ACIDOSI METABOLICA: IL PROBLEMA

ACIDOSI METABOLICA: IL PROBLEMA

L’importanza dell’equilibrio acido-base

L’equilibrio del pH del sangue e dei tessuti è uno dei meccanismi biochimici più delicati e rilevanti per l’organismo umano. L’importanza del valore del pH è legata alla sua capacità di controllare la velocità delle reazioni biochimiche nel corpo. Una diminuzione del pH  del sangue e/o della matrice extracellulare può causare sofferenza o perfino malattia, nella misura in cui i processi fisiologici messi in atto dall’organismo non riescono a compensare lo squilibrio in atto.

Il corpo si mantiene in salute fino a quando l’intero sistema di regolazione del pH possiede minerali alcalinizzanti, vitamine, antiossidanti per tamponare lo scompenso ed eliminare gli acidiprodotti dal normale metabolismo cellulare. L’organismo umano sano è in grado di preservare questo stato di allostasi, attraverso una serie di interventi biochimici di riadattamento continuo.

Acidosi Metabolica: effetti

Quando questo complesso sistema si altera, possono manifestarsi i primi danni da Acidosi Metabolica: inizialmente a livello cellulare, per poi estendersi a macchia d’olio, coinvolgendo altri tessuti e organi, vasi sanguigni, fibre nervose e il sistema immunitario.

Se il processo degenera e non si attivano opportuni  interventi terapeutici, si giunge quindi a uno stato pre-patologico di Acidosi Tissutale cronica.

Una condizione di Acidosi Metabolica favorisce, inoltre, l’insorgenza di numerose malattie.

Acidosi Metabolica nelle donne

Sotto il profilo fisiologico le donne sono apparentemente svantaggiate rispetto agli uomini, in quanto con il ciclo vanno incontro a un’acidificazione periodica che raggiunge un picco nei giorni precedenti le mestruazioni.
L’alto livello di acidi nell’organismo è responsabile dell’insieme di disturbi noto come Sindrome Premestruale (irritabilità, depressione, edema, etc.). Con le mestruazioni si ha l’eliminazione degli acidi e la scomparsa graduale dei sintomi premestruali. Fintanto che la donna è in età fertile, pertanto, si assiste a una acidificazione/deacidificazione periodica. Con l’arrivo della menopausa e la scomparsa delle mestruazioni viene a mancare il meccanismo di deacidificazione e si instaura uno stato di acidosi costante, di cui le vampate di calore rappresentano la tipica espressione.

L’acidificazione periodica femminile spiega la loro maggiore predisposizione tanto alle patologie infettive e infiammatorie (soprattutto dell’apparato genito-urinario, ma non solo), quanto alle malattie autoimmuni. In compenso, però, il loro organismo sviluppa maggiori difese immunitarie di cui invece gli uomini risultano sprovvisti, pagando un tributo maggiorein caso di Acidosi persistente.

Acidosi Metabolica: due forme

La condizione di Acidosi Metabolica si manifesta, quindi, quando i meccanismi di compenso  dell’organismo umano perdono di efficacia. È possibile distinguere due tipologie:

  • Acidosi Metabolica grave che si accompagna a una riduzione del pH del sangue e di conseguenza a quadri clinici di rischio vita;
  • Acidosi Metabolica latente-persistente, forma più lieve e subdola, se il pH del sangue registra soltanto un lieve calo e che nel tempo può portare allo sviluppo di malattie degenerative, autoimmuni o neoplastiche.

Acidosi Metabolica: i valori del pH

Il pH è espresso da un numero in una scala da 0 a 14, dove 7 è il neutro e i valori inferiori e superiori indicano un ambiente rispettivamente acido e alcalino (o basico). Il pH del sangue viene costantemente mantenuto intorno a un valore neutro-basico di 7,4 con oscillazioni comprese tra 7,36 e 7,46. Se scende sotto un valore di 7,10 subentra il coma fino ad arrivare, nei casi più gravi, alla morte.

Cause di alterazione del pH

La cellula è assimilabile a una pila, il cui polo positivo, più ricco in ioni idrogeno e quindi acido, è rappresentato dal nucleoe quello negativo, circostante e basico, è delimitato dalla membrana cellulare (il citoplasma), in cui avvengono i processi chimici grazie ai quali la cellula si mantiene in vita, svolge le funzioni a cui è preposta e interagisce con le sue simili. La cellula a sua volta è circondata dalla matrice extracellulare, tramite la quale può ricevere e scambiare sostanze con l’ambiente esterno, con il sangue e con le cellule vicine.

Come le pile, anche le cellule hanno una differenza di potenziale, che si genera sia tra il nucleo e il citoplasma, sia tra il versante interno e quello esterno della membrana cellulare. Inoltre, tutto l’insieme delle reazioni chimiche endocellulari, a cui ci riferiamo genericamente quando parliamo di metabolismo, richiedono consumo di energia, producono rifiuti di vario tipo e comportano, inevitabilmente, un cambiamento temporaneo delle cariche elettriche e quindi del pH.

Estendendo questo concetto all’intero organismo, senza considerare momentaneamente le prerogative di alcuni specifici tessuti – il pH della pelle e dell’ambiente vaginale, per esempio, è notoriamente acido al fine di svolgere una funzione di barriera difensiva – si comprende come il pH ematico sia, in ogni istante, il risultato di un bilanciamento continuo tra tutto ciò che avviene in ogni distretto corporeo.

processi biochimici fisiologici che permettono la vitalità della cellula, inoltre, determinano la formazione di composti acidi; a questi si aggiungono quelli introdotti attraverso l’alimentazione e quelli prodotti da eventuali reazioni infiammatorie in atto.

I sistemi tampone dell’organismo

Il principale tampone è rappresentato dai bicarbonati, presenti in tutti i liquidi organici e in grado di attivarsi in frazioni di secondo. Quando però occorre una regolazione del pH più incisiva entrano in gioco due sistemi:

  • il sistema polmonare, rapido, in grado di agire nell’arco di un paio d’ore e consentire di smaltire il 70% degli ioni idrogeno, eliminandoli sotto forma di anidride carbonica;
    • il sistema renale, capace di operare in modo molto più efficace, soprattutto durante il riposo notturno, ma anche molto più lento. Quando i bicarbonati si esauriscono, il rene li recupera dai muscoli, il che spiega l’insorgenza dei crampi. Una volta consumata anche questa fonte, per evitare di danneggiare il miocardio, il rene “preleva” i bicarbonati dal tessuto osseo, che viene esposto così a un processo di demineralizzazione e quindi indebolimento osteoporosi. Una riduzione del pH del sangue di solo 0,1 è sufficiente a far raddoppiare la velocità del riassorbimento osseo.

Attraverso il sistema polmonare e l’espulsione di CO2 si eliminano gli acidi derivanti dal metabolismo di carboidrati e grassi (acidi “volatili”), mentre il sistema renale è deputato allo smaltimento degli acidi provenienti dal metabolismo proteico (acidi “fissi”).

Acidosi Metabolica: i rischi

Le conseguenze patologiche della Acidosi Metabolica latente, non sono solo l’osteoporosi e le altre malattie demineralizzanti.  Quando l’organismo umano si trova costantemente in una condizione di iperacidificazione e scompenso si manifestano, soprattutto, una serie di affezioni croniche dovute a una degenerazione a livello tissutale: alterazioni immunitarie, processi flogistici degenerativi e neoplasie.

I processi di acidificazione cronica determinano il passaggio della matrice extracellulare – nella quale si trovano Capillari, Fibre Nervose, Cellule Immunocompetenti, Fibroblasti, Mastociti, i GAGs, i PGs, Collagene, Elastina, Laminina, Fibronectina, etc. – da “SOL” a “GEL”. Con la trasformazione progressiva in GEL della matrice le reazioni enzimatiche vengono ostacolate, i prodotti di scarto rimangono intrappolati e si instaura quindi uno stato di infiammazione cronica. Inoltre, l’alterazione delle vie biochimiche e della comunicazione tra i vari ceppi cellulari che ne deriva mette in  una condizione di sforzo compensatorio le pompe protoniche di membrana, con conseguente vasocostrizione capillare ed ipossia

L’Acidosi Metabolica latente determina anche l’alterazione della permeabilità intestinale (Leaky Gut Syndrome) con conseguente diminuzione della sua capacità di permeabilità selettiva e, quindi, sovraccarico del sistema immunitario delle Placche di Peyer e perdita della sua efficienza. Questa maggiore penetrabilità permette a tossine, batteri, funghi e parassitidi superare la barriera protettiva ed entrare nel flusso circolatorio. Se la quantità di queste sostanze supera la normale capacità detossificante del fegato, si creano i presupposti per il manifestarsi di varie sintomatologie e malattie più gravi.

da www.acidosimeteabolica.it

DURA PRESA DI POSIZIONE DELLE ASSOCIAZIONI DI OMEOPATIA NEI CONFRONTI DELLA FEDERAZIONE ORDINI DEI MEDICI

Autori: Redazione di LibriOmeopatia.it

Dura presa di posizione delle Associazioni di Omeopatia nei confronti della federazione ordini dei medici
Comunicato stampa emesso da:
AMIOT – Associazione Medica Italiana di Omotossicologia
APO – Associazione Pazienti Omeopatici
COII – Centro Omeopatico Italiano Ippocrate
FIAMO – Federazione Italiana Associazioni e Medici Omeopati
LUIMO – Ass per la Libera Università Internazionale di Medicina Omeopatica “Samuel Hahnemann”
OMEOMEFAR – Associazione Medici e Farmacisti Omeopati
SIOMI – Società Italiana di Omeopatia e Medicina Integrata
SMB – Società Medica Bioterapica Italiana
SIOV – Società Italiana di Omeopatia Veterinaria

CORTOCIRCUITO DELLA FEDERAZIONE ORDINI DEI MEDICI: OMEOPATIA SOLO EFFETTO PLACEBO? SECONDO GLI ESPERTI, SOLO FALSITA’ ANTISCIENTIFICHE E PREGIUDIZIO

Tutte le Società scientifiche italiane che si occupano di Medicina non convenzionale e Complementare manifestano assoluto dissenso in merito alla nuova scheda pubblicata dal sito “dottoremaeveroche.it” – l’iniziativa contro le bufale online della FNOMCeO – Federazione degli Ordini dei Medici Chirurghi e Odontoiatri – secondo cui “l’omeopatia non ha alcuna base scientifica e gli effetti riportati da chi la usa sono con buona probabilità dovuti all’effetto placebo”.

“Un’iniziativa in linea generale utile – dichiarano i professionisti iscritti all’Albo dei Medici ed esperti in medicine complementari e omeopatia – ma che nello specifico pone sullo stesso piano l’effetto placebo con una pratica, l’omeopatia, che è invece fin dal 2002 definita come ‘atto medico’ dalla stessa Federazione Nazionale degli Ordini dei Medici.

Peraltro – precisano i Medici – la pagina sull’omeopatia del sito dottoremaeveroche.it è stata redatta da sedicenti esperti che in realtà non hanno alcuna esperienza in Medicine complementari, come si evince anche dalla bibliografia di riferimento, risibile e già ampiamente screditata in passato: “Stupisce – sostengono i Presidenti delle associazioni scientifiche di settore – che la Federazione degli Ordini dei Medici si affidi a dei soggetti privati, per giunta non qualificati, per la redazione di una pagina informativa su un sistema di salute adottato con soddisfazione da 7 milioni di italiani e da decine di milioni di Europei” (1)

Sia il Parlamento Europeo (2) che il Consiglio d’Europa (3) hanno chiesto di “assicurare ai cittadini la più ampia libertà di scelta terapeutica e il più alto livello d’informazione sull’innocuità, qualità ed efficacia di tali medicine, invitando gli Stati membri a regolarizzare lo status delle Medicine complementari in modo da garantirne a pieno titolo l’inserimento nei Servizi sanitari nazionali”.

Inoltre, non è affatto vero che non esistono prove scientifiche di efficacia a sostegno dell’omeopatia: gli studi rintracciabili sulla banca dati medica PubMed che ne dimostrano la maggior efficacia rispetto al placebo – dichiarano i Medici – “sono pubblicati in numero significativo (4), anche su riviste scientifiche a medio e alto impatto, tanto che anche anche la prestigiosa Cohrane Collaboration dedica un sito specifico dedicato a queste discipline” (5)

Quest’attacco avviene peraltro proprio nei giorni in cui viene pubblicato online un database (6) che raccoglie più di 1.000 studi scientifici sull’efficacia dell’omeopatia, pubblicati su riviste nazionali ed internazionali, presentato al Presidente FNOMCeO e all’Esecutivo della Federazione in occasione di un incontro che si è tenuto a Roma il 3 maggio scorso, incontro a margine del quale la stessa FNOMCeO con un proprio comunicato stampa (7) ha dichiarato di “voler chiedere rispetto per tutti i medici, e di sostenere le Società scientifiche di Omeopatia nel chiedere all’Istituto Superiore di Sanità di aprire un tavolo di confronto per una revisione della letteratura scientifica e delle evidenze disponibili in materia”.

“Invece che adeguarci alla civilissima Svizzera – precisano i Presidenti delle società scientifiche di settore – dove il Consiglio Federale dopo anni di approfondimenti e verifiche ha deliberato la piena rimborsabilità delle Medicine Non Convenzionali/complementari (8) proseguiamo con questa assurda caccia alle streghe basata su pregiudizi anti-scientifici”.

Le sigle congiunte fanno quindi appello al Dott. Filippo Anelli, Presidente FNOMCeO, affinché nel rispetto dei principi Costituzionali sulla libertà di cura, chiarisca i contenuti di queste affermazioni che creano un “cortocircuito” rispetto a quanto deliberato dal Consiglio Nazionale della Federazione in data 19 maggio 2002, delibera che classifica a tutti gli effetti l’esercizio dell’omeopatia come “atto medico”, orientamento peraltro largamente condiviso negli altri Paesi Europei.

NOTE E LINK multimediali:
(1) Dati Eurispes 2017
(2) Risoluzione n. 75/97
(3) Risoluzione n. 1206/99
(4) Evidenze scientifiche di efficacia in Medicina omeopatica – 1.101 studi pubblicati/indicizzati dal 1949 a oggi, tra cui:
– Revisioni sistematiche con meta-analisi: 16 (Gold Standard)
– Revisioni sistematiche qualitative: 56 (Gold Standard)
– Studi RCT (Randomized Control Trials): 260 (Gold Standard)
– Studi in Agro omeopatia: 113
– Studi osservazionali: 126
– Case report: 41
– Veterinaria : 111
– Ricerca di base (chimico-fisica): 152
– Ricerca di base (pre-clinica): 216
(5) Sezione del sito Cochrane sulle MNC/MC
(6) Database sulle prove scientifiche di efficacia MNC/MC
(7) CS FNOMCeO
(8) Svizzera e omeopatia

DOTTORE, MA E’ VERO CHE?

Lettera aperta del prof. Paolo Bellavite al Presidente FNOMCEO, dr. Filippo Anelli

Egregio Presidente, ho letto sul sito collegato con quello della FNOMCEO, alle pagine “Dottore ma è vero che?” un articolo del dr. Salvo Di Grazia intitolato “L’omeopatia ha effetti scientificamente dimostrati?”

Mi occupo di scientificità dell’omeopatia da circa 30 anni assieme ad altri docenti universitari italiani ed esteri ed ho avuto occasione di collaborare con la FNOMCEO proprio su tale argomento, svolgendo la relazione magistrale al convegno nazionale del 2002 a Terni sulle medicine non convenzionali. Il dr. Del Barone, in tale occasione mi inviò una lettera di particolari ringraziamenti e complimenti. Sotto la presidenza del dr. Fazzini, ho poi collaborato con l’Ordine provinciale di Verona nell’ambito dell’Osservatorio per le Medicine Complementari, iniziativa comune della facoltà di Medicina e dell’Ordine stesso.

Pertanto, spero mi sia consentito fare alcuni commenti sul testo del dr. Di Grazia, che viene presentato addirittura come un argomento “anti-bufale”. Vi ho rilevato delle notevoli inesattezze, per non dire degli errori madornali, che potrebbero indurre in errore i lettori che ivi cercassero una parola chiara e ben documentata su tale bicentenaria disciplina medica. Commenterò direttamente i punti del testo, il cui originale è riportato tra virgolette.

Scrive Di Grazia: “Cos’è l’omeopatia? L’omeopatia è una pratica inventata nell’Ottocento da un medico tedesco, Samuel Hahnemann, che sostiene si possa stimolare la forza vitale dell’organismo per raggiungere la guarigione dalle malattie. Questa pratica si basa sulla teoria dei simili (“il simile cura il simile”), secondo cui per curare un sintomo bisognerebbe assumere una sostanza che ne provochi uno affine (un bruciore si dovrebbe trattare con una sostanza che provoca ugualmente bruciore, come il peperoncino; l’insonnia, con una sostanza che provoca insonnia, come il caffè, e così via). Il secondo elemento su cui si basa l’omeopatia è la diluizione. Il principio attivo quindi viene diluito diverse volte in acqua o alcol e poi spruzzato su globuli di zucchero (o in soluzioni liquide). Per gli omeopati, anche se una sostanza non esiste più a livello chimico, l’acqua nella quale è diluita “ricorda”, per una sorta di “memoria” le caratteristiche di quella sostanza. Più la sostanza di partenza è diluita e più, sempre secondo le teorie alla base dell’omeopatia, sarebbe potente. Per attivare il preparato sarebbe infine necessario lo scuotimento, per decine di volte, del flacone che contiene la soluzione omeopatica (questa procedura si chiama “succussione” o “dinamizzazione”). La diluizione dei preparati omeopatici è talmente elevata (da poche diluizioni a centinaia o migliaia) da non avere più traccia del principio attivo di partenza nel prodotto finale. D’altronde, per legge, un prodotto per essere venduto come omeopatico non deve contenere più di un centesimo della più piccola dose utilizzata nelle medicine prescrivibili, e quindi, per legge, non può essere venduto un prodotto che contenga un dosaggio di principio attivo farmacologicamente efficace.”

Commento (PB): La teoria dei simili è qui ricordata in sommi capi, correttamente, senza però citare il fatto che ha origini nella medicina ippocratica e che tale principio farmacologico funziona in moltissime situazioni fisiopatologiche, allorché una sostanza con effetti patogeni viene diluita in modo che stimoli la reazione del corpo o della cellula. Il principio della similitudine è stato dimostrato valido persino dalla medicina “ufficiale” sia con la cosiddetta farmacologia paradossale (es. i beta-bloccanti che funzionano nello scompenso cardiaco), sia nell’immunologia (es. l’immunoterapia specifica delle allergie). Per quanto riguarda la diluizione/dinamizzazione, tutti sanno quanto sia facile ridicolizzare la famosa “acqua fresca” sulla base del senso comune. Purtroppo per i detrattori, non si tratta solo di una “teoria”, ma è sperimentalmente DIMOSTRATA da decine e decine di evidenze sperimentali di laboratorio e fisico-chimiche. Anche gli studenti del liceo sanno che quando una teoria (“omeopatia=acqua fresca”) cozza contro l’esperimento, la teoria va abbandonata e l’esperimento è la base di una nuova teoria. Tutto ciò si trova in letteratura. Ma, a prescindere dalla fiducia o meno nella scienza sperimentale galileiana (è possibile che un medico-blogger non sia ancora aggiornato), nel pezzo del Di Grazia è contenuta una grave FALSITA’ là dove sostiene che “un prodotto per essere venduto come omeopatico non deve contenere più di un centesimo della più piccola dose utilizzata nelle medicine prescrivibili e quindi, per legge, non può essere venduto un prodotto che contenga un dosaggio di principio attivo farmacologicamente efficace”. Tale concetto stravolge non solo la logica scientifica (il fatto che un prodotto sia diluito 100 volte più di un medicinale “prescrivibile” non significa che sia inefficace!) ma persino la lettera della legge,. Infatti, la legge sui medicinali omeopatici non dice affatto questo! Essa dice che i medicinali devono essere diluiti (questo si), ma non si pronuncia sulla dose del principio attivo e men che meno sulla sua efficacia. Esistono dei medicinali omeopatici, anzi sono la maggior parte di quelli sul mercato, che contengono dosi ponderali di principi attivi e che sono stati dosati precisamente. Ad esempio, noi abbiamo usato il Gelsemium sempervirens e l’Arnica montana, certo efficaci in modelli sperimentali di laboratorio alla diluizione/dinamizzazione 5CH; tali prodotti contengono miliardi di molecole di gelsemina o sesquiterpeni rispettivamente, i noti principi attivi delle piante. Il testo del Di Grazia da voi pubblicato non è aggiornato sulla letteratura ed è errato anche nella lettera della legge, quindi è gravemente fuorviante per i lettori e i colleghi.

Scrive Di Grazia: “L’omeopatia funziona? Sebbene vi siano pubblicazioni di vari studi, allo stato attuale non ci sono prove scientifiche né plausibilità biologica che dimostrino la fondatezza delle teorie omeopatiche (quella dei simili, la succussione o l’utilità delle diluizioni per potenziare i rimedi) secondo i canoni classici della ricerca scientifica. Infatti, diversi studi condotti con una metodologia rigorosa hanno evidenziato che nessuna patologia ottiene miglioramenti o guarigioni grazie ai rimedi omeopatici. Nella migliore delle ipotesi gli effetti sono simili a quelli che si ottengono con un placebo (una sostanza inerte). D’altra parte sarebbero numerose le testimonianze personali che riferiscono di successi terapeutici dovuti all’omeopatia, ma questi potrebbero essere facilmente spiegabili con l’effetto placebo, con il normale decorso della malattia o con l’aspettativa del paziente. L’effetto placebo è conosciuto da tempo, ha una base neurofisiologica nota e funziona anche su animali e bambini, ma il suo uso in terapia è eticamente discutibile e oggetto di dibattito. D’altra parte, i presunti meccanismi di funzionamento dell’omeopatia sono contrari alle leggi della fisica e della chimica. Anche l’annuncio di un ricercatore francese di aver scoperto una prova dell’esistenza della “memoria dell’acqua”, nel 1988, venne smentito da un esperimento di controllo, mentre i suoi risultati non sono mai più stati riprodotti da altri laboratori. Lo studio, pubblicato su un’importante rivista scientifica, fu quindi ritirato. L’uso dell’omeopatia è un’abitudine molto limitata e in continua diminuzione, rappresenta infatti meno dell’uno per cento dei prodotti venduti in farmacia in Italia.”

Commento (PB): Innanzitutto si deve rilevare un grave difetto metodologico: quando la domanda è se un farmaco, o un metodo clinico, funziona, la risposta non si deve spostare sul meccanismo d’azione ma deve concernere le PROVE CLINICHE. Di questo il Di Grazia non parla. L’annosa storia della “memoria dell’acqua”, qui reiteratamente presentata in modo falso e fuorviante (ignorando tutte le prove biologiche e fisico-chimiche a favore, pubblicate da decine di gruppi tra cui almeno quattro di università italiane: Verona, Bologna, Napoli, Firenze), non ha nulla a che fare con la questione dell’efficacia clinica del medicinale. Questo vale per tutta la farmacologia e spiace doverlo ricordare proprio a chi si è fatto paladino della “medicina basata su prove di efficacia” (EBM). Inoltre, anche se si parla del “placebo”, bisogna fornire la PROVA, non basta dire la propria (facile) opinione basata sul senso comune. Nessuno (ovviamente) esclude che vi possa essere un effetto placebo, come in tutte le terapie mediche. Ma l’omeopatia NON E’ SOLO PLACEBO. Di fatto, l’ipotesi del placebo è stata confutata da innumerevoli articoli e quello famoso del Lancet del 2005, dove si assimilava l’omeopatia al placebo, non conteneva affatto tale prova. La conclusione tanto reclamizzata è stata poi smentita tre volte da esperti di epidemiologia. Infine, non è affatto vero che lo studio del 1988 fu “ritirato”. Semplicemente non è vero. Non so cos’altro si potrebbe rispondere a tali errori storici e metodologici, se non che quando uno non conosce la storia, dovrebbe astenersi dal commentarla.

Scrive Di Grazia: “L’omeopatia è sicura? Essendo una terapia basata su sostanze in quantità infinitesimali o inesistenti non vi sono rischi di effetti collaterali o pericolosi, ma sono comunque riportati eventi avversi gravi dovuti a errori di fabbricazione o contaminazione. Curare con la sola omeopatia malattie serie può inoltre esporre a problemi ulteriori, anche gravi, perché può ritardare il ricorso a medicine efficaci e curative.”

Commento (PB): Questa opinione è, nella prima parte, sbagliata e pericolosa. Infatti, non essendo vero che i prodotti omeopatici contengono sempre dosi “infinitesimali” (anzi, la maggior parte dei prodotti omeopatici contiene dosi ponderali di sostanze), non è neppure vero che non possono esservi effetti collaterali. Ma pure i medicinali in alte diluizioni/dinamizzazioni, essendo (contrariamente a quanto sostiene il Di Grazia) farmacologicamente attivi possono creare problemi se mal prescritti e soprattutto se auto-prescritti per molto tempo. Certo che l’uso scriteriato dell’omeopatia può “ritardare il ricorso a medicine efficaci”, ma questo problema riguarda qualsiasi uso scriteriato di qualsiasi farmaco, compresi gli antibiotici dati in eccesso per malattie virali o gli antidolorifici dati per calmare la cefalea in caso di tumori del cervello.

Scrive Di Grazia: “Come comportarsi e quali limiti? In Italia l’omeopatia può essere praticata solo da medici chirurghi abilitati alla professione. Questa norma non intende attribuire una base scientifica a questa pratica, ma solo garantire da una parte il diritto alla libertà di scelta terapeutica da parte del cittadino e dall’altro un uso integrativo e limitato alla cura di disturbi poco gravi e autolimitanti, evitando il rischio di ritardare una diagnosi più seria o che il paziente stesso sia sottratto a cure di provata efficacia. In ogni caso, il medico deve specificare che il prodotto non agisce su basi scientificamente provate e raccogliere il consenso da parte del cittadino, secondo quanto prescritto dall’articolo 15 del Codice di Deontologia Medica.”

Commento: Un approccio prudenziale è ovviamente corretto, ma qui si nasconde un’ulteriore falsità, “invenzione” dell’autore. Dove risulta che il medico “deve specificare che il prodotto non agisce su basi scientificamente provate”? Di fatto tale idea del Di Grazia non c’è in alcun documento della Federazione, né nel codice deontologico. Il dr. Di Grazia, non sapendo o non volendo ammettere che le basi dell’omeopatia sono scientificamente provate, si inventa persino cosa dovrebbe specificare il medico nel richiedere il consenso informato. Un medico che “specificasse” tale assurdità sarebbe semplicemente folle e, allora si, colpevole di malapratica. Pare persino impossibile che nel sito della FNOMCEO si possa leggere una panzana del genere. Forse l’autore confonde la pratica della medicina con l’etichetta del medicinale, là dove sta scritto che esso è stato registrato senza le prove di efficacia convenzionali (nel caso della registrazione cosiddetta “semplificata”, prevista per legge). Il che non significa, comunque, che non sia efficace o non ci siano prove scientifiche delle sue basi teoriche. Se uno fosse minimamente documentato, saprebbe che la registrazione “semplificata” degli omeopatici (una delle due procedure possibili ed in corso attualmente presso AIFA) è una “deroga” prevista dalla normativa europea. Forse vale la pena ricordare che tale deroga, curiosamente, si applica anche alla registrazione dei… vaccini!

“Cosa dice la Legge?” e “Cosa dice il Codice Deontologico?” Questi capitoletti non necessitano di alcuna replica perché non fanno che riferire le normative vigenti, fortunatamente senza commenti del dr. Di Grazia.

In conclusione, l’idea di fornire informazioni accessibili e scientificamente corrette è sicuramente lodevole, purché non si tramuti in censura delle opinioni diverse e soppressione del dibattito in medicina. Per non essere “sepolti” dalle bufale è importante affidarsi a persone veramente esperte della materia.

Mi consenta di finire con una battuta. Avete scelto di affidare l’argomento non ai cultori della materia (omeopati, o ricercatori nel campo) ma ad un ginecologo, blogger ed esperto cacciatore di bufale. Potrebbe sembrare una buona idea, ma… attenzione ai “boomerang”: chi è tanto esperto a smascherare le bufale potrebbe essere altrettanto esperto a confezionarle.

“GLUTEN SENSIVITY NON CELIACA”: UNA DELLE CAUSE PIU’ FREQUENTI DELL’IBS

“GLUTEN SENSIVITY NON CELIACA”: UNA DELLE CAUSE PIU’ FREQUENTI DELL’IBS

Fino a pochi anni fa la sindrome del colon irritabile (IBS) era spesso considerata una malattia a sfondo funzionale, dovuta a particolari caratteristiche emotive. Poi i lavori del 2008 di Shulman (1) hanno evidenziato nella sindrome la partecipazione di fatti infiammatori del colon in modo più evidente e documentato di quanto lo fossero gli aspetti di disagio emotivo.

L’infiammazione colica dovuta al glutine è oggi confermata come una delle più frequenti cause di questa condizione che, almeno in Europa, è riferita come problema dominante nel 12% delle visite con il medico di base e nel 28% dei consulti con lo specialista gastroenterologo. L’IBS trova quindi spiegazioni di tipo immunologico e infiammatorio sempre più consistenti, legate all’infiammazione dovuta al cibo. Per anni, di sensibilità al glutine non celiaca si è semplicemente evitato di parlare, nonostante i continui richiami provenienti da chi si occupava di nutrizione applicata. I primi lavori di Sapone(2) e di Biesiekiersky (3), che nel 2011 hanno definito l’esistenza di questo disturbo, hanno ipotizzato che la prevalenza della reattività glutinica potesse aggirarsi intorno al 6-10% delle persone sane, ma le successive acquisizioni hanno proposto percentuali più elevate, tanto che il British Medical Journal (BMJ), nel novembre 2012 (4) indicava una prevalenza anche del 25% tra la popolazione apparentemente sana. Di certo, le ricerche di Carroccio (5) hanno evidenziato una crescita dei valori di anticorpi antigliadina sia di tipo IgA sia di tipo IgG in chi si lamenta di “colon irritabile” e soprattutto ha identificato una risposta alla introduzione del glutine (test in doppio cieco randomizzato, crossover) in circa un terzo dei casi valutati (29,5%).  Secondo il BMJ, le persone che hanno disturbi intestinali ed extraintestinali legati all’assunzione di glutine e che non sono né celiaci (biopsia) né allergici al frumento (IgE), dovrebbero essere messi a dieta sui derivati glutinici, con una diagnosi di “Gluten sensitivity non celiaca” e devono essere avvisati che si tratta di una entità clinica di recente scoperta di cui va ancora perfezionata la completa comprensione. A fronte di chi cerca di difendere il glutine addossando la responsabilità ai fruttani rintracciabili comunque nei prodotti con glutine (6), c’è chi come noi, sulla base delle teorie evoluzionistiche, propone una dieta di rotazione che consente di guarire la condizione clinica favorendo il recupero della tolleranza.

1) Shulman RJ et al, J Pediatr. 2008 Nov;153(5):646-50. Epub 2008 Jun 9
2) Sapone A et al, BMC Med. 2011; 9: 23. Published online 2011 March 9. doi: 10.1186/1741-7015-9-23
3) Biesiekierski JR et al, Am J Gastroenterol. 2011 Mar;106(3):508-14; quiz 515. Epub 2011 Jan 11
4) Aziz I et al, BMJ. 2012 Nov 30;345:e7907. doi: 10.1136/bmj.e7907
5) Carroccio A et al, Am J Gastroenterol. 2012 Dec;107(12):1898-906. doi: 10.1038/ajg.2012.236. Epub 2012 Jul 24
6) Sanders DS et al, Am J Gastroenterol. 2012 Dec;107(12):1908-12. doi: 10.1038/ajg.2012.344

Da Nutrizione 33

FITOTERAPIA IN ONCOLOGIA

fitoterapia

In Italia, si calcola che circa il 15-25 % dei pazienti oncologici fa ricorso a terapie non convenzionali e tra queste principalmente alla fitoterapia; negli USA tale percentuale supera il 50%.
Il paziente oncologico, colto da ansia e disperazione, alla ricerca di speranze insieme ai suoi famigliari, è tentato di affidarsi a qualsiasi cosa gli venga presentata come utile a risolvere il suo problema, anche se non di comprovata efficacia e priva di fondamento.
Su questa scia si può giungere all’uso delle erbe officinali sotto forma di automedicazione, seguendo consigli di persone non qualificate che attingono a preparati della medicina popolare spesso privi di qualsiasi presupposto scientifico, di verifiche sulla qualità e la sicurezza e soprattutto, della valutazione di compatibilità con altre terapie in atto.
D’altro canto la ricerca scientifica in campo oncologico ha compiuto notevoli passi in avanti e molti dei principi farmacologici oggi usati sono derivati da piante. Si calcola che oltre il 60% dei farmaci in commercio non sia altro che la riproduzione sintetica di molecole già esistenti in natura nelle piante. Sempre più spesso dei preparati fitoterapici vengono usati in protocolli ufficiali affiancando altri mezzi terapeutici, allo scopo di potenziare questi ultimi o di ridurne gli effetti collaterali e tossici.
In un’ottica di integrazione, molti Istituti Oncologici affiancano ormai terapie naturali, soprattutto la fitoterapia, ai mezzi tradizionali di cura: famoso il Memorial Sloan Kettering Cancer Center di New York, ma anche in Italia c’è grosso fermento in tal senso tanto che si è giunti da poco ad costituire l’ARTOI, associazione di medicina oncologia integrata.
Tale indirizzo non segue mode preconcette, non è il tentativo di dare risposta a desideri di pazienti che spesso non sanno più a che santo votarsi, bensì rappresenta la naturale evoluzione di una ricerca in campo epidemiologico, preclinico e clinico, va nella stessa direzione.

UTILIZZO DELLE PIANTE OFFICINALI IN ONCOLOGIA

Possiamo distinguere i seguenti scopo terapeutici:

Piante ad azione immunostimolante
Sono tante oramai le piante individuate, scientificamente studiate e convalidate per questa azione, In campo oncologico si tratta di scegliere quelle giuste in rapporto ai casi clinici specifici, individuandone modi e tempi ottimali per la loro somministrazione.

Piante ad azione chemiopreventiva
Molte piante sono risultate utili nell’inibire i fattori di crescita tumorale, altre nell’ostacolare la degenerazione di cellule sane sottoposte all’azione di sostanze cancerogene soprattutto alimentari, altre ancora nello stimolare l’apoptosi di cellule già rese maligne.

Piante ad azione di sostegno
 Il paziente oncologico presenta di solito un quadro clinico caratterizzato non solo dai sintomi propri della neoplasia che lo affligge, ma anche da altre patologie che direttamente o indirettamente ad essa possono correlarsi. Molti sono i principi fitoterapici che in tali situazioni possono risultare utili da non aggravare, per gli effetti collaterali, protocolli terapeutici di per sé già molto pesanti.

Piante ad azione potenziante o protettiva di altri mezzi terapeutici
 Sono molte le piante che sono state studiate e, risultano utilissime, non solo per alleviare gli effetti collaterali e tossici della chemioterapia e della radioterapia, ma anche per potenziarne l’effetto in forma mirata tanto da poter ridurre dosi e tempi terapeutici.

Piante ad azione citotossica diretta
Molte piante sono state studiate e altre ancora, a tutt’oggi, sottoposte ad interessanti studi per validarne un effetto citotossico diretto nei confronti delle cellule tumorali. Alcune di esse vengono usate come tali, altre forniscono la base per l’estrazione di principi semisintetici, spesso se ne concretizza un uso sinergico.

Si calcola che esistono circa 600.000 specie vegetali sulla Terra e, di queste, solo il 5% è stato studiato dal punto di vista chimico e farmacologico; molto c’è da fare dunque, ma ciò non toglie che quel poco che si è fatto ha già portato ad interessanti e validi risultati. La strada è lunga ma basta percorrerla per raggiungere l’obiettivo.

Abstract da Officine Naturali

Grazie all’approccio della Medicina Funzionale di Regolazione il paziente oncologico può essere seguito attraverso un percorso personalizzato che permette di valutare quale sia il miglior approccio di cura , non solo sotto l’aspetto fisico, ma anche psico-emozionale.

 

 

 

DEACIDIFICAZIONE DELL’ORGANISMO E ALIMENTAZIONE

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Tratto da un articolo del Dottor Michael Worlitschek[1]

Nella prima parte dell’articolo è stato analizzato il potenziale terapeutico della deacidificazione.

Per preservare un buono stato di salute è essenziale che acidi e basi siano in equilibrio e pertanto la deacidificazione dell’organismo deve essere considerata alla stregua di una terapia fondamentale per stare bene. Secondo il metodo di Joergensen di misurazione dei composti acidi nel sangue – a cui abbiamo accennato nella parte conclusiva dell’articolo “Equilibrio acido-base e deacidificazione dell’organismo” – gli esami ematici dimostrano come un’alimentazione eccessivamente sbilanciata verso le abitudini “moderne” tipiche della dieta libera all’occidentale possa, nella maggior parte dei casi, condurre a una forte iperacidificazione dell’organismo.

Questo vale in particolare quando si considerano soltanto i valori nutrizionali degli alimenti, senza tenere conto della capacità di digestione. Si tratta di abitudini che portano a un processo cronico di fermentazione intestinale e, quindi, a un eccesso di acidità.

Un indebolimento della capacità digestiva può essere attribuito a errori madornali nell’alimentazione (secondo F.X. Mayr), infatti si mangia:

  • velocemente;
  • in quantità eccessive;
  • troppo spesso;
  • esageratamente pesante;
  • tardi.

Un importante fattore fisiologico è la produzione da parte delle cellule della parete dello stomaco non solo di acido cloridrico, che è decisamente importante per la digestione nello stomaco, ma anche contemporaneamente di bicarbonato di sodio. Questo viene immediatamente inviato in quantità massicce agli organi che favoriscono le basi, come:

  • ghiandole salivari;
  • fegato;
  • cistifellea;
  • pancreas;
  • ghiandole intestinali.

L’acidità di stomaco esprime in genere il fabbisogno dell’organismo di un apporto di basi.

Cosa mangiare per la deacidificazione del corpo

Gli alimenti ricchi di proteine contengono zolfo e in genere anche fosforo.

Dopo la digestione delle proteine, questi elementi sono trasformati in acido solforico e fosforico e devono essere neutralizzati da calcio, sodio e potassio prima che i reni possano eliminarli.

cibi altamente proteici sono annoverati fra gli alimenti acidificanti, in quanto allontanano gli elementi basici dall’organismo.

Non è molto noto che la maggior parte dei cereali contiene zolfo e fosforo, quindi producono acidi, soprattutto se cotti al forno.

Al contrario, nella frutta e verdura, gli acidi organici contengono molte sostanze come

  • potassio;
  • sodio;
  • calcio;
  • magnesio.

Questi acidi organici, come il succo di limone, si trasformano in anidride carbonica (acido carbonico) e acqua attraverso il processo di combustione nell’organismo, consentendo la permanenza degli elementi basici.

Un fattore importante da sottolineare è che gli acidi organici dovrebbero sempre essere assunti in una diluizione sufficiente, poiché si è osservato che l’organismo non riesce sempre a gestire un afflusso concentrato anche di questi acidi “positivi”.

Gli stili alimentari più diffusi prevedono il consumo frequente di piatti a base di carne, che peraltro non possono essere criticati, al di là dell’eccessivo consumo di proteine, se serviti con quantità sufficienti di insalata, verdure e in particolare patate, che, se consumate con la buccia, presentano un contenuto elevato di basi. Pertanto, questo genere di piatti contiene elementi che producono sia acidi sia basi e consentono il mantenimento di un adeguato equilibrio acido-base.

Una dieta equilibrata deve prevedere un adeguato bilanciamento fra cereali integrali, insalate e piatti leggeri di verdure biologiche. In caso contrario, anche con un’alimentazione in apparenza più completa può verificarsi un eccesso di acidi.

Come contrastare l’acidità in eccesso

È necessario un apporto supplementare di minerali e oligoelementi in coloro che:

  • praticano attività sportive e lavoro fisico impegnativo;
  • sono in fase di crescita;
  • si trovano in convalescenza dopo una malattia grave;
  • attraversano un periodo di stress.

Anche la meteoropatia può essere causata da una condizione di Acidosi Metabolica.

Le sindromi emicraniche possono essere curate in buona parte con la pazienza e seguendo un trattamento di deacidificazione.

Vi è anche un fabbisogno considerevolmente più elevato di basi durante la gravidanza. In prospettiva olistica, i malesseri e la stanchezza tipici di questo periodo sono spesso sintomo di un’iperacidificazione dell’organismo. Un apporto tempestivo e sufficiente di minerali può contribuire a evitare le nausee molto sgradevoli e fastidiose della gravidanza e anche l’acidità gastrica.

L’uomo moderno è sottoposto allo “stress da acidi” sin dall’infanzia (a causa dell’eccesivo consumo di dolci, fast food etc.), pertanto in qualsiasi terapia occorre puntare il più possibile su un adeguato bilanciamento della dieta. È quindi essenziale somministrare le basi con tempestività.

Il Prof. Mehnert, ricercatore molto noto nel campo del diabete, raccomanda un’alimentazione iperbasica ai diabeticiin quanto consente una migliore metabolizzazione dell’insulina. Prima dell’avvento dell’insulina, ai pazienti diabetici si somministravano 30 grammi di bicarbonato di sodio al giorno

Vi sono vari integratori alimentari alcalinizzanti già pronti che presentano notevole efficacia …

È possibile anche ricorrere a una tipologia di terapia esterna che prevede bagni alcalini con l’aggiunta di bicarbonato di sodio. Gli ottimi effetti curativi delle acque termali contenenti carbonato di idrogeno e sodio nella malattie reumatiche sono attribuibili alla deacidificazione dell’organismo attraverso la cute.

Ciascuno può verificare la propria condizione, misurando il valore del pH nella seconda urina del mattino utilizzando strisce tornasole ed eseguire varie rilevazioni durante la giornata.

L’urina del mattino avrà un pH compreso fra 5 e 6, mentre durante la giornata il valore dovrebbe salire verso il 7. Nelle terapie a lungo termine, il pH dell’urina al mattino dovrebbe essere pari a 7,5, che corrisponde al valore di equilibrio nel sangue: in questo modo i reni non devono eliminare alcun eccesso né di acidi né di basi. I reni hanno una capacità massimadi eliminazione in presenza di un pH di 5,4. La funzionalità renale può essere alterata da condizioni pre-patologiche non note, ma è un problema che si può evitare somministrando le basi alla sera.

Infine, va ricordato che tramite un processo di deacidificazione aumenta il livello di energia dell’organismo e di conseguenza possono risultare più efficaci anche altri trattamenti adottati in contemporanea.

[1] “Deacidificazione – una terapia fondamentale. Gli acidi e le basi devono essere in equilibrio nell’organismo”, pubblicato su Omeopatia Oggi, anno 23, num. 50, settembre 2013

da https://www.acidosimetabolica.it/equilibrio-acido-base-e-deacidificazione/

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