FIBROMIALGIA, QUESTA SCONOSCIUTA

La sindrome fibromialgica è un disturbo che si presenta con sintomi molto diversi accumunati da dolori muscolari diffusi ed erratici, stanchezza, scarsa resistenza fisica, disturbi del sonno, nervosismo e depressione.

Anche l’approccio terapeutico è in corso di definizione e molto spesso si procede per tentativi.
La fibromialgia è una sindrome che si manifesta nelle strutture fibrose del connettivo come tendini e legamenti e con dolori muscolari. Non provoca alterazioni deformanti nelle aree articolari e non porta segni che possono essere utili per il medico. Per questo è spesso difficile azzardare una diagnosi. La letteratura scientifica si basa sulla raccolta dei sintomi che il paziente descrive: dolori muscolari diffusi a volte migranti, oppure zone doloranti alla digitopressione,senza evidenti segni di trauma, simili a forme reumatiche molto dolorose.

SINTOMI DELLA FIBROMIALGIA

Il paziente descrive stanchezza cronica già in prima mattina, bassa resistenza alla fatica, difficoltà al riposo malgrado il sonno, dato che risulta essere leggero e molto disturbato.
La stanchezza, il cattivo sonno, il dolore diffuso agiscono sul sistema nervoso centrale modificando il pensiero ed il tono dell’umore innescando così un circolo vizione di difficile gestione. Possono anche manifestarsi ulteriori sintomi che sono la somatizzazione di questo disturbo come dolori alla testa di tipo muscolo-tensivo, emicrania, tensione muscolare, disturbi digestivi, ansia, depressione, difficolta di memoria e concentrazione.

CAUSE DELLA FIBROMIALGIA

Le cause della fibromialgia sono praticamente sconosciute. Vengono portate diverse ipotesi che coinvolgono la sfera psicosomatica, ormonale o chimica.
Traumi particolarmente dolorosi come lutti, forte stress sottovalutato e mai affrontato, alterazioni neuronali dei neurotrasmettitori, modificazioni delle concentrazioni ormonali, riduzione della soglia del dolore che modifica le proprietà nocicettive: sono tutte ipotesi e nessuna esclude l’altra.

RIMEDI FARMACOLOGICI ALLA FIBROMIALGIA

E’ facilmente capibile che se le cause sono sconosciute la terapia è altrettando dubbia. La priorità è contrastare il dolore diffuso dei tessuti molli ed i farmaci che vengono prescritti  sono degli analgesici, ma non tutti risultano efficaci. Molti antinfiammatori non producono risposte remissive alla fibromialgia, anche i cortisonici non hanno mostrato particolari risultati e comunque sconsigliati per gli effetti collaterali dati da un uso continuo. Sono più spesso proposti farmaci antidepressivi dagli effetti miorilassanti ed ipnoinducenti, per consentire un alleggerimento della sintomatologia dolorosa e garantire un miglior sonno. Gli effetti negativi si presentano però nella fase diurna con sonnolenza, aumento della fame e stipsi.

RIMEDI NATURALI ALLA FIBROMIALGIA

L’approccio non farmacologico alla fibromialgia offre un’ ampia gamma di tecniche che, se usate in un’azione sinergica, possono portare ad un netto miglioramento del quadro clinico del paziente.
Mediante applicazione di agopuntura, mesoterapia, neuralterapia e medicina funzionale si mette in campo una serie di approcci che non solo lavorano sull’aspetto sintomatologico del dolore ma, riequilibrando e indagando le varie cause scatenanti del disturbo, cercano di evidenziare, portare in luce tutto ciò che a livello psico-emozionale il paziente non vuole o non riesce a riconoscere e a manifestare.

 Dott. Mauro Piccini

PERCHE’ SIAMO GRASSI, I FIGLI HANNO L’ASMA E LE FIGLIE ADOLESCENTI SONO ALTE UN METRO E OTTANTA? UNA NUOVA E PIU’ MODERNA VISIONE SCIENTIFICA DEL MONDO MICROBICO E’ ORMAI NECESSARIA

Oggi sappiamo che nel corpo umano il numero delle cellule batteriche supera di 1,3 volte (fino a 10 volte) quello delle cellule umane.Le infezioni sono la conseguenza di un microbo nel posto sbagliato e al momento sbagliato; ma sul terreno biologico in quel momento più adatto a farlo sviluppare come patogeno.
Conta il terreno biologico individuale, quindi, più del batterio.
Per migliaia di anni le nostre cellule e i microbi hanno vissuto in una simbiosi pacifica che ha garantito l’equilibrio e la salute del nostro corpo.
Ma negli ultimi 70 anni abbiamo affrontato le infezioni batteriche con l’equivalente di un armamentario imponente – un attacco di ampio spettro con un arsenale terapeutico non indifferente contro tutti i batteri indistintamente – invece di cercare di comprendere nelle sfumature della biologia individuale il come coesistere con i batteri, creando una reciproca dipendenza con eventuali periodici e transitori dissapori.
Dato che le popolazioni batteriche si stanno sempre più sviluppando in ceppi resistenti agli antibiotici comunemente utilizzati, è arrivato il momento di riconsiderare il nostro rapporto coi microbi all’interno di nuovi paradigmi scientifici.
La nostra esperienza di medici hahnemanniani a continuo contatto clinico con il paziente, da anni ci fa formulare queste considerazioni, anche grazie alle sempre più moderne scoperte della microbiologia più avanzata e aggiornata.
Il concetto della campana di vetro a cui affidare la salute delle genti diviene oggi sempre più fragile e inefficacie, soprattutto alla luce di una antibiotico-resistenza sempre maggiore e diffusa.
Le considerazioni su questo argomento sono aperte ed in continua evoluzione, ma il medico moderno deve porre in continua discussione le conoscenze che riteneva acquisite, facendo proprie le dimensioni più avanzate del sapere scientifico e medico scientifico in particolare, non valutando il futuro attraverso la misura e i contenuti dei lavori scientifici del passato.
Il rischio, infatti, sarebbe quello di rimanere drammaticamente al palo, incarcerati in visioni vecchie e superate, trasformandoci in novelli Cardinal Bellarmino resi stolti dall’essersi rifiutati di guardare attraverso il connocchiale del moderno Galileo Galilei.

Con piacere, quindi, condividiamo qui di seguito l’interessante articolo  di ANDREA ROSSI (Fonte: La Stampa.it) dal Titolo:
Sempre più allergici e malati. Ma a rafforzare i nostri bimbi saranno i microbi africani“.

Un articolo divulgativo molto utile, soprattutto per i non addetti ai lavori, per comprendere come in campo medico-scientifico stia sempre più emergendo una consapevolezza scientifica e clinica nuova, dalle prospettive di particolare interesse e portata.
Buona lettura!!
F.to Equipe medica Istituto SIMOH
mc

Fonte Articolo: La Stampa.it del 10.05.2017

“È in atto una migrazione sotterranea, impercettibile, ma tumultuosa e inarrestabile. Valica le frontiere, si muove a cavallo delle persone o degli eventi atmosferici.
Sta scaricando sull’Europa – e sull’Italia che ne è l’avamposto – milioni di microbi, funghi, batteri provenienti dall’Africa.
Non sembrano destinati a distruggerci. Anzi, rischiano di aiutarci a combattere uno dei nostri peggiori – e trascurati – mali: la perdita di biodiversità, nell’ambiente ma soprattutto nel nostro organismo.

Ci stiamo impoverendo. Sempre meno batteri, sempre meno vari. A Firenze, un team di ricercatori studia da anni i microrganismi del nostro corpo basandosi sui big data ricavati da sequenze di Dna.

«L’industria alimentare e i suoi processi, la sanificazione, l’utilizzo massiccio di antibiotici negli allevamenti hanno contribuito a debellare molti agenti nocivi, ma hanno finito per estirparne anche di essenziali», rivela Duccio Cavalieri, professore al dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze.

«Un esempio sono i probiotici, che acquistiamo per reintrodurre nel nostro corpo elementi un tempo naturalmente presenti».

Aver eliminato funghi, batteri, microbi sta contribuendo all’esplosione di malattie auto immuni, infiammazioni, allergie.

«Il sistema immunitario fin dalla nascita si abitua a riconoscere i microrganismi buoni da quelli che non lo sono», spiega Carlotta De Filippo, microbiologa all’Istituto di Biologia e biotecnologie agrarie del Cnr di Pisa. «Tuttavia, poiché la varietà microbica con cui entra in contatto è sempre minore, reagisce a ogni novità come se fosse patogena. E sviluppa infiammazioni».

Si spiega così il boom dei malanni del nuovo millennio. E perché molti – che fino a vent’anni fa insorgevano in persone adulte – attacchino sempre prima.
Il numero di bambini soggetti ad allergie alimentari è schizzato del 20% in dieci anni: in Italia uno su venti – secondo l’Organizzazione mondiale dell’allergia – ne soffre.

Tra 6 e 12 anni, il 7% ha dermatite atopica, il 15% di rinite allergica e il 9% di asma. Stesso discorso per le malattie auto immuni, come il morbo di Chron: il 25% dei nuovi casi ha meno di vent’anni.

La diffusione delle infiammazioni croniche intestinali è raddoppiata nell’ultimo decennio, con 8 bimbi su 100 mila colpiti e un’età di insorgenza scesa a 10 anni.
E ancora: artriti reumatoidi, coliti ulcerose, sclerosi multipla, diabete di tipo 1. «La correlazione tra la diffusione e precocità di questi mali e la riduzione della varietà microbica è assodata», assicura De Filippo.

Siamo diventati fragili. Meno ricchi. Una ricchezza di cui l’Africa, da cui moltitudini cercano di fuggire, abbonda. La grande migrazione, tra i tanti effetti, potrebbe celarne uno finora poco indagato: milioni di batteri stanno invadendo l’Italia.

Nelle popolazioni africane si annida una grande quantità (e varietà) di microrganismi che il nostro mondo ha perso. I ricercatori fiorentini l’hanno scoperto mettendo a confronto alcuni bambini toscani con coetanei del villaggio Boulpon, nel Burkina Faso. «Hanno il triplo di acidi grassi a catena corta, antinfiammatori naturali», racconta Cavalieri. E soprattutto hanno concentrazioni di patogeni inferiori: l’Escherichia (responsabile di cistiti, infiammazioni alle vie urinarie) è presente in misura quattro volte superiore nei bambini italiani, la Salmonella otto volte tanto, la Shigella (dannosa per l’intestino) sette volte, la Klebsiella (agente delle infiammazioni alla vie aeree, come la polmonite) quasi quindici.

La differenza sta nei nutrimenti: fibre, amido non raffinato e altre fonti vegetali, pochi grassi animali, ma soprattutto niente industria alimentare. «I bambini africani vivono  in un ambiente fortemente contaminato», ragiona il professor Cavalieri. «Eppure i principali patogeni umani si ritrovano in quantità decisamente minori, perché hanno una ricchezza microbica che li difende. Noi non ce l’abbiamo più».

Le popolazioni africane potrebbero aiutarci a recuperarne una parte. Nell’ecosistema sta già accadendo qualcosa di simile. Nel 2014 una nevicata ha riversato sulle Dolomiti grandi quantità di sabbia del Sahara. Non era la prima volta ma quell’anno il gelo ha cristallizzato per mesi l’ambiente. La sabbia conteneva milioni di funghi e batteri: intere famiglie si sono trasferite, oltrepassando il deserto e il Mediterraneo, per colonizzare le Alpi. Il disgelo le ha riversate nell’arco di poche ore. Poteva essere una catastrofe. Invece no. Un gruppo di ricercatori (Cnr, Fondazione Edmund Mach, atenei di Firenze, Innsbruck e Venezia) ha prelevato campioni dal suolo dolomitico e li ha analizzati per tre anni. Per scoprirne l’origine, hanno ricostruito le traiettorie atmosferiche e il Dna dei microrganismi ritrovati, confrontandoli con dati campionati in tutto il mondo. Il risultato è sorprendente: i microrganismi sub-sahariani si sono adattati all’ambiente alpino e, anziché stravolgerlo, lo stanno arricchendo. «Questi eventi sono la diretta conseguenza dei cambiamenti climatici, saranno sempre più frequenti», spiegano i coordinatori del team, Cavalieri, Tobias Weil e Franco Miglietta. «Andranno monitorati nel tempo ma per ora possiamo dire che gli effetti positivi sono prevalenti rispetto a quelli problematici».

Lo stesso – fatte le dovute proporzioni – potrebbe accadere agli esseri umani. In fondo anche noi siamo un ecosistema: in una persona di 70 chili, i microrganismi ne valgono almeno 2. I nostri sono sempre più standard.

SINTOMI CARDIACI ED ALIMENTI

Il cuore che batte al parossismo o che salta nel petto nei momenti più impensati ha sempre messo in allerta pazienti e medici. Si tratta di fenomeni che possono dipendere da anomalie elettriche o anatomiche del cuore, ma spesso non vengono comprese fino in fondo nelle loro cause e solo trattate sintomaticamente.

Ultimissime ricerche hanno permesso di comprendere che molte aritmie cardiache sono strettamente correlate a citochine infiammatorie come TNF-alfa, BAFF, IL6 e altre ancora.

Che si tratti di palpitazioni, di fibrillazione atriale, di tachiaritmie o di extrasistoli, la possibilità che il fenomeno si facilitato o addirittura scatenato dall’incremento di alcune specifiche citochine è sempre più dimostrato.

Questo risulta dalla pubblicazione nel febbraio 2017 su Trend in Cardiovascular Medicine della documentata azione del TNF-alfa nelle aritmie della malattia cardiaca di Chagas (Cruz JS et al, Trends Cardiovasc Med. 2017 Feb;27(2):81-91. doi: 10.1016/j.tcm.2016.08.003. Epub 2016 Aug 11) oppure dalla pubblicazione su PLoS One nel 2016 da parte di un gruppo di ricerca cardiologico statunitense della evidenza che nella fibrillazione atriale la presenza di IL6 (interleuchina 6) sia un fattore predittivo indipendente da altre comorbidità (Amdur RL et al, PLoS One. 2016 Feb 3;11(2):e0148189. doi: 10.1371/journal.pone.0148189. eCollection 2016).

Significa che l’infiammazione, comunque indotta (e per noi quella alimentare è di fondamentale importanza), è in grado di facilitare o indurre in modo autonomo le alterazioni del ritmo cardiaco.

Si tratta di effetti che vanno oltre agli stimoli “farmacologici” diretti esercitati da alcuni cibi o da alcune bevande, come la caffeina, l’alcol, i formaggi e certi cibi molto fermentati (ad esempio le banane molto mature). Parliamo di effetti dovuti allo stimolo infiammatorio e alla azione delle citochine provocate dal contatto con il cibo.

Una  ricerca statunitense del 2016 ha dimostrato in modo preciso che anche le pericolose aritmie postinfartuali, quelle che insorgono dopo un fatto ischemico o un infarto cardiaco, possono dipendere dalla presenza di citochine specifiche e non solo da un fenomeno elettrico, come si era continuato a pensare fino a poco tempo fa.

Le ricerche condotte in ambito allergologico negli anni 80 e 90 dell’ultimo secolo, quando ancora si usava il termine ormai in disuso di “intolleranza alimentare”, avevano già messo in evidenza che la presenza di una ipersensibilità alimentare potesse determinare fenomeni anche molto evidenti di alterazione del ritmo cardiaco.

De Luca nel 1990 aveva pubblicato i risultati di una ricerca con la quale aveva studiato con metodica “Holter” (rilevando in continuo per 24 ore il ritmo cardiaco) bambini con ipersensibilità già nota, effettuando prove di carico a livello intestinale. Il suo studio evidenziò un innalzamento della frequenza cardiaca esattamente contemporaneo alle reazioni di tipo intestinale e polmonare dovute alla reattività alimentare, molto evidenti durante la fase di challenge o di carico (De Luca L et al, Pediatr Med Chir, 1990; 12; 2: 139-145).

Questo fatto confermava, già allora, che alcuni fenomeni di disturbo del ritmo cardiaco che non fossero causati da anomalie specifiche del cuore potessero dipendere da uno stimolo infiammatorio indotto, a livello intestinale, dall’incontro col cibo. Significa che misurare il livello di infiammazione e comprendere il profilo alimentare di una persona può viceversa contribuire (con la dieta corretta) alla guarigione o al miglioramento di queste forme.

Un altro  fenomeno cardiologico drammatico che ora vede coinvolte le citochine infiammatorie è la cosiddetta “Sindrome del Q-T lungo” che è causa di molte aritmie gravi e sembra essere correlata ai casi di cosiddetta “morte in culla”.

Già nel 1989 Petrus, in uno studio francese pubblicato su Allergie et Immunologie, aveva descritto un caso di morte in culla ascrivibile specificamente a un fenomeno elettrico indotto dalle reazioni infiammatorie dovute ad una allergia al latte vaccino (Petrus M et al, Allerg Immunol (Paris). 1989 Feb;21(2):77-8).

In medicina le conoscenze sul cibo hanno però bisogno di molti anni per arrivare a una maggiore definizione e infatti nel novembre 2015 è stata pubblicata una review su In Vivo che descrive gli effetti delle differenti citochine infiammatorie (tra cui anche quelle correlate all’alimentazione) in grado di interferire sul ritmo cardiaco determinando un allungamento del tempo Q-T (Sordillo PP et al, In Vivo. 2015 Nov-Dec;29(6):619-36).

Questi studi aprono moltissime possibilità di diagnosi e di terapia. Basti pensare alla possibilità di impostare il giusto e personalizzato schema di alimentazione in ogni persona che abbia avuto un infarto, fin dai primi momenti post ischemici, oppure pensare ad una dieta preventiva che possano seguire le mamme che allattano nei primi mesi in cui il rischio di “torsione di punta” è maggiore.

Sappiamo con certezza che le diete “giuste” non sono più diete “standard”, ma diete che considerino i profili alimentari personali e i livelli individuali di infiammazione: ad ogni persona la sua dieta.

Quindi  dobbiamo aggiungere alcuni disturbi cardiaci alle patologie autoimmuni come a Morbo di Crohn, colite ulcerativa, rosacea, psoriasi, tiroidite di Hashimoto, artrite reumatoide e altre ancora) dove si è vista una strettissima connessione con il tipo di alimentazione, che come sappiamo è in grado di fare crescere i livelli di BAFF e di indurre numerose malattie con questo correlate.

Va sempre considerata anche la importante componente emotiva che guida spesso forme aritmiche non infiammatorie o che complica quelle infiammatorie, ma si tratta di una indicazione che trova applicazione in tutti i campi della medicina.

La buona notizia è che i livelli di citochine infiammatorie si possono oggi misurare con molta più facilità di un tempo e una semplice analisi può aiutare a definire il piano alimentare individuale che aiuti a ridurre l’infiammazione e contribuire al controllo di questi fenomeni.

Di fronte ad una aritmia cardiaca non motivata da cause anatomiche o elettriche ben definite, con una sintomatologia non univoca e priva di possibili basi organiche, la ricerca della infiammazione da cibo e di una modalità alimentare personalizzata è non solo plausibile, ma ora, su base scientifica, sta diventando necessaria.

Utilizzando l’approccio della medicina funzionale è possibile determinare molti dei fattori di sovraccarico che portano ad esprimere un aumento delle citochine infiammatorie. Eliminare i fattori disturbanti ed effettuare una terapia di controregolazione di queste citochine permette di affrontare non farmacologicamente molti sintomi e disturbi che vengono avvertiti a livello cardiaco.

ANSIA: IL MALE DEL NUOVO MILLENNIO

Una strana oppressione che stringe la gola, uno stato di allerta generalizzato di cui non si sa il perché. Sono questi alcuni dei tanti modi con cui si manifesta l’ansia oggi. A volte è l’incontro con il nuovo ad innescare nelle persone uno stato di inquietudine: l’incertezza di non poter gestire qualcosa che ancora non si sa come sarà.

L’ansia, la tristezza, la vergogna sono solo alcune delle molteplici emozioni che sovente sconfinano le une nelle altre.
Le emozioni rientrano in quei processi intrapsichici che svolgono nell’uomo una funzione di adattamento. L’origine della parola “emozione” (ex-movere, muovere fuori) ci conduce al movimento del “portare fuori”. Ed  è sovente attraverso la somatizzazione nel corpo che portiamo fuori le nostre emozioni.

L’ansia, tra le tante manifestazioni possibili, è quella che maggiormente può stravolgere il linguaggio del corpo.  Questo stato di tensione, per un periodo indefinito, spesso improvviso, che può salire o scendere, a volte arriva a travolgerci, altre a mantenerci tesi in uno stato di conflitto che spesso resta lì, sospeso.
Se l’ansia, dal latino angere, rimanda allo stringere, l’angoscia, sempre dal latino angustia, si traduce con ” strettezza”.
Se l’ansia porta con sè qualcosa di vago, improvviso o continuato e indeterminato, la paura tende generalmente ad orientarsi su una situazione concreta e si fa problematica quando ogni giorno aumenta di intensità e  prende più spazio.
In questi casi la crisi d’ansia acuta può insorgere all’improvviso, come un episodio isolato, e sfociare nel panico travolgendo una condizione di vita che, fino ad un istante prima, pareva scorrere liberamente.

Una delle forme d’ansia che si presenta slegata da situazioni specifiche manifestandosi attraverso differenti sintomi è la cosiddetta ansia generalizzata. Questo tipo di disturbo si caratterizza per la presenza di un’ansia d’attesa che riempie il quotidiano estendendosi nel tempo e facendosi presente in maniera continua tra i pensieri del soggetto. In parallelo sul versante corporeo si possono affiancare vertigini, un aumento del battito cardiaco, tremori e disturbi respiratori.
Il corpo diventa il palcoscenico sul quale le nostre dinamiche interne ed esterne arrivano ad esprimersi. E il corpo ha una funzione importante non solo nella vita sociale, ma anche in rapporto a sé stessi.

Quando si è ansiosi una delle prime sensazioni correlate è la paura, seguita da tensione, da percezione della testa che si fa dolorante, a mal di stomaco, ecc. I sintomi fisici traducono così i messaggi nervosi inviati dal cervello nelle varie aree del corpo.
Quando l’ansia diventa panico contestualmente trascina con sè la componente somatica. Il senso di soffocamento, l’aumento della sudorazione e della temperatura corporea, i disturbi del sonno, l’affaticabilità, la difficoltà a concentrarsi sono alcuni dei correlati somatici cui l’ansia può accompagnarsi.

L’attacco di panico è uno dei più diffusi disturbi d’ansia. Le persone colpite riportano esperienze di terrore intenso e improvviso che sfocia nella paura di perdere il controllo, di impazzire o di morire. Il timore di un nuovo attacco può arrivare a limitare la libertà del soggetto che può rifiutarsi di uscire di casa, di guidare, di avvicinarsi a tutte le situazioni potenzialmente ansiogene.

Un’altra forma di reazione d’ansia, che vede la persona centrata su oggetti specifici che tenta di evitare è la fobia. Alcune delle fobie più comuni condivise da un alto numero di persone sono ad esempi l’agorafobia (paura degli spazi aperti) e la claustrofobia (paura degli spazi chiusi).
Ogni esperienza fobica porta con sé il timore del confronto con l’oggetto o la situazione che può attivare l’ansia. Si mette in moto così l’anticipazione di un fatto che non si è ancora realizzato, ma è vissuto come se lo fosse. Ne consegue un evitamento della situazione-stimolo ed un successivo ritiro sul piano sociale.

Spesso le persone arrivano in studio quando percepiscono l’ansia come “anormale”, spropositata rispetto alla realtà, persistente anche in situazioni non stressanti o più semplicemente insensata.

L’angoscia è uno stato che può portare a risvegliare risorse interiori inimmaginabili che  altrimenti potrebbero rimanere imprigionate.
L’ansia e le sue forme possono sfidarci a percepire l’importanza del prenderci cura di noi. La paura in molte situazioni risulta moderata dall’apertura di uno spazio protetto in cui potersi fermare, guardarla e, nel tempo, vederla ridursi.
Decidere cosa fare delle nostre ansie può significare decidere quale atteggiamento assumere nei confronti della vita. E proprio lì, tra il silenzio e la parola, liberiamo le nostre emozioni nel cammino prezioso di apertura alla vita e della cura di sé.
Attraverso l’approccio terapeutico della Medicina Funzionale è possibile valutando lo stato psico-emozionale del paziente,  impostare un percorso di terapia che aiuti non solo a gestire al meglio il sintomo ma attraverso l’analisi arrivare a determinare le cause più nascoste che si manifestano attraverso lo stato ansioso.
Con l’applicazione della tecnica dell’agopuntura si può modulare il disturbo e riequilibrare l’assetto energetico del paziente portandolo a recuperare lo stato di benessere precedente l’insorgenza dell’ansia.

Dott. Mauro Piccini

LOW DOSE MEDICINE

Dalla seconda metà degli anni ottanta lo sviluppo dei concetti espressi dalla Psico-Neuro-Endocrino-Immunologia ( PNEI ) ha determinato un cambiamento di prospettiva nell’interpretazione delle funzioni biologiche dell’organismo umano, traslando da una visione di tipo organicistico a quella di network cellulare, per arrivare al riconoscimento dell’importanza del continuo cross-talk tra cellule, organi e sistemi sia in condizioni fisiologiche che patologiche focalizzando, infine, l’attenzione sul ruolo giocato dalle molecole messaggere ed aprendo così la strada a quella che sarebbe potuta essere una nuova soluzione in ambito terapeutico: l’uso delle stesse molecole messaggere come farmaci per riportare l’organismo ammalato alle sue originarie condizioni fisiologiche.

Negli anni successivi la ricerca nel campo della Fisiologia e della Biologia Molecolare ha fornito sempre maggiori prove del ruolo fondamentale di molecole come ormoni, neuropepdidi, citochine e fattori di crescita in tutti i processi fisiologici e patologici disegnando nuovi scenari in campo farmaceutico. Tuttavia, lo sviluppo di nuovi farmaci si è arenato sullo scoglio degli effetti collaterali che queste molecole mostrano quando utilizzate a dosaggi al di sopra della dose minima farmacologicamente attiva, cioè quella normalmente in uso.
Nei primi anni novanta, in Italia, si è sviluppato un nuovo trend, insieme farmacologico e, più in generale medico: la Low Dose Medicine che sfruttando il concetto omeopatico di preparazione dei rimedi è arrivata all’applicazione di tecniche farmaceutiche innovative dove si è riusciti ad abbassare notevolmente il grado di concentrazione delle preparazioni di citochine, ormoni, neuropepdidi osservando, dapprima con lavori di ricerca di base su cellule o modelli animali, e poi in trials clinici, che i bassissimi dosaggi producevano gli stessi effetti biologici, e dunque terapeutici, senza gli effetti collaterali ascrivibili alle alti dosi.
Dieci anni di ricerca scientifica nel campo della Low Dose Medicine hanno dimostrato la validità dell’approccio concettuale e, insieme , l’efficacia e la sicurezza dell’intervento terapeutico basato sulla somministrazione orale di basse dosi di citochine attivate. L’evidenza dei dati in letteratura scientifica sostiene questo approccio terapeutico ed è oramai lecito affermare che essa non sia più solo una teoria scientifica ma può rappresentare la base per un nuovo paradigma medico.

PREVENIRE L’OSTEOPOROSI

Da alcuni anni la carenza di vitamina D sta diventando un problema di massa colpendo non solo gli anziani o i giovani adulti ma anche e sempre di più i bambini.
Le variazioni ormonali, così come un’eventuale origine genetica sono fattori favorevoli ma non esclusivi nell’innescare il processo osteoporotico.
Anche la quantità di Calcio assunto con il cibo è sempre più che bastante per assicurare il corretto apporto quotidiano.
Sulla base di tutto ciò è inevitabile arrivare alla conclusione che le cause dell’osteoporosi siano individuate tra gli atteggiamenti alterati dello stile di vita e principalmente in un’alimentazione acidificante e in uno scarso uso del corpo dato da una ridotta attività fisica in tutte le età della vita.
Come azione di prevenzione o come mezzo correttivo vengono elencati alcuni punti utili .

1 ) SOLLECITARE L’ESPOSIZIONE SOLARE. Anche se una lunga esposizione estiva può agire da accumulo di vitamina D, esporre almeno il 30 % del corpo durante l’inverno si rivela importante per l’attivazione di questa vitamina.
2 ) CONTROLLO DEL PESO CORPOREO. Il sovrappeso è uno stimolo meccanico negativo per l’osso e l’eccesso di grasso porta ad un costante stato infiammatorio che è una delle basi di sottrazione di Calcio dalle ossa.
3 ) DIMINUIRE L’USO DI PROTEINE ANIMALI. Le proteine animali, anche quelle del latte,  hanno bisogno di un ambiente acido per essere digerite e questo porta ad attivare i Sistema Tampone per mantenere costante il ph del sangue , che è alcalino , e dei tessuti. Dopo i bicarbonati il Calcio è il tampone più efficace, a scapito della resistenza dell’osso.
4 ) SVOLGERE ATTIVITA’ FISICA. Il movimento fisico, non solo quello sportivo, è molto importante per mantenere il Calcio nelle ossa.
5 ) LIMITARE L’ASSUNZIONE DI CORTISONE E DI FANS. L’azione di questi farmaci è certamente deleteria per le ossa. Sono farmaci indispensabili in certe situazione e necessità ma molto spesso possono essere sostituiti con rimedi privi di questo forte effetto collaterale.
6 ) CORRETTO UTILIZZO DELL’INTESTINO. L’infiammazione cronica della mucosa intestinale riduce l’assorbimento del Calcio presente nei cibi.
7 ) LIMITARE CAFFE’ E CAFFEINA. La caffeina e l’acido fosforico contenuto in molte bevande gassate  e zuccherate ( Coca Cola e simili ) sottraggono Calcio alle ossa. Fondamentale eliminare questi prodotti dall’alimentazione dei giovani e bambini se si vuole  attuare una prevenzione primaria.
8 ) ELIMINARE IL FUMO. All’azione indiretta del consumo di antiossidanti si associa quella diretta di elemento acidificante, nocivo per l’osso.
9 ) RIDURRE IL CONSUMO DI SALE. Un eccesso di Sodio favorisce il distacco del Calcio dalle ossa. Non si dovrebbero superare i 5-6 grammi di sale al giorno.
10 ) RIDURRE L’ASSUNZIONE DI ALCOOL. Tutti gli alcolici interferiscono con l’assunzione del Calcio.
L’approccio della Medicina Funzionale permette di intervenire sulla maggior parte dei fattori scatenanti aiutando il paziente a ritrovare un peso forma, ristabilendo la funzione dell’intestino, diminuendo l’uso di farmaci ed impostando un’alimentazione ed una terapia deacidificante l’organismo.

 

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