RIPULIRE L’ALBERO GENEALOGICO SE VOLETE UN RAMO TUTTO PER VOI DOVE CINGUETTARE IN PACE!

RIPULIRE L’ALBERO GENEALOGICO SE VOLETE UN RAMO TUTTO PER VOI DOVE CINGUETTARE IN PACE!

Poiché i padri hanno mangiato l’uva, i denti dei figli si guasteranno e non si conteranno le sedute dal dentista. Scherzi a parte, le colpe dei padri ricadranno sui figli: è la Bibbia a informarci. E non si smaltiranno in breve tempo. Secondo il testo sacro, saranno vessate almeno 7 generazioni; l’induismo ne conta 9; gli antichi testi cinesi addirittura 11. Già solo il pensiero ci tramortisce, almeno da che l’Antico Testamento ha fissato il principio in un verso del libro di Geremia e lo ha trasmesso alla vulgata comune. Nel libro di Ezechiele, invece, si cambia drasticamente musica: ciascuno sarà giudicato in base alle proprie azioni. Ma insomma, siamo liberi o condizionati? Il prodotto di una lunga catena di eventi o delle nostre scelte individuali? Non si sta qui a tentare l’esegesi biblica, solo a dire che il dilemma tra destino e libero arbitrio, predestinazione e libertà, è antico, attanaglia da sempre il pensiero filosofico e religioso, le culture umane. Con Anne Ancelin Schützenberger, ‘inventrice’ della psicologia transgenerazionale, oggi 92 enne,  la psicologia dà ragione a Geremia (da lei citato nei suoi studi) e scarta Ezechiele: i morti condizionano i vivi, i vissuti familiari si trasmettono, li ereditiamo come e più dei tratti fisici e somatici, ci costringono alla ripetizione finché non ne prendiamo coscienza, li assimiliamo e ce ne liberiamo.

E’ stato da poco pubblicato in Italia Psicogenealogia, seguito e completamento de La sindrome degli antenati (entrambi  per opera dell’editore Di Renzo), frutto di una vita di ricerca, studio, ma soprattutto esperienza clinica diretta della Schützenberger con centinaia di migliaia di pazienti.  Da entrambi i libri affiora un concetto fondamentale: un qualche equilibrio interiore e il senso della propria vita non si raggiungono solo e soltanto, ammesso che ci si riesca, dirimendo i conflitti tra Es e Super Io, l’io in mezzo a tentare di fare da mediatore, secondo l’impostazione psicoanalitica classica. Ancelin invita a scovare altrove, negli armadi di casa, l’origine dei propri mali: naftalina (se ancora è in uso) e antitarme a parte, si potranno scoprire scheletri o fantasmi di famiglia ben custoditi o nascosti, ma attivi in noi; segreti, tabù, polveri non sottili di tante cose rimosse, non dette, mai confessate eppure mai decadute, anzi rimaste sempre in circolo, che si riattivano nel vissuto di ogni generazione in forma di coincidenze, malattie gravi, morti premature, ma anche innocui episodi analoghi che si ripetono nella scala  della discendenza. Segno che l’albero, il nostro albero genealogico, sovraccarico, intasato, inquinato, va ‘ripulito’. Agostino d’Ippona, citato da Anne, scrisse che ‘i morti non sono assenti, sono esseri invisibili’.  Ecco, nel ripostiglio di casa si agita l’inconscio familiare che ci costringe, secondo questa linea di pensiero, a prendere atto di un universo parallelo dove le dimensioni di tempo e di spazio non sono solo quelle della realtà apparente. Il funzionamento dell’inconscio e della memoria sembrano sfuggire alle convenzioni e mostrarci legami longitudinali nel tempo e nello spazio che sfuggono a qualsiasi spiegazione razionale. Conoscere la propria storia familiare e coltivarne la memoria, diventano parte fondamentale di ogni processo terapeutico o percorso esplorativo di chi è alla ricerca di sé. Del vero sé.

Chi è Anne Anceline Schützenberger? Classe 1919, parigina d’origine alsaziana, è figura fondamentale della psicologia del ‘900. Di formazione freudiana, allieva di Francoise Dolto in Francia, è stata in America una delle prime allieve di Moreno, (padre dello psicodramma, dei metodi attivi, del concetto di atomo sociale e di tecniche come il sociogramma). Ha lavorato a fianco di Carl Rogers, Margaret Mead, Gregory Bateson, ha risentito della lezione del gruppo degli antropologi di Palo Alto. Teorica e clinica, psicosociologa, analista di gruppo e psicodrammista con esperienze internazionali di grande rilevanza, oggi è professore emerito di psicologia all’università di Nizza. Anne è conosciuta soprattutto  perché fondatrice della psicogenealogia o psicologia transgenerazionale: per lei scienza e arte insieme, disciplina e metodo sviluppati dagli anni ’70 che approcciano le malattie sia fisiche che mentali a partire dallo studio della storia familiare.  Per Anne guarire è mettersi in condizione di vivere la propria vita liberandosi di pesanti eredità psichiche. Attraverso la tecnica del genosociogramma da lei sviluppata (la costruzione dell’albero genealogico fatta dal  paziente con l’aiuto del terapeuta, non in base a ricerche ma in base alla memoria perché conta il modo in cui vengono percepiti i legami più che la loro trascrizione oggettiva), si può portare alla luce l’eredità psichica (traumi, problemi, disagi) che ci è stata trasmessa da antenati, nonni, genitori. In ‘Psicogenealogia’ si legge che le ricerche fatte negli anni ’60 dalla psicoanalista americana Josephine Hilgard  negli ospedali psichiatrici della California, hanno definitivamente dimostrato la reale esistenza della ‘sindrome da anniversario’: la ripetizione degli stessi  sintomi per tre e più generazioni come per ‘contagio mentale’. D’altra parte, la componente genetica talvolta da sola non basta a spiegare l’insorgere di malattie psichiche e fisiche. Come si trasmette allora questa eredità familiare?  Per via inconscia, naturalmente. E sul modo di attivarsi dell’inconscio ci sono diverse ipotesi: di madre in figlio, tramite il cordone ombelicale, di padre in figlio. Anne racconta molti casi clinici ne ‘La sindrome degli antenati’, e in ‘Psicogenealogia’ propone una metodica rigorosa per una clinica psicogenealogica. Secondo questa impostazione, il nostro grado di libertà è molto inferiore a ciò che pensiamo. A volte la nostra vita è ‘marchiata’ ancor prima della nascita; fin dalla scelta del nome, si determina il destino di un bambino. Come e perché si porta avanti una gravidanza, è un capitolo a parte.

È tra le suppellettili di casa che si dipana la questione cruciale, il perché di sofferenze che invalidano la vita psichica. Magari sotto  la panca custodiamo sogni  imposti dal sistema di valori familiari, sociali, culturali, che non ci appartengono. Viviamo decentrati. Sopra la panca,  cerchiamo il ‘romanzo’ che dipani un senso, ci indichi la via d’uscita dal labirinto della nostra vita, dal cruccio che fa da sottofondo ai nostri giorni. Anne ci strattona: dimentichiamo o ignoriamo che è la nostra vita il vero romanzo che dobbiamo imparare a leggere. Siamo noi i personaggi centrali se ci apriamo alla conoscenza.  Interpretiamo in forme inconsapevoli il ruolo che la famiglia, la miscela biologico-affettiva di cui siamo fatti, ci ha assegnato.  Scrive Musil ne ‘L’uomo senza qualità’ citato ne ‘La sindrome: ‘occorre senza dubbio che gli individui siano ciascuno un’architettura a sé, affinché l’insieme che essi compongono non sia un’assurda caricatura’. Bisognerebbe trovare chi si è, capirlo per sottrarsi alla caricatura. In fondo, secondo la psicoterapeuta, noi esseri umani siamo tutti simili nei moventi fondamentali dell’esistenza: la paura di morire, la paura di non essere riconosciuti, quasi sempre agiti da conflitti generazionali, alle prese con la difficoltà a sottrarsi ai condizionamenti familiari per nascere a sé. L’approccio teorico e clinico di Anne è integrato perché sono riconoscibili e utilizzati più modelli. C’è il Freud che per primo osservò con una metafora efficacissima che emerge di ognuno solo la punta di un iceberg, mentre quasi tutta l’attività psichica si svolge in modo sommerso e inconsapevole. Ancora il Freud che in ‘Totem e tabù’ per primo individua una trasmissione di questa eredità: “Noi procediamo comunque dall’ ipotesi di una psiche collettiva (…) facciamo sopravvivere per molti millenni il senso di colpa causato da un’azione e lo facciamo restare operante per generazioni e generazioni che di questa azione non possono avere avuto nozione alcuna. Facciamo proseguire un processo emotivo”. Quindi Anne fonda il suo metodo anche sulla nozione di inconscio collettivo di Jung, “sull’idea junghiana della trasmissione di generazione in generazione e della sincronicità o coincidenza delle date”. Da Moreno riprende l’idea del co-conscio e del co-inconscio familiare e di gruppo. Da Foulkes  l’idea di inconscio sociale e interpersonale nonché di matrice: siamo tabula rasa su cui si incidono le memorie di altri. Dallo psicoanalista di origine ungherese, Ivan Boszormeny-Nagi, riprende il concetto di ‘lealtà invisibile’, fedeltà inconscia ai nostri antenati. “C’è qualcosa in noi – scrive in Psicogenealogia – che ci spinge a ‘difendere’ la nostra famiglia e il suo modo di vivere e di pensare, a riprodurre il suo comportamento, qualunque siano i nostri consapevoli desideri di fare altrimenti. E se per prendere le distanze si agisce in modo contrario da come è stato fatto, e se i nostri genitori si sono comportati nello stesso modo, si ripete la forma di rivolta dei nostri nonni, si reagisce invece di scegliere e di agire. E il ciclo ricomincia”. Fare il contrario è anch’ esso una forma di lealtà invisibile. Diventare adulti, tagliare il cordone ombelicale è emanciparsi da queste dinamiche. Di qui anche l’integrazione nel modello teorico di Anne delle nozioni di  ‘cripta e fantasma’ introdotte nel 1978 da due psicoanalisti freudiani, anch’essi di origine ungherese, Nicholas Abraham e Maria Torok, che lavorarono su pazienti che sostenevano di aver fatto qualcosa senza comprenderne i motivi. Per i due psicoanalisti il fenomeno si spiega ipotizzando la presenza di un fantasma, alla pari di un ventriloquo, che parla per loro, uscito da una tomba mal chiusa di un antenato, dopo un’onta subita, una morte precoce, qualcosa di non accettato. “Il fantasma è il lavoro nell’inconscio del segreto inconfessabile di un altro (incesto, crimine, nascita illegittima).

In questo quadro assai complesso, si inserisce la ‘sindrome da anniversario’, gia evidenziata dalla Hilgard: l’individuo è un’entità biologica, psicologica, ma anche psicosociale che risente delle regole codificate dal suo sistema familiare che diventano carne della propria carne. L’identificazione inconscia con un membro della famiglia fa sì che si arrivi a un processo di ‘incorporazione’: con una straordinaria coincidenza di date si replicano malattie, incidenti, morti, destini. “Ho avuto modo – racconta Anne ne ‘La sindrome’ – di notare numerosi casi di ripetizione , di incidenti, matrimoni, aborti, decessi, malattie e gravidanze, alla stessa età, lavorando su due-tre-cinque-otto generazioni (ossia esaminando 200 anni di storia familiare)”. Perché avviene tutto questo? La psicogenealogista ammette candidamente che non lo sa né può fornire una risposta: sono dinamiche che dall’ambito psicologico ci conducono all’ontologia e alla metafisica. L’investigazione dell’umano contempla l’imbarazzo del mistero e dell’ignoto. Certo è che esiste un gran libro dei computi familiari (debiti e meriti) ma persino razziali e culturali che spiegherebbe storie individuali e collettive. Resterebbero in circolo debiti,  ‘ingiustizie’ di cui se non si pone riparazione  ripulendo l’albero genealogico restano nelle generazioni tracce fisiche e psichiche: bizzarrie comportamentali, atti mancati, incubi.  “É  evidente che certi tra noi portano in sé delle cripte, come delle tombe dove avrebbero nascosto dei morti mal sepolti, mal morti, sotterrati con dei segreti indicibili per i loro discendenti, o delle morti ingiuste (morti premature, assassini, genocidi)”.  Tra gli innumerevoli esempi citati, suggestivo il cosiddetto trauma da vento di proiettili: durante la terribile ritirata di Russia del 1812, i chirurghi di Napoleone constatarono l’esistenza di uno shock traumatico nei soldati che avevano sfiorato la morte e sentito passare il vento dei proiettili. Le conseguenze di questo shock si sarebbero trasmesse durante i periodi di anniversario nei discendenti in forma di malesseri, costrizioni alla gola, incubi “per effetto di una sorta di zoom, di collisione delle generazioni e del tempo, un time collapse”. Incubi particolarmente vividi dotati di una memoria quasi fotografica sono confermati nei discendenti di sopravvissuti di guerre che ripropongono traumi terribili e inenarrabili. La psicogenealogia ha funzione investigativa, curativa e ripartiva. Sostiene Anne: quando si lascia a una persona la possibilità di esprimersi, parlare, disegnare, rappresentare in forma di psicodramma, i sintomi scompaiano, si riesce a chiudere un trauma e un lutto attraverso un atto simbolico ultimando compiti che erano rimasti sospesi.  Un caso familiare celebre è quello del poeta Arthur Rimbaud: nel suo abbandonare la poesia per l’Africa, per poi tornare in Francia a morire per un cancro al ginocchio, era ossessionato dal fantasma del padre. Arthur era stato abbandonato dal padre all’età di 6 anni; suo nonno aveva abbandonato il figlio alla stessa età.  Confondeva la sua città natale con quella di suo nonno (Dole). Credeva di essere disertore del 47 esimo reggimento di fanteria, che invece era quello di suo padre, il cui fantasma lo perseguitò in silenzio nella sua opera e nella vita. In ‘Psicogenealogia’ si cita il caso di Vincent Van Gogh: ha sofferto di un segreto di famiglia: è stato il ‘bambino di sostituzione’ di un fratello morto del quale portava il nome. “Oltre ad essere nato lo stesso giorno di quest’ultimo, l’ha scoperto per caso passando per il cimitero dove ha visto la ‘sua’ tomba, un enorme shock, finché non comprese che non si trattava di lui per il fatto che la data di suo fratello differiva di un anno dalla sua. Van Gogh non ha mai trovato il suo posto al sole, non ha mai venduto un quadro mentre era in vita e ha finito col suicidarsi”.

Questo approccio contestuale e integrato permette “una nuova ricognizione della psicoterapia, psicoanalisi, della medicina olistica e della medicina tout court, nonché della psicosomatica” e obbliga a un’integrazione dei saperi. “La sola psicoanalisi, o la psicoterapia individuale che non si colleghi al passato simbolico dell’individuo e ai suoi traumi, non è sufficiente”. Anne collega la disciplina anche alla teoria del caos e dei frattali  e alla ricerca di un senso in ciò che sembrerebbe non averne, perché potrebbero “aiutarci a comprendere come un piccolo avvenimento sia in grado di far cambiare tutto”.  In ‘Psicogenealogia’ si dice che è troppo presto per tirare le somme ma che i paradigmi scientifici stanno cambiando rapidamente: molte certezze dei secoli passati sono superate; viceversa, idee ritenute infondate trovano nuovi riscontri. Così le ricerche sui neuroni a specchio spiegano ciò che si chiama intuizione, empatia, “ovvero una quasi divinazione miracolosa del pensiero, delle intenzioni, dei desideri e dell’azione sperata da parte dell’altro”. Il futuro della ricerca non può che essere di questo tipo, transdisciplinare, per riuscire a spiegare le modalità di trasmissione di questa eredità e allargare la comprensione di come funzionino la memoria e l’inconscio. Comprensione che finora è emersa più  in ambito letterario (Proust, Virginia Woolf, Musil ad esempio) che scientifico. La disciplina psicogenealogica con la sua tecnica investigativa è suggestiva ma bisogna essere prudenti e  guardarsi dai ciarlatani: poiché è diventata una moda, è praticata anche da chi non ha ricevuto una formazione seria e “può portare ad abusi”, avverte la sua fondatrice.

Solo accettando consapevolmente il proprio guazzabuglio familiare, si può trovare un ramo confortevole per sé dove cinguettare. Oppure dove stonare, ma a modo proprio, rimanendo uguali a se stessi. Come diceva il filosofo Paul Ricoeur, bisogna acconsentire a ‘l’involontario della vita’. “Non ci si sceglie la propria famiglia, ma si può acconsentire a esservi nati e riappropriarsene”, conclude Anne. Forse tutto sta a rinsaldare i legami tra vita conscia e inconscia scissi da questa civiltà dei minimi termini, a dare ascolto agli avi quando hanno qualcosa da dirci, a coltivare la memoria e raccontare ai figli il proprio romanzo familiare invece di occultarlo. A riconoscere le eredità per poi fare storia a sé. Recita un famoso sonetto del poeta francese del XVI secolo, Joachim du Bellay: Felice chi, come Ulisse, ha fatto un lungo viaggio nello spazio e nel tempo, finisce per ritrovare il suo cuore e la sua ragione, e realizza finalmente la sua vera vita per sé stesso”.

Titolo: La sindrome degli antenati. Psicoterapia trans-generazionale e i legami nascosti nell’albero genealogico
Autore: Anne Ancelin Schützenberger
https://tesorisommersi.wordpress.com/2011/07/10/la-sindrome-degli-antenati-psicogenealogia-anne-anceline-schutzenberger/

 

IN ARRIVO DA AIFA LE PRIME AIC, GLI OMEOPATICI DIVENTANO FARMACI

IN ARRIVO DA AIFA LE PRIME AIC, GLI OMEOPATICI DIVENTANO FARMACI

Roma, 27 ottobre – Sono in arrivo le prime autorizzazioni dell’Aifa che attribuiscono anche ai rimedi omeopatici il rango di farmaci a tutti gli effetti, status fino ad oggi non riconosciuto.

Ad annunciarlo è Omeoimprese, la sigla delle aziende dei produttori di omeopatici, che informa che all’Agenzia italiana del farmaco sono stati richiesti oltre 3.000 codici di autorizzazione all’immissione in commercio, che verranno rilasciati entro la fine del 2018.

Una vera rivoluzione per le aziende omeopatiche, riferisce una nota Ansa, costrette a presentare al vaglio dell’Agenzia regolatoria nazionale una corposa documentazione e un elaborato dossier di registrazione, mai presentato fino ad ora.

“Le aziende hanno dovuto sostenere onerosi investimenti per adeguarsi alle richieste di Aifa” spiega il presidente di Omeoimprese Giovanni Gorga  “e da gennaio 2019 tutti i medicinali omeopatici in commercio avranno ottenuto l’Aic, proprio come avviene per i farmaci allopatici. Vi sono, però, sostanziali differenze, che rischiano di mettere in ginocchio il settore”.
A giudizio di Omeoimprese, pensare di trattare l’omeopatia alla stessa stregua della medicina tradizionale “implica un errore di valutazione. Le aziende omeopatiche, infatti, hanno dimensioni inferiori rispetto alle aziende farmaceutiche” spiega Gorga “e non possono permettersi di affrontare gli stessi costi di registrazione”.
“Il Decreto Tariffe del ministro Lorenzin dello scorso febbraio 2016 stabilisce importi tariffari assolutamente improponibili
 ”  continua il presidente delle aziende di settore. “Si tratta di cifre insostenibili per un settore che comunque non può né vuole pensare di competere con le Big Pharma“.
“Siamo felici che anche l’Aifa e il Ministero abbiamo riconosciuto a tutti gli effetti il valore dell’omeopatia rispetto alla medicina tradizionale”  prosegue Gorga, “ma occorre che ogni settore venga considerato in base alle singole peculiarità. In Italia sono oltre 8 milioni le persone che si rivolgono all’omeopatia, e se non troveranno medicine italiane in vendita, compreranno preparati stranieri. Il settore in Italia morirà, a favore delle aziende estere“.
L’obiettivo che Omeoimprese si pone per i prossimi mesi è, dunque, di lavorare con le istituzioni per rivedere il Decreto Tariffe.

http://ordinefarmacistiroma.it/gli-omeopatici-diventano-farmaci-in-arrivo-da-aifa-le-prime-aic-3000-le-richieste/?fbclid=IwAR3DmXRyuAS_pjtUgaiaobFIuGrQAYjMrVi2OSYWjF89PQ2GKxazRdC8NBM

PARKINSON: CONFERMATO LEGAME TRA BATTERI INTESTINALI E PATOLOGIE  NEURODEGENERATIVE

PARKINSON: CONFERMATO LEGAME TRA BATTERI INTESTINALI E PATOLOGIE NEURODEGENERATIVE

Lo studio “Gut microbes promote motor deficits in a mouse model of Parkinson’s disease” da poco pubblicato sulla rivista Cell ha approfondito e dato corpo alle tesi che vedono la possibile esistenza di un collegamento fra il microbioma intestinale e la malattia di Parkinson.

«Per la prima volta – spiega Sarkis Mazmanian, pioniere degli studi sul microbioma, tra gli autori dello studio e professore della California Institute of Technology – abbiamo scoperto un nesso biologico fra il microbioma intestinale e la malattia di Parkinson. Più genericamente, la ricerca rivela che una malattia neurodegenerativa può avere origine nell’intestino e non solo nel cervello, come si pensava in precedenza. La scoperta in pratica rappresenta un cambio di paradigma e apre per il futuro nuove possibilità di trattamento per i pazienti.».

Lo studio

I ricercatori hanno lavorato su topi geneticamente modificati per il Parkinson, dividendoli in due gruppi: il primo cresciuto in ambiente sterile (germ free), il secondo in condizioni normali. I topi cresciuti in ambiente sterile hanno mostrato minori deficit motori e un accumulo ridotto di proteine malformate rispetto ai topi cresciuti in ambiente normale: un trattamento a base diantibiotici su questi ultimi ha dato effetti simili a quelli riscontrati nei topi cresciuti in ambiente sterile. Viceversa, i topi germ free hanno registrato peggioramenti nei sintomi, se sottoposti a un trattamento a base di acidi grassi a catena corta o se sottoposti a trapianti fecali da parte di pazienti affetti da Parkinson. Esiste inoltre un fattore genetico nel potenziale sviluppo della patologia: i ricercatori hanno infatti usato un modello animale geneticamente modificato che replica i sintomi del Parkinson, e i topi non predisposti alla malattia, una volta sottoposti allo stesso trapianto fecale, non hanno sviluppato gli stessi deficit motori.

Questi risultati suggeriscono come in primis esista un’influenza negativa diretta da parte del microbioma intestinale nell’esacerbare i sintomi, con la creazione di un ambiente favorevole all’accumulo di proteine deformi, mentre dall’altra parte confermano che le terapie probiotiche o prebiotiche possono potenzialmente alleviare i sintomi della malattia.

La situazione in Italia

Anche in Italia si stanno realizzando ricerche su microbioma e malattie degenerative. «Oggi c’è molto interesse su questo aspetto ed anche noi abbiamo iniziato un progetto di studio del microbiota intestinale nei pazienti con Parkinson – racconta a Microbioma.it Fabrizio Stocchi, neurologo e direttore del Centro Parkinson dell’IRCCS San Raffaele Pisana – Vi sono indicazioni che il microbiota presenta alterazioni caratteristiche nei pazienti parkinsoniani e sappiamo che la proteina responsabile della morte cellulare nel cervello dei parkinsoniani, l’alfasinucleina, si trova anche nell’intestino di questi pazienti. L’alterazione del microbiota favorirebbe l’ingresso dell’alfasinucleina nel cervello iniziando il processo patologico che porta poi allo sviluppo della malattia. Lo studio riportato in questo articolo supporta questa ipotesi e incoraggia la prosecuzione della ricerca sul microbiota».

Il futuro della ricerca in questo campo: identificare batteri buoni e batteri cattivi per capire come agire

Se antibiotici e trapianti fecali sono ancora lontani dal diventare terapie praticabili nell’immediato, la prossima sfida per gli scienziati sarà proprio identificare le specie batteriche che contribuiscono all’insorgenza del Parkinson o a un aggravamento dei suoi sintomi e quali invece svolgono un’azione protettiva per i pazienti. «Una simile scoperta – conclude il Prof. Sarkis Mazmanian –potrebbe servire da marker diagnostico per la malattia, o persino fornire nuovi obiettivi per lo sviluppo di farmaci specifici. Come ogni altro processo di sviluppo di nuovi farmaci, portare questo lavoro dagli animali agli esseri umani richiederà anni. Ma questo è un primo passo avanti importante verso l’obiettivo a lungo termine: sfruttare le conoscenze che abbiamo acquisito e aiutare ad alleggerire il peso clinico, economico e sociale della malattia di Parkinson».

Fonti: microbiota.it
https://saluteuropa.org/segnali-dal-futuro/177-parkinson-confermato-legame-tra-batteri-intestinali-e-patologie-neurodegenerative/
APPELLO PER UNO STOP ALL’INGIUSTIFICATO E ANTISCIENTIFICO ATTACCO CONTRO I MEDICI OMEOPATI

APPELLO PER UNO STOP ALL’INGIUSTIFICATO E ANTISCIENTIFICO ATTACCO CONTRO I MEDICI OMEOPATI

Come medici laureati e abilitati all’esercizio della professione, chiediamo un intervento istituzionale incisivo a difesa della nostra professione. Il linciaggio mediatico al quale siamo sottoposti è senza precedenti.

Negli ultimi mesi in Italia si sono intensificati gli attacchi contro l’omeopatia. Essa viene presentata come una pseudoscienza, una vera e propria truffa ai danni di ingenui cittadini che vengono convinti ad affidarsi al ciarlatano di turno – poco importa che invece si tratti di medici laureati e abilitati alla professione medica con formazione specifica in omeopatia – che li convince ad acquistare del banale zucchero e sfrutta solo l’effetto placebo per ottenere risultati.

Ogni giorno assistiamo inermi ad un linciaggio mediatico di questa pratica senza possibilità di contraddittorio, in nome della crociata del politico o dello scienziato di turno, unico detentore di verità assolute con le quali educare ingenui e sprovveduti cittadini a vivere secondo il suo incontestabile credo.

1. L’Omeopatia è la seconda medicina al mondo, seconda soltanto alla medicina convenzionale

L’omeopatia è la prima medicina complementare in Europa, è diffusa nel mondo in più di 80 paesi. In Svizzera dal maggio 2017 cinque terapie complementari inclusa l’omeopatia sono equiparate alle altre specialità mediche e sono rimborsate dal sistema assicurativo sanitario.

Il Rapporto Italia 2017 di Eurispes riferisce che la Medicina Integrata è utilizzata da circa 12 milioni di cittadini e che l’omeopatia è la più popolare fra le terapie. Nel 2013 dati dell’Osservatorio Nazionale sulla Salute della Donna (ONDA), riferiti a un campione di 1000 donne di età compresa tra i 25 e i 54 anni, affermavano che oltre il 70% aveva avuto un’esperienza positiva con l’omeopatia.

L’ISTAT con i due studi “Tutela della salute e accesso alle cure” (luglio 2014) e “Cura e ricorso ai servizi sanitari” (aprile 2015) ha riportato che in Italia utilizzano regolarmente farmaci omeopatici circa 2 milioni e 452 mila di persone (circa 4,1% della popolazione), posizionando gli Italiani al terzo posto in Europa dopo Francia e Germania.

Secondo un’indagine della Federazione Medici Pediatri (Fimp 2016) condotta su 5.400 pediatri aderenti alla Federazione, quasi tutti convenzionati con il Servizio Sanitario Nazionale, il 30% dichiara di ricorrere all’omeopatia; di questi il 36% lo fa quotidianamente.

Si veda anche la NOTA 1 sulle strutture pubbliche europee che offrono prestazioni di medicina omeopatica.

2. La medicina si avvale della scienza

La medicina è una technè che si avvale della scienza e nella quale entrano in gioco variabili soggettive ed individuali ineliminabili perché il suo oggetto non sono entità inanimate bensí esseri viventi, con la loro individualità e unicità.

Nella medicina scientifica clinica si utilizzano i dati che derivano da studi su gruppi di persone. Questi dati sono espressi con una probabilità statistica, non con una certezza. Occorre poi vedere qual è la probabilità che i dati derivanti dagli studi siano applicabili all’individuo che il medico cura. La scientificità della medicina misura nel migliore dei casi quindi solo una probabilità, che bisogna poi vedere se è applicabile all’individuo: questo è il massimo della certezza.

Fatta questa doverosa premessa, non si può non rilevare come negli articoli che attaccano l’omeopatia spariscano i riferimenti alla crescente mole di letteratura scientifica, consultabile facilmente (brevemente riportati nella NOTA 2), che evidenzia come queste diluizioni abbiano un’azione biologica misurabile. Ecco che si enfatizzano le prese di posizione ostili all’omeopatia, dimenticando invece illustri pareri a favore. David Sackett, medico canadese padre dell’EBM (la medicina basata sulle evidenze), ha espresso serie riserve sui ricercatori e i medici che considerano gli studi randomizzati-in doppio cieco come gli unici strumenti in grado di stabilire se un trattamento è efficace nella pratica clinica. In effetti, se così fosse buona parte della pratica chirurgica sarebbe “non scientifica” o “non dimostrata”, dato che difficilmente si avvale di procedure sottoposte a verifiche in doppio cieco!

L’altro padre dell’EBM, Guyatt, ha scritto che l’evidenza da sola non è mai sufficiente per prendere una decisione clinica: coloro che devono prendere una decisione devono sempre considerare rischi e benefici, svantaggi e costi associati con le differenti strategie alternative e nel farlo devono tenere in considerazioni le preferenze dei pazienti. Infatti molti interventi medici, fra cui l’omeopatia, sono complessi e devono essere studiati tenendo conto della loro complessità intrinseca. L’omeopatia non è una panacea ma un valido complemento alla medicina convenzionale per la salute dei cittadini.

3. Gli studi illustri sulla plausibilità dell’Omeopatia

La principale resistenza al riconoscimento del valore dell’omeopatia viene dalla sua asserita implausibilità: le soluzioni così diluite non possono avere un’azione biologica perché sono acqua fresca. Ma negli ultimi 10 anni proprio gruppi italiani quali quello di Paolo Bellavite all’Università di Verona e di Andrea Dei all’Università di Firenze hanno condotto ricerche scientifiche pubblicate in letteratura internazionale che dimostrano incontrovertibilmente l’azione del medicinale omeopatico sull’espressione a livello dei geni.

Più recentemente, studi provenienti da vari gruppi di ricerca, tra cui quelli del prof Bellare JR in India e Van Wassenhoven in Belgio, hanno chiaramente dimostrato la presenza di nanoparticelle di medicinale omeopatico anche nelle diluizioni oltre il numero di Avogadro. Chi ad oggi continua ad affermare che nel medicinale omeopatico non c’è nulla dentro, non conosce le evidenze scientifiche attuali. La dimostrazione di nanoparticelle della sostanza di partenza nel medicinale omeopatico apre nuovi scenari sul meccanismo d’azione alla base dell’omeopatia e la posiziona nel grande campo della nanomedicina, con azione a livello dei geni.

Questa estate si è svolta presso la prestigiosa London Royal Society of Medicine una conferenza internazionale, con la partecipazione di scienziati di fama fra cui due premi Nobel, che ha confermato l’azione terapeutica di dosi estremamente basse (nanodosi) dei medicinali omeopatici.

Per il riferimento agli studi qui citati vedi fra l’altro l’articolo: “Online la prima banca dati italiana di Omeopatia”

Come medici esperti in omeopatia, ma soprattutto come medici laureati e abilitati all’esercizio della professione, chiediamo un intervento istituzionale incisivo a difesa della nostra professione. Chiediamo quindi una presa di posizione netta e precisa rispetto agli attacchi che da troppo tempo mettono in ridicolo la nostra dignità e quella dei nostri pazienti, tentando di minare la libertà degli uni e degli altri, nell’intento di uniformare i sistemi di cura a semplici prassi standardizzate.

A conferma della legittimità delle nostre richieste facciamo riferimento all’Accordo Stato Regioni del 2013 sulla formazione e l’esercizio della professione, da cui deriva l’accreditamento delle scuole di omeopatia, declinata nelle differenti discipline che comprendono omeopatia, antroposofia e omotossicologia, in atto ormai in molte Regioni e l’iscrizione dei medici esperti in appositi Registri presso quasi tutti gli ordini provinciali dei medici.

Per non dimenticare la registrazione dei medicinali omeopatici presso AIFA, in esecuzione della direttiva comunitaria sui farmaci; la normativa UE riguarda anche il riconoscimento di maggiore qualità delle carni di allevamenti curati omeopaticamente. E la già citata “Strategia dell’OMS per la Medicina Tradizionale 2014-2023” edito da OMS nel 2013, che auspica lo sviluppo dei sistemi di cura tradizionali e complementari.

L’omeopatia è riconosciuta come atto medico dalla FNOMCeO dal 2002 insieme alla medicina antroposofica e all’omotossicologia e il suo esercizio è in Italia riservato ai medici, odontoiatri, veterinari e farmacisti per gli ambiti di loro competenza.

Nota 1: L’omeopatia nei servizi sanitari pubblici in Europa (Sintesi)

Germania
– Berlino: Anthroposophical Community Hospital Havelhoehe
– Stoccarda: Flider-Hospital– Essen: Clinic for Complementary and Integrative Medicine/ Senology Center of Essen-Central Clinic
– Duisburg-Essen: Richterswil
– Monaco: Competence Centre for Complementary Medicine – Breast Center at the Technical University Munich
– Jena: Out-patient Center for Complementary Medicine and Integrative Oncology of the University Hospital Jena

Gran Bretagna
– Londra: Royal London Hospital for Integrated Medicine
– Londra: Royal Marsden NHS Foundation Trust

Francia
– Lyon: Centre Hospitalier Lyon-Sud, Dip. Materno-infantile
– Chambéry: Centre hospitalier de Chambéry
– Troyes: Centre hospitalier de Troyes, Service d’Oncologie Radiothérapie
– Lyon: Centre Léon Bérard
– Strasburg: Centre Paul Strauss
– Le Chesnay Cedex: Hopital Mignot
– Bordeaux: Institut Bergonié, Centre Régional de Lutte Contre le Cancer
– Villejuif: Institute Gustave Roussy, Department of Supportive Care

Svizzera
– Arlesheim: Klinik Arlesheim
– Arlesheim: Ita Wegman Geburtshaus
– Richterswi: Paracelsus-Spital Richterswil
– Ascona: Casa di Cura Andrea Cristoforo
– Langna: Regionalspital Emmental AG – Abteilung Komplementärmedizin
– Scuol: Ospidal Engadina Bassa – Abteilung Komplementärmedizin
– Locarno: Clinica Santa Croce

Svezia
– Järna: Vidarkliniken

Austria
– Wien: Medical University of Vienna, Department of Medicine I, Division of Oncology Outpatients Unit Additive Homeopathy for Cancer Patients

Lituania
– Vilnius: Institute of Oncology, Vilnius University

Italia
– Centro di Medicina Integrata dell’ospedale di Pitigliano-centro di riferimento regionale per la Medicina Integrata nel percorso ospedaliero
– Centro di riferimento regionale per l’omeopatia presso l’ospedale campo di Marte a Lucca

NOTA 2: breve rassegna delle evidenze scientifiche

Molte ricerche scientifiche, soprattutto nell’ultimo decennio, hanno indagato il meccanismo d’azione del medicinale omeopatico e la sua efficacia in diverse condizioni cliniche. Su PubMed, la principale banca dati internazionale medico-scientifica, vi sono ad oggi circa 5700 articoli sull’omeopatia. Iris Bell, professore emerito di Family e Community medicine all’Università dell’Arizona, ha recentemente pubblicato sul sito dell’American Institute of Homeopathy Homeopathy Research Evidence Base, che raccoglie circa 6000 evidenze sull’omeopatia.

Fino alla fine del 2014 sono stati pubblicati 189 RCT peer reviewed in omeopatia. Di questi, 104 erano contro placebo in 61 diverse condizioni cliniche. Di questi 104 RCT, 43% hanno avuto risultati positivi, 56% non conclusivi e 5% negativi (dati presenti su https://facultyofhomeopathy.org/research/).

Una relazione su efficacia, costo-beneficio e appropriatezza dell’omeopatia dell’Ufficio federale di salute svizzero, all’interno del Programma di valutazione della medicina complementare (PEK), ha riportato risultati positivi per l’omeopatia in 29 studi riguardanti allergie e infezioni delle alte vie respiratorie.

A tutt’oggi, sulla base di un database tutto italiano, risultano pubblicati ed indicizzati:
– 95 revisioni sistematiche qualitative
– 25 revisioni sistematiche quantitative con metanalisi
– 243 RCTs (studi randomizzati controllati)
– 96 studi di Ricerca in Agro-Omeopatia
– 148 studi di Ricerca Fisico-Chimica
– 208 studi di Ricerca di Base (pre-clinica)
– 106 studi di Ricerca Veterinaria
– 123 studi osservazionali

Si tratta, quindi, di una base di evidenza scientifica ampia e significativa, i cui risultati depongono in larga parte a favore dell’Omeopatia.

Fra queste evidenze meritano di essere citate le metanalisi di Kleijnen et al. (1995), Boissel et al. (1996), Linde et al. (1997); Cucherat et al. (2000).

Nel 2013 un ricercatore del Karolinska Institute, Robert Hahn, ha pubblicato una revisione delle meta-analisi sull’omeopatia, in cui afferma: «Nel 1997 Klaus Linde e collaboratori hanno identificato 89 studi clinici che hanno dimostrato una probabilità complessiva a favore dell’omeopatia sopra il placebo di 2.45» Hahn conclude. «Gli studi clinici dei rimedi omeopatici dimostrano che sono nella maggior parte delle volte superiori al placebo. I ricercatori che sostengono la tesi opposta si basano su un sistematico annullamento di studi, sull’adottare dati virtuali, o su metodi statistici inappropriati».

In un’altra recente revisione (Fixen 2018) su 9 RCT e 8 studi osservazionali sul trattamento omeopatico delle infezioni delle alte vie respiratorie, l’omeopatia è risultata equivalente al trattamento convenzionale ma con minori effetti avversi, con una potenziale riduzione del fenomeno delle antibioticoresistenza, definita dall’OMS una grave minaccia alla salute globale dei cittadini.

Alcuni studi hanno evidenziato che le medicine complementari, compresa l’omeopatia, consentono di realizzare risparmi significativi della spesa sanitaria (Van Wassenhoven 2004, Smallwood 2005, Kooreman 2012, Viksveen 2013, Colas A 2015).

Il programma francese di ricerca EPI3 (825 ambulatori di medicina generale, 8.559 pazienti) ha valutato i risultati dei trattamenti omeopatici o allopatici su tre tipologie di disturbi: infezioni del tratto respiratorio superiore, dolori muscolo-scheletrici e disturbi del sonno, ansia e depressione. Confrontando i risultati ottenuti, l’omeopatia ha dimostrato efficacia clinica paragonabile alla medicina convenzionale, ma con riduzione nell’uso dei farmaci e degli eventi avversi da farmaci e con potenziale diminuzione dei costi per il sistema sanitario. In particolare, nel gruppo di pazienti con infezioni delle vie respiratorie (N: 518), il miglioramento è del tutto simile, ma i pazienti trattati con omeopatia hanno ridotto del 57% il consumo di antibiotici. Per i dolori muscoloscheletrici (N: 1.153), a parità di risultati terapeutici, i pazienti trattati con omeopatia hanno dimezzato il consumo di antinfiammatori (-46%) e ridotto di due terzi quello di analgesici (-67%). Risultati analoghi per il gruppo di pazienti con disturbi del sonno, ansia e depressione (N: 710), dove a fronte di un miglioramento clinico analogo, con il trattamento omeopatico il consumo di benzodiazepine è calato del 71%.

Spesso viene affermato che non vi sono studi replicativi in omeopatia. Occorre notare che i finanziamenti sono enormemente inferiori che per la medicina convenzionale; ma nonostante ciò, con l’aumentare degli studi, si stanno moltiplicando gli studi con risultati positivi ripetuti, ad esempio:
– depressione (Adler UC 2011; del Carmen Macías-Cortés 2013; del Carmen Macías-Cortés 2015; Viksveen P 2014; Viksveen P 2017; Viksveen P 2018)
– diarrea infantile (Jacobs J 1994; 2000; 2003)
– fibromialgia (Fisher P, 1989; Bell IR, 2004; Relton C, 2009)
– infezioni delle vie aeree superiori (Bellavite P, 2006; Bornhöft G, 2006)
– insonnia (Bell IR 2010; Brooks AJ 2010; Carlini EA,1987; Naudé DF 2010)
– radiodermite (Balzarini A 2000; Schlappack O 2004)
– raffreddore comune (Maiwald VL, 1988; Michalsen A 2015; Jacobs J 2016)
– rinite allergica stagionale (Reilly DT, 1986; Wiesenauer M, 1985; Wiesenauer M, 1990 ; Wiesenauer M, 1997; Weiser M, 1999; Aabel 2000; Kim LS, 2005 ; Taylor MA, 2006)
– sequele e problemi post-operatori (inclusa Arnica) (Brinkhaus B 2006; Robertson A 2007; Totonchi A 2007; Karow J-H 2008; Sorrentino et al 2017)
– vertigini (Weiser M 1998; Schneider B 2005; Issing W 2005)

AMIOT – Associazione Medica Italiana di Omotossicologia
FIAMO – Federazione Italiana Associazioni e Medici Omeopati
LUIMO – Associazione per la Libera Università Internazionale di Medicina Omeopatica
SIMA – Società Italiana di Medicina Antroposofica
SIMO – Società Italiana Medicina Omeopatica
SIOMI – Società Italiana di Omeopatia e Medicina Integrata

Da:

https://www.libriomeopatia.it/articoli/appello_stop_attacco_medicinali_omeopatici.php?idn=60&idx=1857&idlink=3&utm_source=newsletter&utm_medium=email&utm_campaign=nl_60

SEMPRE PIU’ ALLERGICI E MALATI. MA A RAFFORZARE I NOSTRI BIMBI SARANNO I MICROBI AFRICANI

SEMPRE PIU’ ALLERGICI E MALATI. MA A RAFFORZARE I NOSTRI BIMBI SARANNO I MICROBI AFRICANI

Succede anche con il clima: i batteri subsahariani arricchiscono l’ecosistema.

È in atto una migrazione sotterranea, impercettibile, ma tumultuosa e inarrestabile. Valica le frontiere, si muove a cavallo delle persone o degli eventi atmosferici. Sta scaricando sull’Europa – e sull’Italia che ne è l’avamposto – milioni di microbi, funghi, batteri provenienti dall’Africa. Non sembrano destinati a distruggerci. Anzi, rischiano di aiutarci a combattere uno dei nostri peggiori – e trascurati – mali: la perdita di biodiversità, nell’ambiente ma soprattutto nel nostro organismo.

Ci stiamo impoverendo. Sempre meno batteri, sempre meno vari. A Firenze, un team di ricercatori studia da anni i microrganismi del nostro corpo basandosi sui big data ricavati da sequenze di Dna. «L’industria alimentare e i suoi processi, la sanificazione, l’utilizzo massiccio di antibiotici negli allevamenti hanno contribuito a debellare molti agenti nocivi, ma hanno finito per estirparne anche di essenziali», rivela Duccio Cavalieri, professore al dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze. «Un esempio sono i probiotici, che acquistiamo per reintrodurre nel nostro corpo elementi un tempo naturalmente presenti».

Aver eliminato funghi, batteri, microbi sta contribuendo all’esplosione di malattie auto immuni, infiammazioni, allergie. «Il sistema immunitario fin dalla nascita si abitua a riconoscere i microrganismi buoni da quelli che non lo sono», spiega Carlotta De Filippo, microbiologa all’Istituto di Biologia e biotecnologie agrarie del Cnr di Pisa. «Tuttavia, poiché la varietà microbica con cui entra in contatto è sempre minore, reagisce a ogni novità come se fosse patogena. E sviluppa infiammazioni».

Si spiega così il boom dei malanni del nuovo millennio. E perché molti – che fino a vent’anni fa insorgevano in persone adulte – attacchino sempre prima. Il numero di bambini soggetti ad allergie alimentari è schizzato del 20% in dieci anni: in Italia uno su venti – secondo l’Organizzazione mondiale dell’allergia – ne soffre. Tra 6 e 12 anni, il 7% ha dermatite atopica, il 15% di rinite allergica e il 9% di asma. Stesso discorso per le malattie auto immuni, come il morbo di Chron: il 25% dei nuovi casi ha meno di vent’anni. La diffusione delle infiammazioni croniche intestinali è raddoppiata nell’ultimo decennio, con 8 bimbi su 100 mila colpiti e un’età di insorgenza scesa a 10 anni. E ancora: artriti reumatoidi, coliti ulcerose, sclerosi multipla, diabete di tipo 1. «La correlazione tra la diffusione e precocità di questi mali e la riduzione della varietà microbica è assodata», assicura De Filippo.
Siamo diventati fragili. Meno ricchi. Una ricchezza di cui l’Africa, da cui moltitudini cercano di fuggire, abbonda. La grande migrazione, tra i tanti effetti, potrebbe celarne uno finora poco indagato: milioni di batteri stanno invadendo l’Italia. Nelle popolazioni africane si annida una grande quantità (e varietà) di microrganismi che il nostro mondo ha perso. I ricercatori fiorentini l’hanno scoperto mettendo a confronto alcuni bambini toscani con coetanei del villaggio Boulpon, nel Burkina Faso. «Hanno il triplo di acidi grassi a catena corta, antinfiammatori naturali», racconta Cavalieri. E soprattutto hanno concentrazioni di patogeni inferiori: l’Escherichia (responsabile di cistiti, infiammazioni alle vie urinarie) è presente in misura quattro volte superiore nei bambini italiani, la Salmonella otto volte tanto, la Shigella (dannosa per l’intestino) sette volte, la Klebsiella (agente delle infiammazioni alla vie aeree, come la polmonite) quasi quindici. La differenza sta nei nutrimenti: fibre, amido non raffinato e altre fonti vegetali, pochi grassi animali, ma soprattutto niente industria alimentare. «I bambini africani vivono in un ambiente fortemente contaminato», ragiona il professor Cavalieri. «Eppure i principali patogeni umani si ritrovano in quantità decisamente minori, perché hanno una ricchezza microbica che li difende. Noi non ce l’abbiamo più».

Le popolazioni africane potrebbero aiutarci a recuperarne una parte. Nell’ecosistema sta già accadendo qualcosa di simile. Nel 2014 una nevicata ha riversato sulle Dolomiti grandi quantità di sabbia del Sahara. Non era la prima volta ma quell’anno il gelo ha cristallizzato per mesi l’ambiente. La sabbia conteneva milioni di funghi e batteri: intere famiglie si sono trasferite, oltrepassando il deserto e il Mediterraneo, per colonizzare le Alpi. Il disgelo le ha riversate nell’arco di poche ore. Poteva essere una catastrofe. Invece no. Un gruppo di ricercatori (Cnr, Fondazione Edmund Mach, atenei di Firenze, Innsbruck e Venezia) ha prelevato campioni dal suolo dolomitico e li ha analizzati per tre anni. Per scoprirne l’origine, hanno ricostruito le traiettorie atmosferiche e il Dna dei microrganismi ritrovati, confrontandoli con dati campionati in tutto il mondo.Il risultato è sorprendente: i microrganismi sub-sahariani si sono adattati all’ambiente alpino e, anziché stravolgerlo, lo stanno arricchendo. «Questi eventi sono la diretta conseguenza dei cambiamenti climatici, saranno sempre più frequenti», spiegano i coordinatori del team, Cavalieri, Tobias Weil e Franco Miglietta. «Andranno monitorati nel tempo ma per ora possiamo dire che gli effetti positivi sono prevalenti rispetto a quelli problematici».

Lo stesso – fatte le dovute proporzioni – potrebbe accadere agli esseri umani. In fondo anche noi siamo un ecosistema: in una persona di 70 chili, i microrganismi ne valgono almeno 2. I nostri sono sempre più standard.

Andrea Rossi
pubblicato su LASTAMPA

https://www.lastampa.it/2017/05/10/italia/allergie-e-malattie-autoimmuni-cos-i-microbi-degli-africani-rafforzano-il-nostro-organismo-sEKMmqzAkx1Mvc3zuUTpzM/pagina.html

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