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Oggi sappiamo che nel corpo umano il numero delle cellule batteriche supera di 1,3 volte (fino a 10 volte) quello delle cellule umane.
Le infezioni sono la conseguenza di un microbo nel posto sbagliato e al momento sbagliato; ma sul terreno biologico in quel momento più adatto a farlo sviluppare come patogeno.
Conta il terreno biologico individuale, quindi, più del batterio.
Per migliaia di anni le nostre cellule e i microbi hanno vissuto in una simbiosi pacifica che ha garantito l’equilibrio e la salute del nostro corpo.
Ma negli ultimi 70 anni abbiamo affrontato le infezioni batteriche con l’equivalente di un armamentario imponente – un attacco di ampio spettro con un arsenale terapeutico non indifferente contro tutti i batteri indistintamente – invece di cercare di comprendere nelle sfumature della biologia individuale il come coesistere con i batteri, creando una reciproca dipendenza con eventuali periodici e transitori dissapori.
Dato che le popolazioni batteriche si stanno sempre più sviluppando in ceppi resistenti agli antibiotici comunemente utilizzati, è arrivato il momento di riconsiderare il nostro rapporto coi microbi all’interno di nuovi paradigmi scientifici.
La nostra esperienza di medici hahnemanniani a continuo contatto clinico con il paziente, da anni ci fa formulare queste considerazioni, anche grazie alle sempre più moderne scoperte della microbiologia più avanzata e aggiornata.
Il concetto della campana di vetro a cui affidare la salute delle genti diviene oggi sempre più fragile e inefficacie, soprattutto alla luce di una antibiotico-resistenza sempre maggiore e diffusa.
Le considerazioni su questo argomento sono aperte ed in continua evoluzione, ma il medico moderno deve porre in continua discussione le conoscenze che riteneva acquisite, facendo proprie le dimensioni più avanzate del sapere scientifico e medico scientifico in particolare, non valutando il futuro attraverso la misura e i contenuti dei lavori scientifici del passato.
Il rischio, infatti, sarebbe quello di rimanere drammaticamente al palo, incarcerati in visioni vecchie e superate, trasformandoci in novelli Cardinal Bellarmino resi stolti dall’essersi rifiutati di guardare attraverso il connocchiale del moderno Galileo Galilei.

Con piacere, quindi, condividiamo qui di seguito l’interessante articolo  di ANDREA ROSSI (Fonte: La Stampa.it) dal Titolo:
Sempre più allergici e malati. Ma a rafforzare i nostri bimbi saranno i microbi africani“.

Un articolo divulgativo molto utile, soprattutto per i non addetti ai lavori, per comprendere come in campo medico-scientifico stia sempre più emergendo una consapevolezza scientifica e clinica nuova, dalle prospettive di particolare interesse e portata.
Buona lettura!!
F.to Equipe medica Istituto SIMOH
mc

Fonte Articolo: La Stampa.it del 10.05.2017

“È in atto una migrazione sotterranea, impercettibile, ma tumultuosa e inarrestabile. Valica le frontiere, si muove a cavallo delle persone o degli eventi atmosferici.
Sta scaricando sull’Europa – e sull’Italia che ne è l’avamposto – milioni di microbi, funghi, batteri provenienti dall’Africa.
Non sembrano destinati a distruggerci. Anzi, rischiano di aiutarci a combattere uno dei nostri peggiori – e trascurati – mali: la perdita di biodiversità, nell’ambiente ma soprattutto nel nostro organismo.

Ci stiamo impoverendo. Sempre meno batteri, sempre meno vari. A Firenze, un team di ricercatori studia da anni i microrganismi del nostro corpo basandosi sui big data ricavati da sequenze di Dna.

«L’industria alimentare e i suoi processi, la sanificazione, l’utilizzo massiccio di antibiotici negli allevamenti hanno contribuito a debellare molti agenti nocivi, ma hanno finito per estirparne anche di essenziali», rivela Duccio Cavalieri, professore al dipartimento di Biologia dell’Università di Firenze.

«Un esempio sono i probiotici, che acquistiamo per reintrodurre nel nostro corpo elementi un tempo naturalmente presenti».

Aver eliminato funghi, batteri, microbi sta contribuendo all’esplosione di malattie auto immuni, infiammazioni, allergie.

«Il sistema immunitario fin dalla nascita si abitua a riconoscere i microrganismi buoni da quelli che non lo sono», spiega Carlotta De Filippo, microbiologa all’Istituto di Biologia e biotecnologie agrarie del Cnr di Pisa. «Tuttavia, poiché la varietà microbica con cui entra in contatto è sempre minore, reagisce a ogni novità come se fosse patogena. E sviluppa infiammazioni».

Si spiega così il boom dei malanni del nuovo millennio. E perché molti – che fino a vent’anni fa insorgevano in persone adulte – attacchino sempre prima.
Il numero di bambini soggetti ad allergie alimentari è schizzato del 20% in dieci anni: in Italia uno su venti – secondo l’Organizzazione mondiale dell’allergia – ne soffre.

Tra 6 e 12 anni, il 7% ha dermatite atopica, il 15% di rinite allergica e il 9% di asma. Stesso discorso per le malattie auto immuni, come il morbo di Chron: il 25% dei nuovi casi ha meno di vent’anni.

La diffusione delle infiammazioni croniche intestinali è raddoppiata nell’ultimo decennio, con 8 bimbi su 100 mila colpiti e un’età di insorgenza scesa a 10 anni.
E ancora: artriti reumatoidi, coliti ulcerose, sclerosi multipla, diabete di tipo 1. «La correlazione tra la diffusione e precocità di questi mali e la riduzione della varietà microbica è assodata», assicura De Filippo.

Siamo diventati fragili. Meno ricchi. Una ricchezza di cui l’Africa, da cui moltitudini cercano di fuggire, abbonda. La grande migrazione, tra i tanti effetti, potrebbe celarne uno finora poco indagato: milioni di batteri stanno invadendo l’Italia.

Nelle popolazioni africane si annida una grande quantità (e varietà) di microrganismi che il nostro mondo ha perso. I ricercatori fiorentini l’hanno scoperto mettendo a confronto alcuni bambini toscani con coetanei del villaggio Boulpon, nel Burkina Faso. «Hanno il triplo di acidi grassi a catena corta, antinfiammatori naturali», racconta Cavalieri. E soprattutto hanno concentrazioni di patogeni inferiori: l’Escherichia (responsabile di cistiti, infiammazioni alle vie urinarie) è presente in misura quattro volte superiore nei bambini italiani, la Salmonella otto volte tanto, la Shigella (dannosa per l’intestino) sette volte, la Klebsiella (agente delle infiammazioni alla vie aeree, come la polmonite) quasi quindici.

La differenza sta nei nutrimenti: fibre, amido non raffinato e altre fonti vegetali, pochi grassi animali, ma soprattutto niente industria alimentare. «I bambini africani vivono  in un ambiente fortemente contaminato», ragiona il professor Cavalieri. «Eppure i principali patogeni umani si ritrovano in quantità decisamente minori, perché hanno una ricchezza microbica che li difende. Noi non ce l’abbiamo più».

Le popolazioni africane potrebbero aiutarci a recuperarne una parte. Nell’ecosistema sta già accadendo qualcosa di simile. Nel 2014 una nevicata ha riversato sulle Dolomiti grandi quantità di sabbia del Sahara. Non era la prima volta ma quell’anno il gelo ha cristallizzato per mesi l’ambiente. La sabbia conteneva milioni di funghi e batteri: intere famiglie si sono trasferite, oltrepassando il deserto e il Mediterraneo, per colonizzare le Alpi. Il disgelo le ha riversate nell’arco di poche ore. Poteva essere una catastrofe. Invece no. Un gruppo di ricercatori (Cnr, Fondazione Edmund Mach, atenei di Firenze, Innsbruck e Venezia) ha prelevato campioni dal suolo dolomitico e li ha analizzati per tre anni. Per scoprirne l’origine, hanno ricostruito le traiettorie atmosferiche e il Dna dei microrganismi ritrovati, confrontandoli con dati campionati in tutto il mondo. Il risultato è sorprendente: i microrganismi sub-sahariani si sono adattati all’ambiente alpino e, anziché stravolgerlo, lo stanno arricchendo. «Questi eventi sono la diretta conseguenza dei cambiamenti climatici, saranno sempre più frequenti», spiegano i coordinatori del team, Cavalieri, Tobias Weil e Franco Miglietta. «Andranno monitorati nel tempo ma per ora possiamo dire che gli effetti positivi sono prevalenti rispetto a quelli problematici».

Lo stesso – fatte le dovute proporzioni – potrebbe accadere agli esseri umani. In fondo anche noi siamo un ecosistema: in una persona di 70 chili, i microrganismi ne valgono almeno 2. I nostri sono sempre più standard.

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