Dic 3, 2020 | AGOPUNTURA, ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA, PILLOLE DI RIFLESSIONE
Attraverso la malattia parliamo a noi stessi e prendiamo il nostro corpo come un testimone: la manifestazione, la lesione e il dolore sono il riflesso preciso delle emozioni che stiamo vivendo.
I sentimenti si trasformano in sensazioni e questo ci irrita, ci da fastidio; ma che cosa ci irrita e ci rode e a che cosa quel dolore è sordo?
Il medico ci ascolta e scrive “gastrite”; su nostra richiesta “classifica” ciò che proviamo e questo ci rassicura, diventa qualcosa di noto e misurabile.
Ma così facendo, quello che cercavamo di comunicarci attraverso questo sintomo ha buone possibilità di essere accantonato in cantina.
La diagnosi è un atto necessario ma è un arma a doppio taglio. Confidare la malattia al nostro medico è logico perché ha il compito di aiutarci e di curarci, ma se gli deleghiamo la responsabilità di ciò che proviamo, se la malattia diventa una faccenda solo del medico che ne sarà dell’interrogativo, che attraverso di essa rivolgiamo a noi stessi?
Quindi perdiamo il senso di quello che cerchiamo di comunicare a noi stessi. Dato che ci parliamo usando il corpo come metafora, ecco che ciò che tentiamo di comunicare diventa incomprensibile. Soffriamo senza sapere il perché, come se ci mancasse la chiave di comprendere il messaggio, ascoltare la propria malattia come un linguaggio interiore è un primo passo verso la guarigione
.
La malattia è un modo di comunicare sia con se stessi che con gli altri perché, consapevolmente o meno, in tal modo esprimiamo ed esterniamo il nostro mal-essere.
La metafora è un “procedimento del linguaggio che consiste nel modificare il senso attraverso una sostituzione analogica”.
La metafora è il modo più semplice e diretto per esprimere qualcosa che è difficile da definire. E molto spesso ci serviamo di uno dei nostri organi come metafora per comunicare con noi stessi e dirci qualcosa di figurato.
Le impressioni fisiche che proviamo sono un modo di descrivere ciò che sentiamo. Anche il punto del corpo in cui si manifesta il nostro malessere non è casuale. In qualche modo, inconsciamente, scegliamo l’organo che la malattia colpisce. La scelta è tutt’altro che casuale, perché corrisponde alla nostra percezione inconscia di quell’organo o della sua funzione. Ciò a cui serve l’organo, viene usato come metafora per esprimere il disagio.
La malattia è un modo curioso di dirci le cose, perché è come se ci parlassimo a mezzi termini. Quando parliamo del “capo” di un azienda è una metafora perché l’azienda non ha un “capo” più di quanto abbia “i piedi”; ma ognuno di noi sa che la testa, “IL CAPO” è la parte che dirige, quindi tutti capiscono cosa vuol dire.
Tutt’altro può essere che un mal di capo rifletta il nostro dolore nel non potere dirigere a nostro piacimento certe situazioni. In questo modo, attraverso la malattia, ci capiamo. Contemporaneamente, però non capiamo che cosa ci sta succedendo, perché mai ci siamo ammalati, né a cosa serva questa sofferenza dalla quale aspiriamo solo a liberarci velocemente.
Sul fatto che certe malattie siano psicosomatiche tutti sono d’accordo.
Ma le altre malattie che siano infettive o di origine meccanica (ernia del disco) o tumorali sono anch’esse un modo di parlare a noi stessi? La causa della malattia ha due facce. Non ha senso dire quale sia quella giusta, perché lo sono entrambe: nessuno nega la responsabilità di un microrganismo o di un’ernia.
E’ difficile vedere in contemporanea il lato testa e croce della stessa medaglia; i nostri occhi ce lo impediscono e la mente, come gli occhi, ha bisogno di prendere in considerazione i due aspetti separatamente.
Non scordate l’immagine delle due facce della medaglia. Queste due facce sono giuste entrambe e quando si parlerà della dimensione psicologica di una sciatica, non sarà per negare l’esistenza di un’ernia discale e viceversa.
Ciò che vale per la malattia può valere anche per gli incidenti, i traumi, le fratture. La cosa può sembrare sorprendente, ma spesso tutto accade come se il mondo esterno e i nostri pensieri entrassero in risonanza.
Gli incidenti segnano momenti di rottura nella nostra vita e talvolta sono dei veri e propri punti di non ritorno; ma sono anche occasioni di apertura ad una vita diversa o ad un’altra dimensione dell’esistenza.
Prendiamo a testimone anche il mondo esterno e accade che siamo noi a suscitare questi eventi, come se attraverso di essi cercassimo di dirci qualcosa. Attraverso i nostri pensieri e i nostri atteggiamenti risvegliamo certe reazioni intorno a noi, prepariamo situazioni destinate a maturare e a trovare compimento in eventi che si produrranno anche più tardi. Un evento, che si tratti di un incidente o di una stress di altra natura, può essere il messaggero segreto di un nostro desiderio segreto: ciò che pare l’esito del caso spesso è suscitato dal desiderio di cambiare qualcosa nella nostra vita.
Recenti studi americani hanno dimostrato che il profilo psicologico delle persone che hanno incidenti gravi è simile a quello dei suicidi.
Dott. Mauro Piccini
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Nov 5, 2020 | ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
Il reflusso gastroesofageo è una condizione patologica cronica che colpisce il 44% della popolazione americana almeno 1 volta al mese, con episodi quotidiani che affliggono circa il 7% dello stesso campione. Anche in Italia la situazione non è da meno.
Fortunatamente il reflusso gastroesofageo è curabile. Il trattamento di questo disturbo si distingue per un approccio graduale, che include tanto interventi a livello alimentare e di stile di vita, quanto l’uso di farmaci calibrati sulla severità dei sintomi riferiti.
Nella review che proponiamo vengono analizzati tutti i fattori alimentari e di stile di vita che contribuiscono all’insorgenza o all’aggravamento della malattia.
Dieta e reflusso gastroesofageo sono connessi e l’approfondimento si sofferma su come l’alimentazione e le abitudini quotidiane possano essere migliorate per trarne beneficio terapeutico.
Oltre alla terapia farmacologica e all’intervento chirurgico, infatti, modificare lo stile alimentare e di vita rappresenta la terza imprescindibile componente per curare la malattia da reflusso gastroesofageo.
Il professionista della salute può intervenire proprio su questi aspetti, indicando al paziente ad esempio, prima di passare alla terapia farmacologica (step-up approach), cosa mangiare e quali atteggiamenti quotidiani adottare per trattare il reflusso gastroesofageo, i sintomi iniziali e la loro evoluzione: un approccio terapeutico molto efficace, ma ancora poco diffuso.
Uno studio dimostra, infatti, che solo il 12% dei pazienti riceve consigli dietetici e comportamentali, nel momento in cui viene diagnosticato il reflusso gastroesofageo. Eppure le evidenze presentate nella review sono molto chiare, tra gli elementi che hanno un forte impatto sulla patologia incontriamo sicuramente:
- Fumo – Aumenta l’incidenza dei sintomi del reflusso, promuovendo una diminuzione del tono dello sfintere esofageo inferiore e una minore salivazione, con conseguente riduzione della clearance esofagea.
- Alcol – La letteratura scientifica attesta che il consumo di superalcolici, ma anche moderate quantità di birra e vino, impediscono il corretto movimento peristaltico esofageo, con conseguente prolungamento dell’esposizione all’acido, un incremento della secrezione acida a livello gastrico e una riduzione del tono dello sfintere esofageo inferiore.
- Stress – L’ipotesi avanzata nello studio è quella secondo cui, per un meccanismo fisiologico, i fattori di stress causano l’attivazione dei mastociti della mucosa che, attraverso la produzione di citochine, generano un incremento della permeabilità epiteliale e la dilatazione degli spazi intercellulari. L’aumentata esposizione epiteliale ad acidi e pepsina determina l’attivazione dei nocicettori, causando i segnali di dolore e i sintomi di pirosi caratteristici del disturbo.
- Attività fisica – È stato scientificamente provato come 30 minuti di attività fisica svolta almeno 5 volte alla settimana possano ridurre la sintomatologia, accelerando la velocità di svuotamento gastrico.
- Posizione supina – Tenere la testa leggermente rialzata durante la notte si è dimostrato metodo efficace per attenuare il reflusso gastroesofageo notturno.
- Obesità – Soprattutto il grasso addominale è responsabile del rilassamento dello sfintere esofageo inferiore e dell’aumento della pressione intraddominale, che contribuisce alla risalita del chimo dallo stomaco all’esofago.
Tra i fattori alimentari che hanno un influsso maggiore sull’insorgenza del reflusso gastroesofageo o sui suoi sintomi annoveriamo:
- Spezie – Secondo la review americana, circa l’88% dei pazienti sostiene che le spezie aumentino la pirosi da reflusso.
- Bevande gassate – Dati statistici multivariati, presentati nello studio, mostrano che queste bevande promuovono il rilassamento dello sfintere esofageo inferiore. Lo stesso fenomeno si verifica con l’assunzione di menta e cioccolato.
- Caffeina – Rappresenta sicuramente un elemento che contribuisce a precipitare gli episodi di reflusso gastroesofageo, ma non sembra essere un fattore predisponente.
- Fibra alimentare – Alcuni studi analizzati nella review dimostrano che il consumo di cereali integrali diminuirebbe del 50% i sintomi del reflusso gastroesofageo. Le fibre alimentari aiutano, infatti, ad abbassare la concentrazione di nitriti coinvolti nel manifestarsi o aggravarsi del disturbo.
- Pasti abbondanti e/o ricchi di grassi – Questa abitudine alimentare può portare a un marcato rallentamento della velocità di svuotamento gastrico, che si traduce in una maggiore incidenza di reflusso e/o peggioramento dei sintomi correlati.
- Rimedi naturali – Alcuni estratti vegetali hanno mostrato un’azione benefica nei confronti della pirosi da reflusso. Tra questi, ad esempio:
- la Camomilla;
- l’Olmaria;
- l’Olmo rosso;
- la Sutherlandia frutescens;
- il Finocchio;
- la Nepeta cataria;
- l’Angelica;
- la Genziana;
- lo Zenzero;
- l’Aloe.
- Orario del pasto – Evitare di mangiare la sera subito prima di coricarsi riduce fortemente i sintomi notturni. La cena, inoltre, è sicuramente il pasto in cui far maggiore attenzione a non eccedere con i grassi e i quantitativi.
L’approfondimento presenta ulteriori spunti interessanti e possibili rimedi al reflusso gastroesofageo.
Sottolinea, fondamentalmente, che è essenziale impostare una terapia medica che parta innanzitutto da un intervento profondo sullo stile di vita e sulle abitudini alimentari scorrette, per poi passare alla relativa cura, che dovrebbe essere integrata gradualmente – se necessaria – per il controllo dei sintomi, piuttosto che rappresentare la soluzione primaria per il trattamento della patologia.
Dott. Mauro Piccini
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da:https://www.acidosimetabolica.it/
Lug 21, 2020 | ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
Lo conferma una recente ricerca USA: più siamo stressati e più la glicemia diventa difficile da controllare. Un effetto che diventa ancora più serio in chi ha i livelli a rischio o è già diabetico. Scopriamo perché e cosa si può fare.
Tutta colpa del cortisolo. Non per niente viene anche chiamato l’ormone dello stress. Perché è pur vero che madre natura ce lo ha dato per reagire velocemente ai pericoli, come l’attacco di un predatore, ad esempio, e anche per scappare più velocemente. Ma oggi, da animali civilizzati, ci può servire più per affrontare una prova impegnativa sia nel lavoro che nello studio (il cosiddetto stress buono), ma per lo più se ne produciamo troppo è perché siamo stufi e stressati dalle difficoltà quotidiane. Una condizione, insomma, che rischia di diventare quasi cronica.
Solo che il cortisolo è un ormone che influenza i livelli dell’organismo di due importantissime sostanze: ossia gli zuccheri (glicemia) e il colesterolo. Oggi però il focus è sulla glicemia. Tanto per fare un esempio, come sanno tutti i diabetici, al mattino la glicemia è sempre un po’ alta, nonostante il digiuno notturno. E la ragione sta nei livelli di cortisolo, la cui produzione aumenta al mattino prima del risveglio per dare quella sferzata di energia utile per affrontare la giornata, e crolla durante il riposo notturno. Lo spunto per parlare di stress e glicemia arriva da questo interessante studio appena pubblicato sulla rivista Psychoneuroendocrinology, che ha confermato la relazione tra quantità di cortisolo e livelli di zuccheri nel sangue nelle persone con diabete di tipo 2 (quello più diffuso), mettendo in rilievo l’importanza di interventi terapeutici che mirino proprio alla riduzione dello stress. Interventi da affiancare alla dieta e all’auspicata attività fisica, che – oltre alla terapia – sono i due pilastri per la prevenzione e la gestione della glicemia alta.
La ricerca in poche parole
Un team di ricercatori dell’Ohio State University, studiando i dati di un importante studio Usa sull’aterosclerosi nella popolazione, ossia il Multi-Ethnic Study of Atherosclerosis (MESA), si sono concentrati sui livelli di glicemia e di cortisolo per un periodo di sei anni. I soggetti esaminati erano un gruppo con glicemia normale, uno con alterata glicemia a digiuno (detto comunemente pre-diabete, una condizione nella quale la glicemia supere le soglie dei valori normali ma non raggiunge quelli del diabete), e un terzo gruppo costituito da diabetici. E hanno scoperto che, attraverso gli anni, gli aumenti di cortisolo erano in relazione diretta con un aumento dei valori glicemici, specie nelle presone diabetiche. Infatti,
se nelle persone sane (ma non stressate) il cortisolo calava tantissimo di notte, nei soggetti diabetici ciò non accadeva e la curva dei livelli di cortisolo diventava più piatta. La conseguenza erano tassi di glicemia stabilmente più alti durante il giorno.
Di seguito al loro lavoro, i ricercatori ritengono perciò che l’influenza del cortisolo possa essere una componente importante non solo nella gestione ma anche nella prevenzione del diabete.
Il sollievo dallo stress? Ognuno ha il suo
Siamo tutti diversi e ciascuno di noi sa cosa può fargli bene e distrarlo dalle preoccupazioni. Certamente una costante attività fisica, anche se leggera, è sempre d’aiuto. Ma anche pratiche fisiche come quelle orientali, dal tai chi al ki gong o allo yoga risultano efficaci per molti. Oppure riprendere i propri hobby abbandonati. Insomma, l’importante è abbassare i livelli di stress e vivere un po’ più sereni. E anche la glicemia ringrazierà.
Barbara Asprea – Cucina Naturale
Dott. Mauro Piccini
Mag 7, 2020 | AGOPUNTURA, ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
Negli ultimi anni l’oncologia sta andando verso una rapida evoluzione. L’aspetto globale del paziente non solo dal punto di vista fisico, ma anche psico-emozionale ha trovato una crescente considerazione, anche grazie ai diversi Plan Cancer che ci hanno consentito di rimettere il paziente al centro delle nostre priorità non vedendolo più come un organo ammalato ma come un insieme di sistemi interagenti tra loro.
Le medicine complementari non sono più stigmatizzate come una volta; sempre più dipartimenti di oncologia “integrano” le competenze degli specialisti in queste medicine cosiddette dolci e, come negli Stati Uniti, cominciano ad apparire lavori scientifici che assegnano un posto adeguato alle cure non convenzionali.
I dati pubblicati dimostrano che i pazienti affetti da tumore fanno uso delle medicine complementari, spesso senza comunicarlo al proprio oncologo.
Sta avvenendo sempre di più il riconoscimento da parte degli oncologi dell’efficacia e dell’innocuità di questi approcci.
Molte volte, a causa della forte tossicità, a molti pazienti non è permesso il trattamento oncologico tradizionale. Quindi l’approccio con la medicina integrata rimane l’unica possibilità che può essere data per gestire la malattia.
Diverse discipline si possono articolare insieme nella cura del paziente oncologico.
L’agopuntura aiuta a stimolare e a mantenere il più attiva possibile l’energia globale del paziente riuscendo a modulare l’astenia e la bassa vitalità alle quali vanno incontro la maggior parte dei pazienti oncologici.
L’omeopatia permette, oltre a contrastare gli effetti secondari negativi, di mantenere in equilibrio i sistemi più esposti al carico del trattamento convenzionale chemioterapico e/o radioterapico e di modulare egregiamente l’aspetto psico-emozionale inevitabilmente messo alla prova dalla malattia.
La fitoterapia e la micologia agiscono direttamente sul sistema immunitario attivandolo in modo specifico verso le cellule cancerogene e fornendo sostanze ad azione antiossidante ed antiinfiammatoria.
Dott. Mauro Piccini
Apr 21, 2020 | ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
La barriera intestinale
L’intestino rappresenta l’ultima porzione del nostro apparato digerente e viene definito anche secondo cervello, grazie alla presenza di un vero e proprio sistema nervoso presente nello spessore della sua parete. E’ l’area più estesa dell’organismo (lungo circa 7 metri), ed è sede della più importante stazione immunitaria del corpo, in quanto rappresenta la principale interfaccia di passaggio dall’ambiente esterno a quello interno dell’organismo. La parete del lume intestinale è organizzata come un sistema a più strati, che ha il compito di prevenire l’adesione batterica, regolare la diffusione para cellulare verso i tessuti dell’ospite sottostanti, e di discriminare tra i microorganismi commensali e quelli patogeni, organizzando la tolleranza immunologica verso i commensali e la risposta immune verso i patogeni. La barriera superficiale inizia dal microbiota residente che compete con i patogeni per guadagnarsi spazio e risorse energetiche, elaborare le molecole necessarie all’integrità mucosale e modulare il comportamento immunologico della barriera profonda. Il livello successivo è rappresentato dallo strato di muco, che separa il contenuto endoluminale dagli strati più interni e contiene prodotti antimicrobici e IgA secretorie. Al di sotto del muco, è presente un monostrato di cellule epiteliali gli Enterociti, unite strettamente tra loro da giunzioni serrate (in inglese tight junction), e che gli permettono di costituire una barriera fisica efficace nell’assorbire i nutrienti, ma altrettanto efficace nell’ impedire alla maggior parte delle molecole e dei germi più grandi di passare dall’interno dell’intestino nel flusso sanguigno e potenzialmente causare così diverse problematiche.
La permeabilità intestinale
Molteplici fattori, legati per lo più allo stile di vita e all’alimentazione, sono in grado di ridurre la selettività della barriera intestinale, determinando così l’insorgenza della cosiddetta “sindrome dell’intestino gocciolante”, leaky gut syndrome (1). In questa condizione, le strette giunzioni delle cellule intestinali subiscono un’alterazione tale da consentire il passaggio di molecole non self e quindi potenzialmente pericolose, che possono causare o contribuire alla comparsa dei seguenti sintomi:
- diarrea cronica, costipazione o gonfiore;
- infezioni genitourinarie ricorrenti;
- Fatica cronica;
- problemi della pelle, come acne, eruzioni cutanee o eczema;
- dolori articolari;
- infiammazione diffusa;
- reazioni di ipersensibilità e intolleranza
Patologie associate alla sindrome dell’intestino permeabile
La letteratura scientifica ha confermato che la presenza di processi infiammatorio cronici in seguito all’aumento della permeabilità intestinale, si pone come base, in persone predisposte, per l’istaurarsi di diverse condizioni patologiche(2),(3),(4), come:
- Morbo Celiaco
- Diabete mellito di tipo 1
- Asma
- Sclerosi multipla
- Malattie infiammatorie croniche intestinali
- Spondilite anchilosante
- Obesità
- Epatopatia steatosica non-alcolica (Non-Alcoholic Fatty Liver Disease, NAFLD)
- Psoriasi
Insomma si verifica un effetto domino con conseguenze a volte irrimediabili.
Fattori che portano all’instaurarsi della permeabilità intestinale
Le principali cause di un’alterazione della funzionalità della barriera intestinale sono:
- Diete squilibrate;
- il cambiamento nella composizione del microbiota (disbiosi);
- l’uso dei farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS);
- i chemio e radioterapici;
- l’alcol;
- lo stress;
- l’infiammazione sistemica;
- le infezioni.
Come identificare e misurare la permeabilità intestinale?
Partendo da studi sul colera e poi, successivamente a quelli, sul morbo celiaco, il medico italiano Alessio Fasano ha scoperto l’esistenza di una proteina chiamata zonulina (5) un precursore dell’aptoglobina 2, una molecola antichissima prodotta solo dalla specie umana che innesca una serie di modificazioni che conducono al riarrangiamento del citoscheletro, con conseguente segnale di apertura delle giunzioni strette (tight junctions). Questa scoperta ci ha permesso di sviluppare un Test in grado di misurare questo metabolita nelle feci la cui concentrazione oltre i limiti è misura diretta della presenza di permeabilità intestinale.
Cosa fare in caso di permeabilità intestinale?
L’alimentazione è la prima arma in nostro possesso per la gestione o il miglioramento della sintomatologia legata alla permeabilità intestinale. Esistono cibi che promuovono l’infiammazione e cibi che la attenuano: tra questi ultimi citiamo la carne magra e il pesce, le patate, il riso, la frutta e la verdura (da preferire quella ricca di fibre solubili come carote, melanzane, zucchine, mele, pere, susine e la frutta secca), cereali integrali tra cui l’avena, e tanta acqua. I cibi pro infiammatori sono invece: tutto ciò che è lievitato o fermentato, compresi gli alcolici, il caffè, il tè, i cibi grassi. Inoltre risulta opportuno monitorare le allergie alimentari e le intolleranze, inclusa la sensibilità al glutine non celiaca in modo da poter seguire la dieta più adatta alle proprie esigenze. Per chi soffre di permeabilità intestinale è sempre utile integrare anche con probiotici o prebiotici (6) (fibre a base di Frutto-Oligo-Saccaridi e Inulina) per migliorare l’equilibrio della flora batterica. Altri integratori utili possono essere quelli a base di L-Glutammina (7) che concorre a migliorar la riparazione e il ricambio cellulare, insieme a importanti vitamine e minerali come zinco, iodio, selenio, vitamine del gruppo B e vitamina A che contribuisce al mantenimento di mucose sane; da non dimenticare l’utilità degli antiossidanti e di antiinfiammatori naturali (Aloe, curcuma, ecc.) . E’ inoltre importante scegliere la giusta attività fisica, per migliorare il transito intestinale (camminata, yoga, pilates, shiatsu, ad esempio).
“Il primo passo per contrastare questa condizione è sapere di esserne affetto.
BIBLIOGRAFIA
- Green P, Jones R. Celiac Disease: A Hidden Epidemic. New York, NY: Harper Collins; 2006:98.
- Barbara G. et al., Mucosal permeability and immune activation as potential therapeutic targets of probiotics in irritable bowel syndrome. J Clin Gastroenterol. 2012 Oct;46 Suppl:S52-5.
- Lerner A, Matthias T. Changes in intestinal tight junction permeability associated with industrial food additives explain the rising incidence of autoimmune disease. Autoimmun Rev. 2015;14(6):479-489.
- TEDDY Study Group. The Environmental Determinants of Diabetes in the Young (TEDDY) Study. Ann N Y Acad Sci. 2008 Dec;1150:1-13. doi: 10.1196/annals.1447.062.
- Fasano A. Intestinal permeability and its regulation by zonulin: diagnostic and therapeutic implications. Clin Gastoenterol H. 2012;10(10):1096-1100.
- Lamprecht M, Bogner S, Schippinger G, Steinbauer K, Fankhauser F, Hallstroem S, et al. Probiotic supplementation affects markers of intestinal barrier, oxidation, and inflammation in trained men; a randomized, double-blinded, placebo-controlled trial. J Int Soc Sports Nutr (2012) 9(1):45. doi:10.1186/1550-2783-9-45
- RadhaKrishna Rao and Geetha Sama. Role of Glutamine in Protection of Intestinal Epithelial Tight Junctions. J Epithel Biol Pharmacol. 2012 Jan; 5(Suppl 1-M7): 47–54.Published online 2011 Aug 22. doi: 10.2174/1875044301205010047
I consigli alimentari e fitoterapici presenti nell’articolo devono intendersi al solo scopo formativo. Tali informazioni non devono mai sostituire la consulenza personalizzata. Pertanto, ogni decisione presa sulla base di queste indicazioni dev’essere intesa come personale e secondo propria responsabilità.
http://www.natrixlab.it/permeabilita-intestinale/
Dott. Mauro Piccini
Mar 19, 2020 | ALIMENTAZIONE E SALUTE, MEDICINA FUNZIONALE, OMEOPATIA
In questa sede desidero focalizzare l’attenzione sulla composizione del microbiota intestinale in funzione del sonno e valutare dalla letteratura se i due elementi, sonno e microbiota, possono influenzarsi reciprocamente e se un eventuale disequilibrio può avere effetti sulla salute.
Le modalità di collegamento ed influenza tra microbiota e cervello sono quattro:
- la prima via è quella della regolazione immunitaria.
I batteri intestinali influenzano la funzione cerebrale attraverso l’interazione con le cellule immunitarie che regolano la produzione di citochine, di prostaglandine, in particolare PGE2, e di altri micro-fattori immunitari.
- la seconda via è quella neuroendocrina.
La mucosa intestinale contiene almeno 20 tipi di cellule entero-endocrine. tanto da far considerare l’intestino come l’organo endocrino più esteso dell’organismo.
Il microbiota intestinale può influenzare l’Asse Ipotalamo-Ipofisi-Surrene ed il collegamento con il Sistema Nervoso Centrale, sia- attraverso questo- la secrezione di cortisolo, triptofano e serotonina.
- la terza via è quella del nervo vago.
Il microbiota intestinale può influenzare attraverso i recettori neuronali situati nel Plesso Mioenterico e da qui stimolare informazioni ascendenti mediate dal nervo vago.
- la quarta via è quella dell’assorbimento delle sostanze tossiche.
Direttamente o indirettamente i batteri componenti il microbioma intestinale producono sostanze che, se in eccesso o se favorite dalla rottura delle giunzioni serrate, riescono ad attraversare la barriera enterica, entrare in circolo e raggiungere il cervello o perché autorizzate al passaggio attraverso la Barriera ematoencefalica o perchè questa, a causa dell’infiammazione silente e persistente, è diventata permeabile alle tossine.
Queste quattro vie di comunicazione tra intestino e cervello assumono un’importanza fondamentale per la salute, soprattutto se correlate allo stile di vita.
I batteri che popolano l’intestino hanno evidenziato ritmi circadiani sia nella composizione della popolazione delle colonie sia sull’attività funzionale.
Alcuni lavori hanno evidenziato che Clostridi, Lattobacilli e Bacterioidi, che rappresentano circa il 60 % dell’intero microbiota intestinale, mostrano fluttuazioni diurne significative.
Bacteroides e Firmicutes, in particolare, hanno dimostrato variazioni cicliche correlate non soltanto all’assunzione ritmica del cibo e più in generale alla dieta, ma anche alle funzioni scandite dall’orologio biologico dell’ospite.
In diverse occasioni è stato dimostrato che il mancato rispetto del ritmo sonno/veglia in funzione della presenza di luce naturale e dell’espressione dei geni orologio può interferire in modo bilaterale con la composizione del microbiota intestinale. Ciò è particolarmente evidente nelle persone che per ragioni lavorative o, per stile di vita sono costrette ad attività notturne o comunque a non rispettare il ritmo sonno/veglia.
La perturbazione dell’Asse cervello-microbiota sono state associate a disturbi gastroenterici, depressione, malattia di Parkinson, ansia e riduzione delle capacità cognitive.
Poiché diverse patologie sono correlate alla circadianità del Sistema Neuroendocrino, è possibile che vi sia una correlazione tra malattia, ritmo sonno/veglia e composizione del microbiota intestinale.
Uno studio ha dimostrato che la mutazione dei geni orologio (geni che regolano i ritmi) all’interno di una popolazione di ratti provava l’alterazione del microbiota e che questa viene esacerbata da stimoli dietetici. Questo risultato evidenzia che la popolazione intestinale svolge un ruolo cruciale nel mantenimento della normale espressione dei geni dell’ ospite.
In questa rubrica ho già scritto circa l’importanza del sonno anche per ciò che riguarda il drenaggio tossinico cerebrale. In particolare, è stato evidenziato come il Sistema Glinfatico operi durante le ore notturne quando la produzione di noradrenalina diminuisce, fino quasi ad esaurirsi.
Questo neurotrasmettitore ad attività simil-ormonale prodotto dal surrene è in stretta connessione con lo stress che, tra l’altro, è in grado di provocare disturbi della qualità del sonno.
E’ possibile correlare questi due elementi con la composizione del microbiota intestinale in un unicum funzionale in cui ognuno di questi tre attori può influenzare in maniera fisiologica o patologica lo stato di salute dell’individuo. Una disbiosi intestinale può essere causa di stress e/o di alterazione della qualità del sonno.
Ciascuno di questi elementi può essere il primum movens di disturbi che riguardano gli altri due.
Tutto questo si inserisce in un contesto di valutazione dello stile di vita in generale, non solo alimentare, allo scopo di coordinare le diverse componenti dello stile di vita in funzione del recupero della salute.
I punti da prendere in considerazione sono:
- Qualità del sonno. Occorre indicare l’importanza di un sonno ristoratore che duri almeno 6 ore (non più di 9) in un ambiente aerato, buio, privo di influenze elettromagnetiche.
- Ritmo e qualità dei pasti. Bisogna focalizzare l’attenzione sul ritmo dei pasti che, in particolare, rispetti le pause tra un pasto e l’altro e che preveda una cena leggera in funzione proprio della qualità del sonno.
- Gestione dello stress. Inserire pause quotidiane di relax, meditazione, lettura, preghiera ecc. in modo da ridurre al massimo l’esposizione ai momenti stressogeni.
- Attività fisica. Si rileva uno strumento indispensabile sia per l’eliminazione delle tossine metaboliche sia per la produzione di endorfine ad azione antistress.
Da La Medicina Biologica n. 163
Dott. Mauro Piccini
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