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Psicofarmaci a tutto spiano e a tutte le età sono prescritti ogni giorno per affrontare dal più lieve disagio fino a quadri clinici importanti. Vediamo come il trend è riuscito a mettere radici e crescere negli ultimi anni, non solo oltreoceano e non senza conseguenze. A fare il punto della situazione ci hanno pensato Alberto Caputo, psichiatra e psicoterapeuta e Roberta Milanese, psicologa e psicoterapeuta con il libro “Psicopillole – Per un uso etico e strategico dei farmaci“, edito da Ponte alle Grazie (256 pp, 18 euro).

Psicofarmaci: boom di prescrizioni e incassi

Tra il 1999 e 2013 le prescrizioni di psicofarmaci sono duplicate negli Usa, la tendenza europea è analoga: si muore di più per overdose da farmaci psichiatrici che non per eroina.

L’Italia è la quarta in Europa seconda l’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco, per la spesa relativa all’acquisto di psicofarmaci e sempre secondo Aifa sono 12 milioni gli italiani che assumono psicofarmaci”  dichiara Roberta Milanese, ricercatore associato del Centro di Terapia Strategica di Arezzo e docente della Scuola di specializzazione in Psicologia Breve Strategica.

“La spesa complessiva è di 3 miliardi e 300 milioni di euro l’anno. Gli psicofarmaci sono la maggior fonte di entrata per case farmaceutiche.  Nel mondo, per gli psicofarmaci si spendono 900 miliardi di dollari l’anno: metà negli Usa, un quarto in Europa e un quarto nel resto del mondo”.

Altro dato che fa riflettere: mezzo milione di persone sopra i 65 anni, muore ogni anno negli Stati Uniti a causa degli psicofarmaci.

La corsa a chiedere e prescrivere psicofarmaci 

“Diciamo che possiamo individuare una tendenza a prescrivere e una tendenza a usare troppo i farmaci di questo tipo” spiega Albero Caputo. “Spesso e volentieri il farmaco rappresenta una soluzione,  una via breve che però non risolve il problema“.

Esempio: da una parte non dormi e il medico ti dà subito qualcosa per dormire oppure sei triste e chiedi un farmaco e il medico te lo prescrive. Insomma, c’è sia facilità alla richiesta dello psicofarmaco sia alla prescrizione da parte del medico. Come uscirne? Usare il farmaco in modo etico dal punto del prescrittore, e da un punto di vista strategico da parte del paziente. Un buon approccio psicoterapico aiuta a cambiare la propria vita ed affrontare i problemi. E nelle forme più lievi di depressione una buona psicoterapia  funziona meglio addirittura di un farmaco.

Nelle depressioni lieve e moderate la psicoterapia è altrettanto efficace e può facilitare la cura. E molti studi dimostrano che in questi casi funziona molto bene l’esercizio fisico. Nella reazione acuta da stress (es dopo incidente stradale che non ti fa dormire), invece, il farmaco può aiutare, ma per brevissimi periodi. In generale gli psicofarmaci è meglio prenderli per il minor tempo possibile.

Pillola della felicità e criteri di diagnosi sempre più estremi

La ricerca della pillola per la felicità, invece, è a tutti gli effetti un fenomeno sociale. Una richiesta in qualche modo supportata dalla bibbia della psichiatria, il Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) sempre più rapido e frettoloso, per esempio, nel favorire l’equazione sono triste = depresso = malato.

Vediamo meglio nel dettaglio. “Se l’umore è depresso, c’è mancanza di sonno, di appetito e altri sintomi, nel DSM5 (2013), l’ultima versione di questo manuale, dopo 15 giorni si è dichiarati malati” spiega Milanese. Infatti bastano due settimane per essere classificati clinicamente depressi, mentre nella versione 1980 del Manuale (DSMIII) questi sintomi dovevano esserepresenti per un anno prima di poter essere appunto dichiarati clinicamente depressi. Nel DSM IV (1994) erano sufficienti due mesi”.

Risultato:  nel 2015 oltre 350 milioni di persone nel mondo sono state diagnosticate depresse di cui 4,5 milioni in Italia. Secondo l’Oms nel 2020 la depressione sarà la malattia mentale più diffusa. Ovviamente se i criteri vengono cambiati, così come è successo, per esempio, in caso di lutto: 15 giorni sono pochi per superare l’evento ed è facile ritrovarsi tutti depressi.

“Se teniamo conto che il mondo assicurativo e medico devono basarsi su criteri condivisi e si basa su queste categorie che sono state ampliate, è facile immaginare la ricaduta di questa classificazione.” aggiunge Milanese.

Bambini e adolescenti: in aumento del 40% l’uso di psicofarmaci 

L’Aifa nel 2017 ha ripetuto che farmaci per bambini adolescenti sono pericolosi e il 26 aprile 2017 il Parlamento Europeo ha aperto un’interrogazione parlamentare su questo tema. “In Europa tra 2005 e 2012 l’uso di antidepressivi per bambini e adolescenti è aumento del 40 per cento nonostante siano stati ritenuti inefficaci e pericolosi.” dichiara Milanese.

L’indagine dell’Istituto di ricerca farmacologica Mario Negri di Milano ha rilevato che sono circa 400 mila i bambini e adolescenti assistiti ogni anno per disturbi mentali  in Italia dal servizio sanitario nazionale e tra i 20 e 30mila quelli che ricevono psicofarmaci. Lo studio è del 2016 e questi dati escludono chi si rivolge a medici privati quindi c’è un sommerso notevole. E non è tutto. Gli antidrepressivi sono risultati non efficaci su bambini e adolescenti secondo una ricerca pubblica su Lancet nel 2016 e condotta dall’Università di Oxford. E ancora, nel 2016 un’analisi pubblicata sul British Medical Journal ha dimostrato che il rischio suicidio raddoppia nei bambini e adolescenti che assumono antidepressivi.

La stessa cautela è necessario per gli anziani, che possono avere carenze di tipo metaboliche, sono “politrattati”, cioè prendono tanti altri farmaci, quindi si può creare interazione. Nell’anziano e nel giovane le regole sono start low, go slow, parti basso e fai delle variazioni molto lentamente.

Ma cos’è uno psicofarmaco? 

“E’ un farmaco che ha un utilità specifica sul sistema nervoso centrale – spiega  Caputo – Di solito esiste un recettore specifico nel cervello su cui il farmaco fa effetto, molto mirato”. In pratica questi farmaci hanno il compito di influenzare l’attività psichica sia normale sia patologica. “Il problema è che oltre ad andare sui recettori interessati, sono farmaci “sporchi” che agiscono su molti altri ricettori, è per questo motivo che si hanno effetti collaterali.” continua Caputo. Inoltre il problema è che il sistema centrale è molto complesso quindi i neuroni possono avere recettori di diversi tipi e possono essere anche diffusi anche in tutto il sistema.

Per dirla con una metafora questi farmaci sono come una pioggia che bagna fiori diversi e così si possono avere tanti effetti collaterali sia centrali sia periferici. “Ad esempio, gli antidepressivi tricicli usati in passato potevano portare alla morte se presi ad alte dosi, perché ad alte dosi agiscono sul cuore: potevano dare un blocco cardiaco – spiega Caputo – Una volta erano gli unici che avevamo, oggi sono superati.”

Gli effetti collaterali 

Da una parte i farmaci devono essere prescritti con una competenza altissima, dall’altra, di solito, le persone sottovalutano gli effetti collaterali o di accumulo ( es. nel caso dello benzodiazepine, se vengo prese per troppo tempo e in modo eccessivo non si smaltiscono  facilmente). “Oppure esiste l’effetto additivo: quando gli psicofarmaci vengono mescolati, ad esempio, con alcol o droghe o senza saperlo con altri farmaci. Per esempio l’antistaminico più le benzodiazepine creano un effetto additivo, che ovviamente non fa bene né a breve né a lungo termine.” spiega Caputo.

Nuovi farmaci hanno preso il posto di altri, e nel tempo gli effetti collaterali sono cambiati, ma non scomparsi. “In passato, per esempio,  venivano usati farmaci antipsicotici che magari davano certi effetti collaterali, come i  movimenti involontari – aggiunge Caputo –  I nuovi farmaci,  invece, danno problemi metabolici e i pazienti ingrassano o si ammalano di diabete.”

Uno psicofarmaco si può prendere solo con la ricetta medica? Chi lo può prescrivere?

Gli psicofarmaci richiedono tutti la ricetta medica, qualunque medico la può prescrivere mentre lo psicologo non può prescrivere farmaci. “Un’indicazione più specifica arriva dallo specialista psichiatra e neurologo, ma anche il medico di base può intervenire in merito e dal suo punto di vista dovrebbe valutare l’entità del disturbo e decidere se trattarlo in modo autonomo o inviare allo specialista pubblico o privato.” chiarisce Caputo.

Il peso dell’informazione non corretta

Va considerato anche la presenza radicata di un’informazione sui disturbi psicologici che non è sempre corrispondente al vero. Tutti i disturbi sono impropriamente assimilati a malattie del cervello e ancora resistono teorie obsolete, come l’ipotesi di una carenza di serotonina come causa nella depressione, che sono state ormai smentite dalla ricerca medica.  “E’ chiaro che se al grande pubblico passa l’idea che ogni disturbo sia legato a uno squilibrio neourochimico dei neutrasmettitori la soluzione non potrà che essere uno psicofarmaco, ma se consideriamo che moltissimi disturbi sono di natura psichica, emotiva, relazionale la soluzione andrà cercata in interventi di tipo psicoterapeutico come nel caso dei disturbi d’ansia, alimentari o di difficoltà relazione.” spiega Milanese.

Quando gli psicofarmaci sono necessari?

“Tendenzialmente andrebbero prescritti nelle malattie psichiche in cui si presume che ci sia una base biologica, per esempio, le psicosi, i disturbi come schizofrenia, disturbo delirante, il disturbo bipolare e la depressione grave con sintomi psicotici – spiega Caputo –  In questi casi c’è un’indicazione, i farmaci offrono non cura ma sollievo dai sintomi, un possibile riequilibrio ed eventualmente una protezione da eventuali ricadute, per esempio nel disturbo bipolare.”

Si tratta infatti di disturbi che richiedono frequenti interventi e ricoveri ricorrenti e la prognosi nel lungo periodo può non essere buona. In questo caso lo psicofarmaco è la parte centrale della cura, è ciò che permette altri importanti interventi di tipo psicoterapeutica, psicosociale e riabilitativo. In certi casi l’uso può essere cronico altri volte prevede la sospensione, dopo un tempo congruo di somministrazione.

E quando è meglio ricorrere alla psicoterapia

Nei disturbi da ansia, attacco panico, ossessivo compulsivo, ipocondria, fobie, disturbi alimentari, anoressia, bulimia in cui la terapia elettiva è la psicoterapia  i farmaci possono ostacolare il processo di guarigione.

“Ad esempio, nel caso  dell’ansia il paziente impara ad appoggiarsi come a una stampella allo psicofarmaco, ma non attiva le risorse per superare la paura che è alla base del disturbo, quindi abbassa ansia ma non supera paura.” spiega Milanese. Solo la psicoterapia può guarire, perché il farmaco può gestire ma non risolve e anzi più delle volte complica, e questo è comprovato da dati di ricerche scientifiche, raccolti nel libro “Psicopillole”.

E’ stato dimostrato anche dalle neuroscienze, e in particolare da Joseph Ledoux, neuroscienziato autore del libro  “Ansia”, che il farmaco può aiutare a gestire i sintomi di un disturbo ma la guarigione, cioè la totale risoluzione del disturbo, può essere ottenuta solo tramite la psicoterapia.

Questo perché i veri cambiamenti del cervello avvengono grazie a esperienze e apprendimento che nessun farmaco ci può dare. Ciò dimostra che se vogliamo veri cambiamenti, questi devono essere di natura neuroplastica e vengono favoriti dagli interventi di psicoterapia. “Per esempio, se io ho paura di andare in autostrada, se prendo un farmaco mi si abbassa la paura ma il problema non si risolve. – spiega Milanese – Se voglio guarire mi serve una psicoterapia che lavori sulla paura,  così da modificare la mia percezione della paura. E favorire i cambiamenti neuroplastici di cui parla Ledoux”.

Angela Pucchetti da Business Insider Italia
https://it.businessinsider.com/

L’invasione degli psicofarmaci: si muore più di antidrepressivi & Co che di eroina

 

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