Siamo anche ciò che ci altera e ci cambia. Come agiscono in noi sul lungo periodo carenze o eccessi alimentari, influenze ambientali e situazioni di stress costante? Un’esplorazione nella nostra risposta adattiva attraverso studi di epigenetica.
Prendo due topi (ahinoi, ancora queste ricerche si servono di animali). Uno lo accudisco alla nascita, un altro no. Il secondo avrà una segnatura epigenetica che lo renderà più vulnerabile allo stress e i segni saranno visibili sull’ippocampo. Il primo topo avrà un fenotipo più resistente allo stress.
Si chiama epigenetica la branca della genetica che studia l’interazione dei geni con l’ambiente. Il fenotipo non è altro che ciò che si sviluppa da questa interazione.
Il Dna “oscuro” che ci portiamo dentro
Prendiamo noi stessi, lasciamo in pace i topi per un attimo. Abbiamo 20.000 geni che fabbricano proteine e occupano uno spazio nel Dna pari al 2%. Il restante 98% viene chiamato “Dna “oscuro”. La scienza ha compreso che l’ambiente è in grado di modificare il Dna che ricade in questo ampio bacino. Non solo: pare che è in questo ricco 98% risiedano i dati genetici che ci contraddistinguono dalle altre specie.
“Epigenetica” è un termine usato negli anni ’40 del Novecento dall’embriologo e genetista Conrad Waddington (1905-1975) che si concentrò sui fattori che portano a diversi fenotipi pur con lo stesso patrimonio genetico di partenza.
L’esempio classico è quello che riguarda alcuni gemelli monozigoti che presentano rilevanti differenze sia a livello macroscopico sia dal punto di vista dell’incidenza delle malattie che si pensa abbiano una solida base genetica, come la schizofrenia.
Lo studioso aveva compreso che è possibile che si modifichi stabilmente l’attività del genoma senza che ci sia un cambiamento a livello delle basi, bensì con un cambiamento delle informazioni lì contenute.
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Stress, cibo e movimento. Cambiare da dentro
Cosa può produrre una segnatura epigenetica sul Dna?
L’ambiente e i comportamenti quali alimentazione, attività fisica, stress.
Nel 1976 sono stati fatti studi su donne olandesi gravide che avevano patito la fame sotto la II Guerra Mondiale (nel dettaglio, donne incinta tra il novembre del 1944 e l’aprile del 1945, in Olanda durante l’occupazione tedesca). I figli di queste donne son nati con un peso minore rispetto alla norma e da adulti hanno manifestato un aumento dell’incidenza di vari disturbi psichiatrici e problemi cardiovascolari.
Cosa crea la situazione opposta, ovvero l’eccesso di nutrizione?
Una dieta eccessiva, come quantità e calorie (specie di zuccheri raffinati e determinati grassi), causa l’attivazione del fattore di trascrizione nucleare NF-kB. Questo componente va pensato come un tasto di accensione che attiva i geni deputati alla produzione di alcune sostanze infiammatorie.
In questo senso sono stati condotti gli studi su umani. Uno di questi ha dimostrato che uomini di Taiwan che masticano regolarmente semi di palma (noci di betel) sono predisposti al diabete e trasmettono questo rischio alla progenie (per via paterna).
Come sfiammare il tutto? Alcune sostanze come il resveratrolo (uva rossa), la curcumina (curcuma), il butirrato e altri acidi grassi a catena corta (prodotti dalla flora intestinale) inducono una notevole deacetilazione e contrastano la segnatura epigenetica in senso infiammatorio.
Senza calcolare le piante che combattono lo stress, delle vere e proprie alleate che aiutano il sistema nervoso e l’intera “macchina” corpo.
Il movimento è vita in ogni senso. L’attività fisica ossigena il corpo, consente di mantenere efficiente il lavoro degli enzimi. Dall’idrolasi, che facilita la scissione di altre molecole, alla polimerasi. Ne beneficiano le proteine semplici: il collagene che è nella pelle e nel tessuto connettivo, l’albumina nel sangue (per la corretta distribuzione dei liquidi corporei), l’elastina in pareti di arterie e vene, la missina dei muscoli, la cheratina di pelle, unghie e capelli.
Mantenere il corpo in movimento consente di conoscersi e rispondere allo stress con maggiore consapevolezza…
In sintesi? La vita non è solo il prodotto finale del genoma. Anzi, si potrebbe dire che la vita sia continua artefice di se stessa, andando a retroagire sulle condizioni che l’hanno generata, avendo il potere di cambiarle.
Di Elisa Cappelli
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