Mag 7, 2020 | AGOPUNTURA, ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
Negli ultimi anni l’oncologia sta andando verso una rapida evoluzione. L’aspetto globale del paziente non solo dal punto di vista fisico, ma anche psico-emozionale ha trovato una crescente considerazione, anche grazie ai diversi Plan Cancer che ci hanno consentito di rimettere il paziente al centro delle nostre priorità non vedendolo più come un organo ammalato ma come un insieme di sistemi interagenti tra loro.
Le medicine complementari non sono più stigmatizzate come una volta; sempre più dipartimenti di oncologia “integrano” le competenze degli specialisti in queste medicine cosiddette dolci e, come negli Stati Uniti, cominciano ad apparire lavori scientifici che assegnano un posto adeguato alle cure non convenzionali.
I dati pubblicati dimostrano che i pazienti affetti da tumore fanno uso delle medicine complementari, spesso senza comunicarlo al proprio oncologo.
Sta avvenendo sempre di più il riconoscimento da parte degli oncologi dell’efficacia e dell’innocuità di questi approcci.
Molte volte, a causa della forte tossicità, a molti pazienti non è permesso il trattamento oncologico tradizionale. Quindi l’approccio con la medicina integrata rimane l’unica possibilità che può essere data per gestire la malattia.
Diverse discipline si possono articolare insieme nella cura del paziente oncologico.
L’agopuntura aiuta a stimolare e a mantenere il più attiva possibile l’energia globale del paziente riuscendo a modulare l’astenia e la bassa vitalità alle quali vanno incontro la maggior parte dei pazienti oncologici.
L’omeopatia permette, oltre a contrastare gli effetti secondari negativi, di mantenere in equilibrio i sistemi più esposti al carico del trattamento convenzionale chemioterapico e/o radioterapico e di modulare egregiamente l’aspetto psico-emozionale inevitabilmente messo alla prova dalla malattia.
La fitoterapia e la micologia agiscono direttamente sul sistema immunitario attivandolo in modo specifico verso le cellule cancerogene e fornendo sostanze ad azione antiossidante ed antiinfiammatoria.
Dott. Mauro Piccini
Set 9, 2019 | AGOPUNTURA, ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, NEURALTERAPIA, OMEOPATIA, PILLOLE DI RIFLESSIONE
La menopausa è un passaggio naturale ed obbligato con cui ogni donna, nella propria vita, si trova a confrontarsi. Nonostante sia caratterizzata da notevoli cambiamenti nell’organismo la menopausa non è una malattia: coincide, infatti, con la cessazione del ciclo mestruale e della vita riproduttiva femminile.
Si definisce “menopausa” l’ultima mestruazione della donna. La donna è in menopausa quando è trascorso almeno un anno dall’ultimo ciclo mestruale.
Si parla di menopausa quando le mestruazioni cessano definitivamente ed in modo irreversibile, mentre il periodo che precede e segue la menopausa (detto perimenopausa), di durata variabile, è caratterizzato da una complessa sintomatologia fisica ed emotiva, tra cui le note vampate di calore, sonno disturbato, irritabilità, tristezza, ansia, tachicardia, modificazioni della libido, depressione, secchezza vulvo-vaginale.
Si definisce, invece, climaterio il periodo di transizione tra la vita riproduttiva e la menopausa.
La menopausa è fisiologica quando avviene tra i 48 e 52 anni si presenta a seguito della cessazione di produzione, da parte delle ovaie, degli ormoni riproduttivi (estrogeni).
Alcune donne entrano in menopausa senza particolari fastidi, quasi senza accorgersi dei mutamenti a cui va incontro il proprio organismo, mentre altre manifestano sintomi che possono anche essere importanti. La fluttuazione prima, e il calo dopo, dei livelli di estrogeni sono infatti responsabili di diverse modificazioni fisiche e psichiche definite nel complesso “sintomi della menopausa”.
Nonostante la menopausa sia un passaggio naturale non sempre esso arriva in modo “indolore”.
E’ importante accompagnare la persona attraverso un lavoro sinergico tra mente e corpo affinché possa attraversare questa fase così delicata nel miglior modo possibile.
L’approccio della medicina convenzionale si basa sulla somministrazione di una terapia ormonale detta sostitutiva che mira a ridurre i sintomi presentati. L’approccio della medicina complementare (agopuntura, omeopatia, omotossicologia, fitoterapia, medicina funzionale ecc.) cerca in modo più dolce e fisiologico di aiutare la donna ad affrontare al meglio il periodo di transizione modulando non solo gli aspetti fisici ma anche quelli psico-emozionali che si possono presentare.
Il trattamento è più efficace se la donna si sottopone a regolazione già nella prima fase di rottura degli equilibri senza aspettare ad affrontare il carico quando questo è nel massimo delle sue potenzialità.
La vita può essere paragonata al corso di un fiume. Il periodo della menopausa è solo un tratto di fiume che presenta delle rapide. Lo scopo della terapia è quello di permettere di attraversare questo tratto al meglio per poter giungere di nuovo nelle calme e rassicuranti acque della vita.
Dott. Mauro Piccini
Set 2, 2019 | AGOPUNTURA, ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA, PILLOLE DI RIFLESSIONE
Lo stress è diventato nel corso di pochi decenni uno dei disturbi più diffusi nella società occidentale, una condizione endemica e quotidiana che non sembriamo più in grado di arginare. Secondo una ricerca di Assosalute l’85% degli italiani soffre di disturbi legati allo stress, mentre uno studio dell’Anxiety and Depression Association of America ha rilevato che più di 40 milioni di statunitensi (circa 18% della popolazione) presenta sintomi riconducibili all’ansia. Questi numeri sono aggravati dall’incidenza potenziale della sindrome da burnout, che colpisce più facilmente chi soffre già di ansia, stress o depressione. Nel maggio 2019 l’Organizzazione mondiale della sanità ha classificato il burnout come “sindrome”, riconoscendone l’esistenza dopo decenni di studio. Secondo l’Oms, anche se non si tratta di una condizione medica, ha un livello di pericolosità tale da diventare una condizione cronica e difficilmente curabile.
A soffrire di sindrome da burnout è soprattutto chi svolge una professione di tipo assistenziale come poliziotti, vigili del fuoco, infermieri e insegnanti. I primi sintomi del burnout sono stati osservati proprio in ambito sanitario: il primo a occuparsene fu lo psicologo Herbert Freudenberger che introdusse il termine burnout nel 1974 per indicare lo stress emotivo degli infermieri costretti a interfacciarsi con colleghi e pazienti per lunghi periodi di tempo. Nel 1980, con il libro Burnout: The High Cost of High Achievement, Freudenberger iniziò a diffondere il concetto anche tra il pubblico, individuando le cause del disturbo nell’elevata pressione sul luogo di lavoro.
Nell’arco di 40 anni il burnout è diventato una minaccia riconosciuta non solo per la salute dei professionisti e delle persone con cui si interfacciano quotidianamente, ma anche per il buon andamento dell’economia. Per il sistema sanitario, ad esempio, la sindrome è la causa di un progressivo deterioramento del servizio e di un abbassamento degli standard qualitativi. L’inefficienza, lo spreco di risorse, l’insoddisfazione degli utenti hanno inevitabilmente un impatto economico, sia perché è maggiore il numero di cause intentate per malasanità, sia perché il sistema deve provvedere a curare gli operatori affetti da burnout. Uno studio recente negli Stati Uniti ha dimostrato che la sindrome costa alla sanità circa 4,6 miliardi di dollari ogni anno.
Se gli insegnanti sono a rischio, non va meglio per i loro allievi. Gli studenti italiani vedono la scuola come un luogo performativo e competitivo che causa loro ansia. In una ricerca del 2016 dell’Osservatorio nazionale adolescenza condotta a pochi giorni dall’inizio del nuovo anno scolastico su un campione di 1700 studenti, l’85% ha ammesso di essere nervoso al pensiero di rivedere professori e compagni, il 61% ha sostenuto di non dormire bene la notte e il 56% di soffrire di stanchezza, dolori allo stomaco, mal di testa, dolori al collo e alla schiena. La condizione si aggrava tra gli studenti universitari: l’American College Health Association Survey ha rilevato che, stando a una ricerca del 2015, l’86% degli studenti statunitensi intervistati ha dichiarato di sentirsi sovraccarico, mentre l’82% si descrive come “emotivamente esausto” e il 35% si sente così depresso da non riuscire a fare niente.
Le dichiarazioni descrivono alla perfezione i sintomi del burnout: nel 1975 la psichiatra Christina Maslach ha indicato fra i sintomi principali una perdita di interesse vissuta dal malato nei confronti dei compagni, dei colleghi di lavoro, dei clienti, dei pazienti assistiti. A questo si accompagnano episodi di spersonalizzazione, svuotamento emotivo, mancanza di adattamento nel luogo di lavoro. Chi è affetto da burnout si mostra cinico, scostante, depresso o rabbioso, inefficiente nelle proprie mansioni. La psichiatra ha messo a punto il Maslach Burnout Inventory, un test che misura i sintomi della sindrome seguendo i parametri di depersonalizzazione, realizzazione personale e soddisfazione emotiva, ovvero le tre aree dell’umore interessate maggiormente dal burnout. Grazie a questo test è possibile circoscrivere e quantificare la condizione di stress e capire il livello di gravità del disturbo.
All’origine del burnout c’è una combinazione di fattori soggettivi e ambientali, come spiega la dottoressa Marina Osnaghi: “Lo stress in realtà è qualcosa di biochimico, naturale, che tutti produciamo. È un insieme di sostanze che il cervello produce per obbligarci ad agire, e questo viene supportato da ogni tipo di emozione (gioia, rabbia, delusione ecc.). Lo stress, quindi, di per sé è sano”. I problemi sorgono quando si moltiplicano gli input dell’ambiente circostante e il livello di stress diventa insostenibile. Il primo passo per impedirgli di trasformarsi in qualcosa di più pericoloso è riconoscere il disturbo in quanto tale: “Bisogna prima di tutto – sostiene la dottoressa – ammettere di essere stressati, avere il coraggio di dirlo. La frenesia può essere uno dei primi allarmi. Tra gli altri sintomi si annoverano le dimenticanze o il commettere errori stupidi, oppure il soffrire di piccoli disturbi cronici che indicano dei livelli troppo alti di stress”.
Bisogna anche fare molta attenzione all’incontro nocivo tra contesto lavorativo e nuove tecnologie. Gli smartphone e la casella mail sempre a portata di mano hanno compresso i tempi di risposta e moltiplicato i feedback che riceviamo quotidianamente, con un maggior carico di informazioni da gestire. Per questo l’’iperconnessione è diventata un nuovo fattore di stress nelle realtà aziendali. Per Carlos Manuel Soave, direttore di Hays Italia, i professionisti devono tenere sotto controllo l’abuso di tecnologia: “Le aziende hanno approfittato degli ultimi ritrovati tecnologici, offrendo ai propri dipendenti modalità di lavoro più smart e flessibili. C’è però un rovescio della medaglia: con devicesempre online e una reperibilità spalmata sull’arco dell’intera giornata, è cresciuto notevolmente il volume di chi soffre o ha sofferto di vere e proprie crisi di burnout”. Allungando la giornata lavorativa e portando il lavoro a casa, si diventa sempre reperibili e investiti di responsabilità, con la pressione e lo stress che aumentano al punto tale da diventare ingestibili.
Curare la sindrome da burnout richiede un processo lungo: bisogna diminuire il carico delle proprie mansioni, rallentare i ritmi lavorativi e trovare il modo di prendersi delle pause dall’ambiente causa di stress. Purtroppo non è sempre possibile prendersi del tempo per se stessi, quando sono richieste performance spesso insostenibili. Per questo la responsabilità psicofisica dei dipendenti dovrebbe essere a carico del datore del lavoro, con una legislazione che tuteli la salute, anche emotiva e mentale, sul luogo di lavoro. Nel 2008 in Francia è stata introdotta una legge che obbliga i datori di lavoro a rispondere dello “stress da lavoro correlato” dei propri dipendenti, facendo un primo passo verso il riconoscimento della gravità del problema. Negli ultimi anni, inoltre, è stata aperta una clinica psichiatrica, diretta dal dottor Thierry Javelot, che si occupa della salute mentale di chi lavora nel settore sanitario. In Italia la situazione è ben diversa, se si pensa che tra il 2010 e il 2014 sono stati indennizzati 132 casi di stress dovuto al troppo lavoro, una cifra irrisoria rispetto alle percentuali dei lavoratori colpiti da burnout. Questo perché la sindrome non è inserita nelle tabelle Inail che regolano gli indennizzi tra aziende e dipendenti.
Nonostante le istituzioni italiane non siano ancora riuscite a cogliere la gravità del problema, il burnout è una realtà sempre più evidente che riduce l’efficienza dei lavoratori e impoverisce il loro stato emotivo, diventando uno stigma a livello personale e sociale. Fingere che si tratti solo di un fastidio passeggero, senza riconoscere la responsabilità dei datori di lavoro, significa condannarsi a una vita da automi in una società che ha dimenticato del tutto il suo lato umano.
Ago 5, 2019 | AGOPUNTURA, ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA, PILLOLE DI RIFLESSIONE
“Come scienziato non mi interessa attribuire grande importanza a termini quali non convenzionale, integrata, alternativa quando sono riferiti alla medicina. Per me, nella scienza, la cosa realmente importante è mantenere un approccio alla procedura sperimentale aperto, privo di chiusure aprioristiche e dogmatiche tale per cui ciò che a prima vista potrebbe apparire come un errore, o qualcosa di insignificante, potrebbe rivelarsi una grande scoperta se solo siamo capaci di cambiare l’angolazione, la prospettiva, da cui osserviamo il fenomeno in esame.”
Quando si parla di serendipity ci si riferisce alla scoperta di qualcosa mentre si stava cercando qualcos’altro. L’esempio classico, in questi casi, è quello relativo alla penicillina.
Fleming stava studiando lo Staphylococcus influenzae quando una delle sue piastrine di coltura si contaminò e su di essa si sviluppò un’area ben delimitata priva di batteri: il resto della storia lo conosciamo tutti. Nel 2008 il «Financial Time» ha pubblicato un articolo provocatorio sul ruolo della serendipity nel futuro della medicina. In realtà la serendipity ha avuto un ruolo chiave nella scoperta di un’am-pia gamma di farmaci psicotropi, tra cui l’anilina viola, il dietilamide dell’acido lisergico, il meprobamato, la clorpromazina e l’imipramina.
Quando un ricercatore fa una scoperta mediata dalla serendipità deve prestare un alto livello di attenzione a tutto ciò che sta accadendo attorno a lui, a trecentosessanta gradi. Ma questo non basta: per scoprire qualcosa che sia veramente nuovo e fuori dagli schemi occorre mantenere una mente sufficientemente sganciata dalle tradizionali infrastrutture cognitive e culturali che normalmente rendono estremamente focalizzata su un particolare punto di arrivo – spesso predefinito – l’attività di ricerca.
Io credo che un ricercatore in medicina debba mantenere lo sguardo curioso e innocente di un bambino.
Max Planck disse che la scienza non progredisce perché gli scienziati cambiano idea, ma piuttosto perché gli scienziati attaccati a opinioni errate muoiono e vengono rimpiazzati. Otto Warburg ha usato le stesse parole per commentare il fatto che le sue idee – non mainstream sulla genesi del cancro – faticassero a essere accettate. Personalmente ritengo che le ricerche non mainstream nella scienza vadano incoraggiate e che abbiano avuto – e possano avere – un ruolo fondamentale nello sviluppo della medicina…
Stefano Fais
Medico, dirigente di ricerca presso l’ISS
https://www.scienzaeconoscenza.it/data/newsletter/serendipity-stefano-fais.htm?idn=719&idx=69511&idlink=1&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=2019-07-10-la-medicina-e-una-s
Giu 11, 2019 | AGOPUNTURA
Nonostante le controversie sull’efficacia dell’agopuntura, una review ha dimostrato come sia un sostegno nel trattamento di dolore cronico e depressione.
L’ agopuntura aiuta e potenzia l’efficacia dei trattamenti medici standard, diminuendo la gravità di patologie quali dolore cronico e depressione, secondo quanto emerso da recenti studi. Recentemente, i ricercatori dell’Università inglese di York hanno dimostrato quanto effettivamente possa essere utile l’utilizzo dell’agopuntura, e non solo grazie ad un mero effetto placebo.
Un programma di studi sulle pratiche a sostegno dei pazienti con patologie fisiche e mentali
Lo studio, svolto dal professor MacPherson, del Department of Health Sciences, in collaborazione con un team di studiosi inglesi ed americani, è parte del Programme Grants for Applied Research (PGfAR) del National Institute for Health Research (NIHR), programma messo in atto con lo scopo di produrre risultati empirici con applicazioni pratiche immediate che possano andare a beneficio dei pazienti con patologie mentali e fisiche. Lo scopo ultimo del programma è proprio quello di promuovere la salute della popolazione inglese, cercando di prevenire lo sviluppo di patologie e la gestione del disagio nel modo più ottimale, promuovendo la messa in atto di una serie di ricerche indipendenti.
L’agopuntura e le dispute sull’efficacia
L’agopuntura è una pratica di derivazione cinese volta alla promozione della salute e del benessere dell’individuo tramite l’inserimento di piccoli aghi in specifiche parti del corpo. In Italia l’agopuntura rientra tra le cosiddette “medicine e pratiche non convenzionali” ritenute rilevanti dal punto di vista sociale (FNOMCeO, 2002) e può essere praticata solo da medici e veterinari laureati, in quanto considerata un atto eminentemente medico. Nonostante alcune proposte di legge risalgano già al 1987, solo nel 2013, nella conferenza permanente Stato-Regioni, è stato emanato un accordo che regolamenta la qualità della formazione e della pratica dell’agopuntura, riconoscendo legalmente la professione di medico agopuntore e istituendo elenchi dei professionisti esercenti l’agopuntura presso gli Ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri (Regioni, Conferenza Stato, 2013).
Per anni, l’utilizzo dell’agopuntura è stato oggetto di accese dispute e perplessità riguardanti, tra l’altro, il consentirne o meno un accesso più ampio, soprattutto a fronte dell’aumento della pratica stessa come intervento medico. A tal proposito, nell’intento di dipanare una volta per tutte la diffidenza nei confronti di questa tecnica, la ricerca di MacPherson e collaboratori è stata svolta proprio allo scopo di raccogliere dati provenienti da trial clinici altamente controllati e validati, che fornissero un insieme di prove sufficientemente convincenti a favore dell’effettiva utilità dell’agopuntura a livello clinico e terapeutico, dando così modo ai professionisti della salute di prendere decisioni scientificamente validate.
Infatti, per quanto l’agopuntura risulti essere una pratica largamente utilizzata, soprattutto per la cura del dolore cronico, le prove scientifiche in merito risultano essere ancora abbastanza disomogenee e frammentarie. Fin dalla fine del XX si è assistito ad una proliferazione di ricerche empiriche volte ad analizzarne rigorosamente l’efficacia, le quali hanno però portato a risultati fra loro contrastanti, acuendo le controversie soprattutto per quanto riguarda l’efficacia della pratica a livello clinico e quanto possa essere vantaggiosa in termini di rapporto tra costi e benefici. Inoltre, dal momento che ancora molto poco si sa circa i meccanismi sottostanti il funzionamento dell’agopuntura, si è spesso pensato che potesse riguardare l’induzione di un mero effetto placebo (Ernst et al., 2007).
Proprio a tal proposito, il National Council Against Health Fraud (NCAHF) nel 1991 ha pubblicato uno studio che avrebbe dimostrato la mancanza di comprovata validità dell’agopuntura come modalità di trattamento. Nei vent’anni precedenti, infatti, la ricerca avrebbe “fallito nel dimostrare che l’agopuntura sia efficace contro qualunque malattia” e gli effetti percepiti dopo un trattamento sarebbero “probabilmente causati da una combinazione di aspettative, suggestione, revulsione, condizionamento e altri meccanismi psicologici”. Per quanto siano passati più di vent’anni da questa pubblicazione, la confusione, frequente precursore della denigrazione, e la controversia in merito all’utilizzo e all’efficacia di questa pratica resta tuttora ampia, anche a causa della messa in discussione dell’accuratezza di molti degli studi svolti (Ernst, 2006).
Una review sull’efficacia dell’agopuntura nel trattamento di dolore cronico e depressione
Ad ogni modo, approfittando della presenza di una vasta letteratura sul tema e selezionando solamente quella più rigorosa e validata, MacPherson e collaboratori hanno implementato una review proprio con lo scopo di analizzare i risultati di trial clinici, nello specifico 29, riguardanti il trattamento di pazienti tramite agopuntura e cure mediche standard. All’interno dei trial, i pazienti, affetti da dolore cronico, venivano trattati con una combinazione di agopuntura e cure tradizionali e confrontati con coloro i quali erano trattati solo in modo standard (ad es. farmaci anti-infiammatori, fisioterapia) o con un’agopuntura di tipo fittizio (sham). Nel complesso, i trial hanno coinvolto un totale di circa 18,000 pazienti affetti da dolore cronico di tipo muscoloscheletrico al collo o alla zona lombare, osteoartrite alle ginocchia o dolori alla testa, come emicranie e mal di testa.
Dall’analisi dei trial è stato possibile notare come l’aggiunta di sedute di agopuntura ai trattamenti tradizionali, in confronto alla somministrazione dei trattamenti in modo isolato, portasse ad una significativa riduzione della gravità e dell’intensità del dolore percepito nella zona lombare o alle ginocchia e del numero di mal di testa e cefalee.
Dalle analisi è anche emerso come l’agopuntura sembri effettivamente essere economicamente vantaggiosa, anche nel ridurre e alleviare il dolore e la disabilità date dall’artrite cronica (osteoartrite alle ginocchia), che, conseguentemente, andrebbe a diminuire notevolmente anche i livelli di dipendenza dei pazienti dall’assunzione di farmaci anti-infiammatori, assunti, spesso in quantità sempre maggiori, nel tentativo di controllare il dolore.
Infine, per quanto l’efficacia dell’agopuntura sia stata spesso almeno parzialmente associata al cosiddetto effetto placebo (Ernst et al., 2007; Linda, 1991), gli autori hanno messo in luce come l’uso dell’agopuntura nel trattamento del dolore cronico sembri essere in grado di portare ad una riduzione della sofferenza in modo significativamente più marcato ed ingente rispetto a quanto avverrebbe con l’uso di placebo (agopuntura sham).
In aggiunta a quanto emerso per il dolore cronico, il gruppo di ricerca ha implementato un ulteriore trial clinico focalizzato sull’uso dell’agopuntura nel trattamento della depressione. Questo nuovo studio, svolto nel nord dell’Inghilterra, ha coinvolto un totale di 755 pazienti depressi, sottoponendo gli stessi a sedute di agopuntura o di counseling e confrontandone l’efficacia con quella di trattamenti diversi, come l’assunzione di farmaci antidepressivi.
Analizzando i dati di quest’ultimo trial, è stato possibile notare come sia l’uso dell’agopuntura sia la fruizione di incontri di counseling sembrino essere in grado di ridurre in modo significativo la gravità dei sintomi depressivi, con una persistenza di tali benefici in media fino a 12 mesi dopo la fine del trattamento, indipendentemente da quale dei due fosse stato fatto.
Gli autori affermano che questa ricerca, la più ampia che sia mai stata svolta sul tema, può potenzialmente apportare una buona mole di dati affidabili in grado di dimostrare non solo come l’agopuntura e il counseling siano in grado di aiutare efficacemente i pazienti con episodi depressivi, ma anche come i miglioramenti ottenuti da questi trattamenti sembrino essere sufficientemente stabili anche ad un anno di distanza.
Studi empirici di questo tipo, che mostrano l’esistenza e la fruibilità di terapie alternative ed efficaci, possono risultare estremamente utili e preziose soprattutto per quanto riguarda la prassi clinica. Infatti, ad esempio, il trattamento d’elezione per la depressione comprende solitamente, soprattutto a livello di assistenza primaria, l’utilizzo di terapie farmacologiche, a volte senza nemmeno un sostegno psicoterapeutico adeguato. In circa la metà dei pazienti trattati, però, questo si rivela essere inefficace ai fini di un miglioramento, sia per resistenza al trattamento a livello fisico sia per mancanza di compliance del paziente stesso.
Conclusioni: l’efficacia dell’agopuntura nel trattamento di dolore cronico e depressione
In conclusione, quanto emerso, per quanto necessiti di ulteriori conferme empiriche, potrebbe considerarsi un significativo passo in avanti per quanto riguarda il trattamento di dolore cronico e depressione, chiarendo, per lo meno in parte, le annose controversie sul tema e permettendo così anche a pazienti e a professionisti della salute di fare scelte più consapevoli circa l’utilizzo dell’agopuntura. Il trattamento tramite agopuntura di dolore cronico e depressione, infatti, risulta essere vantaggioso non solo a livello di bilancio tra costi e benefici, ma anche nella riduzione sostanziale dei livelli di dolore cronico e depressione e nel miglioramento dell’umore, limitando anche la presenza di eventuali effetti collaterali, causati invece frequentemente dai farmaci (NIH, 1997).
Infine, i ricercatori hanno evidenziato come possa risultare estremamente interessante approfondire e studiare in modo più mirato i meccanismi potenzialmente sottostanti l’efficacia dell’agopuntura, in particolar modo a livello neuroendocrino. Ad esempio, Goldman e collaboratori (2010) hanno dimostrato come l’agopuntura sembrerebbe agire a livello cerebrale favorendo il rilascio di adenosina, un neuromodulatore con proprietà anti-nocicettive e analgesiche. Questo tipo di alterazione metabolica sarebbe potenzialmente in grado di spiegare anche perché questa pratica porti a benefici apparentemente stabili nel tempo.
Nel complesso, l’agoupuntura risulta un sostegno valido nel trattamento di dolore cronico e depressione.
https://www.stateofmind.it/2017/03/agopuntura-dolore-cronico-depressione/
Mag 23, 2019 | AGOPUNTURA, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
La sindrome dell’intestino irritabile ( SII o IBS ) è una condizione sempre più diffusa che interessa circa il 10% della popolazione, soprattutto di sesso femminile e con un tasso di incidenza più alto dai 20 ai 50 anni.
E’ caratterizzata da fastidio o dolore addominale, associati all’ alterazione della funzione intestinale e accompagnati da gonfiore o distensione.
Questa sindrome, che una volta veniva chiamata anche “colite spastica” o “colon irritabile” presenta un intestino che può essere stitico, diarroico oppure di tipo misto ossia con alternanza di stipsi e diarrea.
L’andamento è cronico con caratteristiche variabili e spessissimo le riacutizzazioni dei sintomi avvengono a causa di eventi stressanti, sia di tipo fisico (interventi, infezioni ecc) che di tipo psichico (lutti, separazioni, stress).
I pazienti affetti da IBS presentano spesso anche sintomi di dispepsia e reflusso gastrico, fibromialgia, lombalgia e dolore pelvico, cistite, ansia e depressione, emicrania, fatica cronica, debolezza.
CAUSE
Le cause sono molteplici. Da un lato abbiamo fattori biologici, come la predisposizione e la suscettibilità individuale, alterazione della motilità del tratto digestivo, la sensibilità dei visceri, l’alterazione della flora batterica, la disbiosi e le infezioni intestinali. Inoltre e non meno importanti vi possono essere anche allergie, intolleranze e sovraccarichi alimentari e infiammazione causata da cibi disturbanti, l’utilizzo cronico dei farmaci come antiinfiammatori ed antibiotici e lo stress; dall’altro lato fattori psico-emozionali e sociali. Tutto questo può avere un ruolo nel determinare e perpetuare la presenza dei disturbi.
A livello addominale c’è il cosiddetto “secondo cervello” che è costantemente in comunicazione con il “primo cervello” ed è per questo motivo che molti degli eventi stressanti a livello psichico si riflettono sull’intestino e viceversa (problemi addominali che causano stress psicologici).
SINTOMI
I sintomi sono tipici e caratteristici. Il dolore o fastidio addominale deve essere presente per almeno 3 giorni al mese negli ultimi 3 mesi in associazione a 2 o più di questi sintomi: migliora dopo l’evacuazione, modificazione della frequenza dell’evacuazione ed associato a modificazioni dell’aspetto delle feci, presenza di muco, difficoltà o urgenza nell’evacuazione, gonfiore o distensione addominale.
TERAPIA
La terapia allopatica consiste nell’utilizzo di farmaci antidiarroici o lassativi, antispastici, antinfiammatori, antibiotici e ansiolitici ed antidepressivi per la sfera psico emozionale.
Le terapie complementari come agopuntura e medicina funzionale indagano il più possibile le cause sopra esposte, per poter al meglio inquadrare le origini dei sintomi del paziente e, partendo da queste, impostare un approccio terapeutico specifico sia sotto l’aspetto fisico che psico-emozionale specifico per ogni paziente.
Dott. Mauro Piccini
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