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Un terapeuta può aiutare il proprio paziente a trovare un certo significato, ma la guarigione appartiene al malato.

Attenzione, tutto ciò non passa attraverso “una tecnica”.

Bisogna cominciare accettando semplicemente di riconoscere quel che proviamo ed osare parlarne, osare lasciare all’emozione la libertà di esprimersi. Ascoltare il profondo di noi stessi, prendere l’abitudine di dare un nome a ciò che proviamo: “Io provo questo”.

Non si tratta di “qualcuno”, si tratta di “me” e non è “ridicolo”.

Ma, se è vero che non bisogna fuggire l’emozione che si sta esprimendo, non per questo bisogna fissarsi su questa stessa emozione, rafforzandola così a livello del cervello: esprimerla non vuol dire “coltivarla”.

Vedremo presto che, per poter entrare nella struttura del nostro essere profondo, abbiamo da superare la dimensione emozionale.

E tuttavia, è la capacitá – o il rifiuto – di ognuno ad entrare in contatto con ciò che lo tocca più nel profondo che fa la differenza in questo approccio alla guarigione. Certo, è possibile scegliere di rimanere distanti dalla propria dimensione profonda, ma forse è importante rendersi conto che la guarigione passa, essenzialmente, attraverso il riconoscimento di quel che siamo.

Questo messaggio è rivolto a tutti, a qualsiasi età e qualunque sia la propria problematica, perchè, lo ripetiamo, nulla è irreversibile, mai, e finchè siamo vivi abbiamo qualcosa da fare…

Jean-Philippe Brébion

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