Quelle piccole compresse bianche trasformano i bambini. Prendiamo l’esempio di Maria, una bambina di otto anni che frequenta la scuola elementare. Era sempre agitatissima, ci metteva tre ore a fare i compiti e diceva alla mamma: “Mi passano tante di quelle idee per la testa!“.
Ma da un anno e mezzo le cose sono cambiate. Ogni giorno la bambina prende le sue “pillole per la concentrazione“, come le chiamano in famiglia. “A scuola segue meglio le lezioni e si distrae di meno“, dice la mamma, mentre Maria suona un motivetto col piffero. La donna ha esitato a lungo prima di dare quel farmaco a sua figlia. Ma senza il Ritalin sembra che le cose non possano andare bene.
Anche Felice, un biondino di nove anni, si comporta molto meglio, stando almeno a quanto dicono i suoi genitori. La mamma sostiene che prima suo figlio era “sempre in movimento, sempre agitato e non riusciva a concentrarsi. C’era in lui qualcosa che non andava“. Adesso si rende conto che le cose non stanno più così. Da quando prende il Ritalin tutti i giorni, Felice è più tranquillo. “A volte capita anche che si metta seduto a leggere un libro“. La donna dice che anche a scuola le cose vanno molto meglio: oggi, ad esempio, suo figlio ha preso un bel voto in dettato. “Il Ritalin è proprio un toccasana“, esclama raggiante.
Come Maria e Felice, ogni giorno, vi sono negli Stati Uniti più di 11 milioni di bambini in terapia e in anche Italia le prescrizioni sono aumentate del 300%. Questi farmaci dovrebbero combattere una malattia che sembra diffondersi come un’epidemia: la sindrome da deficit d’attenzione [ADD – Attention Deficit Disorder], che sovente pare si accompagni all’iperattività [ADHD].
Col numero delle diagnosi cresce anche il numero dei bambini che consumano questi farmaci. Il Ritalin e il Medikinet [così si chiamano i due preparati che si fanno concorrenza per la cura dell’ADHD] sono venduti come mai in passato. Le autorità sanitarie preposte al controllo degli oppiacei, fanno sapere che in questi ultimi anni è improvvisamente aumentato il consumo di metilfenidato, una sostanza considerata uno stupefacente. Questo stimolante ha effetto sul cervello e aumenta la capacità di concentrazione.
Ancora più alto del numero delle prescrizioni mediche, è il numero di genitori che temono che il loro figlio soffra di quella brutta malattia chiamata iperattività. Sono stati pubblicati centinaia di libri sul tema dell’ADHD, per venire incontro al desiderio che molti hanno di essere informati sull’argomento. Quando si organizzano conferenze o incontri, centinaia di persone ascoltano con attenzione quello che dicono gli psicologi, i medici o gli individui direttamente interessati al problema una volte poste le domande più scottanti:
•come faccio a sapere se mio figlio ha questa malattia?
•di chi è la colpa?
•la colpa è dell’educazione che i genitori hanno dato al figlio oppure dei suoi geni?
•il Ritalin può essere un rimedio valido?
•l’ADHD è davvero una malattia oppure è soltanto una moda?
Come sempre quando si parla di educazione e del bene dei propri figli, la discussione si fa appassionata e gli scambi di accuse sono molto aspri. Chi dà al figlio la pillola a merenda è subito visto come un genitore snaturato. Chi dice di essere contrario al Ritalin è immediatamente tacciato di essere un seguace degli alieni se non addirittura di Scientology. Questa setta, per esempio, condanna l’uso di tutti gli psicofarmaci [considerati strumenti del demonio] e al tempo stesso fa credere che il lavaggio del cervello sia un mezzo con cui raggiungere la felicità.
Storie raccapriccianti sull’abuso di metilfenidato rendono il dibattito ancor più rovente: sembra che negli Stati Uniti vi siano molti adolescenti e giovani adulti che usano questo farmaco come una droga che permette un certo stile di vita, non fa sentire gli stimoli della fame ed elimina la stanchezza. Le compresse vengono inghiottite intere oppure ridotte in polvere e poi sniffate. Vi sono tossicomani che sciolgono le compresse in acqua e poi si iniettano il miscuglio in vena. Tali iniezioni possono provocare gravi danni ai polmoni e alla retina e causare una dipendenza psichica grave.
Come negli Stati Uniti, secondo il rapporto OMS-UNICEF 2005 in Italia circa il 17% degli “under 18″ soffriva di disturbi mentali. In particolare i problemi dell’apprendimento riguardavano circa il 6% della popolazione pediatrica, quelli del comportamento l’1,6%, i disturbi pervasivi dello sviluppo incidevano per lo 0,8%. I disturbi psichici infantili riguardavano l’8% dei bambini. L’ADHD riguardava circa il 4% dei bambini.
Secondo le stime dell’ISS, a seconda degli studi settoriali di varie regioni, si ha la conferma di valori di prevalenza che oscillano tra il 4% e il 12%. Se così stanno le cose significa che in ogni classe italiana vi sono almeno tre ragazzini ipercinetici che necessitano di cure mediche.
L’isteria dovuta all’ADHD sta dilagando. Non sono solo i medici che vanno alla ricerca di casi non ancora scoperti, ormai anche gli insegnanti passano al setaccio i loro alunni. Ha fatto storia qui in Italia il Progetto Prisma. I genitori si vedevano recapitare a casa un test vergognoso che potete consultare qui, grazie al quale la scuola si rendeva complice di un reclutamento per sottoporre i bambini a visita medica.
Dal momento in cui il bambino prende il “veleno” per la prima volta, inizia un percorso grottesco. In alcuni casi vi sono genitori che chiamano il figlio a scuola oppure gli inviano un sms per ricordargli di prendere la compressa all’intervallo. A volte sono addirittura gli insegnanti che danno le compresse agli alunni [chiedono una liberatoria per la scuola firmata dal medico che ha in cura il bambino], anche se la cosa non è per niente legale visto che si tratta pur sempre di stupefacenti.
Ultimamente pare dimostrato che anche un numero crescente di persone adulte sia affetto da distrazione patologica e da agitazione morbosa. L’iperattività non è una malattia infantile. In Germania, per esempio, vi sono 2 milioni di persone adulte che presentano sintomi del genere. Disturbi della concentrazione e impulsività incontrollata fanno sì che queste persone abbiano difficoltà a sopportare la vita di tutti i giorni. Sarebbe dimostrato che gli adulti reagiscono bene come i ragazzi ai farmaci stimolanti.
L’industria farmaceutica ha già nel mirino un nuovo gruppo di potenziali consumatori di questo tipo di farmaci: le persone anziane!
ADHD, UN COMPAGNO FEDELE PER TUTTA LA VITA
Ecco lo slogan lanciato alla grande dalla ditta che produce il Ritalin, il gruppo industriale Novartis. Nel maggio 2002 la ditta ha inviato a Basilea un gruppo di medici, per prepararli a curare questa malattia “con sostanze stimolanti e/o antidepressivi“. Ma la Novartis si occupa soprattutto dei ragazzi.
Per essi, in Germania, la ditta ha messo sul mercato un volume illustrato, in cui si narrano le avventure del polpo Hippihopp, che viene “sgridato molto severamente” perchè è contemporaneamente “dappertutto e da nessuna parte“, e che per questo va incontro a molti guai.
Il polipetto è triste e non vuole andare a scuola. Spreca energie pensando a mille cose. Incontra la neuropsichiatra infantile.
Per fortuna la Dottoressa Tartaruga scopre quale è la malattia di cui Hippihopp soffre: “Una sindrome di carenza d’attenzione!“. La Dottoressa Tartaruga sa anche dire di che cosa il polpo ha bisogno per stare bene: di “una piccola compressa bianca“… e convince il piccolo polipetto a prendere la pasticca. L’uno tira l’altro e tutti i polipetti si impasticcano. Così diventa un polipetto studioso e tranquillo.
Dietro al consumo di farmaci c’è molto di più che un semplice stato di irrequietezza. Da decenni alcune case farmaceutiche e alcuni psichiatri cercano in tutti i modi di far passare per malato e bisognoso di cure chi è svagato o incapace di concentrarsi. Mai come oggi è stato coltivato con tanta passione il mito del bambino iperattivo.
Il giro d’affari che oggi promette guadagni miliardari era iniziato in maniera del tutto innocente. Nel 1845 Heinrich Hoffmann, un neurologo di Francoforte sul Meno, aveva raccontato le disavventure di un bambino irrequieto in un libro per l’infanzia intitolato Pierino Porcospino.
Il “saltamartino” di Hoffmann non riesce a stare seduto senza agitarsi: “saltella, si dondola, scalpita, si dimena sulla sedia“, finchè non butta a terra insieme alla tovaglia il piatto, le posate e la zuppiera.
Mezzo secolo più tardi, nel 1902, la rivista scientifica inglese The Lancet pubblicava lo studio di un medico che sosteneva di aver notato bambini con “una forza di volontà inferiore alla norma” e “una notevole incapacità a concentrarsi“.
Ma la vera carriera dell’ADHD inizia solamente dopo qualche decennio. All’origine c’è una scoperta fatta casualmente in laboratorio: nel 1944 Leandro Panizzon, un chimico della dittà Ciba [nel 1996 la Ciba-Geigy si fonde con la Sandoz dando origine alla Novartis, la ditta che attualmente produce il Ritalin], ha sintetizzato il metilfenidato e lo ha sperimentato su di sé, non ottenendo peraltro risultati degni di nota. Anche sua moglie Marguerite, detta Rita, ha voluto provare un pò di quella sostanza, e ha notato che su di lei aveva un effetto quanto mai stimolante. In seguito Rita ha preso qualche volta un pò del preparato prima di giocare a tennis con le amiche, e per questo motivo Panizzon gli ha dato il nome di Ritalin, nome che ricorda quello di sua moglie.
In un primo momento il farmaco veniva prescritto soltanto agli adulti, per curare disturbi quali l’affaticamento grave, le irritazioni depressive e gli stati confusionali nelle persone anziane. Ai tempi non era ancora stato inventato il quadro clinico che avrebbe reso famoso e addirittura famigerato il Ritalin.
Soltanto negli anni ’60 sono stati resi noti reperti secondo i quali il metilfenidato, e una sostanza ad esso analoga chiamata desedrina, esercitano una notevole influenza sul comportamento degli scolari che hanno difficoltà di apprendimento.
I primi esperimenti al riguardo sono stati quelli fatti con la desedrina dallo psicologo Keith Conners e dallo psichiatra Leon Eisenberg in due scuole di Baltimora, nel Maryland, frequentate da ragazzi di colore appartenenti ai ceti meno abbienti della città. Dopo che la sostanza era stata somministrata agli alunni, la confusione e il chiasso che di solito regnavano in quelle scuole erano diminuiti. Gli insegnanti dissero che i ragazzi a cui era stata somministrata la desedrina avevano migliorato “il comportamento in classe, l’atteggiamento nei confronti dell’autorità scolastica e la partecipazione ai lavori di gruppo“. Si era trovato quindi il modo di rendere più tollerabili le condizioni di vita nelle scuole dei ghetti.
Questo risultato e altri simili hanno indotto il National Institute of Mental Health e alcune case farmaceutiche a effettuare nuove ricerche su quel tipo di farmaci. Ben presto sui giornali sono comparsi articoli su quella supposta panacea, e il numero delle sue prescrizioni ha avuto una forte impennata. Rimaneva tuttavia del tutto sconosciuto il disturbo per il quale tali farmaci venivano prescritti.
Alla fine degli anni ’60 alcuni medici americani hanno sciolto il dilemma della mancanza di indicazioni, ricorrendo a uno stratagemma le cui conseguenze sono avvertibili ancora oggi: hanno deciso che si potevano usare i farmaci stessi per diagnosticare la malattia di un determinato soggetto. Erano cioè dichiarati malati i ragazzi il cui comportamento subiva modificazioni dopo aver ingerito il farmaco in questione. Erano invece dichiarati sani i ragazzi ai quali l’uso del farmaco non dava luogo a reazioni. E’ stato questo questo stratagemma che ha spianato la strada alla massiccia somministrazione di droghe nei ragazzi, oggi così comune.
Fino alla fine degli anni ’60 sarebbe stato impensabile somministrare a dei ragazzi anfetamine o sostanze analoghe soltanto perchè avevano un comportamento ribelle a scuola o in famiglia. A partire da quegli anni però la situazione si modificò: ormai si trattava di curare una sindrome. L’esistenza della malattia era stata resa possibile solo grazie alla produzione di farmaci adatti a curarla: la diagnosi era stata decisa dalla terapia e non viceversa come accade normalmente. Nel 1970 il numero dei ragazzi, negli Stati Uniti, a cui venivano somministrati psicofarmaci variava da 200.000 a 300.000. Da allora il loro numero è cresciuto vertiginosamente, non solo negli Stati Uniti ma anche in Europa.
Le case farmaceutiche hanno dato al fenomeno il nome di “disturbo funzionale del comportamento“, fino a che la FDA [l’autorità che negli Stati Uniti è preposta all’immatricolazione dei farmaci] non ha vietato questa denominazione inesatta. Subito la malattia è stata chiamata in un altro modo: “Disfunzione cerebrale minima“, e in seguito nelle scuole materne ed elementari è diventato molto comune il concetto di “disturbo ipercinetico“. Infine, nel 1987, l’Associazione degli Psichiatri americani ha inventato la sigla ADHD oggi ancora in uso.
INASPETTATE CONVERGENZE DI INTERESSI
Sono due le ditte che propongono farmaci per la cura dell’ADHD: Novartis ed Eli Lilly. Novartis commercializza il metilfenidato [ritirato dall’Italia, nel 1989, per le ragioni spiegate più avanti e reintrodotto dall’8 marzo 2007], e il destrometilfenidato [che ha una durata d’azione più lunga rispetto alla molecola originale]. Eli Lilly dal 2003 ha in listino l’atomoxetina, studiato per diventare farmaco di prima scelta nella terapia dell’ADHD, ma responsabile, secondo l’FDA, di gravi danni epatici non emersi durante la fase di sperimentazione.
Le due ditte riservano parte degli investimenti ad attività di divulgazione e osservazione del fenomeno ADHD: entrambe hanno registrato siti internet (sito Eli Lilly, sito Novartis) che informano il pubblico sul disturbo; Eli Lilly ha finanziato due studi dell’IRCCS Medea sull’impatto sociale ed economico della malattia e sulla sua diffusione in Europa.
In che modo le strategie di marketing delle aziende entrano in sintonia con l’attività di lobby dei gruppi di pazienti?
Le associazioni dei familiari rivestono un ruolo delicato perché si fanno carico di sensibilizzare le persone a riconoscere la malattia e chiedono che i loro figli possano accedere a tutte le cure disponibili, comprese quelle farmacologiche.
Ray Moynihan, giornalista medico scientifico, nel libro Selling sickness ha analizzato quali distorsioni ha generato all’interno del sistema sanitario statunitense il rapporto tra industria e associazioni di familiari ADHD. “Un gruppo che accetta sponsorizzazioni non compromette la sua credibilità“, afferma Moynihan, “tuttavia una ditta farmaceutica tende a sostenere associazioni di pazienti in sintonia con il proprio messaggio di marketing“. Le ditte farmaceutiche hanno interesse a creare consenso nell’opinione pubblica intorno all’ipotesi che l’ADHD sia causato da un disordine biochimico per il semplice fatto che vendono sostanze che correggono questi difetti.
“Le aziende farmaceutiche“», prosegue Moynihan, “stanno usando una serie di strategie di mercato per influenzare il dibattito pubblico e assicurarsi che prevalga una particolare visione. Una forma molto potente di influenza viene direttamente dalla collaborazione con la CHDD, l’associazione americana dei genitori di bambini con ADHD, che deve la sua visibilità anche al generoso sostegno [700.000 dollari] delle ditte […] La CHDD afferma che il disturbo ha forti componenti neurologiche“. Da queste premesse Moynihan conclude che “Le organizzazioni di consumatori promosse dalle ditte farmaceutiche avrebbero offerto ai loro sponsor un aiuto a dipingere il quadro di un disturbo, l’ADHD, sottostimato ma controllabile con i farmaci“. Questo spiega, secondo Moynihan, perché “la controversia sull’origine e la diffusione dalla sindrome non abbia ostacolato la vendita dei farmaci indicati per la sua cura“.
Questo dimostra come certe “finte” Associazioni in realtà coprono interessi farmaceutici. Infatti malgrado le incertezze circa le cause e l’efficacia della cura, 11 milioni di adolescenti hanno ricevuto la diagnosi di ADHD e il consumo di metilfenidato è cresciuto dal 1990 a oggi dell’800 per cento.
IL METILFENIDATO LASCIA TRACCE NEL CERVELLO
Il metilfenidato non sembra causare dipendenza alcuna in chi l’assume, se l’assunzione viene effettuata tramite compresse. Esso infatti agisce sull’organismo molto più lentamente della cocaina e non provoca il “brivido” che è tipico di quest’ultima sostanza. Però, come già detto precedentemente, l’uso del metilfenidato in quanto anfetamina è regolato dalla Legge relativa agli stupefacenti. Esso deve essere prescritto secondo i criteri restrittivi che regolano ad esempio l’uso della morfina: rilascio di tre diverse ricette mediche e obbligo i conservare le prescrizioni per dieci anni.
Nell’elenco dei vincoli prescrittivi a garanzia uso appropriato dell’ISS non sono riportati gli effetti collaterali, così nemmeno sul sito dell’AIFA, [questo stupefacente viene fatto passare per psicostimolante].
Il Ritalin era stato bandito dall’Italia fin dal 1989 perchè era stato dimostrato che, se a breve termine aumentava le prestazioni di qualsiasi persona, a lungo termine invece presentava tutta una serie di effetti nocivi e di complicazioni fino ad istinti suicidari.
Motivo per cui, quando è stato reintrodotto, dal foglietto illustrativo del farmaco destinato al mercato italiano sono stati omessi colpevolmente molti degli effetti collaterali che appaiono invece sul foglietto illustrativo del farmaco distribuito oltre confine in tutto il mondo.
Guarda caso, dal Progetto Prisma dell’IRCCS Medea, è nato nel 2007 un Registro Nazionale per i bambini affetti da ADHD che usano Ritalin, che devono essere monitorati regolarmente, per raccogliere in tempo reale i dati sull’uso del Metilfenidato e permettere quindi all’Istituto Superiore di Sanità di valutare la sicurezza e la compliance alla terapia con Metilfenidato, da solo e in associazione ad altri interventi terapeutici [farmacologici e non farmacologici], a medio e lungo termine.
Per completezza d’informazione, il PROGETTO PRISMA (Progetto Italiano Salute Mentale Adolescenti) il cui Responsabile (Neuropsichiatra Infantile) opera presso l’I.R.C.C.S. Eugenio Medea è fortemente sponsorizzato da A.N.G.S.A
Il Progetto Prisma, avviato nel 2004, inizialmente aveva solo l’intento di valutare i problemi comportamentali e i vissuti emotivi dei preadolescenti. Ma appena la CUF (Commissione Unica del Farmaco) ha deliberato la registrazione e l’ammissione al rimborso del Ritalin, sono improvvisamente cambiati gli standard del progetto.
Aggiungiamoci pure che la multinazione produttrice del Ritalin è la Novartis, la stessa che nel 2004 ha effettuato pressioni sulla UE per la commercializzazione dei semi OGM.
Il piano terapeutico standard prevedeva un primo controllo dopo una, due, massimo quattro settimane, poi ogni cinque o sei mesi, da parte di un neuropsichiatra del Centro di Riferimento più vicino ed era previsto un notevole coinvolgimento degli insegnanti scolastici, con corsi formativi sull’ADHD, e persino dei genitori, con la somministrazione di questionari sul comportamento dei loro figli.
Il rischio maggiore di tutto ciò è di “rendere malato” un numero spropositato di bambini [come invece si augura ed ha ribadito a febbraio 2001 la Società Italiana di Psicopatologia – alcuni dei loro rappresentanti, con altrettanti rappresentanti ANGSA, hanno redatto le tanto contestate Linee Guida sull’Autismo], con la violazione dei diritti umani, come è avvenuto da tempo negli Stati Uniti.
I possibili effetti collaterali del Ritalin, oltre all’ideazione suicidaria, sono: stati d’eccitamento psicomotorio, ansia, insonnia e mania di persecuzione. Nel caso in cui si interrompa bruscamente l’assunzione del farmaco dopo averne fatto uso per molto tempo, può verificarsi una sindrome da astinenza. Inoltre, il Ritalin può provocare fenomeni di inappetenza in molti bambini.
Tutti coloro che fanno terrorismo psicologico ai genitori che non vogliono far vaccinare i loro figli, oltre a informarli sui pericoli delle vaccinazioni, dovrebbero informare poi quali sono gli effetti collaterali di un girone infernale nel quale si spinge un bambino danneggiato da vaccino.
Vi sono bambini che hanno sperimentato sulla propria pelle quanto possono essere gravi gli effetti collaterali del Ritalin. Bambini con mani tremolanti, che si mordono a sangue le labbra e di notte si contorcono nel letto per i dolori di pancia.
Vi sono genitori disperati che dopo aver visto con i loro occhi tutto ciò hanno sospeso la cura e ora sono alla disperata ricerca di una terapia che non preveda l’uso di simili compresse.
Occorre infine dire che si sospetta che la somministrazione continua di metilfenidato impedisca una normale crescita dei bambini: in base a uno studio che è stato fatto al riguardo, sembra che in due anni i bambini che abitualmente assumono la sostanza suddetta crescano mediamente 1,5 centimetri in meno dei bambini che non ne fanno uso [questo è solo uno dei tanti studi che mi sarei aspettato fosse tenuto in considerazione dagli espertoni delle Linee Guida sull’Autismo- J.Elia et al., Treatment of Attention-Deficit-Hyperactivity Disorder, New England Journal of Medicine, n.340, 1999, pp. 780-787].
Anche il timore di conseguenze che potrebbero manifestarsi molto tempo dopo che il farmaco è stato somministrato, fa sì che molti medici e genitori siano restii a farne uso. I farmaci modificano le condizioni in cui si sviluppa il cervello dei bambini. E’ infatti ormai certo che il metilfenidato lascia tracce durevoli nel cervello.
Fred A. Baughman – neurologo americano, autorevole esperto di ADHD e membro dell’Accademia Americana di Neurologia – dopo aver approfondito con attenzione uno studio dell’Università di Cardiff che dichiarava l’origine genetica dell’ADHD, ha preso posizione contro la ricerca pubblicata da The Lancet. “Siamo alle solite – ha dichiarato Baughman – questo non è certo il primo studio che suppone anomalie cromosomiche in pazienti ADHD. Il punto è un altro: in uno studio scientifico su piccoli in cura con Ritalin, il team del ricercatore El-Zein ha riferito: “Il trattamento ha comportato un aumento significativo nelle modifiche cromosomiche”. Guarda caso lo staff dell’Università di Cardiff non aveva riportato lo stato clinico dei loro piccoli pazienti affetti da ADHD, la maggioranza dei quali sono stati appunto trattati con metanfetamine [Ritalin] che – come noto – possono causare atrofia cerebrale, anomalie genetiche e anche cromosomiche.
Quindi questa sostanza esercita la sua influenza sui diversi geni che si trovano nelle cellule nervose. In Germania un gruppo di lavoro diretto dal neurologo Gerald Hüther di Göttingen, facendo esperimenti su alcune cavie, ha riscontrato modificazioni nel loro cervello. I ricercatori avevano somministrato metilfenidato a dei giovani topi, avevano fatto loro raggiungere l’età adulta e poi ne avevano esaminato il cervello: in un’area ridotta di quest’ultimo il numero di vettori di dopamina si era ridotto della metà! [G. Moll, Early Methylphenidate Administration to Young Rats Cause a Persistent Reduction in the density of Striatal Dopamine Transporters, Journal of Child and Adolescent Psychopharmacology, n.11, 2001, pp. 15-24]
Secondo il Prof. Hüther il metilfenidato potrebbe provocare una carenza di dopamina, e quindi a lunga scadenza potrebbe portare all’insorgere del morbo di Parkinson. Il neurologo di Göttingen in un suo studio molto citato, e anche molto contestato [come accade a coloro che non si allineano al business farmaceutico], afferma che se si somministra il metilfenidato ai bambini si corre “il rischio di aumentare le probabilità che insorga” la tanto temuta malattia. [G. Hüther, Kritische Anmerkungen zu den bei ADHD-Kindern beobachteten neurobiologischen Veränderungen und den vermuteten Wirkungen von Psychostimulanzien – Ritalin -, Analytische Kinder und Jugendlichen Psychotherapie, n. 112, 2001, p. 471]
Caratteristico di questa disputa sul metilfenidato è il fatto che chi prende le distanze dall’interpretazione di Hüther, che tanto spaventa la gente, è proprio Aribert Rothenberger, un collega del Prof. Hüther che ha esaminato insieme a lui il cervello delle cavie. Rothenberger, Direttore dell’Istituto di Psichiatria dell’età evolutiva di Göttingen, in una lettera aperta indirizzata a molti genitori disorientati ha scritto che gli allarmi lanciati dal Prof. Hüther dovrebbero “la loro forza di persuasione” a una “mescolanza di congetture e mezze verità“.
Il politologo americano Francis Fukuyama si oppone decisamente alla dilangante medicalizzazione dei problemi dell’infanzia. Oggi negli Stati Uniti non solo il metilfenidato, ma anche farmaci per curare l’ansia e le psicosi, rimedi per stabilizzare l’umore e antipressivi sono prescritti ai bambini e agli adolescenti in misura doppia rispetto a dieci anni fa.
La FDA nel 2003 ha ammesso l’uso del Prozac, la cosiddetta pillola della felicità, per i giovani tra i 7 e i 17 anni affetti da depressione e da difficoltà in campo relazionale.
Fukuyama condanna l’uso eccessivo dei farmaci e propone di avere più coraggio nell’educazione dei giovani. Ammette che è “difficile riuscire a sopportare il dolore e la sofferenza“. Tuttavia i giovani dovrebbero imparare ad affrontare anche le difficoltà psicologiche più gravi senza l’ausilio di psicofarmaci. D’altronde solo se si sperimentano gli abissi dell’animo umano si può avvertire in sé stessi il nascere di “buoni sentimenti” quali la simpatia, la compassione, il coraggio e la solidarietà. Fukuyama critica l’uso di qualsiasi tipo di terapia farmacologica per curare i problemi psichici. Secondo lui la società moderna corre il rischio di privarsi di ogni prospettiva di sviluppo se in futuro cercherà con l’aiuto degli psicofarmaci di creare l’uomo standard, capace di funzionare in ogni occasione. “Tutta la gamma dei sentimenti sgradevoli e imbarazzanti che conosciamo può essere anche il punto da cui partire per sviluppare la creatività, il miracolo e il progresso“. Agli occhi di Fukuyama il metilfenidato non è altro che uno “strumento per il controllo sociale“.
Il farmaco allevia la “fatica ai genitori e agli insegnanti e toglie a coloro ai quali è diagnosticata l’ADHD la responsabilità di porre rimedio alla propria condizione“. Il politologo lamenta che mentre un tempo il carattere veniva formato con “l’autodisciplina e la volontà di lottare contro ciò che era sgradevole e contro le inclinazioni sbagliate, oggi si ricorre a una scorciatoia fornita dalla medicina per ottenere lo stesso risultato“. [F. Fukuyama, Life, But Not as we Now It, New Scientist, 20 aprile 2002]
Si può essere d’aiuto ai ragazzi anche senza ricorrere ai farmaci, ed esempio apportando alcuni cambiamenti alle abitudini quotidiane. Posso citare al riguardo l’esempio di un giovanotto inglese che, verso la fine del XIX secolo, andava a scuola e secondo i criteri di oggi si sarebbe potuto classificare come iperattivo. Per poter sfogare il surplus di energia che sentiva dentro di sé, il giovanotto ottenne dai suoi insegnanti il permesso di compiere dopo ogni ora di lezione un giro di corsa attorno all’edificio scolastico. In questo modo il tran tran quotidiano diventava sopportabile, tanto a lui quanto ai suoi insegnanti. In seguito, comunque, egli rinunciò del tutto all’attività sportiva. Si chiamava Winston Churchill.
By Gabriele Milani
www.autismovaccini.org
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Ho un figlio autistico ad alta funzionalità, di 7 anni. Da 7 mesi prende il farmaco, e io vi assicuro che non è una questione di non saperlo gestire, o renderci più facile il lavoro… Fermarsi, concentrarsi, riuscire a stare seduto, erano cose più forti di lui…. Lui urlava che non ci riusciva… Ora mi ringrazia perché riesce a leggere e a capire le cose, perché riesce a giocare coi compagni e riesce anche a smettere di giocare quando sente che sta diventando violento il gioco, ammette di non sopportare il caos, prima ci si buttava a pesce e poi aveva un episodio di crisi che dondolava su se stesso… Di miglioramenti ce ne sono stati tanti. E lui mi ringrazia ogni giorno per la scelta che ho fatto di dargli il farmaco. È vero. Mangia poco, quasi niente sotto farmaco, poi recupera finito l’effetto (ma cresce, è più alto dei suoi compagni) È vero, a volte senza farmaco l’iperattività è più forte di prima… Penso che ogni farmaco abbia il suo contro. E sono convinta che molto spesso, ora per facilità, si diagnostichi un adhd in un bambino che non ha semplicemente voglia di studiare o impegnarsi. Però veramente, può fare un gran bene… Ma non a noi, a loro!! Io la sua iperattività la riuscivo a gestire tranquillamente a differenza degli altri… Ma era lui a non riuscire a gestirla. Quindi non spaventate le mamme insicure con questi discorsi, ci sono casi in cui non serve. Ma quando serve usate il farmaco! Date a loro la possibilità di scegliere, i vostri figli vi diranno “no mamma mi sento strano”, o “grazie mamma, ho scoperto un mondo nuovo”
Buongiorno, condivido quanto da Lei scritto, non è un articolo assolutista ma vuole mettere il dito nella piaga ed esprimere il fatto che purtroppo, molto spesso, la prescrizione di questi farmaci viene indicata anche in casi che potrebbero essere risolti in altro modo ed è li che il farmaco diventa la panacea per la soluzione. Le faccio un esempio: in un paziente che presenta una broncopolmonite la terapia antibiotica è di fondamentale importanza ma se il paziente presenta un semplice mal di gola questa soluzione è esagerata rispetto al problema.