Occhio alle informazioni on line sui probiotici: nella maggior parte dei casi sono di carattere commerciale, derivano da fonti poco affidabili, nascondono gli effetti collaterali e promuovono impieghi non supportati da dati scientifici sufficienti.
L’allarme giunge dalle colonne di Frontiers in medicine per voce di un gruppo di ricercatori guidati dall’italiano Pietro Ghezzi che, dopo anni di lavoro all’Istituto Mario Negri di Milano, dal 2008 insegna alla Brighton and Sussex medical school in Inghilterra.
Alla luce del grande interesse che suscita l’argomento e della mole di dati circolanti, Ghezzi e colleghi hanno deciso di valutare le informazioni a cui il pubblico è esposto in caso di ricerche online.
Sono state prese in esame le prime 150 pagine web risultanti da una ricerca su Google con la parola chiave probiotici. Diversi i criteri di valutazione. Innanzitutto, il profilo della fonte (commerciale, istituzionale, giornalistico-informativa, professionale e così via). Poi il cosiddetto punteggio Jama (Journal of the american medical association) basato su: presenza di firma/autore, data di pubblicazione e aggiornamento, indicazione del proprietario del sito e citazione delle referenze bibliografiche. E, ancora, presenza dell’HONcode, una certifcazione terza del sito basata su elementi quali, per esempio, autorevolezza, trasparenza, protezione dei dati, citazione delle fonti. Infine, gli autori annotavano se venivano indicate le specie dei microrganismi citati e se l’informazione fosse completa in termini di potenziali benefici ed effetti collaterali. Le evidenze scientifiche dei benefici promessi sono state verificate usando come riferimento la Cochrane library.
I risultati hanno evidenziato come soltanto il 10% delle pagine web soddisfaceva tutti i criteri di valutazione, solo il 40% riportava informazioni prudenti sui benefici, solo il 35% aveva riferimenti bibliografici e solo il 25% menzionava potenziali effetti collaterali.
“Tali dati ci hanno portato a diverse conclusioni” sottolineano gli autori. “Innanzitutto, le tipologie più frequenti di pagine web restituite da Google sono di carattere commerciale. Queste, poi, forniscono mediamente le informazioni meno affidabili e molti dei benefici dichiarati non sono supportati da prove scientifiche. In molti casi addirittura i risultati di ricerche sui topi sono stati utilizzati per sostenere affermazioni sui benefici dei probiotici nell’uomo”.
Non solo brutte notizie, però. Infatti, la cosiddetta Top10, ovvero i primi dieci risultati della ricerca on line, che poi sono quelli su cui si sofferma la maggior parte delle nostre scelte, è risultata quella con il giudizio qualitativo migliore, segno che Google ha impostato criteri rigorosi al suo algoritmo per la classificazione dei siti.
Così conclude Ghezzi: “E’ un bene che Google abbia sviluppato nel tempo parametri severi per valutare i siti web relativi alla salute. Ciononostante, però, dovremmo sempre chiederci da dove provengono le informazioni che stiamo ricevendo. Google dà la priorità alle pagine web contenenti le informazioni più complete e scientificamente affidabili sui probiotici e questi hanno un posizionamento più elevato rispetto ai siti web commerciali. Tuttavia, il fatto che vi sia una così grande quantità di informazioni orientate al mercato risulta un problema laddove i consumatori sono invece alla ricerca di risposte trasparenti e non condizionate”.
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