausa senza particolari fastidi, quasi senza accorgersi dei mutamenti a cui va incontro il proprio organismo, mentre altre manifestano sintomi che possono anche essere importanti. La fluttuazione prima, e il calo dopo, dei livelli di estrogeni sono infatti responsabili di diverse modificazioni fisiche e psichiche definite nel complesso “sintomi della menopausa”.
Nonostante la menopausa sia un passaggio naturale non sempre esso arriva in modo “indolore”.
E’ importante accompagnare la persona attraverso un lavoro sinergico tra mente e corpo affinché possa attraversare questa fase così delicata nel miglior modo possibile.
L’approccio della medicina convenzionale si basa sulla somministrazione di una terapia ormonale detta sostitutiva che mira a ridurre i sintomi presentati. L’approccio della medicina complementare (agopuntura, omeopatia, omotossicologia, fitoterapia, medicina funzionale ecc.) cerca in modo più dolce e fisiologico di aiutare la donna ad affrontare al meglio il periodo di transizione modulando non solo gli aspetti fisici ma anche quelli psico-emozionali che si possono presentare.
Il trattamento è più efficace se la donna si sottopone a regolazione già nella prima fase di rottura degli equilibri senza aspettare ad affrontare il carico quando questo è nel massimo delle sue potenzialità.
La vita può essere paragonata al corso di un fiume. Il periodo della menopausa è solo un tratto di fiume che presenta delle rapide. Lo scopo della terapia è quello di permettere di attraversare questo tratto al meglio per poter giungere di nuovo nelle calme e rassicuranti acque della vita.
Dott. Mauro Piccini
Set 2, 2019 | AGOPUNTURA, ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA, PILLOLE DI RIFLESSIONE
Lo stress è diventato nel corso di pochi decenni uno dei disturbi più diffusi nella società occidentale, una condizione endemica e quotidiana che non sembriamo più in grado di arginare. Secondo una ricerca di Assosalute l’85% degli italiani soffre di disturbi legati allo stress, mentre uno studio dell’Anxiety and Depression Association of America ha rilevato che più di 40 milioni di statunitensi (circa 18% della popolazione) presenta sintomi riconducibili all’ansia. Questi numeri sono aggravati dall’incidenza potenziale della sindrome da burnout, che colpisce più facilmente chi soffre già di ansia, stress o depressione. Nel maggio 2019 l’Organizzazione mondiale della sanità ha classificato il burnout come “sindrome”, riconoscendone l’esistenza dopo decenni di studio. Secondo l’Oms, anche se non si tratta di una condizione medica, ha un livello di pericolosità tale da diventare una condizione cronica e difficilmente curabile.
A soffrire di sindrome da burnout è soprattutto chi svolge una professione di tipo assistenziale come poliziotti, vigili del fuoco, infermieri e insegnanti. I primi sintomi del burnout sono stati osservati proprio in ambito sanitario: il primo a occuparsene fu lo psicologo Herbert Freudenberger che introdusse il termine burnout nel 1974 per indicare lo stress emotivo degli infermieri costretti a interfacciarsi con colleghi e pazienti per lunghi periodi di tempo. Nel 1980, con il libro Burnout: The High Cost of High Achievement, Freudenberger iniziò a diffondere il concetto anche tra il pubblico, individuando le cause del disturbo nell’elevata pressione sul luogo di lavoro.
Nell’arco di 40 anni il burnout è diventato una minaccia riconosciuta non solo per la salute dei professionisti e delle persone con cui si interfacciano quotidianamente, ma anche per il buon andamento dell’economia. Per il sistema sanitario, ad esempio, la sindrome è la causa di un progressivo deterioramento del servizio e di un abbassamento degli standard qualitativi. L’inefficienza, lo spreco di risorse, l’insoddisfazione degli utenti hanno inevitabilmente un impatto economico, sia perché è maggiore il numero di cause intentate per malasanità, sia perché il sistema deve provvedere a curare gli operatori affetti da burnout. Uno studio recente negli Stati Uniti ha dimostrato che la sindrome costa alla sanità circa 4,6 miliardi di dollari ogni anno.
Se gli insegnanti sono a rischio, non va meglio per i loro allievi. Gli studenti italiani vedono la scuola come un luogo performativo e competitivo che causa loro ansia. In una ricerca del 2016 dell’Osservatorio nazionale adolescenza condotta a pochi giorni dall’inizio del nuovo anno scolastico su un campione di 1700 studenti, l’85% ha ammesso di essere nervoso al pensiero di rivedere professori e compagni, il 61% ha sostenuto di non dormire bene la notte e il 56% di soffrire di stanchezza, dolori allo stomaco, mal di testa, dolori al collo e alla schiena. La condizione si aggrava tra gli studenti universitari: l’American College Health Association Survey ha rilevato che, stando a una ricerca del 2015, l’86% degli studenti statunitensi intervistati ha dichiarato di sentirsi sovraccarico, mentre l’82% si descrive come “emotivamente esausto” e il 35% si sente così depresso da non riuscire a fare niente.
Le dichiarazioni descrivono alla perfezione i sintomi del burnout: nel 1975 la psichiatra Christina Maslach ha indicato fra i sintomi principali una perdita di interesse vissuta dal malato nei confronti dei compagni, dei colleghi di lavoro, dei clienti, dei pazienti assistiti. A questo si accompagnano episodi di spersonalizzazione, svuotamento emotivo, mancanza di adattamento nel luogo di lavoro. Chi è affetto da burnout si mostra cinico, scostante, depresso o rabbioso, inefficiente nelle proprie mansioni. La psichiatra ha messo a punto il Maslach Burnout Inventory, un test che misura i sintomi della sindrome seguendo i parametri di depersonalizzazione, realizzazione personale e soddisfazione emotiva, ovvero le tre aree dell’umore interessate maggiormente dal burnout. Grazie a questo test è possibile circoscrivere e quantificare la condizione di stress e capire il livello di gravità del disturbo.
All’origine del burnout c’è una combinazione di fattori soggettivi e ambientali, come spiega la dottoressa Marina Osnaghi: “Lo stress in realtà è qualcosa di biochimico, naturale, che tutti produciamo. È un insieme di sostanze che il cervello produce per obbligarci ad agire, e questo viene supportato da ogni tipo di emozione (gioia, rabbia, delusione ecc.). Lo stress, quindi, di per sé è sano”. I problemi sorgono quando si moltiplicano gli input dell’ambiente circostante e il livello di stress diventa insostenibile. Il primo passo per impedirgli di trasformarsi in qualcosa di più pericoloso è riconoscere il disturbo in quanto tale: “Bisogna prima di tutto – sostiene la dottoressa – ammettere di essere stressati, avere il coraggio di dirlo. La frenesia può essere uno dei primi allarmi. Tra gli altri sintomi si annoverano le dimenticanze o il commettere errori stupidi, oppure il soffrire di piccoli disturbi cronici che indicano dei livelli troppo alti di stress”.
Bisogna anche fare molta attenzione all’incontro nocivo tra contesto lavorativo e nuove tecnologie. Gli smartphone e la casella mail sempre a portata di mano hanno compresso i tempi di risposta e moltiplicato i feedback che riceviamo quotidianamente, con un maggior carico di informazioni da gestire. Per questo l’’iperconnessione è diventata un nuovo fattore di stress nelle realtà aziendali. Per Carlos Manuel Soave, direttore di Hays Italia, i professionisti devono tenere sotto controllo l’abuso di tecnologia: “Le aziende hanno approfittato degli ultimi ritrovati tecnologici, offrendo ai propri dipendenti modalità di lavoro più smart e flessibili. C’è però un rovescio della medaglia: con devicesempre online e una reperibilità spalmata sull’arco dell’intera giornata, è cresciuto notevolmente il volume di chi soffre o ha sofferto di vere e proprie crisi di burnout”. Allungando la giornata lavorativa e portando il lavoro a casa, si diventa sempre reperibili e investiti di responsabilità, con la pressione e lo stress che aumentano al punto tale da diventare ingestibili.
Curare la sindrome da burnout richiede un processo lungo: bisogna diminuire il carico delle proprie mansioni, rallentare i ritmi lavorativi e trovare il modo di prendersi delle pause dall’ambiente causa di stress. Purtroppo non è sempre possibile prendersi del tempo per se stessi, quando sono richieste performance spesso insostenibili. Per questo la responsabilità psicofisica dei dipendenti dovrebbe essere a carico del datore del lavoro, con una legislazione che tuteli la salute, anche emotiva e mentale, sul luogo di lavoro. Nel 2008 in Francia è stata introdotta una legge che obbliga i datori di lavoro a rispondere dello “stress da lavoro correlato” dei propri dipendenti, facendo un primo passo verso il riconoscimento della gravità del problema. Negli ultimi anni, inoltre, è stata aperta una clinica psichiatrica, diretta dal dottor Thierry Javelot, che si occupa della salute mentale di chi lavora nel settore sanitario. In Italia la situazione è ben diversa, se si pensa che tra il 2010 e il 2014 sono stati indennizzati 132 casi di stress dovuto al troppo lavoro, una cifra irrisoria rispetto alle percentuali dei lavoratori colpiti da burnout. Questo perché la sindrome non è inserita nelle tabelle Inail che regolano gli indennizzi tra aziende e dipendenti.
Nonostante le istituzioni italiane non siano ancora riuscite a cogliere la gravità del problema, il burnout è una realtà sempre più evidente che riduce l’efficienza dei lavoratori e impoverisce il loro stato emotivo, diventando uno stigma a livello personale e sociale. Fingere che si tratti solo di un fastidio passeggero, senza riconoscere la responsabilità dei datori di lavoro, significa condannarsi a una vita da automi in una società che ha dimenticato del tutto il suo lato umano.
Ago 21, 2019 | ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
Sebbene sia ormai provato il ruolo chiave dell’alimentazione per la nostra salute e anche in casi di tumori, la maggior parte degli ospedali propina ai pazienti una dieta sbagliata in quanto non tiene conto delle indicazioni contenute nel “Codice europeo contro il cancro” che nel documento del “Fondo mondiale per la ricerca sul cancro”.
“In generale, la classe medica non ha una preparazione adeguata sul ruolo della dieta per favorire la guarigione e prevenire l’insorgenza di recidive. In particolare, un giovane appena laureato in medicina non ha studi del genere alle spalle. Questa mancanza di cultura si riflette in una bassa attenzione alla dieta e alle linee guida alimentari all’interno degli ospedali”. Ad affermarlo è il professor Franco Berrino, epidemiologo di fama mondiale che ha incentrato negli anni i suoi studi nella prevenzione delle malattie giungendo a risultati sorprendenti. Gli studi di Berrino si sono concentrati in particolare sul comprendere come “cambiare l’alimentazione al fine di cambiare il nostro ambiente interno, in modo che le eventuali cellule tumorali non si riproducano”.
Berrino rileva che se da una parte la ricerca individua un nesso tra l’eccesso di zuccheri e la crescita dei tumori, in quanto l’aumento di insulina che ne deriva favorisce la divisione cellulare, negli ospedali vengono somministrati cibi che fanno molto aumentare la glicemia, ovvero il contenuto di glucosio nel sangue. Tra questi il professore cita il prosciutto con il purè di patate comunemente serviti nelle strutture ospedaliere.
Eppure il Codice europeo contro il cancro consiglia di evitare le carni lavorate(fondamentalmente i salumi) e limitare le carni rosse. Le carni rosse sono associate al cancro dell’intestino, soprattutto per colpa della presenza del ferro: esso è molto ossidante e aiuta la sintesi di sostanze cancerogene. Le carni conservate, invece, sono da evitare perché oltre a essere ricche di ferro, vengono trattate con nitriti e nitrati.
Il Codice europeo per la prevenzione dei tumori – redatto da una serie di commissioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS1), su incarico dell’Unione europea per dare consigli ai cittadini per non ammalarsi – raccomanda inoltre di evitare farine raffinate, bevande zuccherate e cibi ricchi di grassi e zuccheri.
Malgrado la scarsa attenzione generale di molti ospedali verso queste indicazioni, esistono degli esempi virtuosi. È il caso, ad esempio, del Policlinico San Donato di Milano, del Policlinico Sant’Orsola di Bologna o l’Ospedale di Mantova. In queste strutture vengono rispettate le linee guida alimentari in campo oncologico, i pazienti vengono visitati da un nutrizionista o ricevono indicazioni chiare in merito all’alimentazione da seguire anche una volta usciti dall’ospedale.
Una dieta appropriata può essere infatti molto utile ai malati di tumore operati per evitare recidive. Uno studio, pubblicato su Plos One, che ha preso a campione oltre 500 pazienti oncologici dimessi dopo un intervento ha evidenziato proprio come dieta e attività fisica siano un binomio vincente per evitare il rischio di una morte precoce.
http://www.informasalus.it/it/articoli/alimentazioni-ospedali-linee-guida-cancro.php?fbclid=IwAR2YXdAVFbp0yJ9bau33gEwsml8C3snfkEYQGqXY0MiLCKsTxGSK34-vdEw
Dott. Mauro Piccini Agopuntura Omeopatia