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La scoperta di una possibilità di drenaggio all’interno del tessuto cerebrale apre nuovi orizzonti di diagnosi e terapia di una notevole quantità di patologie che direttamente o indirettamente interessano l’encefalo.

Per molto tempo si è ritenuto che i liquidi del cervello fossero il sangue, venoso e arterioso, ed il liquido cefalo-rachidiano con le sue specifiche localizzazioni.
Prodotto dai Plessi corioidei, quest’ultimo migra costantemente per diffusione, probabilmente per vis a tergo rappresentata dalla pressione della circolazione arteriosa.
In questo modo si riteneva che le tossine prodotte dal metabolismo cellulare ed altre intervenute, entrano all’interno del Sistema nervoso attraverso i vasi arteriosi, potessero diffondersi liberamente negli interstizi cerebrali; tuttavia non si conosceva la possibilità di drenaggio degli stessi.

Numerosi studi hanno successivamente approfondito il ruolo della Barriera emato-encefalica come elemento protettivo dell’ambiente cerebrale. Il processo infiammatorio silente e l’invasione di tossine, sia prodotte in loco sia provenienti dall’ambiente, agisce danneggiando questa membrana e permette una maggiore vulnerabilità ed un maggiore inquinamento locale.

Queste potrebbero essere le cause del progressivo invecchiamento cerebrale che clinicamente si manifesta con i noti deficit di attenzione, memoria, ecc., fino a strutturarsi in patologie definite, tra cui Alzheimer e Parkinson.

Giova ricordare che il primo è definito Diabete tipo 3 a sottolineare il ruolo probabilmente fondamentale dell’insulinoresistenza come causa o concausa del costante e diffuso stimolo pro-infiammatorio, mentre per il secondo è stato chiamato in causa il progressivo inquinamento da metalli pesanti.

Nel 2012 una serie iniziale di esperimenti ha portato ad individuare un Sistema che apparentemente somiglia a quello Linfatico, diffuso nel resto del corpo, che sembra contribuire in maniera importante al drenaggio cerebrale.

Attraverso sperimentazioni ripetute su modello murino è stato identificato un ulteriore Sistema Vascolare che, per l’appartenenza al gruppo di cellule della glia e la somiglianza funzionale al Sistema Linfatico, è stato definito “Sistema Glinfatico”.

Gli studi hanno approfondito la funzionalità di questo Sistema ed ora sono note in maniera molto dettagliata le sue funzioni e soprattutto la regolazione fisiologica del drenaggio encefalico.

E’ significativo lo studio del 2013 di Iliff et Al.: sono stati iniettati nel liquido cefalo-rachidiano dei marcatori fluorescenti; questi, in 30 minuti, si collocano attorno ai vasi arteriosi, già dopo 5 minuti si possono reperire negli spazi perivascolari delle arterie superficiali e nei restanti 25 si sono spostati all’interno del parenchima, sempre seguendo gli spazi perivascolari delle arterie penetranti.

Nelle successive 3 ore il tracciato fluorescente è stato identificato attorno ai capillari venosi ed in seguito nelle vene drenanti di grosso calibro.

Per ciò che riguarda la regolazione è interessante rilevare che, legando la carotide, e quindi riducendo la forza propulsiva del sangue al cervello, il Sistema Glinfatico viene ridotto, mentre, utilizzando agonisti adrenergici, il flusso del fluido glinfatico aumenta.

A proposito di quest’ultima considerazione vale la pena ricordare come il sonno naturale sia stato associato ad un aumento del flusso del tracciante ed alla conseguente migliorata pulizia del soluto interstiziale, inclusa la proteina beta-amiloide.

Come già indicato in questa Rubrica, studi approfonditi hanno portato alla correlazione tra un deficit della qualità del sonno (e del drenaggio glinfatico) e l’Alzheimer, segnalando come tale deficit sia associato ad una maggiore permanenza in senso quantitativo delle placche beta-amiloidi considerate come carico tossinico che normalmente sarebbe smaltito proprio dal circolo glinfatico.

Un ultimo riferimento riguarda la possibilità che ischemie cerebrali spontanee o traumatiche possano avere, come conseguenza, una riduzione del deflusso glinfatico; tanto maggiore è questo deficit drenante tanto maggiore è la possibilità che si creino danni permanenti o comunque un rallentamento nella guarigione.

E’ interessante notare che quando si verificano eventi embolici anche di minima entità la perfusione glinfatica recupera spontaneamente entro 14 giorni, ma si verifica un persistente intrappolamento di soluto all’interno dei nuclei di lesione, spiegando in questo modo la connessione clinica tra questi fenomeni, la formazione di placca di beta-amiloide e la neurodegenerazione a lungo termine.

Il Parkinson è patologia che si presenta frequentemente negli ex pugili, per i quali si può ipotizzare un politraumatismo cerebrale sub-clinico, che ora troverebbe spiegazione anche in questi meccanismi patogenetici.

Questo nuovo passo della scienza consente di fare alcune considerazioni prossime al mondo della Nutraceutica e dell’Omotossicologia.

La prima è che, sia in prevenzione primaria sia in terapia, diventa fondamentale agire sulla qualità del cibo, in modo tale da ridurre il più possibile l’ingresso nel cervello di tossine che rallentano il deflusso glinfatico.

La seconda è che agire sul sonno (qualità e quantità di sonno necessarie per attivare il drenaggio cerebrale) è un elemento terapeutico fondamentale in un certo numero di patologie.

Ad esempio, i malati Alzheimer presentano frequentemente alterazioni della qualità del sonno.

La terza osservazione è che intervenire con meccanismi e stimoli drenanti, fondamentali in medicina omotossicologica, può avere un effetto importante non soltanto a livello generale ma anche, e in modo determinante, a livello della circolazione cerebrale; consente l’eliminazione delle tossine fluidificando il Sistema Glinfatico e rende un servizio terapeutico fondamentale, senza trascurare l’importanza di una prevenzione primaria del progressivo invecchiamento cerebrale.

da: rivista La Medicina Biologica n.159

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