Dalla sfera sessuale a quella emotiva, passando per le modificazioni fisiologiche legate all’età, siamo tutti ottimi potenziali clienti delle case farmaceutiche.
Recita, infatti, il loro slogan: ” Ogni persona sana è un potenziale malato” a cui vendere sempre più farmaci.
Per identificare la deriva aggressiva di Big Pharma è stato coniato il termine ” disease mongering,” cioè” vendere malattie”. Un nome, ormai riconosciuto da tutta la comunità scientifica, per indicare le strategie poco etiche con cui le case farmaceutiche, con l’alleanza di professionisti sanitari e di organizzazioni interessate, cercano di convincere le persone sane che sono malate e quelle malate che lo sono gravemente.
Le case farmaceutiche stanno così sempre di più influenzando la nostra percezione di salute, cercando di imporre la loro visione di normalità, sempre più dipendente dall’assunzione di farmaci.
Un ambito dove questo avviene in modo marcato, per esempio, è quello della psiche: tratti caratteriali o alcuni comportamenti particolari vengono sempre più spesso classificati come malattie, da curare con psicofarmaci o, ancora, si cerca di farci dipendere sempre di più dalle cosiddette ” lifestyle drugs”, medicine che puntano non a farci guarire, ma a portare le nostre prestazioni agli standard sempre più elevati richiesti da uno stravolto concetto di normalità.
Le strategie utilizzate sono molte. Un caso tipico è quello di un fenomeno naturale, spesso legato all’età, trasformato in un problema di salute per il quale bisogna ricorrere a dei farmaci: per esempio la menopausa o la calvizie. Un’altra strada è far diventare disturbi lievi o esperienze comuni malattie più serie che è necessario curare: un esempio è la colite, spesso risolvibile con semplici accorgimenti e modificazioni della dieta, che diventa ” sindrome del colon irritabile”, naturalmente con farmaco apposito.
Succede così che si inventino nuove malattie, anche con l’appoggio dei medici: per esempio i normalissimi disagi premestruali diventano una malattia psichiatrica.
Un’altra via è presentare un semplice fattore di rischio, dal livello di colesterolo nel sangue alla diminuzione della densità ossea, come una malattia da curare.
Per rafforzare queste tattiche, ci si assicura l’appoggio di nomi noti della medicina, per influenzare i medici di base sulla necessità di diagnosticare e trattare con i farmaci il disturbo.
Anche finanziare le associazioni di pazienti aiuta a crearsi una sponda.
Secondo uno studio indipendente ( pubblicato su Plos medicine) le case farmaceutiche investirebbero più nel marketing che nella ricerca: 57 miliardi di dollari contro 30 miliardi.
Paradossalmente, i primi a subire gli effetti negativi del vendere malattie sono gli stessi pazienti, che si vedono prescrivere farmaci inutili, se non addirittura pericolosi.
Non solo: la via del farmaco ha ormai soppiantato molti altri modi per mantenersi in salute, incentrate su corrette abitudini di vita, in particolare su una sana alimentazione; magari questi metodi richiedono più tempo e pazienza, ma sono sicuramente meno aggressivi e danno risultati più duraturi.
Queste strategie mirano a creare allarmismo, per convincere le persone della necessità di curarsi, con conseguente sviluppo di disagio e ansia sulla propria salute.
In conclusione, si dimentica che gli interventi medici hanno sempre una certa dose di rischi e possono avere effetti indesiderati: il beneficio che un individuo può trarne deve sempre essere maggiore.
Grazie al porta a porta negli ambulatori, al finanziamento di convegni e ricerca, alle sponsorizzazioni, per fare solo alcuni esempi, si creano alleanze informali tra aziende e medici, le società di pubbliche relazioni, le autorità sanitarie e le associazioni dei pazienti. Tutti contribuiscono a forzare la nostra visione della malattia, orientandola verso una sempre maggiore dipenzenza dai farmaci.
Una ricetta valida per contrastare la deriva farmacocentrica è quella di dare un’informazione il più possibile indipendente. E per fortuna ci sono persone che lavorano per farlo, svincolate dagli interessi di Big Pharma. Le associazioni di consumatori europee, per esempio sono molto attive nel contrastare il fenomeno. Anche tra i medici e i ricercatori c’è chi lotta contro i condizionamenti. C’è chi lo fa mettendo a disposizione archivi di informazione mediche indipendenti e chi si è dato regole rigorose nella pratica medica ( es. l’associazione ” No grazie pago io”.
CASI ESEMPLARI
Intestino irritabile : il farmaco è stato peggio.
Per il trattamento della comune colite, ora denominata sindrome dell’intestino irritabile sono stati introdotti due farmaci ad hoc. Due medicine, LotronexGsk e Zelnorm Novartis, sono state approvate in fretta e furia dall’ente americano per la sicurezza dei farmaci e vendute a milioni di americani senza adeguate garanzie di sicurezza. Risultato: centinaia di pazienti finiti in ospedale per gravi effetti indesiderati e persino alcuni decessi. I farmaci sono stati in seguito ritirati, ma solo dopo avere causato diversi danni. Per fortuna non sono mai arrivati in Italia.
Viagra per tutti, anche a chi non serve.
L’ambito della sessualità è un terreno fertile per le case farmaceutiche che vogliono incrementatre i loro profitti. Per esempio da quando è stato inventato il Viagra, la casa farmaceutica Pfizer e le altre aziende che producono farmaci simili hanno investito enormi risorse per far passare all’intera popolazione maschile il messaggio che la ” normalità” è avere una sessualità sempre prestante e senza la minima defaillance. Se all’inizio il farmaco era stato pensato per curare l’impotenza, oggi viene proposto per la ” disfunzione erettile”, un termine in cui far rientrare una sempre più larga fetta di popolazione, tra cui anche chi ha solo problemi occasionali, del tutto fisiologici, ma in perfetta salute.
Psiche sotto tiro, curare anche la timidezza.
Da molti anni, in psichiatria, ai assiste all’allargamento della sfera dei disturbi mentali. L’influenza delle case farmaceutiche è evidente: se c’è una nuova pillola da approvare, bisogna introdurre nei manuali diagnostici la malattia per cui è stata creata. Ecco quindi disturbi come l’ansia sociale, una malattia poco diffusa, allargata fino ad includere la timidezza grazie ad una campagna pubblicitaria, o come il ” disturbo disforico premestruale”, la vecchia, normalissima sindrome premestruale, rivestita in chiave catastrofica. Risultato: uso sempre più frequente di antidepressivi.
La casa farmaceutica Glaxo, ha rispolverato un vecchio antidepressivo che non faceva più cassa, il Paxil, inculcando in milioni di americani la convinzione che grazie al suo rimedio avrebbero sconfitto la timidezza. Oggi è noto che il Paxil dà problemi di dipendenza e che negli adolescenti, come gli altri antidepressivi, aumento il rischio di suicidi.
La Lilly invece ha riverniciato il famoso Prozac ( antidepressivo in scadenza di brevetto), cambiandogli nome, Sarafem, e confezione, per proporlo alle donne che mal sopportano i giorni che precedono il ciclo. L’Europa per ora ha frenato questa deriva, togliendo il disturbo premestruale dalle indicazioni terapeutiche. Secondo le autorità UE , donne con una fisiologica irritabilità o ansia dovuta allo sbalzo ormonale potrebbero ricevere erroneamente una diagnosi di malattia, essendo portate così a un uso improprio di antidepressivi.
Meditate gente meditate.
Da” Test salute” dell’ associazione consumatori Altroconsumo.
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