ASMA: UNA CATTIVA DIETA AGGRAVA I SINTOMI

Una dieta alimentare poco sana con alto contenuto di grassi saturi e zucchero può interferire con il rilassamento delle vie respiratorie e peggiorare i sintomi dell’asma. È quanto emerso da uno studio condotto biochimica della nutrizione Lisa Wood dell’Università di Newcastle, in Australia, secondo cui i partecipanti alla ricerca con una dieta di peggiore qualità avevano anche i più alti livelli di marker infiammatori.

Come ha spiegato la dottoressa Wood,  l’organismo risponde al grasso nella dieta nella stessa maniera in cui reagirebbe a un patogeno invasivo. I risultati- ha aggiunto la dottoressa – sono preoccupanti perché gli asmatici tendono ad avere una dieta a più alto contenuto di grassi saturi e di zucchero, con effetto nocivo sul trasporto del trattamento inalatorio di salbutamol attraverso le cellule epiteliali dei bronchi. I grassi polinsaturi, al contrario, facilitano il trasporto del farmaco.

I ricercatori hanno utilizzato un Indice infiammatorio della dieta (Dii) per misurare il potenziale di infiammazione delle diverse diete, e lo hanno quindi comparato con quello di persone sane. Dalla ricerca è emerso che la dieta degli asmatici era più infiammatoria. Con l’aumento dell’indice aumentava l’incidenza di asma e si riduceva la funzione polmonare.

da Informasalus

SOS ANTIBIOTICI. I BATTERI STANNO DIVENTANDO INVINCIBILI

Sotto accusa non solo gli abusi terapeutici, ma quelli nell’agricoltura e negli allevamenti . Valentina Arcovia

Siamo entrati nell’era post-antibiotica e senza nuovi alleati si prospetta un futuro apocalittico.
I farmaci che ci hanno permesso di sopravvivere a malattie infettive in passato devastanti, come la tubercolosi o la setticemia, non funzionano più. Gli antibiotici che hanno salvato la vita di milioni di persone sono così diffusi che i batteri hanno trovato un modo per resistere al loro attacco. Sono ormai dappertutto: vengono spruzzati sui raccolti, scaricati nei fiumi e persino, come è emerso al meeting dei ministri della scienza del G8 lo scorso anno, inseriti nelle vernici delle barche per tenere lontani i crostacei. Per non parlare dell’assunzione inappropriata di questi farmaci senza prescrizione medica. 

Si stima, in particolare, che nel mondo la maggioranza delle 100-200mila tonnellate di antibiotici prodotte vengano usate in modo disinvolto sia in agricoltura sia nel settore veterinario per mantenere sani gli animali negli allevamenti industriali. «La situazione sta peggiorando», ha ammonito sul «Daily Telegraph» Zac Goldsmith, tesoriere del gruppo bipartisan nato in Gran Bretagna sul tema. «Quando si concentra un gran numero di animali, soprattutto maiali, in situazioni di stress si crea ogni genere di problema. La storia – continua – ci insegna che non si possono tenere gli animali in questo modo senza usare quotidianamente gli antibiotici, ma si tratta di un modello che non può più funzionare». Il risultato, infatti, è la creazione di un esercito di batteri resistenti che ogni anno reclama la vita di 25mila persone in Europa, più o meno quante sono le vittime della strada. 

Abbiamo usato, o stiamo usando, tutti i farmaci «di ultima speranza» e, oltre a non esserci più nulla nell’arsenale medico, non ci sono molti nuovi prodotti in via di sviluppo. E intanto il 70% dei batteri ha sviluppato resistenze specifiche, comprese contro i farmaci considerati più potenti. Così il pericolo si allarga: da locale sta raggiungendo proporzioni globali. I «superbatteri», per esempio quelli che nascono in un ospedale cinese o in un fiume inquinato in Pakistan, possono attraversare i continenti più velocemente di quanto si riesca a scoprirli. Uno studio condotto su 100 svedesi che hanno viaggiato in Paesi al di fuori dell’Europa del Nord ha rivelato che uno su quattro aveva qualche batterio resistente presente nello stomaco. D’altra parte, solo nel 2011, ci sono stati almeno 35mila casi di infezioni da batteri resistenti in tutta Europa: è un aumento di sei volte in pochi anni. 

I dati sottolineano l’aumento della resistenza in due specie di batteri: Escherichia coli e Klebsiella pneumoniae. Queste due specie – responsabili di infezioni urinarie, sepsi ed altre infezioni nosocomiali – mostrano un significativo aumento nelle percentuali di resistenza ad antibiotici come le cefalosporine di terza generazione, i fluorochinoloni e gli aminoglicosidi. Resistenze, queste, che sono spesso combinate tra loro, generando di conseguenza batteri multi-resistenti, causa di infezioni sempre più difficilmente trattabili. Negli ultimi anni, poi, tra le resistenze si è aggiunta quella ai carbapenemi, antibiotici considerati di «ultima risorsa», rendendo le infezioni praticamente intrattabili. 

La situazione è ancora più grave in Italia, uno dei Paesi europei con i più alti livelli di allarme. «A fronte di una sorveglianza al fenomeno che descrive puntualmente, ogni anno, una situazione problematica – spiega l’Istituto Superiore di Sanità – gli interventi che sono stati messi in atto sono scarsi e parcellizzati». 

La crisi che incombe è facilmente descritta da altri due dati: se tra il 1935 e il 1968 sono state scoperte 14 nuove classi di antibiotici, da allora ne sono emerse soltanto cinque. Il problema – spiegano gli esperti – è che le aziende farmaceutiche si sono ritirate da questo tipo di ricerca, preferendo concentrarsi sulle malattie croniche, per le quali è necessario assumere farmaci per tempi molto lunghi, piuttosto che sulle infezioni che, invece, guariscono in pochi giorni. La conferma che l’industria sta abbandonando questo settore-chiave arriva anche da uno studio italiano, condotto all’Ospedale Santa Maria Misericordia di Udine e pubblicato lo scorso agosto sugli «Annals of Clinical Microbiology and Antimicrobials». Si dimostra come, mentre all’inizio degli Anni 90 c’erano 18 aziende impegnate nello sviluppo di nuovi antibiotici, nel 2011 ne erano rimaste quattro e come da 10 nuovi antibiotici approvati nello stesso arco di tempo si sia passati a due soltanto. 

Allo stesso tempo sono pochi i governi che stanno prendendo parte attiva alla ricerca, come gli Usa, che hanno investito 200 milioni di dollari in una unità della GlaxoSmithKline (una delle quattro aziende rimaste a fare ricerca in questo campo) per lo studio di nuovi antibiotici da usare in caso di un attacco bioterroristico.

Fonte: TUTTOSCIENZE

RISCHI NEUROLOGICI CON ALCUNI FARMACI GASTROINTESTINALI

I farmaci a base di metoclopramide possono provocare disturbi neurologici.
Disturbi neurologici, tic nervosi, spasmi muscolari e contrazioni involontarie. I farmaci a base di metoclopramide possono provocare disturbi neurologici. E’ l’allerta che lancia l’Agenzia europea dei medicinali sui prodotti farmaceutici con questo principio attivo utilizzati per problemi gastrointestinali.
Altroconsumo fornisce alcuni accorgimenti da seguire.

Ecco le indicazioni da tenere presente:

– Usarli per non più di 5 giorni: i rischi sono maggiori con dosaggi di principio attivo elevati e trattamenti lunghi.

– Questi farmaci non devono mai essere usati nei bambini sotto l’anno di età; oltre l’anno sono comunque da considerare un trattamento di seconda scelta e deve essere solo il medico a prescriverli.

-Alcuni di questi farmaci si possono acquistare anche senza ricetta medica, ma questo non significa che siano privi di effetti indesiderati.

– Segnalare eventuali reazioni avverse alle autorità seguendo le indicazioni dell’Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco.

– I prodotti che si possono acquistare senza ricetta sono: Geffer 5 mg, Digestivo S. Pellegrino 5 mg, Delipramil 5 mg, Isaprandil 5 mg. Quelli che hanno bisogno della ricetta: Plasil 10 mg e 4 mg, Randum 10 mg e Migpriv 10 mg.
Informasalus

IL “SACERDOZIO DELLA MENTE” DELL’INDUSTRIA PSICOFARMACEUTICA 2° Parte

 

L’architettura della sorveglianza
“La scienza non possiede la tecnologia per misurare gli squilibri biochimici all’interno del cervello vivo”, osserva il medico scrittore Peter R. Breggin. “La speculazione sugli squilibri biochimici è in realtà una campagna di marketing delle aziende farmaceutiche per vendere le medicine.” Così, agli “screening” sulla salute mentale mancano i parametri scientifici oggettivi e la valutazione di indicatori fisici per determinare l’esistenza di un disturbo. Piuttosto, l’opinione si basa sulla risposta del soggetto a una serie di domande.
Negli ultimi anni, sono stati implementati scrupolosamente dei metodi di marketing nei campus dei college americani per condizionare una generazione verso l’accettazione della natura di routine dei controlli per la salute mentale. Nei primi anni del Duemila, la Wyeth, produttrice dell’antidepressivo Effexor, sponsorizzò “campagne educative per la salute mentale” in dieci campus universitari. Il programma di 90 minuti, intitolato La depressione al college: mondo vero, vita vera, problemi veri, si svolgeva negli auditorium dei campus ed era presentato dalla star di MTV, nonchè consumatrice di Effexor, Cara Kahn. Agli “screening” per la depressione associati al programma, che oggi sono diventati parte normale del regime sanitario pubblico, si accompagnavano slogan vivaci, come “Sei stressato? Vieni a scoprire quanto”, e “Vieni a testare il tuo umore”. I rappresentanti del settore osservavano come queste sollecitazioni incontravano un interesse maggiore fra i potenziali partecipanti rispetto a quello che avrebbe riscosso un più prosaico ” test di controllo per la depressione”.
Se è vero che il fascino dei rimedi psicotropi si sta esaurendo come suggeriscono alcune tendenze del settore del mercato, è essenziale creare in qualsiasi modo un nuovo bisogno di terapie e prodotti psicofarmaceutici. Considerando l’effettivo calo delle vendite di antidepressivi e l’ampia accettazione da parte dei governi delle superficiali definizioni degli psichiatri sulle anomalie del comportamento con i relativi rimedi, ci si può spiegare la comparsa recente di studi, ampiamente pubblicizzati, a sostegno di una crescente epidemia di malattie mentali e i programmi statali che impongono ai giovani controlli psicologici obbligatori, completi di eventuali trattamenti farmaceutici. Che cosa, esattamente, costituisce un disturbo mentale che richiede un trattamento? Ancora una volta, l’assorbimento ampliato di peculiarità descritte nell’imminente DSM-5 fornirà alcune indicazioni di ciò su cui si focalizzeranno i futuri screening. Una persona che esprime piacere nel fumare una sigaretta occasionale sarà classificata come sofferente di “disturbo da uso di tabacco”. A uno che ama bere in compagnia potrebbe essere applicata l’etichetta del “disturbo da uso di alcool”. A qualcuno che beve regolarmente troppe tazze di caffè o lattine di tè freddo potrebbe venire una “intossicazione da caffeina” o, peggio, un “disturbo d’ansia indotto da caffeina”. Chi passa troppo tempo a navigare in rete, visitando siti di scommesse online o siti porno o facendo troppi acquisti online, potrebbe essere giudicato rispettivamente come affetto da “dipendenza da Internet”, “disturbo da gioco d’azzardo”, “ipersessualità” o “disturbo da shopping compulsivo”, e gli si potrà prescrivere di conseguenza un adeguato regime farmacologico. Inoltre, l’espansione della psichiatria sotto l’elgida federale aumenta il potenziale per un abuso in stile sovietico per mettere a tacere i dissidenti politici, come illustra il caso di un ex Marine statunitense, Brandon Raub.
Esprimere la ferma convinzione che esistano le manipolazioni climatiche o discutere dell’inspiegabile collasso,  l’11 settembre, dell’edificio 7 del World Trade Center potrebbe essere motivo di diagnosi di un “disturbo deliratante paranoide”. Gli attivisti che richiamano l’attenzione sulla logica poco credibile della “guerra al terrorismo”, sulla Federal Reserve o sulle prevaricazioni di quello che sta diventando uno stato di polizia si potranno facilmente classificare come affetti da problemi irrisolti di “disturbo oppositivo provocatorio”.
Con una gamma talmente vasta di malattie a loro volta soggette all’interpretazione del medico psichiatra, quasi tutti siamo vulnerabili allo sguardo inquisitore della lobby psicofarmaceutica, specialmente se questo sguardo cade sui gruppi d’età più giovani.
“[La nuova legge sulla sanità accessibile] è studiata per contribuire ad aumentare gli incentivi ai professionisti della medicina e della salute mentale affinchè si prendano cura dei pazienti nell’intera sfera dell’assistenza”, sottolinea lo psicologo John M. Grohol, redattore del popolare sito PsychCentral. “Le ricerche indicano che questo tipo di assistenza integrata e coordinata si rivela benefica per il paziente. Può contribuire a portare allo scoperto i problemi di salute prima che si trasformino in disturbi più gravi”.
Il diffondersi di un’epidemia di malattie mentali, o il fatto che la professione psichiatrica ne sostenga l’esistenza, ha conseguenze gravi non solo in termini di pene personale, ma anche per interi settori economici.
Gli esperti di salute mentale sostengono che quasi il 40% degli europei soffra di disturbi mentali: questo problema costerebbe all’economia europea centinai di miliardi di euro all’anno. Uno studio del 2011 conclude che 165 milioni di residenti nell’Unione Europea sono afflitti da una forma di malattia mentale. “E’ assolutamente necessario colmare l’immenso vuoto esistente nella cura dei disturbi mentali”, afferma l’autore principale dello studio. “Dato che i disturbi mentali iniziano spesso in età giovanile, hanno un forte impatto negativo nelle fasi successive della vita… Solo un trattamento precoce e mirato nei giovani riuscirà a prevenire con efficacia il rischio di una proporzione sempre maggiore di malati gravi… i pazienti del futuro”.
Negli USA, dove la legge sulla sanità accessibile sottolinea “l’importanza di integrare e coordinare l’offerta di servizi per la salute fisica e mentale e fornisce degli incentivi agli operatori sanitari per integrare l’assistenza”, anche un individuo che ha un’assicurazione privata e che va all’ospedale per un malore fisico o un infortunio sarà sempre più soggetto alla sorveglianza e valutazione secondo gli standard stabiliti dal DSM. Il rapporto “Vigilanza sulle malattie mentali 2011” dei Centri per il Controllo delle Malattie evidenzia che il 25% degli americani soffre di malattie mentali e che uno su due svilupperà una malattia mentale in futuro. In questo modo un programma di “vigilanza sulla salute pubblica” comprende “funzionari della sanità pubblica, accademici, personale medico e paramedico e gruppi di sostegno” metterà a disposizione “più sistemi di vigilanza” per “ridurre l’incidenza, la diffusione, la gravità e l’impatto economico delle malattie mentali; valutare le associazioni fra le malattie mentali e altri problemi medici cronici (obesità, diabete, cardiopatie e abuso di alcool o sostanze); identificare gruppi ad alto rischio di malattie mentali e fornire interventi, trattamenti e misure preventive mirati; offrire parametri misurabili per valutare la riuscita degli interventi sulle malattie mentali. Il progetto si avvale del DSM per identificare e diagnosticare queste malattie.
I CDC notano poi che “l’importanza per la salute pubblica delle misure per aumentare i tassi di trattamento della depressione si riflette in Healthy People 2020″, un piano decennale del Dipartimento della Salute e dei Servizi Umani che include “obbiettivi nazionali per accrescere il trattamento della depressione negli adulti e il trattamento per i problemi di salute mentale nei minori”.
Per contribuire al programma, il governo degli Stati Uniti ha stabilito una Task Force per la Prevenzione che oggi raccomanda “screening della salute mentale” ai ragazzi dai 12 ai 18 anni. Così come il programma Vigilanza sulle Malattie Mentali, la Task Force utilizza il DSM come modello per le diagnosi.

Conclusione
Dato che il governo federale degli Stati Uniti e il settore assicurativo oggi sono impegnati in un investimento combinato per mitigare i rischi associati a una miriade di comportamenti personali classificati dal DSM, i singoli individui, e la società più in generale, devono chiedersi: “Ma fin dove si spinge questa vigilanza?”
Attualmente, l’individuo può ancora esercitare un certo grado di controllo rispetto a quali informazioni mediche desidera rivelare all’apparato di vigilanza medica. Tuttavia, il sempre maggiore dispiegamento di tecnologie biometriche e il rapido passaggio a una base elettronica, senza contanti, delle transazioni finanziarie praticamente assicura la fine di questa modesta sfera di privacy, nonchè la realizzazione completa di una rete panottica e di vasta portata in grado di identificare e localizzare le idiosincrasie private, producendo così dei candidati per “interventi” e trattamenti.
Per sfidare e contrastare il complesso psicofarmaceutico e la sua morsa sulla società, che va sempre più estendendosi, è assolutamente necessario comprendere e riconoscere come la sua storia si intrecci a giochi di pubblicità e pubbliche relazioni per modellare la percezione pubblica e quello che oggi costituisce un sistema di convinzioni ampiamente accettato nei confronti della salute e della malattia mentale. Il fatto che questo complesso oggi sia più che mai alleato della sovrastruttura della sanità nazionale e costituisca un elemento centrale in ambito medico delle macchinazioni del governo suggerisce l’imminente realizzazione di una vera e propria tecnocrazia farmacologica in cui, attraverso una incessante persuasione di massa e direttive legislative, sarà una falsa medicina con i suoi farmaci a riempire il vuoto di un’esistenza sciupata e insoddisfatta.

IL “SACERDOZIO DELLA MENTE” DELL’INDUSTRIA PSICOFARMACEUTICA 1° Parte

di James F. Tracy tratto dall'articolo pubblicato su 
Global Research 6/10/2012 http://www.globalresearch.ca

Dalla persuasione alla coercizione
Il “complesso psicofarmaceutico”, formato dalla moderna psichiatria, dall’industria farmaceutica e da un apparato normativo accomodante, si mantiene attraverso la fiducia pubblica nella sua competenza medico-scientifica e la leggittimazione ottenuta attraverso il marketing e le pubbliche relazioni. Ora, una combinazione di fattori – il coinvolgimento più diretto dell’amministrazione pubblica in campo medico attraverso la legge sulla sanità accessibile (Affordable Care Act), la pubblicazione nel 2013 della nuova edizione ampliata del Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali (5° ed., DSM-5) dell’American Psychiatric Association (APA), oltre a sistemi più completi di vigilanza della sanità federale e alle tecnologie di identificazione biometrica – indica che le norme comportamentali e i protocolli di psichiatria saranno sempre più integrati nella vita quotidiana. In generale, il complesso psicofarmaceutico appare sempre più in procinto di abbandonare un paradigma basato sulla persuasione e la fiducia per spostarsi verso un modello che si avvale della coercizione e della legge per far rispettare il suo ideale di normalità.

La ragione, facoltà dell’uomo di comprendere il mondo attraverso il pensiero, si contrappone all’intelligenza, capacità dell’uomo di manipolare il mondo con l’aiuto del pensiero. La ragione è lo strumento dell’uomo per raggiungere la verità, l’intelligenza è lo strumento dell’uomo per manipolare meglio il mondo; la prima è essenzialmente umana, la seconda appartiene alla parte animale dell’uomo.  – Erich Fromm

Dagli anni Cinquanta in poi, ai farmaci psicotropi si è accompagnata la brillante e redditizia opera di pubbliche relazioni e marketing messa in moto dal complesso psichiatrico-farmaceutico. La diffusione e l’uso di queste sostanze  si sono insidiati nella mente collettiva  attraverso il condizionamento di una riverenza culturale nei confronti della competenza professionale, ulteriormente amplificata dalla pubblicità e da una comunicazione con fini promozionali.
Oggigiorno, il 20% degli americani assume almeno un farmaco per trattare uno o più disturbi psichiatrici. Fra il 2001 e il 2004, l’uso fra le donne e i bambini sotto i 10 anni è raddoppiato. Secondo i Centri per il Controllo delle Malattie (CDC), la classe di antidepressivi SSRI (inibitori selettivi della ricaptazione della seretonina), sul mercato con nomi commerciali oggi comuni,  quali Zoloft, Celeza, Effexor e Paxil, è una delle categorie farmaceutiche più prescritte : ne fa uso l’11% degli americani dai 12 anni in su. I farmaci sono prescritti diffusamente  tanto dagli psichiatri quanto dai medici di base come cura per i disturbi delineati nel DSM, il manuale attraverso cui la professione psichiatrica esercita un’autorità a livello mondiale nel definire che cos’è una malattia mentale, con una vasta gamma di designazioni comportamentali applicabili a migliaia di anomalie comportamentali soggettive. Sempre secondo i CDC, l’APA raccomanda gli antidepressivi per una grossa proporzione di presunte malattie, fra cui quelle che indica come “sintomatologie depressive da moderate o gravi”. Eppure, come nota lo storico David Healy, l’attuale DSM-IV ha “opportunamente reso impossibile definire come disturbo la dipendenza da SSRI, antipsicotici o benzodiazepine”.
Fra il 1988 e il 1994 e fra il 2005 e il 2008, l’uso di antidepressivi negli USA è aumentato quasi del 400%. Se  l’uso dovesse espandersi ulteriormente lungo questa traiettoria, intorno al 2020 i soli antidepressivi sarebbero assunti da due persone su cinque. Le vendite di antidepressivi hanno toccato il picco di 15 miliardi di dollari nel 2003, ma la scadenza dei brevetti, l’incapacità dell’industria farmaceutica di produrre novità di successo per sostituirli, le notizie sempre più diffuse sull’inutilità e, spesso, la pericolosità di questi farmaci potrebbero far ridurre le vendite a 6 miliardi di dollari nel 2016.
Il quadruplicarsi del consumo di antidepressivi dimostra come la “depressione” e l’ntroduzione degli SSRI siano stati indubbiamente una manna per le compagnie farmaceutiche. Eppure, ci si interroga molto di meno sul fenomeno sociale che ha portato la depressione e gli antidepressivi a diventare un elemento scontato nella mente collettiva.
Le compagnie farmaceutiche esercitano un enorme potere sul dibattito e sull’opinione pubblica, attraverso una studiatissima campagna di pubblicità e pubbliche relazioni che ingigantisce l’immagine dei prodotti, spesso inutili e pericolosi, che vendono.  In particolare, è stata sfruttata l’inclinazione culturale a mostrare deferenza verso l’opinione degli esperti: in questo caso, verso la psichiatria.

Una professione costruita
Nel 2006, il giornalista investigativo Jon Rappoport ha condotto una serie di interviste a Ellis Medavoy, pseudonimo utilizzato da un esperto di pubbliche relazioni di alto livello che ha giocato un ruolo importante nell’orchestrare e manipolare la percezione pubblica di crisi sanitaria di ampia portata, fra cui quella dell’HIV/AIDS. Fra le varie rivelazioni significative, questo esperto di comunicazione ha spiegato come la competenza psichiatrica sia in gran parte il risultato di tecniche di propaganda. “Problema uguale disturbo mentale, uguale diagnosi, uguale farmaci”, osserva Medavoy. “Il lavoro delle pubbliche relazioni è di confezionare il concetto e collocarlo in un contesto che sa di scientifico, mettendoci dentro ogni tipo di discorso sulla ‘ricerca’…e così hai creato un settore produttivo. Ma in senso lato, quello che crei è un sacerdozio della mente. Un sacerdozio ufficiale. Autorizzato. E vendi anche quello, usando altre parole. Lo vendi, veramente. ‘Nessun altro sa come funziona le mente. Solo gli psichiatri possiedono questo sapere.’ Tu vendi scemenze tipo ‘ha bisogno di un aiuto professionale’ e ‘occorre sottoporsi a una terapia’ e  ‘nuove scoperte fondamentali’. Le rifili in ogni modo possibile.”

Il meccanismo per instillare una fede collettiva nella duplice divinità della farmacia e della pschiatria prevede vari processi specifici nell’ambito della pubblicità e delle pubbliche relazioni. Per esempio, ci sono esperti di linguistica che elaborano i nomi commerciali dei farmaci per “attingere a diverse sinapsi nel cervello dei clienti: quelle che legano il semplice suono delle vocali e delle consonanti – dette fonemi – a significati specifici e perfino ad emozioni”. In questo modo, il nome dell’SSRI per eccellenza, il Prozac, è stato escogitato proprio per avere una risonanza specifica nella mente dei consumatori. “Prozac: Pro è un prefisso abbastanza banale, ma i suoni p, z e k conferiscono tutti una forte qualità attiva, di audacia. Questi crepitii e ronzii suggeriscono a livello subliminale l’attività, a  sostegno del suffisso -ac, che richiama la parola action.” Il nome di uno dei cugini del Prozac, lo Zoloft, utilizza lo stesso metodo di ingegneria linguistica. “Zoloft: Zo significa vita in greco e loft ne eleva il concetto.”
Il Giappone è il terzo mercato farmaceutico al mondo e offre un caso esemplare della capacità dell’industria farmaceutica di manipolare e sedurre una società inducendola a fare un uso su ampia scala di specifiche sostanze psicoattive. A partire dal 1998, il paese ha allentato i requisiti normativi per la vendita e la promozione dei farmaci. Già nel 2001 proliferavano pubblicità di farmaci in stile statunitense, dirette al consumatore, e alcune aziende con sede negli USA controllavano quasi il 50% del fatturato farmaceutico giapponese di 364,2 miliardi di dollari.
La crescente popolarità e disponibilità di prodotti farmaceutici di marca in un ambiente culturale non occidentale pose le basi per le strategie di marketing che prevedevano di influenzare in tempi brevi la percezione pubblica in modo da superare le barriere culturali e generare domanda.
Negli anni Ottanta, quando la compagnia farmaceutica giapponese Meiji Seika chiese all’agenzia regolatrice giapponese l’approvazione di un farmaco per la sindrome ossessivo-compulsiva (OCD), i funzionari dell’azienda si resero conto che in Giappone non esistevano degli standard diagnostici per l’OCD. Allora fu l’azienda stessa a scrivere una propria definizione, usando come modello quella statunitense. Alla fine degli anni Novanta, Meiji Seika portò la pratica su un livello del tutto nuovo quando ottenne il via libera dall’agenzia regolatrice per commercializzare il proprio prodotto SSRI, il Luvox. Dopo aver ricevuto l’approvazione, l’azienda sostenne una dura battaglia per fare accettare questo farmaco in un paese in cui, secondo il sondaggio condotto dall’Organizzazione Mondiale della Sanità all’inizio degli anni Novanta, la prescrizione più comune per un “disturbo dell’umore” era un blando tranquillante. Alla luce di ciò, Meiji Seika e vari altri partner aziendali interessati procedettero a “mettere in atto niente di meno che un radicale cambiamento culturale”, come spiegava un osservatore.
“Una fase cruciale: alterare il linguaggio usato dalla gente per parlare di depressione. La parola giapponese per designare la depressione clinica, utsu-byo, era sgradevolmente associata a gravi malattie psichiatriche. Così la Meiji e i suoi partner iniziarono a usare l’espressione kokoro no kaze, traducibile come ‘il raffreddore dell’animo’. Il messaggio: se in inverno prendi delle pillole per alleviare la congestione nasale, perchè non fare lo stesso anche per la depressione?” Il direttore di marketing di Meiji e affiliati ammise di fare uso regolarmente del termine kokoro no kaze nello spiegare ai giornalisti giapponesi “perchè era necessario sfatare il tabù che circondava la malattia”.
L’America era molto più avanti del Giappone nel riconoscimento dei farmaci per affrontare le malattie mentali. La nozione che la depressione fosse una potenziale epidemia che richiedeva un “trattamento” era stata inculcata sulla mente collettiva molti anni prima dell’introduzione, nel 1988, del popolarissimo SSRI Prozac. Quest’idea, tuttavia, richiede continui sforzi, e lo stesso vale per il discutibile concetto di “screening” per valutare “umori” o comportamenti potenzialmente dannosi, una pratica attualmente in uso presso alcune strutture sanitarie statunitensi che utilizzano le classificazioni del DSM-5.

I PERICOLI NASCOSTI DEI CIBI INDUSTRIALI – 2° Parte

Coloranti chimici: trappole per gli incauti
Probabilmente gli additivi più pericolosi e mono necessari sono i coloranti. Perlomeno i conservanti, per quanto siano nocivi, servono a uno scopo. L’unico vantaggio dei coloranti è che così il produttore riesce a mascherare dei cibi mezzi putrefatti e ben poco naturali convincendo la gente a comprarli, pensando che siano freschi e  nutrienti. I coloranti sono una trappola per gli incauti, in particolare i bambini, che sono attratti dai colori brillanti e vivaci.
I coloranti alimentari naturali sono usati raramente, perchè costano molto di più di quelli chimici, spesso derivati dal catrame di carbon fossile, notoriamente cancerogeno. La tartrazina è solo uno fra tanti esempi. Viene usata per colorare il cibo di giallo, arancione e verde, e si trova nelle bibite, nelle marmellate, nelle creme, nelle guarnizioni, nelle bevande a base di latte e in molti prodotti da forno.
Circa il 10% del pubblico è intollerante o allergico alla tartrazina, e nessuno ne conosce gli effetti a lungo termine su persone  che non presentano sintomi visibili immediati. E’ uno dei coloranti azoici, tutti legati al cancro del tratto intestinale. Dà luogo anche ad altri sintomi, come problemi cutanei e respiratori, e inoltre molti la considerano tossica per il sistema nervoso centrale. Questo e altri coloranti sintetici avrebbero dovuto essere vietati fin dall’inizio.
La prossima volta che andate al supermercato, date un’occhiata ai colluttori antiplacca. Eccoli là, tutti in fila nel loro arcobaleno sintetico: rosa shocking, arancione brillante, verde smeraldo, azzurro mare e rosso scarlatto. Ammiccano per essere invitati a entrare nella vostra bocca per sciacquare le vostre delicate membrane assorbenti e lasciarvi avvelenare.
I consumatori accorti riescono a evitare la maggior parte degli additivi alimentari, ma uno difficile da scoprire è lo zolfo. Da anni si usa per evitare che la frutta secca diventi marrone. Se la frutta ha un aspetto morbido e il colore è brillante, contiene zolfo. Non sarà altrettanto tenera, ma se vi abituerete a consumare frutta secca senza zolfo la troverete gradevole, e il piacere sarà prolungato dalla masticazione più lunga. Sarà più sana se la farete rinvenire in acqua prima del consumo, ripristinando l’umidità e la morbidezza. In genere nei negozi di alimenti naturali si trova frutta secca senza zolfo, ma è bene essere sempre sospettosi e controllare prima dell’acquisto. Quelli che vengono chiamati “solfiti” sono una minaccia molto più ardua da scovare. Alcuni ristoranti li spruzzano sugli ortaggi dell’insalata per mantenerne l’aspetto  fresco, come anche su frutti di mare e patate fritte. Alcuni soggetti hanno reazione come diarrea, attacchi acuti d’asma, nausea, perdita di coscienza e perfino shock anafilattico.

Leggi blande, veleni ovunque
 Negli Stati Uniti ci sono decessi a sufficienza perchè venissero introdotte delle leggi a tutela del pubblico. Sfortunatamente, sono leggi senza mordente. Anzichè eliminare i solfiti, oggi i ristoranti hanno semplicemente l’obbligo di specificare che vengono utilizzati. Gli alimenti in scatola sono spaventosamente pieni di sostanze tossiche, sali e non- nutrienti.
La maggior parte delle vitamine e dei minerali si perde durante la lavorazione, così come tutti i preziosi enzimi senza i quali il corpo non riesce a funzionare in modo efficiente. Le lattine stesse pongono un problema grave per via della sostanze che disperdono nell’alimento. Ciò diventa particolarmente pericoloso nel caso di agrumi in scatola, frutti di bosco o altri cibi acidi. In alcuni esperimenti è stata dimostrata una contaminazione dei contenuti  pari a 150 parti per milione. Inoltre, è risaputo che i soggetti con ipersensibilità vanno incontro a crisi violente se esposti al rivestimento bruno-dorato utilizzato per evitare che il metallo alteri il colore del cibo. Per chiudere le lattine si utilizza il piombo, e anche questo finisce nel cibo. Chi conserva il cibo in scatola nel frigorifero è a caccia di problemi, dato che la contaminazione aumenta enormemente  da un giorno all’altro. Accadde un incidente di questo genere a una famiglia di Los Angeles che aveva portato delle graziose stoviglie da un viaggio in Messico, fra cui una caraffa in cui era stato conservato del succo d’arancia in frigorifero per vari giorni. Uno dei figli morì e gli altri membri della famiglia si ammalarono gravemente  prima che ci si rendesse conto che il piombo della caraffa era finito nel succo d’arancia. Il pericolo delle lattine non è altrettanto drammatico, naturalmente. Se lo fosse, il cibo in scatola sarebbe bandito dal mercato e le persone sarebbero  molto più sane. Tuttavia il principio è identico, e i pericoli sono lenti e cumulativi. Le industrie alimentari fanno cose disgustose. Per facilitare la sbucciatura, c’è chi riduce in poltiglia le bucce di frutta e verdura usando soluzione caustiche come la soda. Per evitare la perdita di clorofilla si usa il carbonato di magnesio o la magnesia, sia che abbiate bisogno di un lassativo o meno. Nella preparazione possono essere usati agenti rassodanti come calcio monofosfato, cloruro di calcio e citrato.
Dato che il cibo in scatola sarebbe grigio o poco allettante senza un ritocco estetico, vi si aggiungono comunemente soda o cloruro di stagno. La maggior parte di queste sgradevoli sostanze non viene elencata in etichetta, ma potete stare certi che ci sono lo stesso. I produttori sostengono che queste sostanze si “dissipano”, ma visti i loro precedenti quanto a sincerità e premura per il prossimo, non ne siamo convinti.

Pane bianco: l’unico motivo è il profitto
C’è un vecchio proverbio che dice “Più il pane è bianco, più la vita è corta”, eppure i fornai continuano a produrre un pane asfittico, pericoloso, di un bianco cadaverico, e la gente continua a ingurgitarlo e a darlo ai propri figli inconsapevoli. Probabilmente vostra madre ve lo dava, spesso spalmato di burro e marmellata, ed era un premio, una parte della vostra crescita. Come tante cose della vostra infanzia, è difficile associarlo ad un veleno. Eppure è veleno, ed è impossibile conquistare o mantenere una salute ottimale consumando questa roba.
Per 30 anni, la farina è stata sbiancata con tricloroammina,  tossica per il sistema nervoso centrale. Ora viene sbiancata con ammoniaca, alluminio, gesso e diossido di cloro, tutte sostanze pericolose, a dispetto delle garanzie di sicurezza da parte dei produttori. Molti scienziati condannano questa pratica, e negli esperimenti sui topi è stato dimostrato che mangiare farina trattata con diossido di cloro provoca ritardi nella crescita. La motivazione è il profitto: la decolorazione permette  di usare farine di pessima qualità e di prolungare la conservazione del prodotto. I produttori non si preoccupano del fatto che togliendo alla farina il colore se ne elimini anche il nutrimento.
Escludendo il processo di decolorazione, tutti i pericoli che si annidano nella farina bianca riguardano anche il frumento integrale. Dunque, non ci si può congratulare nemmeno con chi serve sistematicamente alla famiglia il pane scuro, a meno che non si macini personalmente la farina usando cereali biodinamici (per evitare la farina bromurata) e faccia il pane in casa, oppure usi un essicatore per alimenti per trattare i chicchi di cereali (che mantengono i principi nutritivi se la temperatura non supera i 40°C). Se preferite il pane tradizionale, panificare in casa può essere un’opportunità per riportare un pò di antico calore nella vita familiare e coinvolgere i bambini tenendoli per un pò lontani dalla televisione e dalla strada. Ma anche il pane migliore contiene glutine, che fa male alla salute.
Se vi state lamentando di quanto tempo ci vuole per panificare, ricordate che i chicchi di frumento sono trattati con veleni al mercurio, e nei magazzini vi si spruzza  sopra del gas cianogeno. Poi, i fornai saturano l’impasto con propionati di sodio o calcio, che distruggono l’enzima che permette al nostro corpo di assimilare il calcio. Lo usano perchè impedisce la formazione di muffe, senza preoccuparsi che tutto ciò che ritarda la crescita di un organismo vivente possa anche essere pericoloso per le persone. A questo mix inquietante aggiungete il bromo che si trova in tutte le farine commerciali, e capirete perchè così tante persone sono allergiche ai farinacei! Quindi, se volete fare il pane usate solo cereali biologici.
In una pagnotta possono esserci fino a 80 ingredienti, ma solo pochi sono indicati in etichetta. La maggior parte sono non-alimenti, e molto pericolosi. Ci sono coloranti, conservanti, antimuffa, miglioranti delle farine, antiossidanti, volumizzanti, emulsionanti, lievitanti e lucidanti. Alcuni sono sostituti di uova, latte e grassi naturali, perchè le sostanze chimiche costano meno degli alimenti veri. Altri servono a facilitare la distribuzione e ritardare la scadenza del prodotto. Questo pane chimico resta “fresco” e soffice a lungo, e perchè non dovrebbe? Non è più vero cibo, e non c’è niente che possa andare a male.
Prima che tutti si saranno decisi ad agire, quasi tutto il pane sarà diventato immangiabile, sia per gli umani che per gli animali. Persino le larve di scarafaggio sono più sagge di tanta gente: loro non mangiano la farina bianca. Non solo questa è spaventosamente piena di veleni, ma tutte le vitamine, i minerali e gli enzimi sono stati rimossi durante la macinatura e dati in pasto ai maiali. La farina “arricchita” è una farsa. Infatti sono vitamine di sintesi ricavate dal catrame quelle che vengono aggiunte una volta che si sono persi tutti i nutrienti naturali. Il pane fatto con questo tipo di farina è uno strumento di morte, e sulla  confezione ci dovrebbe essere il simbolo del teschio con le tibie incrociate.
E’ saggio evitare qualsiasi cibo che abbia dei numeri elencati fra gli ingredienti. Quei numeri sono stati messi per via delle pressioni dei consumatori – troppe persone restavano intossicate, o addirittura uccise, perchè non sapevano cosa stavano mangiando – e la maggior parte di quei numeri rappresenta sostanze chimiche che nessuna persona sana di mente sceglierebbe volontariamente di mangiare o bere. Per esempio, l'”additivo 920″ è prodotto usando peli di animali e piume di pollo. L’anonimo “miglioratore per farine”, che si trova in molti tipi di pane industriale e figura in tante ricette per la macchina del pane, va evitato perchè contiene alluminio e altri additivi pericolosi.

Proteggetevi dai cibi tossici
Quelli che dovrebbero essere i nostri “custodi”, i governi, hanno fallito miseramente nel compito di provvedere a salvaguardare la nostra salute. Diventano tutti molto miopi quando sono in gioco gli interessi delle multinazionali e trascurano completamente di darci la protezione di cui abbiamo assoluto bisogno, che meritiamo e per cui paghiamo. Questo è un argomento troppo complicato per i politici. Ancor più sinistri sono l’industria alimentare, che è troppo ricca, e i suoi lobbisti, che sono troppo potenti e/o generosi per farsi mettere i bastoni tra le ruote per le loro pratiche pericolose dai politici, quand’anche questi ne  avessero la motivazione, l’interesse o le competenze. Ma in ogni caso non ce l’hanno, e probabilmente sarà sempre così. Come sempre, dobbiamo essere noi stessi a proteggerci!
Per fare un esempio dell’atteggiamento incurante adottato dal governo australiano e da altri governi di paesi “civilizzati”, quella che segue è una lista di alcune sostanze  che è permesso utilizzare all’interno di alimenti: alcool benzilico, alcool isopropilico, alcool etilico, propanolo, glicerina, mannitolo, sorbitolo, polidestrosio, acetato di etile, monoacetina, diacetina, triacetina, citrato di trietile, grassi e oli commestibili, clorudo di sodio, eritrolo, agenti modificanti, amidi naturali, maltodestrine, gelatina, oli idrogenati, silicato di calcio, caseinato di potassio, alluminiosilicato di sodio, carbonato di magnesio, alluminosilicato di calcio e sodio, calcio fosfato tribasico e idrossifosfato di calcio.

Queste sostanze chimiche sono ammesse a fare parte di ciò che mangiamo! Pensate che il vostro governo abbia una minima idea di quali danni alcune o tutte queste sostanze possano arrecare? C’è mai stato qualcuno che abbia considerato quali interazioni possano avere queste sostanze chimiche? Pur non essendo espressamente indicato, io ho buoni motivi per sospettare che alcune di queste sostanze siano contenute negli alimenti per la prima infanzia! Se è permesso usare l’aspartame nei cibi per neonati, perchè non anche le sostanze sopra elencate, molte delle  quali sospettate di cancerogenicità? Siete disposti a nutrire la vostra famiglia con queste sostanze? Io sicuramente no, ed è per questo che non acquisto mai cibi industriali. Spero che vogliate seguire il mio esempio.

L’autrice:
Elaine Hollingswort – tratto dal quinto capitolo del libor Take Control of Your Health and Escape the Sickness Industry. Elaine Hollingswort è la direttrice del Centro Medico Hippocrates, sulla Gold Coast del Queensland, in Australia, e fin dagli anni Cinquanta si batte su tematiche legate alla salute. E’ l’autrice di Take Control o Your Healt and Escape the Sickness Industry (Empowerment Press, 2012, 12°edizione, dal quale sono stati tratti e pubblicati articoli su NEXUS n.ri 98 e 100). Per maggiori informazioni e per acquistare libri, CD e DVD di Elaine, si visiti http://www.doctorsaredangerous.com.

 

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